Il profumo della carta del pane
By Joe Moro
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Il profumo della carta del pane - Joe Moro
Sommario
Introduzione
Una casa in fiamme
Una tregua illusoria
L’amore non corrisposto
L’uragano
La fine
Verso il baratro
Max e il drago
Colpevole, fino a prova contraria
Hollywood
Il ritorno alle origini
La necessità interiore
I momenti tra padre e figlio
I tormenti nell’oscurità
La fuga verso il nulla
Milano
Un tetto sopra la testa
Mal comune, mezzo gaudio
Il delirio
Una nuova casa
Le diverse forme di umanità
Il dono di un’amicizia
La ricerca di un abbraccio
Solitudine
Il privilegio della compagnia
Il dono ricambiato
Due angeli nella notte
La sofferenza di un amico
Un’idea contro l’oblio
Una serata tra uomini
L’altra metà del cielo
La nuova moda cittadina
La celebrità
Il crollo
La fine della seconda vita
L’inizio di un sogno
Le nuove certezze
Sui propri passi
Il vero premio
La purezza dei sentimenti
Riflessioni dell’autore
JOE MORO
Il Profumo della
Carta del Pane
Romanzo
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in chiave fittizia. Qualsiasi rassomiglianza con fatti reali o con persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale.
Per informazioni sull’autore, consultare:
www.joemoro.it
www.joemoro.com
E-mail: info@joemoro.com
Copyright © 2021 Marco Giovannoni
ISBN | 979-12-20334-32-7
Prima edizione: 2021
La casa non è che
l’uomo esteriorizzato
Frank A. Parsons
La vita non è sempre
degna di essere vissuta;
se smette di essere
vera e dignitosa
non ne vale la pena.
Mario Monicelli
Introduzione
Il sole fece timidamente capolino tra le fronde degli alberi. Massimo desiderava il suo tepore, dopo l’ennesima notte trascorsa nel freddo abbraccio autunnale della panchina che lo ospitava. Certo, quei tiepidi e pallidi raggi non erano sufficienti per riscaldarlo. Ciononostante, li accoglieva uno ad uno per darsi la carica, confidando che presto giungesse la voglia di alzarsi per sgranchirsi le gambe.
Si diede una generosa grattata alla peluria che albergava sotto al suo mento. Suo padre lo aveva sempre detto: «Non hai una bella barba, non è sufficientemente folta. Devi tenerla corta, o meglio ancora radertela del tutto.»
Massimo sapeva che il suo amorevolmente detestato genitore aveva ragione. Era pur vero che ormai da diverse settimane la rasatura non rappresentava una priorità.
In fondo, cosa mai avrebbe potuto esserlo, se non trovare un pasto caldo ed uno sorriso amichevole? Anche solo il pasto, per il sorriso quella era una giornata no. Come molte altre, in effetti.
L’uomo si guardò intorno. Il piccolo parco in pieno centro città non si era ancora popolato, peraltro lui rappresentava l’unico ospite ad avervi pernottato.
Riusciva comunque a dare un’occhiata alle persone che passeggiavano fuori dalle mura di cinta, a qualche decina di metri di distanza. Chiunque transitasse da quelle parti aveva una gran fretta di raggiungere la propria meta, che nella maggior parte dei casi era rappresentata dal classico bar in cui consumare un cappuccio e brioche
. Ogni tanto passavano anche anziani e bambini, ma nella maggior parte dei casi Massimo scorgeva adulti in età lavorativa, quasi tutti decorosamente vestiti, lo sguardo perso sul cellulare per controllare i fondamentali post notturni sui social.
Non poteva fare a meno di pensare che, pur nel vuoto in cui aveva precipitato la sua esistenza, il significato delle sue giornate non fosse poi tanto distante da quello degli zombie da routine che vedeva intorno a sé. Un altro ritmo, certamente. Un’infinità di impegni in più, su questo non c’era alcun dubbio. Ma alla fine della giornata, quanti tra costoro avrebbero potuto dire di avere realmente dato un senso al loro stare al mondo?
La differenza fra costoro e Massimo risiedeva nel fatto che quest’ultimo aveva deciso in autonomia e totale coscienza di fare a brandelli qualsiasi possibilità avesse di sentirsi un giorno un uomo completo e realizzato. Agli altri aveva lasciato la pia illusione di poterci riuscire, in un futuro remoto.
Si alzò di scatto, spaventando involontariamente una sfortunata signora e due poveri piccioni. Si dispiacque quando constatò che uno di questi ultimi si era vendicato sull’incolpevole donna che li stava per giunta nutrendo. Sapeva tuttavia che lei non avrebbe ben accolto una sua proposta di aiutarla a ripulirsi, perciò rinunciò a qualsiasi tentativo d’interazione.
Dopo essersi stiracchiato in modo plateale, prese dalla tasca il sacchetto del pane del giorno prima. Profumava ancora meravigliosamente. Era certo che i suoi sensi si fossero acuiti, da quando non aveva più un tetto sopra la testa. Per questo motivo riusciva ancora a percepire le sparute particelle olfattive che popolavano la superficie della busta di carta, nonostante l’avesse tenuta per tutta la notte al caldo umido e maleodorante della sua tasca. Se ne riempì le narici, consapevole del fatto che, se a quell’ora il suo generoso benefattore non si era ancora fatto vivo, per quel giorno non sarebbe passato a trovarlo con un nuovo sacchetto.
Fece qualche passo intorno alla panchina, accennando anche alcuni esercizi di ginnastica per sciogliere le articolazioni anchilosate, del tutto incurante degli sguardi che sentiva su di sé. Dopo un paio di minuti tolse addirittura il giaccone: finalmente il suo corpo iniziava ad emanare il tepore di cui aveva sentito la necessità.
Per un attimo gli venne in mente un frammento della sua vita di coppia di parecchi anni prima, all’interno del quale aveva portato sua moglie in un parco con percorso fitness.
In quella mezza giornata di armonia, il suo amore per Veronica aveva raggiunto livelli davvero notevoli. Mentre la guardava seguirlo in tutti gli esercizi, sentiva che per lei avrebbe spostato una montagna. Ed in effetti quella sera stessa era stato costretto a farlo, anche se il ruolo del monte in questione era in realtà stato interpretato dal suocero e dallo scarsissimo rispetto che nutriva per Massimo. Per quattro ore il padre della sua futura consorte lo aveva tormentato con dubbi, battute di scarso spirito e frecciate al limite dell’umiliazione. Lui aveva tenuto duro e ne era uscito vincitore, tanto che meno di un anno più tardi aveva ottenuto la mano della donna amata.
In quel momento, diversi anni dopo, perso nei ricordi tra alberi e sconosciuti occupanti del piccolo parco cittadino, non poteva fare a meno di pensare che l’unico motivo per il quale fosse valsa la pena di scontrarsi con il suocero quella sera fosse rappresentato da Simone.
Un figlio non è un motivo da poco per battersi con un altro uomo. Tutt’altro, è una delle pochissime ragioni per cui abbia un senso dannarsi l’anima in questo pazzo, sfiancante mondo di oggi. Peccato che Simone ora vivesse con la madre, mentre Massimo era rimasto completamente solo, in piedi di fianco alla sua panchina ed in contemplazione del nulla.
Però, nella sua vita aveva amato. Aveva amato sua moglie. Aveva amato suo figlio. Avrebbe voluto che le cose fossero andate in maniera totalmente differente, tuttavia quanti fra gli esseri umani che sfilavano di fronte ai suoi occhi avrebbero potuto dire di non avere rimpianti? Una vita vale sempre la pena d’essere vissuta.
Il problema nasce nel momento in cui i rimpianti prendono il sopravvento, impedendoci di ragionare lucidamente sulle nostre opzioni.
Una casa in fiamme
Massimo cercò per l’ennesima volta di rispondere, mentre Veronica copriva la sua voce con accuse ed insulti con cui aveva già schiaffeggiato il marito decine di altre volte prima di allora. Le voci di un cartone animato che giungevano dal televisore rimasto accesso in salotto si univano al frastuono, creando una cacofonia che complicava il tentativo dell’uomo di elaborare un pensiero soddisfacente.
«Chicca, cerca di capire: non ho modo di evitare l’inventario di magazzino. Capita una volta all’anno che debba lavorare nel weekend, con che coraggio potrei darmi malato e guardare in faccia i colleghi quando rientrerò?»
«Insisti? Ma cosa pensi, che senza di te non vada avanti l’azienda? Tu non conti nulla lì dentro, sei una nullità! Io devo inaugurare due punti vendita questo weekend, due! Capisci cosa vuol dire? Ma cosa te lo chiedo a fare, non posso pretendere che tu capisca, secondo te lavorare vuol dire spostare quattro bancali con il muletto, non devi nemmeno scomodarti ad usare le mani.»
«Cosa vorresti dire, che mi giro i pollici tutto il giorno? Qualche volta mi piacerebbe filmare una giornata delle mie, così forse inizieresti a capire cosa voglia dire veramente fare fatica.»
«Povero cucciolo… E chi ti asciuga il sudore, Serena la tettona?»
«Lascia stare Serena, non c’entra nulla e lo sai benissimo.»
«Bravo, difendila, e già che ci sei: mettiti con lei, così non ti devo più sopportare!»
«Non dire stupidaggini! Perché mai dovrei andarmene?»
Ennesimo litigio per futili motivi.
Quando una coppia arriva al punto di non riuscire più a gestire il distacco creatosi, ha certamente bisogno di guardare la propria situazione da un’altra prospettiva. Generalmente, questo punto di vista esterno è rappresentato da un consulente matrimoniale, oppure da un buon amico in comune che sia in grado di dare i giusti consigli.
Quella sera, invece, gli occhi al di fuori della coppia erano quelli di Simone, figlio di otto anni che aveva assistito al battibecco. Non avrebbe potuto fare altrimenti, considerato che in quel momento la famiglia era a tavola per la cena.
Massimo si accorse solo a quel punto del figlio che si proteggeva le orecchie per non ascoltare, gli occhi evidentemente prossimi alle lacrime. Quell’immagine lo portò a realizzare quanto avessero passato il limite: prima di allora, il bambino non aveva mai cercato di fuggire dai loro alterchi, limitandosi a chiedere loro di smettere come massima espressione di insofferenza.
«Chicca, adesso basta, guarda Simone.»
Purtroppo, Veronica era ormai entrata in trance da lotta verbale. Quando la sua testa si concentrava sullo scontro con il marito, nulla poteva fermarla, finché non aveva soddisfatto il suo bisogno di umiliarlo.
Il loro rapporto non era sempre stato così, ovviamente.
Per anni avevano trascorso molti bei momenti tutti insieme in vacanza o durante gite fuori porta. Non si erano fatti mancare cene o weekend romantici, chiedendo l’aiuto dei nonni paterni perché tenessero il nipote. Pensieri e regalini affettuosi avevano popolato non solo le occasioni speciali, ma anche semplici momenti in cui uno tra i due, soprattutto Massimo, aveva sentito la necessità di mostrare all’altro il proprio sentimento d’amore.
Tutto era cambiato molto rapidamente quando la donna aveva avuto l’opportunità di fare carriera, iniziando a coordinare alcuni punti vendita dell’azienda di cosmesi per cui lavorava in qualità di back-up della capoarea.
Aveva infatti iniziato aprendo un negozio in franchising con alcune giovani socie, facendosi tuttavia notare più delle colleghe per intraprendenza ed attaccamento al brand. Queste sue caratteristiche erano balzate presto all’occhio della coordinatrice d’area quando quest’ultima si era messa alla ricerca di una giovane figura che le fosse di supporto.
Successivamente, la superiore aveva cambiato lavoro, così Veronica ne aveva ereditato il ruolo, avendo dato dimostrazione di possedere personalità ed intelligenza adeguate a ricoprire la posizione.
Da allora, aveva iniziato a ritenere la propria attività lavorativa infinitamente più importante rispetto a quella del marito. Gli stipendi erano indiscutibilmente differenti, d’altra parte lei aveva sempre omesso due considerazioni.
In primo luogo, il suo lavoro era certamente più stressante, tuttavia le permetteva di spostarsi quasi tutti i giorni, cosa che adorava, nonché le consentiva alcuni momenti di tregua, durante i quali negli ultimi anni era riuscita ad inserire in agenda altrettanti appuntamenti con uomini conosciuti nel corso della sua attività. Incontri che, inutile dirlo, le davano modo di scaricare gran parte della tensione dovuta alle responsabilità ed alle continue richieste d’intervento da parte dei franchisee.
Inoltre, Massimo aveva scelto di fare il magazziniere proprio per consentirle di affrontare una carriera nella quale lei non avrebbe avuto orari. Lui aveva scavato una buca nel suo cuore in cui aveva sepolto le ambizioni germogliate fin dall’adolescenza e sbocciate durante l’università, e che avrebbero dovuto condurlo ad una carriera da scrittore e giornalista. Aveva preferito lasciare spazio alla compagna che aveva scelto per la vita, avvinghiandosi a malincuore alla solidità della routine e dello stipendio da lavoratore dipendente, una decisione di cui lei sembrava essersi dimenticata.
Lo stress lavorativo per lei, nonché la frustrazione per un sogno mai vissuto per lui, avevano contribuito a trasformare negativamente il loro rapporto. L’armonica sinergia di un tempo si era evoluta in un conflitto esplosivo.
«Non cambiare discorso! Qualche giorno una telecamera la metto io nel tuo magazzino, ma non per vederti mentre ti giri i pollici: sono curiosa di catturare il momento in cui la tettona viene a strusciarsi contro di te.»
L’imitazione che Veronica mise in scena, alzandosi di scatto e dimenando il petto verso il marito, non fu molto efficace.
La donna aveva infatti una fisicità completamente differente rispetto alla collega di Massimo: mentre Serena era circa dieci centimetri più bassa di lui e piuttosto formosa, sua moglie era alta quasi cinque centimetri più di lui ed aveva un fisico asciutto, modellato dagli anni da pallavolista dilettante ma seriamente impegnata.
Massimo non poté fare a meno di ridere, contagiato dal sorriso che fece capolino tra le labbra imbronciate di Simone. L’uomo si concesse di sperare per qualche istante che il cambio di atteggiamento mettesse fine all’inutile discussione.
Purtroppo, non fu così.
«Ah, ti faccio ridere? Dammi il suo numero che la chiamo, vedrai se non gliene dico quattro!»
Massimo si preoccupò seriamente, temendo che Veronica sarebbe davvero arrivata a chiamare Serena: «Ma chi vuoi chiamare! Quella povera ragazza che nemmeno ti conosce è la mia amante solo nella tua fantasia, magari adesso è a cena con un ragazzo: vorresti davvero crearle dei problemi?»
«Oh, sei davvero carino a preoccuparti per lei. Dì la verità, sono le bionde che ti fanno perdere la testa?»
Circa un anno prima, Massimo aveva avuto la sventurata idea di mostrare alla moglie le foto della cena aziendale, alla quale Serena aveva partecipato vestendosi e truccandosi in modo non eccessivo né provocante, ma con cura sufficiente ad attirare l’attenzione di una moglie gelosa.
L’uomo era pressoché certo che quell’atteggiamento possessivo fosse in realtà pretestuosamente utilizzato dalla moglie per coprire le sue stesse scappatelle. Non aveva però modo di provarlo, né in fondo gli interessava: qualora ne avesse scoperta l’infedeltà, non sarebbe stato in grado di perdonarla perché avrebbe completamente perso l’indispensabile fiducia nei suoi confronti, tuttavia la separazione che ne sarebbe conseguita lo avrebbe quasi certamente costretto a perdere il figlio.
Amava Simone con tutto sé stesso, forse perché aveva riversato in quei sentimenti tutto il bisogno di continuare a credere nei sogni che lui stesso aveva perduto. Per questo approfittava dei momenti che trascorrevano insieme per giocare ed usare la fantasia. Il bambino stava crescendo, presto avrebbe iniziato ad isolarsi per entrare nell’adolescenza, ma per il momento Massimo restava aggrappato a quell’unica àncora di salvezza che gli restava.
«Ora smettila, Simone sta per mettersi a piangere.»
«Sei tu che dovresti piangere e strisciare come un verme! Non ti vergogni? Farti scudo di un figlio per coprire i tuoi tradimenti!»
«Tu sei completamente fuori di testa. Ti capita mai di ascoltarti mentre dici certe stupidaggini? Spero che sul lavoro tu riesca a trattenerti più di quanto fai a casa, altrimenti non durerai ancora molto nel tuo ruolo.»
Veronica arrossì per la rabbia. Quell’attacco così personale e diretto era del tutto inatteso, e la spinse a perdere ulteriormente la misura delle sue parole.
«Come ti permetti, razza di parassita! Se non fosse per me, non avresti nemmeno un tetto sulla testa! Vivresti ancora con i tuoi genitori!»
Massimo, ferito nell’orgoglio, si alzò in piedi e si portò a pochi centimetri dal volto della moglie. Lei, spaventata da una reazione del tutto nuova da parte del marito solitamente remissivo, smarrì immediatamente gran parte della rabbia che le aveva fatto perdere il controllo.
«Adesso basta! Smettetela! Vi odio tutti e due!»
Simone si era spaventato per la lite dei genitori, e di fronte all’immagine del padre che aveva affrontato a muso duro la madre non aveva retto più, scappando in sala con le mani ancora saldamente posizionate a protezione delle orecchie.
Massimo e Veronica lo guardarono fuggire via da loro, impietriti di fronte all’evidenza della loro incapacità di essere prima di tutto due genitori.
Il padre fu il primo a reagire: «Ti avevo avvertita che Simone era a disagio e che avremmo dovuto smetterla.»
«Lo so, ma alle volte mi fai perdere il controllo e non riesco a fermarmi. Adesso vado a parlargli, vedrai che si calmerà.»
«No, andiamo insieme: è importante che ci veda uniti.»
Raggiunsero il bambino, che nel frattempo si era seduto sul divano con il telecomando in mano ma senza cambiare canale. Guardava con espressione statica verso lo schermo su cui scorreva una noiosa pubblicità, senza dare segno di essersi accorto dell’arrivo dei genitori.
Massimo iniziò a parlare per primo: «Cucciolo, spegni la televisione e guardaci, per favore.»
L’espressione del bambino si indurì: «Io con voi non ci parlo. E non sono un cucciolo.»
Veronica provò ad alleggerire l’atmosfera: «Ma come non sei un cucciolo, tu sarai sempre il nostro cucciolo d’uomo!»
Il solletico alla pancia ottenne un lieve ma importante effetto, rompendo la barriera.
Massimo riprese: «Papà e mamma hanno sbagliato. Siamo molto stanchi per il lavoro, così ci siamo messi a litigare per una sciocchezza. Non dovevamo discutere, soprattutto di fronte a te.»
«Papà ha ragione, si trattava proprio di una sciocchezza. Anzi, sono sicura che i nonni saranno felicissimi di averti con loro per il weekend. Cosa ne dici?»
Gli occhi del bambino si illuminarono: «Evviva, i nonni!»
In fondo era la soluzione più semplice ed ovvia, affidare il bambino ai nonni per consentire loro di presenziare ai reciproci impegni lavorativi previsti per il weekend. Era così scontata che sarebbe stata proposta da uno qualsiasi tra i genitori, se non fosse diventata un pretesto per sfogare nuovamente le tensioni che si erano venute a creare negli ultimi anni.
Massimo concluse la breve riunione familiare: «Bene, adesso chiamo i miei genitori per metterci d’accordo. Guarda pure un pochino di televisione, se la mamma è d’accordo, ma tra poco si spegne perché domani c’è scuola.»
La cucina ospitò nuovamente Massimo e Veronica, pochi minuti più tardi. Simone stava per addormentarsi di fronte alla televisione, cuffie wireless sulle orecchie, denti lavati e pigiama indossato. Potevano riprendere la loro discussione, confidando entrambi di riuscire a mantenersi su binari più razionali.
Il profumo della moka appena spenta li rilassò e contribuì a lenire la loro combattività, facendo loro capire quanto avessero entrambi esaurito il carburante a disposizione per la giornata.
Massimo trattenne per qualche istante il caffè in bocca per assaporarlo a fondo, prima di dare voce alle sue considerazioni.
«Non va bene, Chicca. Non va bene per niente. Non ti sto accusando, sono deluso anche da me stesso: siamo troppo arrabbiati, e Simone sta assorbendo tutta la tensione che c’è fra di noi.»
«Non starai esagerando? Non aveva mai reagito così.»
«Vero, ma noi non eravamo mai arrivati a tanto di fronte a lui. Tu non lo vedi, ma ultimamente quando io e lui siamo soli è molto più manesco di prima. Cerca spesso il contatto fisico, e non per ricevere coccole. Inoltre, ieri le maestre hanno scritto sul diario che si è spinto con un compagno.»
«Perché non me lo hai detto?»
«Perché ieri sei tornata tardi e mi è passato di mente, scusami.»
«Non importa. Comunque hai ragione, così non può andare.»
Massimo avvertì un brivido lungo la schiena, mentre stava per formulare la domanda successiva. Temeva la risposta che sarebbe potuta uscire dalla bocca di sua moglie.
«Cosa dobbiamo fare?»
«Non lo so, ma dobbiamo prendere una decisione che rappresenti il meglio per la salute di nostro figlio.»
Veronica avrebbe anche sottinteso volentieri una separazione dal marito, come possibile soluzione. Sapeva tuttavia benissimo che fra Simone e Massimo si era creato negli anni un rapporto davvero molto speciale, e per quanto non le importasse granché del vuoto che un allontanamento avrebbe potuto causare nell’uomo, d’altra parte non voleva far soffrire suo figlio.
Inoltre, prendendo quella strada avrebbe dovuto cercare una babysitter che si curasse del bambino quasi ogni pomeriggio, un impegno economico che avrebbe dovuto valutare molto attentamente.
Massimo era perfettamente consapevole della fine dell’amore che un tempo la moglie aveva provato per lui.
La crescita professionale della donna l’aveva indotta a ritenere il marito inadatto alle sue capacità ed alle ambizioni che nutriva per il suo futuro, nonostante non avesse ancora raggiunto un livello gerarchico dirigenziale.
Per quanto lui fosse indiscutibilmente un uomo affascinante, il suo carattere remissivo aveva rappresentato un connubio perfetto con il bisogno di Veronica di imporsi durante i primi anni della loro relazione, ma ora la demoralizzava e la faceva imbestialire ad ogni occasione di scontro.
Lui, tuttavia, provava ancora sentimenti importanti per lei. Sapeva inoltre perfettamente che, in caso di separazione, non avrebbe mai potuto ottenere l’affidamento del figlio.
Sperava davvero di non essere giunto al punto di non ritorno.
Massimo rispose con una proposta che sperava sarebbe stata accolta, perché avrebbe procrastinato ciò che gli sembrava ormai inevitabile.
«Forse abbiamo bisogno di parlare con un consulente.»
«Forse, ma per il momento è sufficiente che ci sforziamo entrambi di non scaldarci così tanto quando discutiamo.»
Lui la guardò negli occhi con evidente incredulità, non avendo quasi mai alzato per primo i toni durante un confronto.
Veronica sorrise amaramente e si affrettò a rispondere, consapevole delle proprie responsabilità. Il rumore della tazzina che lei appoggiò sul piattino prima di rispondere testimoniava quanto la donna fosse insolitamente a disagio.
«È vero, sono quasi sempre io la prima a cercare lo scontro. È solo che certi lati del tuo carattere mi fanno uscire di testa. Non posso farci nulla, ed in questo momento non ho né il tempo, né la serenità per discutere con un consulente di come sia cambiato il mio modo di vivere il nostro rapporto. Ma quello che posso prometterti, è che mi sforzerò di lasciare questi sentimenti da parte. Discuteremo solo dei problemi per come si presenteranno.»
«Grazie.»
«Non lo faccio per te, o per noi, ma per nostro figlio.»
«Per me è sufficiente.»
«Lo so, sei un uomo naturalmente buono e generoso. Soprattutto con le bionde.»
«Adesso non ricominciare.»
Per fortuna, questa era solo una battuta da parte di Veronica, che entrambi accolsero con un sorriso. Il momento di tensione si era sciolto, dando origine ad un raro sentimento di affetto.
Mentre Massimo finiva di sistemare la cucina, la moglie si sedette sul divano accanto a Simone.
Non molto più tardi, il bambino finalmente sereno era a letto a godere del necessario riposo.
I genitori si riappacificarono definitivamente, consumando il loro amore nell’intimità della camera e percependo il bisogno della reciproca presenza come poche volte era accaduto negli ultimi mesi, e come molto raramente sarebbe loro capitato in futuro.
Una tregua illusoria
Nelle settimane successive, Veronica mantenne la promessa fatta al marito. Naturalmente si presentarono parecchie occasioni di scontro, ma tutte sufficientemente banali da consentire alla donna di non esacerbare gli animi.
Massimo accolse quella rinnovata serenità con una disposizione d’animo positiva che contagiò Simone.
Era un inizio d’autunno tiepido, avevano pertanto ancora occasione di trascorrere quasi ogni giorno un’oretta al parco comunale o di impegnarsi in altre attività esterne, uno sfogo che faceva indiscutibilmente bene all’umore del bambino ed all’affetto che lui tributava ad entrambi i genitori.
Per quanto il compromesso potesse apparire facilmente attuabile, pertanto potenzialmente duraturo, in realtà Veronica stava compiendo uno sforzo al limite delle sue capacità di autocontrollo.
Si trattava soltanto di un momento di quiete, prima che l’uragano che la tormentava tornasse ad abbattersi sulla loro famiglia.
«Ti giuro che se me ne desse un vero motivo, lo sbatterei fuori di casa in un secondo. Non gli darei nemmeno il tempo di prendere le sue cose, gliele lancerei per strada dal balcone. Hai presente quelle sceneggiate da film?»
Sonia, amica di Veronica dai tempi della pallavolo, rimase allibita di fronte alla rabbia con cui la sua compagna di brunch stava parlando del marito, nonostante non fosse la prima volta in cui le capitava di assistere a simili sfoghi da parte sua.
«Faccio proprio fatica a capirti. Massimo è un bell’uomo, è un padre fantastico ed è sempre gentile. Se tu non lo avessi umiliato così tante volte, probabilmente si impegnerebbe ancora per sorprenderti con regali e pensierini. Cosa c’è che non sopporti in quest’uomo che a noi donne comuni sembra quasi perfetto?»
«Adesso stai parlando a nome di tutto il genere femminile?»
«No, solo per quelle che come me non possono permettersi il lusso di scegliere un compagno, arrivate alla soglia dei quaranta senza avere nessuno accanto.»
Mentre Veronica aveva ancora trentadue anni, Sonia ne aveva da poco compiuti sette in più. Sentiva costantemente il peso di alcune scelte sbagliate avvenute nel passato, che le avevano impedito di costruire relazioni solide e durature. Invidiava all’amica non solo il marito ed in generale la famiglia che aveva costruito, ma anche la sicurezza carismatica ed una naturale eleganza che facevano apparire la più giovane delle due estremamente più attraente. Quando trascorrevano del tempo insieme, Sonia aveva l’impressione di essere un comune filo d’erba accanto ad un maestoso girasole.
Veronica soppesò per qualche istante le parole dell’amica, mentre si nascondeva dietro al cocktail che stava sorseggiando e che le stava regalando una piacevole leggerezza di pensiero.
Cercò di spostare i riflettori lontano dalla sua relazione, consapevole dell’impossibilità per Sonia di comprenderla.
«A proposito di scegliere, non mi avevi accennato la settimana scorsa al fatto che saresti uscita con un uomo?»
La più matura delle due soffocò una risata, sorpresa dalla domanda mentre un boccone eccessivamente generoso di tartina al salmone le stava riempiendo il palato.
«L’ho detto, è vero.»
«Dunque? Racconta, non farti togliere le parole di bocca con la forza.»
«Ci siamo visti al Taverna. Hai presente quel pub vicino a casa mia, dove siamo andate a fare un aperitivo quest’estate?»
Veronica assunse un’espressione sconvolta.
«Un primo appuntamento al pub sotto casa? Stai parlando seriamente?»
«Sì, ma era solo per ingannare l’attesa e sciogliere il ghiaccio in un posto informale, prima di andare a cena.»
«Ok. Un po’ troppo informale per i miei gusti, ma posso capire.»
«Allora, mentre beviamo qualcosa al bancone…»
«Al bancone del pub? Neanche un tavolino dove poter parlare in tranquillità? Ma che razza di appuntamento è stato? Avevi paura che fosse un maniaco?»
Sonia squadrò per un istante l’amica prima di rispondere. Conosceva il potere che l’alcool aveva su Veronica, era necessario farle capire che stava esagerando.
«Innanzitutto lasciami finire.»
«Scusa.»
«E poi, non si sa mai. Si sentono tante brutte storie, di questi tempi.»
«Allora avevo ragione, non ti fidavi.»
«No, non mi fidavo prima che arrivasse, e ancora meno dopo averlo visto. Aveva uno sguardo duro ed un sorriso inquietante. O almeno così pensavo, poi in realtà ho scoperto che quel poveretto sta guarendo dai postumi di un’ischemia: ha ancora una metà del viso meno sensibile dell’altra.»
«Vuoi dire che lo sguardo duro ed il sorriso inquietante erano dovuti alla paresi?»
«Già.»
Le due amiche scoppiarono a ridere, catturando gli sguardi degli altri clienti del locale in cui stavano consumando il brunch.
Sonia si affrettò a trattenere quell’impeto di allegria.
«La tua compagnia non mi fa bene: non sta bene ridere di una persona che ha avuto un problema come il suo.»
«Certo, lo so, ma come si fa a non ridere immaginandosi la tua faccia preoccupata mentre pensavi di avere di fronte un maniaco?»
«Hai ragione. Che poi, in fondo, un po’ maniaco mi sa che lo era veramente.»
Veronica interruppe a metà uno degli ultimi sorsi del cocktail.
«In che senso, scusa? Non farmi preoccupare.»
«Non è successo nulla, però sia al pub che poi a cena continuava ad allungare le mani. Mi sfiorava le dita, mi appoggiava la mano sulla spalla per farmi attraversare per prima una porta, mentre guidava verso il ristorante mi toccava il braccio per richiamare la mia attenzione, insomma continuava a cercare un contatto. Non ho capito se avesse letto un manuale del perfetto primo appuntamento in cui consigliavano di comportarsi in quel modo per ridurre le distanze con la donna, oppure se avesse bisogno di toccarmi per scaricare la voglia di saltarmi addosso.»
«Cosa che alla fine è successa?»
«No. Non fraintendermi, ci avevo pensato e mi ero preparata, ma quel suo modo di fare mi stava dando così fastidio che alla fine non ce l’ho fatta. Soprattutto perché verso la fine della cena ha cercato di afferrarmi la mano: sono strana io, oppure ad un primo appuntamento è un po’ eccessivo, a maggior ragione se la donna non ha dato modo di pensare di essere pronta ad andare oltre?»
«È decisamente eccessivo. Che razza di personaggio.»
Si concessero qualche boccone dell’abbondante aperitivo, in cui una selezione di patatine e salatini di bassa qualità sminuiva la presenza di prodotti di pasticceria davvero pregevoli.
Rinfrancata da una brioche salata particolarmente piacevole, Veronica riprese la conversazione.
«Dobbiamo assolutamente darci da fare per trovarti un brav’uomo, possibilmente senza figli.»
«Grazie. In bocca al lupo!»
Brindarono a quella prospettiva, prima che Sonia aggiungesse: «A meno che tu