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Tre Partite Vinte e Una Persa: Quattro Storie Cucite da Esistenze Borderline
Tre Partite Vinte e Una Persa: Quattro Storie Cucite da Esistenze Borderline
Tre Partite Vinte e Una Persa: Quattro Storie Cucite da Esistenze Borderline
Ebook270 pages4 hours

Tre Partite Vinte e Una Persa: Quattro Storie Cucite da Esistenze Borderline

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About this ebook

Questo libro contiene quattro storie.

La prima racconta una storia vera, capace di accomunare tante famiglie che all’improvviso si possono ritrovare, senza avere alcun sospetto, un figlio tossicodipendente in casa. Quando questo accade, ti senti crollare il mondo addosso, rimanendo incredulo e sconcertato allo stesso tempo.

La seconda è un racconto a sfondo giallo che ti terrà incollato al libro con la curiosità di scoprire come finirà la storia.

La terza è un racconto fantasy d’avventura. Narra di due orfanelli che desiderano rintracciare il padre scomparso. In questa ricerca dovranno superare difficili prove e incontreranno personaggi incredibili sul proprio cammino, che metteranno spesso in dubbio la loro volontà di proseguire.

La quarta e ultima storia è un racconto tratto da una storia vera, parla di vittime del “pizzo” della camorra e della capacità di questi figuri di asservire persone insospettabili ai loro scopi.

Mario Rossi

Nasce a Ercolano il 04/06/1946, avviato nel mondo del lavoro all'età di dodici anni, ben presto ne conoscerà pregi e difetti. All'età di diciotto anni coglie l'opportunità di diventare militare nella Guardia di Finanza, dove vi resterà per sei anni. Si congederà per amore della bella Anna, sua attuale moglie. Mario si trasferirà a Roma e in quella magnifica città risiederà per sei mesi. Per cause di forza maggiore sarà costretto a tornare al suo paese d'origine.

Due passioni caratterizzeranno la vita di Mario, la scrittura e la pesca "surf casting" che praticherà anche in età avanzata.
LanguageItaliano
PublisherMario Rossi
Release dateApr 16, 2021
ISBN9791220293327
Tre Partite Vinte e Una Persa: Quattro Storie Cucite da Esistenze Borderline

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    Book preview

    Tre Partite Vinte e Una Persa - Mario Rossi

    Pubblicato con

    Logo Self Publishing Vincente

    Il Servizio Numero 1 in Italia di

    Assistenza alla Pubblicazione

    per gli Autori Indipendenti.

    Self Publishing Vincente

    www.SelfPublishingVincente.it

    A volte, necessarie decisioni, lasciano

    un segno indelebile nell’animo delle persone.

    Mario Rossi

    Mario Rossi

    TRE PARTITE VINTE

    E UNA PERSA

    Quattro Storie Cucite

    da Esistenze Borderline

    TRE PARTITE VINTE E UNA PERSA

    QUATTRO STORIE CUCITE DA ESISTENZE BORDERLINE

    Copyright © 2021 Mario Rossi

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta

    senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Prima edizione aprile 2021

    I racconti di quest’opera sono frutto dell’invenzione e della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a nomi di persona e cose, realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi casuale.

    È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la lettura privata, devono essere autorizzate per iscritto dall’Editore.

    Queste storie le voglio dedicare a tutti quelli che hanno sofferto, e

    lo faranno per chissà quanto tempo ancora, come hanno sofferto

    quelli che hanno vissuto in prima persona questi frangenti.

    INDICE

    NOTE DELL’AUTORE

    PREMESSA

    BENVENUTI ALL’INFERNO

    MORIRE DENTRO

    ORGOGLIO E DESIDERIO

    POESIE

    LA POZZA D’ACQUA

    SUPERFICIALITÀ

    L’ULTIMO REGALO

    ‘O MEGLIE CLIENTE

    IL MIGLIOR CLIENTE

    NON SONO CAPACE

    MARIUOLO P’AMMORE

    LADRO PER AMORE

    ‘A FAMIGLIA DA’ SPOSA

    LA FAMIGLIA DELLA SPOSA

    LE BIONDE (Monologo)

    IL TEMPO

    AMOR CHE TORNA

    LA BELLA AQUILA

    IO VOLO

    IL SANGUE DEGLI EROI

    VIVA GLI ONOREVOLI (Ballata per chitarra)

    AMA IL PROSSIMO TUO

    ‘A DIETA ‘DO FOTOGRAFO

    CONVINZIONI

    LA DIETA DEL FOTOGRAFO

    LA TERRA DEI SOGNI PERDUTI

    DOVE OSANO GLI AVVOLTOI

    LA SCUOLA DEL CRIMINE

    CHIUSO PER CAMORRA

    NOTE DELL’AUTORE

    Le storie "Benvenuti all’inferno e Dove osano gli avvoltoi" vogliono sottoporre, a tutti quelli che le leggeranno, la gravità di uno stato di cose che ben conosciamo in tanti e che molti altri ne hanno, per loro fortuna, solo sentito parlare, non solo in Italia, ma anche in altri paesi e continenti. Purtroppo assieme agli emigranti italiani in tutto il mondo, emigrò anche molta delinquenza che tuttora esiste, e persisterà nel tempo, fino a che non si deciderà di porvi rimedio definitivamente.

    "Orgoglio e desiderio e La terra dei sogni perduti" sono due racconti, uno a sfondo giallo e l’altro di avventura, che allieteranno il vostro tempo.

    Grazie e buona lettura a tutti quelli che hanno scelto di acquistare questo libro.

    Mario Rossi

    PREMESSA

    Tutto ebbe inizio un po’ di tempo fa. Una decisione motivata e molto sofferta… ma necessaria, che presero con dolore ma con determinazione e lucidità in quei momenti di totale sconforto.

    I fatti accaddero nove anni addietro e, nel tempo ne seguirono altri ancora che accaddero da quel periodo in poi. A quegli eventi non gli si diede l’importanza dovuta mentre, in realtà, doveva essere una necessità di fondamentale importanza. Riflettendoci bene oggi ci si accorge che collegando con un filo comune tutti quei piccoli episodi e segnali che a loro sembravano banali, si raggiungeva una dimensione molto più grande, importante e sconcertante.

    Ai genitori le cose accadute prima di quel bruttissimo periodo, che per forza maggiore dovettero vivere in prima persona, erano sempre apparse come ragazzate banali, da poter giustificare con l’acerba età o con l’esuberanza giovanile. I fatti accumulatosi tra loro nel tempo però assumevano un aspetto grave.

    La famiglia era composta da cinque persone, i genitori e tre figli, una femmina, e due maschi. La femmina si chiamava Ludovica, era sposata con Marco che di professione faceva l’informatore scientifico. Avevano due bambini: un maschietto, Emanuele, e una femminuccia, Ilenia. La donna e i bambini occasionalmente dormivano a casa dei genitori quando il marito andava lontano in altre città, per dei corsi di aggiornamento per conto della sua società. Gente perbene, onesta, con genitori dediti al lavoro e figli allo studio, ognuno impegnato a svolgere i propri compiti quotidiani. Oggi, agli occhi del lettore, tutta la storia potrà sembrare scontata, oppure ordinaria, uguale ad altre sentite e ripetute tante volte dai media, dalla gente di quartiere o delle immediate vicinanze. Storie di malaffare di cui la gente parla soventemente, oppure che si apprendono da quei programmi che vogliono fare ascolti alla tivù dove se ne parla per un po’ e poi, per lunghi periodi, non se ne parla più, fino a che non ci scappa un morto, una rapina, e quant’altro. Storie che accadono in tante famiglie indigenti e non solo, ma anche in famiglie che sono composte da persone perbene. Di quelle che la sera a cena, dopo una lunga giornata di lavoro, tra un boccone e l’altro, parlano tra loro condividendo l’accaduto giornaliero o i progetti futuri e che, abitualmente tra una chiacchiera e l’altra, gettano uno sguardo alla tivù per vedere e sentire il servizio giornalistico del momento sul canale preferito. Rientra nella quotidianità giornaliera sentire le ultime notizie dall’Italia e dal mondo per poi commentarle sia pure superficialmente, o senza convinzione, esprimendo ognuno la propria opinione.

    Vi assicuro però che solamente in apparenza queste famiglie sembrano uguali… ma non è così. Ognuna ha dei modi e motivi di agire fondamentali che la contraddistingue rendendola diversa da tutte le altre, ad esclusione delle normali azioni quotidiane. Sono motivi gravi che vissuti in prima persona, col trascorrere del tempo, possono far scattare in qualsiasi momento quella molla per cui alcuni tireranno fuori dal loro essere istinti che sembravano impensabili, per poi annullarsi o al contrario reagire con forza alle situazioni offerte dalla vita.

    Tanti le potranno superare con molta buona volontà anche se a fatica, per altri invece sarà molto più difficile se non addirittura impossibile. Altri ancora arriveranno fino alla completa rovina mentale, fisica, economica e, quel che è più grave ancora, affettiva. Nella stragrande maggioranza dei casi, volenti o nolenti, saranno coinvolte anche le persone vicine a questi soggetti. Per molti di loro non ci sarà scampo, a meno che non vi sia qualcuno disposto ad assumersi delle colpe forse inesistenti, oppure, se colpe ci sono state, saranno forse marginali, ma non meno importanti. In molti casi, passata l’incredulità dei primi tempi, si dovrà piantare bene i piedi per terra, riflettere a lungo e tirare fuori il meglio di se stessi mettendo da parte: Orgoglio, moralità e perbenismo, vero o falso che sia.

    Bisognerà rinunciare a quella vita che col tempo era diventata abitudinaria e ordinaria, darci un taglio definitivo e, ammesso che tutto vada bene fino a data da destinarsi, ricominciare assieme a loro un nuovo percorso di vita. Si diventerà il loro confidente, il loro migliore amico, anche a costo di trascurare affari e lavoro e, qualche volta, anche l’affetto di parenti, e amici. Si farà solo se veramente si hanno a cuore la vita e il futuro del proprio caro.

    Quello che li aspetta sarà una crociata a cui bisognerà dedicare quanto più tempo possibile. Si trascureranno anche gli affetti più cari come gli altri figli che, per grazia di Dio, hanno fornito prova di essere stati più forti nella loro giovane esistenza. Ci sarà da seguire una strada che fino a quel giorno e per i primi tempi potrà sembrare incomprensibile, impensabile per persone rette e corrette, abituate a una vita normale alla luce del sole. Da quel momento in poi si dovranno rimboccare le maniche e affrontare una nuova vita di dolore, ripensamenti, amarezze, di colpe non colpe e cattivi stati d’animo che comporteranno anche molti litigi in famiglia, puntandosi l’indice addosso a vicenda, mettendo a dura prova quel rapporto che fino ad allora sembrava inattaccabile da tutti i lati. Saranno percorsi di fede, coraggio e perseveranza, nonostante l’amarezza e le lacrime che li accompagneranno, sempre. Ci vorrà tanta buona volontà e la speranza di chi, in fondo, crede che ancora sia possibile far condurre una vita sana ai loro cari, in un futuro prossimo migliore.

    Se tutte queste cose andranno a buon fine l’alto stato di sacrificio che si sarà sostenuto nel tempo sarà largamente ripagato perché sarà servito a salvare una vita. Tutto questo durerà un tempo lungo, che potrebbe andare dai tre, ai cinque, sei anni, e in molti casi anche di più. Ci vorranno enormi dosi di affetto, dedizione, pazienza, tempo, e risorse economiche, per chi se lo potrà permettere. Si scenderà a livelli morali e materiali che non si sarebbero mai potuti immaginare. Dovranno camminare in un mondo totalmente sconosciuto, timorosi, impauriti da nuove sensazioni ed esperienze ma fiduciosi e forti di ogni nuova conoscenza acquisita da persone che in merito hanno già tanta conoscenza. Questi gli tenderanno le mani per aiutarli in quel tortuoso e lungo cammino. Conoscenze acquisite in prima persona che mai avrebbero pensato di dover fare. Sui volti di quelle persone sembrerà di scorgere dubbi che indicheranno, o sembreranno indicare, che la famiglia magari non ha seguito come doveva quel figlio. Questa sensazione li farà stare male ancora di più. Imparare poi così, all’improvviso, da quelle nuove conoscenze, che a ogni stretta di mano, dietro ai benevoli sorrisi di circostanza… su quei volti dubbiosi sembrerà di leggere, oltre alla commiserazione Benvenuti… benvenuti all’inferno.

    Questo male comune a tanta gente, con cui andranno a confrontarsi e ad identificarsi per la prima volta nella loro vita con il coraggio della disperazione, della paura, e della speranza, lascerà un segno indelebile nel cuore e nella mente che solo il tempo, forse, potrà mitigare senza però cancellarlo del tutto.

    Questa storia che vado a raccontare è vera.

    Fin da ora voglio ringraziare famiglie e persone che durante questa ricerca mi hanno fatto attingere ai loro problemi comuni, autorizzandomi a poterne scrivere cambiando solo le loro generalità. Gli indirizzi, le città e i luoghi dove avvennero i fatti, non saranno menzionati, mi terrò nel vago per rispetto dovuto a queste persone. Queste famiglie erano convinte di fare cosa buona e giusta nel divulgare i patimenti passati da alcuni di loro, in favore delle centinaia di migliaia ancora in vita che ne condividono le problematiche. Scriverò questa storia affinché possa servire da monito ad altre famiglie per non peccare di superficialità, ma soprattutto di presunzione.

    Spero le aiuti a prestare molta più attenzione a ciò che fanno e a quello che i figli hanno da raccontare nella loro quotidianità o, perlomeno, mostrare molto più interesse a ciò che dicono, senza sbuffare o spazientirsi perché magari in quel momento si è occupati a fare altro. È invece importante ascoltare quello che un figlio vuole dire o raccontare quando si avvicina ad un genitore.

    Quello potrebbe essere un modo come un altro per attirare l’attenzione, magari su di un problema che il giovane sta vivendo in quel momento, un problema molto più grave di ciò che potrebbe sembrare in un primo momento agli occhi di un adulto. Se un ragazzo è preso con noncuranza si rischia di farlo chiudere sempre più in se stesso, costringendolo a crearsi un mondo tutto suo, magari fatto di fantasia e, in un futuro prossimo, relegarlo sempre più a un ruolo marginale, rinunciatario e passivo nella sua quotidianità, riducendo il dialogo semplicemente a un ciao e basta, o ad un come sei andato a scuola e così via. Questi sono errori che nel tempo si potrebbero pagare molto cari con gravi danni ai rapporti familiari da ambo le parti. Per cui bisogna fare molta attenzione e ascoltare di più i figli, anche se raccontano delle banalità per attirare l’attenzione. Potrà venire il giorno che non sarà più una banalità quello di cui vogliono parlare, ma una cosa molto, molto seria.

    Allora poi potrebbe essere troppo tardi…

    BENVENUTI ALL’INFERNO

    Tutto accadde all’improvviso, una notte di sette anni fa. Era notte fonda ma l’urlo che sentirono fece svegliare tutta la famiglia dal sonno profondo in cui versavano. Il signor Guerinesi guardò la sveglia elettronica posta sul comò della sua stanza da letto, l’orologio segnava le tre. Al secondo urlo, spaventati e timorosi, i due coniugi balzarono dal letto, rendendosi conto che chi urlava era nel loro soggiorno. In tutta fretta si recarono verso il divano letto e, dietro di loro, si accodò il figlio Francesco e la figlia Ludovica. A cadenza intermittente si sentivano provenire urla da quella direzione. Su quel divano ci dormiva il loro ultimo figliolo ed era proprio lui che, a intervalli regolari, lanciava quei rantoli mostruosi. Quando se ne resero conto, preoccupati, provarono inutilmente ad aprire la porta della stanza ma la serratura era stata chiusa dall’interno e la chiave era ancora nella toppa. Provarono a chiamare Roberto per farsi aprire ma le richieste cadevano tutte nel vuoto.

    Il giovane continuava di tanto in tanto a urlare e i coniugi, se non fossero stati più che sicuri che in quella stanza c’era solo il figlio, avrebbero potuto pensare che ci fosse stata un’altra persona in agonia, così gli sembrava in quel momento dalla tonalità di quelle urla. Febbrilmente il padre si recò nel ripostiglio dove c’era la cassetta degli attrezzi per prendere un cacciavite e far cadere la chiave dalla toppa ma, nel frattempo, fortunatamente ci riuscì la moglie con la punta di un coltello da cucina. Poi aprì la porta con il doppione della chiave. La scena che si presentò agli occhi dei genitori, della sorella e del fratello maggiore, anche lui presente in casa quella notte, fu incredibile, raccapricciante e abominevole allo stesso tempo. Il loro adorato figlio, un giovane molto intelligente, laureato e promettente, era disteso di traverso sul materasso del divano semi incosciente, anzi certamente in stato catatonico. Il suo corpo, era in un mare di sudore, il viso coperto da muchi giallastri, il pigiama, le lenzuola, il materasso sotto di lui, erano bagnati fradici come se fosse stato vittima di quei gavettoni che si usano nell’esercito quando i commilitoni ti buttano addosso un secchio pieno d’acqua mentre dormi. Il padre fu il primo a riprendersi dallo stupore e con sangue freddo disse al figlio maggiore Francesco di telefonare immediatamente al centodiciotto. Partita la chiamata di soccorso propose di pulire il volto del giovane, svestirlo dal pigiama inzuppato, asciugargli il corpo e aiutarlo a fargli indossare un pigiama pulito, facendolo rotolare poi sull’unico lato asciutto del letto. Il signor Guerinesi realizzò quasi subito che il giovane era in overdose da qualche tipo di droga, ma preferì tenere per sé quella sua conclusione. Inoltre, sotto al letto, trovarono una bottiglia di liquore all’anice vuota che era ancora a metà fino al giorno prima. Cercò invano di farlo rinvenire con acqua fresca, aceto e schiaffi sulle guance ma era inutile. Intanto la moglie, Francesco e la sorella, inorriditi da quello spettacolo, si riunivano in preghiera. Dopo pochi minuti arrivò l’ambulanza. I paramedici a una prima occhiata capirono subito la stessa cosa che aveva pensato il padre - overdose da droga e alcool - di quale tipo fosse lo stupefacente però, era ancora da accertare anche perché. da una visita più accurata del corpo, non vi erano segni di punture. Subito si prodigarono per rimetterlo in sesto, gli fecero massaggi cardiaci e alcune iniezioni tra cui anche un lavaggio disintossicante.

    I paramedici, rimasero per diverso tempo fino a quando il giovane cominciò a riprendersi, uscendo parzialmente dallo stato in cui versava. I soccorritori lo interrogarono svariate volte sulla natura dello stupefacente. Nei frammenti di lucidità Roberto rispose che si trattava di cocaina. Quella rivelazione li fece piombare nello sconcerto e nell’incredulità più totale, tanto da sembrargli di vivere un incubo che, al più presto, svegliandosi dal sonno, si sarebbe dissolto come il buio. Purtroppo però erano tutti ben svegli, erano stati strappati dal loro giusto sonno per piombare in quella tremenda, incomprensibile e impensabile realtà. La madre del ragazzo con un leggero tremore che le percorreva le membra, continuando a pregare, ripeteva sotto voce che non era possibile ciò che stava accadendo. Francesco, un ragazzo molto timido e introverso, abbracciato alla madre e alla sorella, piangeva spaventato da quello che vedeva. Il padre era semplicemente disgustato da quella scena. Sul suo duro volto comparve prima una smorfia d’incredulità, poi di sordo furore. Tuttavia fu l’unico a reagire in quel drammatico momento e a farsi spiegare come avrebbero dovuto comportarsi per fronteggiare quella situazione che li aveva colpiti con l’impatto di una meteora piombata all’improvviso nella loro vita ordinaria, aprendo nel loro cuore un cratere d’incredulità, sconvolgendoli improvvisamente.

    Il signor Guerinesi era un uomo tutto di un pezzo, sostenitore convinto delle necessità di osservare e applicare regole ben precise nella vita civile che, se messe in atto secondo il suo modo di vedere le cose, avrebbero dato benefici a tutta l’umanità eliminando droga, prostituzione, corruzione, pedofilia, problemi di alcol e gioco d’azzardo. La soluzione a un mondo in cui regnano ladri di ogni risma a tutti i livelli sociali che il più delle volte rimangono impuniti per omertà o convenienza. Un mondo dove ne arrestano venti e ne spuntano cento, un mondo dove tutti stanno a guardare, e commentare senza cercare di cambiare drasticamente e radicalmente le cose, per vivere adeguatamente e civilmente per sempre. Il signor Guerinesi voleva accelerare i tempi mentre Roberto, ancora non del tutto ripresosi, dal letto ammetteva che da tempo aveva cercato inutilmente di confessare quel suo dramma alla famiglia senza però riuscire mai a trovare il coraggio. Era diventato tossicodipendente e la cosa durava da circa sei anni, accentuandosi però solamente negli ultimi due anni. Da molto più tempo invece, dall’età di diciotto anni, assieme ad altri ragazzi studenti come lui, di tanto in tanto facevano uso di spinelli. Confessò inoltre che fino a quel momento le sue richieste al padre, di uscire qualche volta assieme da soli, avevano lo scopo di confessargli il dramma che stava vivendo e che lo consumava internamente, a poco a poco. Forse però, vedendolo felice per i complimenti che parenti e conoscenti gli facevano per l’intelligenza e la prestanza fisica del figlio, (di cui andava fiero), o temendo una sua possibile brutta reazione, non aveva avuto il coraggio di confessargli il suo stato e di chiedere l’aiuto necessario. Alla fine, mentre era disteso sul letto disse: Ecco adesso lo sapete, avete un tossico in famiglia.

    Letizia si avvicinò al marito e, prendendogli la mano, sottovoce lo pregò di non reagire a quella che poteva sembrare una provocazione. Il marito gli rispose di stare tranquilla, per il momento non avrebbe fatto del male al ragazzo anche perché già se n’era fatto abbastanza da solo. Poi disse semplicemente che avrebbero dovuto riordinare le idee e cercare di trovare il modo migliore per uscire da quella storia col minor danno possibile per tutti. Parlare a Roberto in quel momento era perfettamente inutile per cui, congedati i paramedici, propose a moglie e figli di tornare a letto e cercare di riposare il più possibile, soprattutto a Ludovica che aveva i due bambini con sé e che, fortunatamente, non si erano neppure svegliati. Lui sarebbe rimasto a vegliare il sonno di Roberto. Infatti, da lì a poco tempo, il giovane si riaddormentò ma il padre, con un diavolo per capello, seduto sul divano più piccolo fino a tardo mattino, rimase assorto nei suoi pensieri.

    Era stato per ore a rimuginare sull’accaduto chiedendosi com’era potuto succedere, com’erano potuti essere così ciechi da non accorgersi di ciò che stava accadendo al loro figlio, e quali erano stati i motivi, se motivi c’erano, per ridursi in quello stato pietoso. E poi… che colpa ne avevano loro, e in che misura se colpa c’era? Pensava, che al ragazzo non avessero mai fatto mancare nulla, aveva affetto, soldi, una vettura e una donna. Da poco tempo aveva trovato un buon lavoro anche se precario, ma ben retribuito. Non gli chiedevano conto dei soldi guadagnati e nemmeno come li spendesse, attribuendo al giovane una maturità che, ahimè invece, non aveva ancora. Forse era in quello che avevano sbagliato? Negli ultimi tre anni conviveva con la sua ragazza che frequentava già da sette anni. Sembravano felici anche se, ogni tanto, il giovane lamentava la sua solitudine nei giorni festivi della settimana e dell’intero anno, incolpando la ragazza del malessere che lo tormentava. Federica, la donna di Roberto, anche lei laureata agronoma, seguiva un dottorato di entomologia come ricercatrice in una università molto nota a livello mondiale. La rimproverava di lasciarlo spesso da solo per andare a raggiungere i genitori che vivevano in un’altra città dove avevano un’attività commerciale di proprietà, per cui, ogni fine settimana, li raggiungeva per contribuire con la sua presenza e il suo aiuto a mandare avanti il negozio.

    A volte l’accompagnava lui con la sua macchina e questo succedeva sempre

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