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Il Pentamerone
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Il Pentamerone

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About this ebook

Un Nord Italia segnato dal Covid-19 dove le strade deserte e il silenzio sembrano il presagio di una futura apocalisse, cinque ragazzi cercano di sopravvivere. Completamente isolati dai familiari, una cosa più delle altre sembra in grado di distruggerli poco a poco: la solitudine.
Eppure, forse per caso o forse guidati dal destino, tutti e cinque si incontrano e poco a poco si svelano gli uni agli altri. Può l’amicizia nata per caso cambiare la loro sorte e non solo?
Una storia dei nostri tempi, in cui l’autore riesce ad amplificare il dolore della solitudine ma soprattutto l’importanza dei legami che vanno oltre il vincolo del sangue.

Pierpaolo Laudonia classe 2003, studioso di Diritto ed Economia, da sempre appassionato di fantasy e fantascienza, ha iniziato a scrivere a quindici anni, ma è solo con la quarantena da COVID-19 che decide di portare a termine il suo primo progetto: Il Pentamerone, libro in cui ha lasciato una parte delle sue sensibilità e che ha sempre voluto “dedicare” all’illustre poeta e maestro Giovanni Boccaccio.
Vivere in una zona umile del Sud Italia lo ha sempre reso incline a trovare la serenità anche nelle cose più piccole e a trovare un lato positivo anche nelle situazioni più buie, come la quarantena del 2020, senza la quale non avrebbe mai realizzato il suo sogno nascosto: scrivere. Per questo, è fermamente convinto che non tutti i mali vengano per nuocere.
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2021
ISBN9788830635401
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    Il Pentamerone - Pierpaolo Laudonia

    Anna

    Premessa

    AL MAESTRO GIOVANNI, PER SETTECENTO ANNI

    Risposte. È quello che ho sempre cercato di trovare ovunque io andassi e in qualunque cosa io facessi. Le risposte sono quello che mi spingono a conoscere sempre di più, a non smettere mai di imparare. Sono pieno di domande. In questo periodo difficile ed incerto, gli occhi mi si riempiono di vuoto. È stato così facile abituarsi al peggio in queste settimane, eppure, se mi viene da pensare alla spensieratezza di pochi mesi fa, mi sorgono altre domande. Domande su questo virus, sul significato di questa quarantena in cui siamo rinchiusi, sulla vita in generale, sulla solitudine e sui modi in cui questa solitudine possa essere spezzata. E, come ho detto, le domande mi fanno venire voglia di imparare. E quale mezzo migliore per imparare se non pensare, immaginare, fantasticare. Saprai certamente capirmi, tu che hai raccontato cento storie unendole in una soltanto: quando si scrive e si inventa, si impara qualcosa. Se si pensa a quante cose un genitore impara dal proprio figlio, si può applicare lo stesso ragionamento all’arte del raccontare una storia. Allo stesso modo vedo i miei personaggi crescere, diventare più nitidi man mano che raccontano storie e che svelano pezzi del loro passato. È come se prendessero il volo, una volta pronti e ben sviluppati. Cerco di dare significato ai miei personaggi, perché così imparerò qualcosa dalle loro esperienze. Ed è qui che volevo chiederti, come un uomo chiede al proprio caro defunto, di darmi consiglio, e di accettare questo mio libro. Certamente se tu potessi leggerlo troveresti blasfemi e volgari molti termini e modi di dire, ma sai, il tempo passa. Nuovi libri emergono, nuove parole si formano e soprattutto nuove storie vengono raccontate. I ragazzi cambiano e fanno cambiare il mondo e il modo di raccontare. Perché non importa come si sia chi racconta le storie: a volte si chiama Giovanni, altre volte Pierpaolo, a volte Filostrato, a volte Jiā, l’importante è che il peso delle storie, e della condivisione delle stesse rimanga uguale. Perché è solo quando le nostre vite vengono raccontate e confrontate le une con le altre, che siamo davvero capaci di vivere su questo mondo e con noi stessi.

    E chissà se un giorno, fra molti anni, nuove storie verranno raccontate, forse altre persone verranno a chiederti il permesso di poter fare riferimento al tuo punto forte, l’arte di raccontare una storia.

    03/2020

    E a chi leggerà, dico: raccontate le vostre storie, ascoltate quelle di coloro a cui volete bene, ma soprattutto, non rendetele mai vane. Se è vero che nulla si crea e nulla si distrugge, traete insegnamenti dalle storie che vi verranno raccontate

    PROLOGO: UNA NUOVA STORIA

    5 agosto 2020.

    Da qualche parte, nel Nord Italia...

    Jiā ascoltava attentamente la voce che proveniva dal suo PC mentre stava seduto a terra, le ginocchia portate al mento, lo sguardo perso. Non vedeva il suo interlocutore, sullo schermo appariva solo un simbolo: una croce rovesciata con sovraimpressa una clessidra. Attorno al sigillo erano posti sette occhi in totale: sei erano simmetricamente posti ai lati della clessidra, uno troneggiava sulla croce. La conversazione fredda e poco formale avveniva in inglese.

    «Hai capito Jiā?» chiese la voce maschile.

    «Sì.» rispose il ragazzino. Dal tono sembrava riluttante, distaccato o spaventato.

    «Mi raccomando, ne vale il tuo posto.» terminò l’altro, chiudendo il collegamento.

    Il ragazzino rimase lì, nella stessa posizione a meditare per dieci minuti, finché il PC non andò in stand-by.

    Finita la breve conversazione e la lunga pausa, fu come se si riprendesse da uno scomodo e inappagante sonno. Portò una mano sul capo, tra i folti e lunghi capelli neri e grattò il cuoio con insistenza, finché il prurito dei pidocchi non si alleviò temporaneamente. Poi mise la mano in tasca, prese un frammento di specchio aguzzo e tagliente e si guardò nel riflesso. Lo specchio era crepato in alto a sinistra, la crepa mostrava decine di suoi piccolissimi riflessi, ma solo un frammento era grande abbastanza da essere contemplato da Jiā. Guardandosi s’impressionò di come fosse dimagrito e degli evidenti solchi neri sotto gli occhi a mandorla, frutto di scomode e insignificanti notti.

    Camminò in quella catapecchia abbandonata in un campo di grano, che lo ospitava ormai da tempo. Solo due cose facevano rumore: i suoi passi sul pavimento polveroso e pieno di detriti e il vento, leggero e fresco, a tratti rilassante. Si fermò studiando la solitudine che ormai durava da più di una settimana. A volte, essa gli aveva fatto credere che qualcuno gli stesse parlando. D’altronde, il suo unico amico era diventato per l’appunto il rumore del vento. Non si sarebbe aspettato mutamenti, il suo status di solitudine perdurava da anni ormai.

    Perciò si sentì totalmente impreparato quando sentì dei passi falciare il grano, provenienti da fuori. Istintivamente si catapultò all’uscita, e quel che vide lo fece sentire talmente tanto seccato da farlo inspirare e stringere forte le gengive. Però, in quel momento ricordò di avere anch’egli un cuore.

    Infatti, un giovane ragazzo, quasi bambino, si avvicinava. Aveva un’aria distrutta, il volto pieno di lividi, camminava zoppicando e ingobbito dalla fatica, mentre teneva il braccio sinistro stretto nella mano destra.

    Seppur Jiā non ebbe paura di mostrarsi, nessuna empatia o pena alcuna lo toccò. Semplicemente vide nel ragazzo il volto della fuga a cui tante volte aveva dovuto fare appello. E ciò aveva per un istante inibito il suo cinismo.

    E così l'estraneo, man mano che si avvicinava, cambiò di poco la sua espressione, da crucciata e avvilita a una più speranzosa.

    «Tu chi sei? Perché sei qui?» chiese Jiā ad alta voce. Il ragazzino, visibilmente più giovane di alcuni anni non rispose. Si limitò ad approcciarsi il più possibile, sempre più vicino a quello che vedeva come un’unica ancora di salvezza, e arrivato a pochi passi da questi cadde a terra, rannicchiandosi in posizione fetale. Solo una parola uscì dalla sua bocca tramite la sua voce flebile e giovanile: «Acqua...»

    «Jiā, non può stare qui. Devi mandarlo via.» ordinò lo stesso uomo che gli aveva parlato poco prima tramite il PC. Anche ora il suo volto era ignoto, sostituito da quel simbolo esoterico e misterioso. Eppure non servì guardarlo in faccia per capire che era alquanto infastidito da quella puerile e seccante notizia.

    «Ma è innocuo... Sta morendo di fame e dorme da quando è arrivato.» ribatté il ragazzo illudendosi di avere qualche chance di poterlo persuadere.

    «Non mi importa. Tu hai un compito troppo delicato, di cui nessuno deve assolutamente capire niente. La guerra contro Raph è al suo apogeo e deve finire ad ogni costo. Potrebbero esserci spie ovunque.»

    Jiā guardò più in là, una valigetta nera, nuova di zecca.

    «Perché proprio una città così piccola?» domandò.

    «Non c’è un perché. Sarebbe potuta essere stata Roma, Shangai o San Pietroburgo. Ti basti sapere che è perché è stata la prima città ad aver colpito ogni uomo nel suo territorio, nessuno escluso. Questo genererà presto un effetto contrario alla cosiddetta Immunità di gregge, un effetto che la scienza ancora non conosce. E allora dovrai agire tu. Ti informeremo noi della UGC.»

    Jiā chinò il capo, sottomesso. «D’accordo.»

    «Fino ad allora, non farti scoprire da nessuno. E manda via quel bambino, se necessario fallo fuori. Non ci serve...»

    Jiā assunse un tono ancora più rammaricato.

    «Sì... Ho capito.»

    «Ci conto, Jiā.»

    Il collegamento si spense, lasciando il ragazzo perplesso e incupito dall’indecisione. Mai fino ad ora aveva osato ribattere all’uomo.

    Chiuse il portatile, dimenticandosi però di non essere solo.

    «Come ti chiami?» chiese alle sue spalle una voce giovane.

    Jiā si girò di scatto, guardando il nuovo arrivato negli occhi. Magrissimo, da un’insolita pelle pallida, bianca come il latte. Anzi, forse nemmeno lo aveva un colore quella pelle. Allo stesso modo i capelli, ricci e disordinati erano dello stesso pigmento candido. Sembrava affetto da albinismo, il che portò il ragazzo più grande a squadrarlo con un’attenzione tale che non avrebbe riservato ad altri. I vestiti del nuovo arrivato erano quasi ridotti a brandelli. Non riuscì a rispondergli subito, e quando lo fece iniziò a balbettare.

    «Sono Jiā...»

    Dannazione... non dovrei farlo... pensò subito dopo.

    «Volevi dell’acqua, no?»

    Afferrò una borraccia affianco a lui e gliela lanciò. Cadde ai piedi del giovane, che afferrandola con mano tremante si dissetò. Asciugatosi la bocca con la manica di ciò che doveva essere la sua maglietta, poté finalmente presentarsi. «Sono Marco.» sussurrò timidamente.

    Jiā annuì, come a segnalare fugacemente di aver compreso.

    «Bene, buono a sapersi. Adesso però... brutta notizia, non puoi stare qui.» La sua faccia era sempre apatica, come se volesse ad ogni costo imporsi come cinico e inflessibile.

    Ricevuta l’amara notizia, il giovane Marco sgranò gli occhi, rattristandosi al punto tale che la sua pelle già lattea sembrò sbiancare ancor di più.

    «P-Perché?»

    «Perché... Non c'è un perché... È solo che non posso sapere se tu sei stato infettato.»

    Marco non sembrò solo rattristato per quanto gli era stato detto, sembrava anche offeso. Si guardò i vestiti, per metà strappati e linciati. Guardò le mani ricoperte di graffi e lividi. Le portò sul viso e come coprendosi scoppiò in lacrime.

    «Dove andrò adesso...» si chiedeva singhiozzando.

    Era inevitabile che Jiā si sciogliesse anche se poco, era difficile per lui mantenersi inflessibile di fronte una persona in lacrime, pur mantenendo coscienza che ciò era sbagliato.

    «Perché non ti siedi?»

    Gli si avvicinò e allungò un braccio per posare la mano sulla spalla e consolare Marco, ma questi si scostò rapidamente.

    Jiā pensò a cosa fare per farlo smettere.

    «Senti... Non dicevo sul serio... Potresti rimanere... Forse...»

    Sentendo quelle parole, le lacrime di Marco si fermarono e in lui si risvegliò la speranza. Ancor prima di poter chiedere Davvero?, Jiā continuò a parlare: «Però

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