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Historia minima - Vol. I: 2004 - 2008
Historia minima - Vol. I: 2004 - 2008
Historia minima - Vol. I: 2004 - 2008
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Historia minima - Vol. I: 2004 - 2008

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About this ebook

Questi libri sono un utile strumento per chi ha interesse a comprendere il presente. Troppo spesso ci si dimentica di un passato, anche recente,  che da interessi di parte viene troppo spesso modificato, stravolto, a volte oscurato. E’ una piccola storia dei mali di un Paese, messo alle strette da una crisi che ha evidenziato il suo ritardo strutturale, politico ed economico. L’Autore ha la capacità di vedere, con occhio disincantato e di attento polemista, uomini e vicende, passioni e frustrazioni, di una società discontinua, in preda ai deliri di una politica sostanzialmente fine a sè stessa. In questo primo volume sono raccontati fatti e misfatti dal 2004 al 2008. Nella speranza di incoraggiare una rinnovata coscienza civile, critica ma anche propositiva, l’invito a riprendere in mano la storia: una “Historia Minima”! “Chi controlla il presente, controlla il passato. Chi controlla il passato, controlla il futuro!” (G.Orwell)
 
LanguageItaliano
Release dateApr 14, 2021
ISBN9788831381611
Historia minima - Vol. I: 2004 - 2008

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    Historia minima - Vol. I - Stelio W. Venceslai

    Stelio W. Venceslai

    Historia Minima - Vol 1

    2004 - 2008

    ISBN: 9788831381611

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione dell'autore

    2004

    I Paesi del Sud-Est europeo nel processo d'integrazione nell'Unione Europea

    2005

    Premessa

    Sulle infrastrutture

    Il disastro della Destra

    Nostra Signora di Violenza

    Al tempo di Re Salomone

    Il destino dei cassonetti

    2006

    I Cigni della Siberia e le oche dello stagno

    Le unioni divise

    Veni, Vidi, ICI

    Un barile di petrolio in un mondo di fuoco

    Giochi elettorali

    2007

    Messaggio

    ICI per tutti, tutti per l'ICI

    Dico e non dico: un frastuono colpevole

    Una sporca storia d'ipocrisia italiota

    La morta gora del trasformismo

    Fisco e discriminazioni

    Il Paese della vergogna

    Un Paese di pensionati

    Un surplus di carta straccia

    L'infarto verde

    La scarpetta di Cenerentola

    Ricongiungiamoli

    Aspettando Godot

    Nel regno dell'irreale

    Rifiuti e ricchezza

    La cerniera turca

    Guitti in rivolta (vaffa day, vaffa night)

    Un'Italia birmana

    La Riforma Biagi

    La genesi dell'antipolitica: la (in)sicurezza

    Ibridazione avvenuta, il paziente è morto

    Halloween! Il Governo è marcio

    Polveri fini e cervelli sottili

    Una giustizia da buttare

    La patria dell'inguistizia

    Il nostro eroe

    La cosa rossa

    2008

    I tre porcellini della democrazia

    Parità fiscale ed equità nel prelievo

    Lettera del difensore civico dei rifiuti urbani campani

    Mercati virtuosi e mercati virtuali

    Berlusconi boia e Prodi pure

    Una discarica per la casta

    Se sceglie si scioglie

    Vili e prodi

    Il ruggito della mosca

    Il Tesoretto

    Dollaro contro Euro

    Il contrasto Euro - Dollaro

    La crisi del Kossovo

    Caduti dalla luna

    Nel ripostiglio della storia

    Evviva la patacca

    Orchi ed archetti

    Lo spillo della bilancia

    Luci e ombre sull'Africa

    La quarta overture

    La moglie di Cesare

    La falsa pietà

    Kossovo, Georgia e dintorni

    I bòtoli dell'Alitalia

    Un Paese fra le nuvole

    Lettera al Direttore

    Figaro qua, Figaro là

    L'asino di Buridano

    La Norimberga della finanza

    Le incognite dell'energia

    Nostra Signora Violenza

    Ed ora, il Governo mondiale

    I colori della politica

    Indice dei nomi

    Note

    Introduzione dell'autore

    Questa raccolta di articoli non ha la presunzione di essere un libro di politica né, tanto memo, un memoriale sul periodo considerato.

    Molto semplicemente, vi sono registrati quei fatti che maggiormente hanno attratto la mia attenzione ed in merito ai quali ho avvertito l’impulso, spesso irresistibile, di far capire ai miei pazienti lettori i meccanismi, spesso ignorati, che avevano originato certi eventi e portato a certe prese di posizione.

    La stampa e la televisione, spesso, sono strettamente connessi ai poteri che esprimono ed è difficile avere un punto di vista difforme se non si conoscono i retroscena nei quali si agitano le realtà del momento e, soprattutto, se non ci si rende conto delle loro implicazioni.

    Inoltre, il lettore comune è sempre preso dal quotidiano. I fatti del giorno sono spesso esaltati dai media e ciò induce ad occuparsi maggiormente di ciò che accade piuttosto che a fare collegamenti con ciò che, presumibilmente, potrà accadere.

    Non c’è una diffusa capacità di astrazione dal singolo evento fino ad avere una visione più generale, magari astratta, dell’intero fenomeno. Sintesi globale ed astrattezza, purtroppo, non fanno parte del quotidiano.

    C’è un’indubbia soggettività nelle valutazioni di chi scrive, anche perché l’intento non è quello di maledire o denunciare o convincere ma quello di far capire. L’emotività non aiuta nella politica, intesa nel suo senso più elevato, né nella vita quotidiana. Diceva Spinoza: primum, intelligere , e nel bombardamento mediatico, spesso di parte, spesso banale, spesso confuso, è difficile intelligere .

    Questi articoli, più note che articoli veri, anche se sono stati quasi sempre riprodotti su giornali e riviste di diversa tendenza, sono il frutto di una mia personale inclinazione a vedere la realtà attraverso i veli della propaganda e del laissez faire . Un’operazione non sempre riuscita o felice.

    Per tutti questi anni, tuttavia, queste note sono una storia della politica italiana vista da un Italiano un po’ alieno, che ha cercato d’essere informato e di ragionare con la sua testa, informandone altri a lui vicini.

    Dai consensi ricevuti qualcosa è stato seminato. Forse, fruttificherà. In Italia esiste un gran bisogno di verità. Questa necessità è così diffusa che stupisce che non ci sia un’istanza collettiva volta a chiedere a chi governa maggiore umiltà e più chiarezza. Nelle segrete stanze del Palazzo si consumano riti astratti per tutti ma ben concreti per chi governa.

    Quando si taccia di populismo, come se questo fosse un termine spregiativo, il fermento della gente, stanca dei soliti sermoni pieni di promesse e di parole che sbiancano subito sotto il sole, è facile trarre l’impressione, invece, di un costante inganno del potere consumato nei confronti dei suoi distratti elettori.

    La tutela degli interessi di pochi nasconde una verità che, invece, dovrebbe essere di tutela per tutti. La verità non è insita in noi, ma nei fatti e nelle loro conclusioni. Può essere sgradevole, ma lo sono anche le truffe e le guerre. Se uno è cretino è cretino, se uno è ladro è ladro, se è un bugiardo, resta un bugiardo. Alla riprova dei fatti le percezioni dimostrate sono realtà concrete. Per questo l’osservazione critica è sempre considerata con malcelata diffidenza.

    Le questioni di politica interna spesso si riducono, nella sostanza, all’alternanza di gruppi di potere. Un’alternanza travestita di concetti nobili, di parole e d’impegni importanti che, poi, svaniscono nel nulla. La memoria politica è molto breve mentre la geopolitica ha dei canoni immutabili cui non si pensa o di cui ci si dimentica spesso.

    Specie nelle questioni di politica estera e comunitaria, un osservatore attento rileva una diffusa disinformazione. I fatti sono commentati senza collegamenti con i precedenti, spesso non valutando le possibili conseguenze di certi eventi ed il loro riflesso sul nostro Paese. In un sistema globale tutto ha un riflesso diretto sulle vicende italiane.

    D’altro canto, le mutazioni intervenute fanno sentire la loro influenza. I singoli Paesi contano sempre di meno, tranne alcuni, spesso guidati da mani irresponsabili.

    Gli Stati stanno perdendo rapidamente il loro ruolo tradizionale: " … Nessuno di loro è in grado di attuare politiche economiche indipendenti, di dichiarare e condurre guerre come e quando gli pare, e neppure di gestire i propri affari interni come ritiene più opportuno. Gli Stati sono sempre più esposti alle trame dei mercati globali, all’interferenza delle multinazionali e delle ONG, ed alla supervisione dell’opinione pubblica internazionale e del sistema giudiziario internazionale. Sono tenuti a conformarsi agli standard globali del comportamento finanziario, della politica ambientale e della giustizia. Flussi di capitale, di lavoro e d’informazioni di enorme portata modellano il mondo con una crescente noncuranza nei confronti dei confini e delle opinioni dei singoli Stati ." [¹]

    Il limite della cronaca è proprio questo: si diffonde nei particolari e, poi, ci si dimentica di ciò che è accaduto per ritornarci, magari anni dopo. Paesi nuovi, regioni fino a poco tempo fa sconosciute, sono diventati punti focali di conflitto.

    Nell’affidare alle stampe queste mie esternazioni, mi auguro che possano anche far sorridere. Il tempo smussa l’esasperazione di certi argomenti e le critiche che ad essi si sono fatte. La passione si spegne di fronte alle crudezze della realtà.

    D’altro canto, la varietà degli atteggiamenti umani è tale che occorre anche guardarli con leggerezza. Se non sbaglio, diceva Seneca: nihil quod humanum sit a me reputo alienum.

    Roma, 11 settembre 2017

    2004

    I Paesi del Sud-Est europeo nel processo d'integrazione nell'Unione Europea

    23 Febbraio 2004

    1 – I dati del problema.

    I nuovi Paesi che a maggio entreranno a far parte dell’Unione europea sono 10: le tre Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, l’Ungheria, la Slovenia e due isole, Cipro e Malta, con oltre 75 milioni di nuovi cittadini comunitari. A questi Paesi dovrebbero aggiungersi, nel 2008, la Romania (23,4 milioni), la Bulgaria (8,9 milioni) e, forse, la Turchia (63,1 milioni), per un totale di 95, 4 milioni di abitanti.

    Una politica dell’integrazione europea nell’area del sud-est europeo non potrebbero prescindere dalla considerazione dei problemi economici degli altri Paesi balcanici formatisi dopo la dissoluzione della Jugoslavia (Croazia (4,9 milioni di abitanti), Serbia e Montenegro (10, 6), Bosnia (3, 5), Macedonia (1, 9) e dall’Albania (3, 3), Paesi che assieme rappresentano un mercato di altri 24, 2 milioni di abitanti. Globalmente, si tratta di altri 120 milioni di possibili cittadini comunitari.

    Le economie dei 10 Paesi che entreranno a far parte dell’Unione sono tra loro molto dissimili. Si tratta di aree strutturalmente arretrate, con molte regioni industriali in declino, una forte sottoccupazione, un ridotto livello d’innovazione, con un tasso di sviluppo industriale molto diverso, anche se con un livello di formazione tecnica, scientifica ed imprenditoriale sufficientemente elevato e con un costo del lavoro che si situa al 30% di quello comunitario.

    Poiché, poi, si ritiene che le popolazioni siano spinte a migrazioni di massa quando il livello di vita sia inferiore al 60 – 70% di quello dei Paesi di destinazione, va detto che i 10 Paesi in questione, ad eccezione della Polonia (il cui livello di vita è al 50% di quello comunitario) sono ad un livello pari o leggermente superiore alla soglia del 60-70% di cui sopra, motivo per il quale non si dovrebbero avere fenomeni migratori particolarmente consistenti verso il resto dell’Europa.

    2 – La questione comunitaria.

    Soddisfatte le ragioni politiche che hanno indotto all’adesione di tali Paesi, restano molti problemi all’interno dell’Unione, politici ed economici, di non facile soluzione.

    Il Consiglio europeo è stato, sino ad ora, il vero motore dell’integrazione. La nuova Costituzione europea dovrebbe dare più poteri al governo dell’Unione, la Commissione, ma è certo che il Consiglio continuerà ad esercitare un’influenza determinante.

    Come si comporteranno i 10 nuovi Paesi? Il loro peso sarà tutt’altro che trascurabile, non solo per le questioni interessanti direttamente le loro economie ma, altresì, per l’insieme delle decisioni che saranno assunte, ad esempio, in materia di politica estera, di difesa, di giustizia, di ambiente, di cooperazione e così via.

    Certamente i Paesi baltici voteranno come la Svezia e la Finlandia, ma non la Polonia; i Paesi dell’antica Piccola Intesa (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e, forse, Slovenia), probabilmente seguiranno l’Austria; Malta seguirà l’Italia e Cipro la Grecia.

    Ma se, invece, si coalizzassero tra loro? Questo non sarebbe un pericolo ma certamente, nella spartizione delle risorse, occorrerà tener conto di questi fattori imponderabili.

    Per ragioni storiche ed emotive molto complesse la questione nazionale è vivissima in questi Paesi, molto di più che nel resto dell’Occidente. Per questo, da sempre, un padrone potente e lontano è preferibile a un padrone debole e vicino: le Repubbliche baltiche e la Polonia lo stanno mostrando con una certa chiarezza, visti i nuovi e più intensi legami stretti con gli Stati Uniti.

    Il Parlamento europeo e la Commissione ne faranno le spese: il cristallo balcanico è molto fragile e pieno di rancori. Nell’ultimo secolo, la dissoluzione di quattro Imperi, il prussiano, il turco, l'austro-ungarico e quello sovietico, ha permesso solo brevi anni d’indipendenza e di pace ed ha lasciato guasti, sotto il profilo delle nazionalità, praticamente irrisolti in termini di confini. Il melting pot comunitario, almeno in teoria, dovrebbe rendere ininfluente il fatto che un cittadino di lingua ungherese viva in Slovacchia od in Transilvania o che un albanofono si trovi in Macedonia od in Serbia, ma sappiamo che non è stato e che non sarà per molto tempo così.

    L’illusione di Brandt e di Kohl di digerire facilmente i ritardi e le frustrazioni dei cittadini tedeschi della Germania dell’est, dopo il crollo dell’URSS, per poi egemonizzare economicamente l’insieme dei Paesi europei dell’ex Patto di Varsavia, si è rivelata quello che era: un’illusione, come lo fu la spinta militare di Hitler verso il petrolio di Baku e l’Iran, attraverso l’Unione Sovietica. I problemi tedeschi sono lungi dall’essere risolti e la politica tedesca verso l’Est ha incontrato nuovi ed imprevedibili ostacoli, soprattutto economici.

    Le necessità finanziarie dei nuovi Paesi aderenti sono, praticamente enormi; non si potrà contare, per lungo tempo, sulle loro risorse interne, dati i cambiamenti strutturali, anche sotto il profilo fiscale (l’introduzione della TVA, ad es.), che dovranno essere introdotti. Il peso della ristrutturazione e del processo di avvicinamento graverà, sostanzialmente, sulle risorse dell’Unione e su limitate risorse finanziarie di origine multilaterale.

    Soprattutto la politica regionale e la politica sociale pagheranno un tributo pesante, in termini finanziari, alle nuove regioni depresse di una più grande Unione europea, mentre ben più limitati saranno gli apporti dei nuovi Paesi al bilancio comunitario.

    3 - La questione balcanica.

    Tutti i Paesi del Sud Est europeo hanno gravi ritardi e problemi secolari irrisolti.

    La Slovacchia non è in buoni rapporti né con la Repubblica Ceca, da cui si è distaccata pacificamente anni fa, né con l’Ungheria, data la presenza di forti minoranze ungheresi. Sullo sfondo, poi, c’è sempre il problema dell’irredentismo ruteno.

    L’ Ungheria non ha buoni rapporti con la Slovacchia, per le stesse ragioni di cui sopra, né li ha con la Romania, rivendicando la Transilvania posseduta dai Romeni, né dimentica le proprie aspirazioni secolari su Croazia e Slovenia, aspirando al mare da cui manca dai tempi austroungarici con l’Ammiraglio Horthy.

    La Romania è in lite secolare con la Russia ed ora con l’Ukraina, per la Besserabia, è in contrasto con l’antica regione romena della Moldavia, al di là del Danubio, ora Stato indipendente, e rivendica la Dobrugia, lungo il Mar Nero, ora bulgara

    La Bulgaria è in rotta con i Turchi, oltre che per ragioni secolari, a causa di una discreta minoranza musulmana e turcofona esistente nel Paese, ha pessimi rapporti con la Grecia, da cui rivendica la Tracia, con la Romania, per la Dobrugia, contesta l’esistenza stessa della Macedonia che farebbe parte della Grande Bulgaria ed ambisce ad alcuni territori albanesi.

    La Slovenia sarebbe tradizionalmente orientata verso l’Austria, che è, però, un piccolo Paese rispetto all’altro grande confinante, l’Italia. Inoltre, ha molti problemi irrisolti con la Croazia.

    Non parliamo, poi, dell’ Albania e delle altre repubbliche balcaniche formatesi dopo la dissoluzione della Jugoslavia ( Croazia, Serbia e Montenegro, Bosnia e Macedonia), che non possono non gravitare, economicamente, che verso il Paese più importante e più vicino che è l’Italia.

    Tutti i Paesi dell’area, storicamente,hanno il complesso dell’" accerchiamento": i Bulgari si sentono stretti tra Romeni e Greci, i Romeni tra Slavi (Russi e Bulgari) ed Ungheresi, gli Ungheresi sono circondati da Slavi, Slovacchi e Sloveni sono troppo giovani per non cercare alleanze tranquille.

    4 - La questione italiana.

    E’ pressoché inevitabile che i Paesi del Sud-Est europeo gravitino, in un modo od in un altro, verso l’Italia. Il nostro Paese si trova in una posizione geopolitica ed economica particolare e potrebbe esercitare un ruolo attrattivo predominante in questa regione:

    a - di sicurezza, e ciò comporta problemi militari di non poco peso;

    b - economico, e ciò può essere un forte incentivo alla nostra tecnologia ed allo sviluppo concertato di attività industriali, di servizi e per una logistica moderna;

    c - culturale, perché nell’area la nostre trasmissioni televisive sono seguite e capite ed esiste, dunque, un’importante possibilità di trasmissione, di formazione e, se vogliamo, di reciproco acculturamento;

    d – politico, perché sarebbe estremamente importante fungere da tutor di questi Paesi, attenuando il loro timore del peso della tradizionale egemonia tedesca o francese.

    Ciò presupporrebbe lungimiranza in politica estera, capacità di concertazione in sede europea, una diversa allocazione delle risorse nazionali destinate a stimolare gli investimenti esteri ed il riconoscimento del fatto che, indipendentemente dalla volontà dei Governi, le imprese italiane già operano, numerosissime, in questi Paesi (nella sola Romania, l’anno scorso, erano registrate più di 50.000 imprese italiane operanti in loco).

    5 – L’Europa ed il suo confine orientale.

    La grande incognita è rappresentata dal ruolo politico dell’Unione verso l’Est. Dove sono, realmente, i confini dell’Europa?

    Ukraina e Bielorussia certamente sono Europa anche se è incerta, al momento, la loro attitudine verso l’Unione.

    Ma anche la Federazione russa è Europa e l'attuale presenza di Mosca nella NATO ne è l’espressione. Quanto la visione geografica di un’Europa fino alla catena degli Urali coincide con una visione geopolitica reale?

    I nuovi Paesi originatisi in quelle regioni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, dalla Moldavia (che è certamente europea e romena) alla Georgia e all’Armenia, sono anch’essi Europa?

    Se dovesse entrare la Turchia nel contesto comunitario, come potrebbe non essere portavoce del mondo turcofono, rappresentato dalle sei nuove Repubbliche centro-asiatiche (Uzbekistan, Kazakistan, Azerbajian, Turkmenistan, Kirgizistan, Tagikistan)?

    Se la Turchia entrasse nell’Unione, avrebbe le carte politiche e culturali in regola per molti Paesi turcofoni dell’area, ma non avrebbe né le risorse né le strutture necessarie per un ruolo di così ampio respiro né sembra avere, almeno al momento, la tranquillità politica necessaria, all’interno del Paese, a causa del problema kurdo, per spingersi fino alla creazione di un Commonwealth turcofono. Ma tutto ciò, quali scenari geopolitica aprirebbe, fino a qualche anno fa del tutto impensabili?

    6 – Conclusioni.

    Molte sono le luci e le ombre, come in tutti i grandi eventi politici che determinano i nuovi assetti continentali.

    Il nostro Paese non è stato mai in grado di decidere se essere una grande Potenza od un grande Svizzera, nonostante la sua forza economica e l’importanza che gli viene attribuita per i suoi valori storico-culturali. L’adesione di questi nuovi Paesi si prospetta come una grande occasione da non perdere.

    Si tratta di scegliere.

    2005

    Premessa

    9/5/2005

    E’ incredibile che dopo quattro anni di centro destra, a causa di una crisi elettorale, il Governo scopra che i problemi del Paese sono il Mezzogiorno, la situazione dell’occupazione, sempre più precaria e problematica, le classi medie, sempre più impoverite, e la necessità di un rilancio industriale, (tra l’altro scambiando la produttività con la depenalizzazione della bancarotta fraudolenta).

    Il sistema bancario è ingessato dalla Banca d’Italia, il sistema industriale pubblico è stato svenduto e disperso, perché va di moda la privatizzazione, il sistema dei servizi non è stato neppure intaccato. Si fa un gran parlare di PMI ma poi le questioni d’interesse politico sono soltanto la Fiat, la RAI -TV e la telecomunicazioni.

    Le cordate bancarie assomigliano sempre più agli interventi di salvataggio dell’IRI prima della seconda guerra

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