Lecturae Dantis. Dal Medioevo ai giorni nostri
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Caterina ANDRIOLA (Ostuni, 5 marzo 1982) si è laureata in lettere moderne presso l’Università degli Studi di Bari nel 2010, con una tesi in Filologia e critica dantesca (laurea triennale). Poetessa e naturopata, collabora con l’azienda agricola dei suoi genitori, “Olio Sante”, che produce olio in Ostuni. Già autrice, insieme a Mariangela De Anna, di un libro di poesie (Deandròs - Gds, 2020). Nel gennaio 2021, insieme a De Anna e a Giuseppe Palma, fonda la “Scuola Poetica Apuliae” che pubblica mensilmente le poesie selezionate sulla rivista di promozione libraria “Aktoris” della GpM
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Lecturae Dantis. Dal Medioevo ai giorni nostri - Caterina Andriola
passi
Prefazione
a cura di Giuseppe Palma
Ho accettato con piacere di scrivere la prefazione a questo eccellente lavoro di Caterina Andriola, sua tesi di laurea del 2010 in Filologia e critica dantesca del corso di laurea triennale in lettere moderne all’Università degli Studi di Bari. Nel Settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta (1321-2021) l’iniziativa culturale ed editoriale di Caterina può avere un ruolo divulgativo molto importante, anche alla luce del fatto che le ingombranti evoluzioni digitali – non sempre a servizio dell’Uomo – potrebbero in futuro accantonare la bellezza delle nostre origini, tanto quelle Umanistiche ma soprattutto quelle linguistiche.
Il lavoro di Caterina riguarda le lecturae Dantisdal Medioevo ad oggi, in particolare quelle avvenute negli ultimi decenni con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, da ultimo Tv e social media. Ciò che può intuirsi dal lavoro qui pubblicato, al di là delle semplici letture, è l’importanza che ha avuto il volgare fiorentino nella nascita della lingua italiana. Noi contemporanei, a distanza di sette secoli dalla morte dell’Alighieri, parliamo di fatto ancora la lingua del Duecento. A differenza del francese, ad esempio, che è una lingua burocratica, l’italiano è una lingua esclusivamente letteraria in quanto nasce, sin dalla Scuola Poetica Siciliana
di Federico II di Svevia e dalle composizioni poetiche religiose di Jacopone da Todi in Umbria, dalle opere poetiche giunte sino a noi dagli inizi del XIII° Secolo in avanti. Se, da un lato, il primo scritto in volgare da cui derivi la nostra lingua sia da attribuirsi a San Francesco d’Assisi con Il Cantico delle Creature del 1224-1226 (volgare umbro), dall’altro assumono una qualche importanza – seppur non decisiva - Uguccione da Lodi (forse originario di Cremona) e Giacomino da Verona, entrambi poeti medievali che scrivono in volgare veneto, un volgare ritenuto rozzo
ma efficace per lessico e dialoghi. Per non dimenticare l’apporto fondamentale nella prima metà del Duecento, come si accennava poc’anzi, di Jacopo da Lentini e Pier delle Vigne della Scuola Poetica Siciliana
nella Magna Curia federiciana.
Ma la nostra lingua nasce principalmente dal volgare fiorentino per mere ragioni di prestigio letterario, un esperimento innovativo messo in piedi da un gruppo di ragazzi toscani (per lo più fiorentini) che, invece di scrivere poesie in latino come da tradizione dei dotti
, le scrivono e se le scambiano nella loro lingua dialettale
, cioè quella parlata dal popolo tutti i giorni, seppur resa aulica da una incisiva accuratezza linguistica che scaturisce dall’amor cortese. Non più di novanta metri da Casa Alighieri a Casa Portinari hanno determinato la nascita della nostra lingua; può sembrare una esagerazione ma è andata proprio così. Il secondo incontro di Dante con Beatrice ha fatto sì che il Poeta, appena diciottenne, si chiuda nella sua stanza a scrivere Versi d’Amore per quella ragazza un anno più piccola di lui, già andata in sposa ad un banchiere, Simone de’ Bardi, scambiandoli col Cavalcanti ed altri amici, anche in forma anonima. Ha avvio così, dal 1280-83 in avanti e per circa quindici anni, la Scuola Poetica Fiorentina
con a capo Guido Cavalcanti, di cui fanno parte – tra gli altri – il notaio Lapo Gianni, il giurista Cino da Pistoia, il mercante/banchiere Dino Frescobaldi e lo stesso Dante Alighieri. Senza dimenticare i poeti senesi come ad esempio Cecco Angiolieri, il cui apporto alla nascita della nostra lingua è decisivo.
Leggere Dante non serve soltanto a comprendere le radici della nostra cultura, che pur sono fondamentali, ma soprattutto per riscontrare l’importanza di come la bella letteratura – pur a distanza di sette secoli – possa rappresentare il pilastro portante dell’identità nazionale. Non per ragioni di spada, come avvenuto per tutte le altre nazioni, ma per ragioni di lettere. Noi italiani siamo unici anche in questo.
Rivolgo a Caterina i miei auguri più sinceri affinché con questa sua pubblicazione possa farsi testimone, ad Ostuni e non solo, della bellezza secolare della lingua di Dante, che tutt’oggi è ancora la nostra. Non a caso, come ho scritto nel mio ultimo libro sul Sommo Poeta (Dante, dalla lingua alla patria), siamo ancora Figli del Duecento
.
Giuseppe Palma
Introduzione
a cura dell’Autrice
In occasione del Settecentesimo anniversario della morte di Dante ho ripensato, a seguito di una chiacchierata di letteratura con il caro amico Giuseppe Palma, giurista e poeta, che ha curato la prefazione a questo mio lavoro, di ridare vita alla mia tesi di laurea in Filologia e critica dantesca del 2010 (Università degli Studi di Bari) per offrire anche i miei onori al Sommo Poeta.
L’idea di pubblicare la mia tesi di laurea a più di dieci anni di distanza, seppur minimamente rivista e corretta, trae spunto da un interesse personale per Dante e dal constatare come la cultura e, in particolare la poesia, tocchi l'uomo nell'animo.
Ho voluto, soprattutto, soffermarmi sull'importanza delle lecturae Dantis che si sono succedute nel corso dei secoli e che ci hanno permesso di gustare in modo unico la grandezza delle Opere del Poeta, in particolare della Commedia.
Lectura Dantis è il nome che sta ad indicare la lettura o