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I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta
I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta
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I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta

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Questo nuovo straordinario saggio di Nicola Bizzi, frutto di anni di ricerche, potrebbe essere definito un viaggio nella Scienza. Ma non in quella Scienza “laica” – allo stesso tempo materialista e dogmatica – che affonda le proprie radici nell’Illuminismo settecentesco e nel Positivismo, bensì in quella vera e autentica Scienza onnicomprensiva degli antichi, che l’autore, Libero Muratore e iniziato ai Misteri Eleusini, conosce piuttosto bene. Come egli stesso scrive in uno dei capitoli, quegli antichi eruditi e ricercatori che la moderna cultura definisce asetticamente “scienziati”, che si trattasse di astronomi, matematici, geometri, geografi, ingegneri, medici o cultori delle scienze naturali, non solo appartenevano a quella elite colta alla quale solitamente rivolgevano i propri insegnamenti e per la quale scrivevano i loro trattati, ma erano anche e soprattutto dei grandi iniziati. Nell’antichità, infatti, non esisteva quella netta separazione, a cui siamo purtroppo oggi abituati, tra ricerca spirituale e ricerca scientifica, tra “sacro” e “profano”. Esisteva una Conoscenza nel vero senso del termine, una Conoscenza realmente onnicomprensiva, anche di ambito scientifico, in buona parte detenuta, custodita e tramandata da ordini iniziatici e da scuole misteriche, ed essa non era affatto disgiunta dalla sfera del sacro, in quanto l’essere umano viveva molto più in simbiosi con le forze della natura. Erano tempi in cui, come l’autore spiega, l’uomo era più vicino agli Dei e, al contempo – in un reale scambio e connubio – gli Dei erano più vicini all’uomo. Tale Conoscenza, oltre a guardare alle dimensioni del Sacro e al Trascendente, si fondava principalmente sulla Matematica, sull’Astronomia e sulla Geografia, ed attraverso di essa gli antichi popoli mediterranei perfezionarono fin dai tempi più remoti le tecniche di costruzione delle navi e l’arte della navigazione, arrivando ad esplorare tutto il mondo. A tali popoli era ben nota quindi l’esistenza di un grande continente al di là dell’Oceano Atlantico, un continente che a più riprese visitarono e colonizzarono, come innumerevoli testimonianze archeologiche hanno dimostrato.
LanguageItaliano
Release dateApr 11, 2021
ISBN9788898635641
I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta

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    I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta - Nicola Bizzi

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    Τεληστήριον

    «Viviamo in un›epoca di grandi trasformazioni che, a mio avviso, porterà in un futuro non lontano ad un grande incremento della presa di coscienza dell›umanità. Vivremo eventi traumatici, devastanti, che metteranno a dura prova la nostra stessa condizione di esseri umani, ma la nuova era profetizzata da Publio Virgilio Marone nella quarta egloga delle Bucoliche è ormai prossima. Sempre più persone stanno arrivando alla conclusione che le cose non sono proprio come ce le raccontano o come qualcuno vorrebbe farci credere che siano. Ed è a queste persone che mi sento di dedicare questo mio lavoro, questo mio piccolo contributo al risveglio delle coscienze».

    Nicola Bizzi

    NICOLA BIZZI

    I MINOICI

    IN AMERICA

    E LE MEMORIE DI UNA CIVILTÀ PERDUTA

    «L’esistenza di un continente al di là dell’oceano Atlantico era ben nota agli antichi popoli mediterranei,

    e la scienza lo ha dimostrato. Dobbiamo a segrete scuole misteriche, dirette eredi di tali antiche

    civiltà, se nel Rinascimento l’esistenza di tale continente poté essere finalmente divulgata all’Umanità»

    LOGO EDIZIONI AURORA BOREALE

    Edizioni Aurora Boreale

    Titolo: I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta

    Autore: Nicola Bizzi

    Collana: Telestèrion

    Con prefazione di Boris Yousef

    Editing e illustrazioni a cura di: Nicola Bizzi

    ISBN versione e-book: 978-88-98635-64-1

    LOGO EDIZIONI AURORA BOREALE

    Edizioni Aurora Boreale

    © 2021 Edizioni Aurora Boreale

    Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato

    edizioniauroraboreale@gmail.com

    Questa pubblicazione è soggetta a copyright. Tutti i diritti sono riservati, essendo estesi a tutto e a parte del materiale, riguardando specificatamente i diritti di ristampa, riutilizzo delle illustrazioni, citazione, diffusione radiotelevisiva, riproduzione su microfilm o su altro supporto, memorizzazione su banche dati. La duplicazione di questa pubblicazione, intera o di una sua parte, è pertanto permessa solo in conformità alla legge italiana sui diritti d’autore nella sua attuale versione, ed il permesso per il suo utilizzo deve essere sempre ottenuto dall’Editore. Qualsiasi violazione del copyright è soggetta a persecuzione giudiziaria in base alla vigente normativa italiana sui diritti d’autore.

    L’uso in questa pubblicazione di nomi e termini descrittivi generali, nomi registrati, marchi commerciali, etc., non implica, anche in assenza di una specifica dichiarazione, che essi siano esenti da leggi e regolamenti che ne tutelino la protezione e che pertanto siano liberamente disponibili per un loro utilizzo generale.

    PREFAZIONE di Boris Yousef

    Devo ammettere che, pur conoscendo e stimando da molti anni Nicola Bizzi, ogni qual volta egli mi riferisce di aver ultimato un nuovo libro, proponendomi di leggerlo in anteprima e magari di realizzarne una prefazione, mi metto letteralmente le mani nei capelli (i pochi che mi rimangono in testa) e gli dico: «Molto volentieri, non vedo l’ora di leggerlo. Ma, di sicuro, tu non hai solo finito di scrivere un libro, ne hai simultaneamente cominciati altri venti!».

    Proprio così: i libri di Nicola Bizzi, uno degli storici più innovativi, aperti e rivoluzionari del panorama europeo, pur affrontando di volta in volta tematiche diverse, sono decisamente interconnessi e ognuno di essi contiene potenzialmente gli spunti e le tracce per la stesura di decine di altri potenziali saggi, che molto probabilmente l’autore ha già nella sua testa. I suoi libri non solo possono risultare dei veri e propri capolavori per la mole di informazioni e di dati che contengono o per il rigore e l’ampio respiro delle sue analisi, ma anche e soprattutto perché in essi non si limita a riportare sterilmente o asetticamente fatti e notizie e a darne un’interpretazione. Questo saprebbero farlo tutti (o quasi). Egli, invece, parte proprio da dove tanti storici si fermano, perché magari intuiscono certe verità, ma non osano affrontarle o non ne possiedono tutte le chiavi di lettura, e riesce spesso a decodificare enigmi e nodi irrisolti del nostro passato. Riesce, in sintesi, a fornire delle risposte, laddove molti altri si limitano a porsi degli interrogativi.

    Nel 2018, quando ebbi l’onore di scrivere una prefazione al libro di Nicola Bizzi Atlantide e altre pagine di storia proibita, lo definii non un semplice saggio sui misteri del passato e sulle antiche civiltà scomparse come molti se ne possono trovare oggi nelle librerie, ma un vero e proprio viaggio iniziatico, supportato dal rigore storico e dalla competenza del suo autore, uno storico e scrittore che ha dedicato la propria vita alla ricerca delle più autentiche radici della civiltà umana sulla Terra e alla riscoperta della Tradizione Occidentale. Questo suo nuovo lavoro, I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta, potrei invece definirlo un viaggio nella Scienza. Ma, vi prego, non fraintendetemi. Non mi riferisco a quella Scienza laica – allo stesso tempo materialista e dogmatica – che affonda le proprie radici nell’Illuminismo settecentesco e nel Positivismo. Mi riferisco a quella vera e autentica Scienza onnicomprensiva degli antichi, che l’autore, Libero Muratore e iniziato ai Misteri Eleusini, conosce piuttosto bene. Come egli stesso scrive in uno dei capitoli del suo libro, quegli antichi eruditi e ricercatori che la moderna cultura definisce asetticamente scienziati, che si trattasse di astronomi, matematici, geometri, geografi, ingegneri, medici o cultori delle scienze naturali, non solo appartenevano a quella elite colta alla quale solitamente rivolgevano i propri insegnamenti e per la quale scrivevano i loro trattati, ma erano anche e soprattutto dei grandi iniziati. Nell’antichità, infatti, non esisteva quella netta separazione, a cui siamo purtroppo oggi abituati, tra ricerca spirituale e ricerca scientifica, tra sacro e profano. Esisteva una Conoscenza nel vero senso del termine, una Conoscenza realmente onnicomprensiva, anche di ambito scientifico, in buona parte detenuta, custodita e tramandata da ordini iniziatici e da scuole misteriche, ed essa non era affatto disgiunta dalla sfera del sacro, in quanto l’essere umano viveva molto più in simbiosi con le forze della natura. Erano tempi in cui, come l’autore spiega in uno dei capitoli di questa sua nuova fatica, l’uomo era più vicino agli Dei e, al contempo – in un reale scambio e connubio – gli Dei erano più vicini all’uomo.

    Altro merito del nostro autore è sicuramente quello di rendere comprensibili, o comunque accessibili anche a un pubblico di non addetti ai lavori, temi storici talvolta veramente complessi, spesso accompagnati da vere e proprie immersioni nella Filosofia classica, nella Matematica e nell’Astronomia. Egli riesce a trascinare il lettore all’interno delle vicende storiche che ripercorre e che affronta, guidandolo come attraverso una macchina del tempo, facendogli letteralmente vedere con in propri occhi e toccare con mano sia quegli eventi e quei protagonisti che hanno cambiato la Storia, sia quelle vicende che la Storia ufficiale ha nascosto e taciuto.

    Che la Storia, per come ci viene ancora insegnata sui banchi di scuola e nelle università, sia totalmente da riscrivere, questo Nicola Bizzi lo sostiene da tempo, ma riesce anche a dimostrare perché.

    Come sostiene il mio amico Michael Cremo, esiste un processo di filtrazione della conoscenza che opera nel mondo della Scienza. I resoconti delle testimonianze che sostengono le attuali teorie ed i paradigmi accademici passano attraverso questo filtro sociale e intellettuale molto facilmente. Ma i resoconti che contraddicono radicalmente le attuali teorie, per quanto numerosi e diffusi, vengono inesorabilmente respinti e negati all’opinione pubblica. Esistono potenti interessi al mondo che desiderano vedere la Storia dell’umanità come certe elite di potere l’hanno plasmata a loro uso e consumo, in modo fortemente limitativo e puramente materiale. Attraverso il loro monopolio nel sistema educativo nella maggior parte delle nazioni, certe lobby sono riuscite a imporre una visione della Storia fortemente alterata, in cui le nostre più autentiche origini e radici vengono eluse, intenzionalmente dimenticate. Non c’è quindi da sorprendersi che l’intera civiltà mondiale, o quantomeno quella dell’Occidente, sia divenuta sempre più materialista, focalizzata quasi esclusivamente sulla produzione, sul profitto e sul consumo. L’essere umano viene così ridotto a merce e cresciuto e plasmato in un mondo di costante disinformazione, affinché non possa comprendere la propria vera natura, la propria origine e le proprie potenzialità. Affinché non possa uscire dalla Caverna di Platone, da quella matrix che gli è stata costruita attorno, e non acquisisca quella presa di coscienza che gli permetterebbe di evolvere e di spezzare le proprie catene. Esistono forze, sia nella società che al di sopra di essa, che operano costantemente affinché ciò non avvenga.

    I libri di Nicola Bizzi costituiscono delle vere e proprie armi di consapevolezza, capaci di smuovere le coscienze. E questo suo ultimo lavoro non fa eccezione. Leggendolo capirete perché.

    Generalmente i libri, soprattutto quelli di saggistica storica, sono incentrati su un tema, che ne costituisce il perno, l’asse portante. Il libro che ho l’onore (e l’onere) di introdurvi, è invece incentrato su più assi portanti, che, al pari di solide colonne, operano sulla coscienza del lettore una sorta di moto precessionale finalizzato alla costruzione di un Tempio. Un Tempio del tutto interiore, che può venire consacrato attraverso un vero e proprio processo maieutico.

    Le colonne portanti, i perni di questo libro, sono la civiltà Minoica, la madre della stessa civiltà europea, la Geografia, l’Astronomia e la navigazione. E questi quattro perni si muovono fino ad indicarci una direzione, una meta: l’Oceano Atlantico e l’America, il Nuovo Continente, una terra che a più riprese gli antichi popoli mediterranei visitarono e colonizzarono, come innumerevoli testimonianze archeologiche hanno dimostrato, ma che ha sempre costituito, per tutta una serie di ragioni che l’autore abilmente disvela, una meta segreta. Ma Nicola Bizzi ci spiega anche che dobbiamo a segrete scuole misteriche, dirette eredi di tali antiche civiltà, se nel Rinascimento l’esistenza di tale continente poté essere finalmente dischiusa all’Umanità.

    Boris Yousef

    Mosca, 4 Aprile 2021

    LA CRISI DEL PARADIGMA

    Chi ha un minimo di conoscenza della storia dell’Archeologia sa bene quanto le scoperte pionieristiche di grandi uomini del passato come Heinrich Schliemann e Arthur Evans siano state inizialmente osteggiate dagli ambienti accademici perché andavano palesemente a stravolgere il paradigma dell’epoca e le errate convinzioni di generazioni di studiosi. Non vi è infatti alcun dubbio sul fatto che la scoperta di Troia, là proprio dove Omero nei suoi poemi l’aveva collocata, e la scoperta a Creta della grandiosa e avanzatissima civiltà Minoica, che possiamo a tutti gli effetti considerare la civiltà-madre dell’Europa mediterranea, abbiano messo pesantemente in crisi l’establishment archeologico dell’epoca. E, paradossalmente, sotto molti aspetti, tali scoperte continuano, a distanza di oltre un secolo, a mettere in crisi l’establishment archeologico attuale, ancora incredibilmente chiuso, ingessato, legato a vecchi schemi stereotipati e restio ad accogliere ed accettare qualsiasi nuova scoperta che metta in discussione, anche se solo parzialmente, dei luoghi comuni assurti a dogmi di fede, ma la cui stessa scientificità è tutt’altro che acclarata. Prova evidente ne è il fatto una certa Archeologia cattedratica da decenni non perde occasione, tornando spesso puntualmente alla carica come se seguisse un piano stabilito, di denigrare, o quanto meno di tentare di ridimensionare, le realtà storico-archeologica di Troia e della Creta Minoica.

    Colin Ranfrew e Paul Bahn, nel loro imponente saggio del 1991 Archaeology: Theories, methods and practice¹, riconosciuto internazionalmente come un testo basilare in ambito universitario, ci forniscono questa definizione dell’Archeologia: «L’Archeologia, dal Greco ἀρχαιολογία, voce composta dalle parole ἀρχαῖος, antico, e λόγος, discorso o studio) è la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l’analisi delle tracce materiali che hanno lasciato (architetture, manufatti, resti biologici e umani). Considerata in passato come scienza ausiliaria della Storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte, in alcuni paesi, e specialmente negli Stati Uniti d’America, è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’Antropologia (insieme all’Etnologia, la Linguistica e l’Antropologia fisica), avente come obiettivo l’acquisizione di conoscenza delle culture umane attraverso lo studio delle loro manifestazioni materiali».

    In più occasioni, sia in pubbliche conferenze che in libri ed articoli – non ultima nel mio saggio Atlantide e altre pagine di storia proibita² - ho duramente criticato l’Archeologia, accusandola senza mezzi termini di ottusità, malafede e, soprattutto, di anti-scientificità.

    È doloroso doverlo affermare, ma l’Archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo scientifico. Corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute, oltre ad essere minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto, essa troppo spesso, anziché comportarsi da vera disciplina complementare, come dovrebbe essere, si rifiuta di accettare i dati di supporto della Geologia, della Chimica, della Biologia, dell›Astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo. Tutte le scoperte scomode, che rischiano di alterare o stravolgere il paradigma comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare, ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica.

    Heinrich Schliemann (1822-1890)

    Scrivo a riguardo con cognizione di causa, in quanto mi sono personalmente scontrato per anni con questa triste realtà già in ambito universitario, quando, contestando determinate datazioni imposte in maniera dogmatica e mettendo apertamente in discussione il paradigma, mi sentivo ripetutamente dire da stimati cattedratici «no, questo non sin può dire». Non mi dicevano «questo è impossibile» o, semplicemente, «questo è errato»; mi dicevano «questo non si può dire», «non è deontologicamente conveniente affermarlo», perché evidentemente le mie affermazioni di studente non si riferivano a fatti o circostanze al di fuori della realtà, ma andavano a toccare dei nervi scoperti e mettevano in crisi, appunto, il paradigma. E, riscontrando un simile atteggiamento miope non solo nei docenti, ma addirittura anche nella stragrande maggioranza degli studenti, che ad esso si adeguavano come a un dogma di fede, decisi di cambiare traiettoria e di laurearmi in Storia.

    Ma vediamo che cos’è questo famigerato paradigma. Come ci riferiscono le principali enciclopedie, nel linguaggio comune un paradigma è un modello di riferimento, un termine di paragone. La parola deriva dal Greco antico paràdeigma, che significa esemplare, esempio. In Filosofia la parola archetipo è analoga. Nel linguaggio comune, in sostanza, un paradigma è un modello di riferimento, un termine di paragone.

    In Filosofia della Scienza un paradigma è la matrice disciplinare di una comunità scientifica. In questa matrice si cristallizza una visione globale (e globalmente condivisa) del mondo, e più specificamente, del mondo in cui opera e del mondo su cui indaga la comunità di scienziati di una determinata disciplina.

    Lo storico della Scienza Thomas Kuhn diede a tale termine il suo attuale significato quando lo descrisse come «un insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente, all›interno di un periodo di tempo»³. Nel testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati». Ovvero: ciò che può essere osservato come tale; il tipo di domanda che si suppone possa essere fatta e le risposte in relazione al problema; come queste domande sono strutturate; come dovrebbero essere interpretati i risultati di indagini scientifiche; come dovrebbe essere condotto un esperimento e quale attrezzatura è disponibile per condurre l’esperimento.

    Il paradigma, quindi, nella visione che ne ha chi lo applica, costituisce e delimita il campo, la logica e la prassi della ricerca stessa, come principio ordinatore leibniziano. Ed è all’interno della logica paradigmatica che la ricerca scientifica ritiene di dover individuare il suo oggetto di studio, i problemi più cogenti e la tecnica migliore per affrontarli.

    Proprio per questa funzione di primo motore immobile del paradigma è necessario per Thomas Kuhn che esso sia largamente condiviso dalla comunità di studiosi. Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile. In questa forma, nella Scienza, un paradigma è la congiunzione di esperimenti, basati su modelli, che possono essere copiati o emulati. E il paradigma prevalente rappresenta, spesso, una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura; qualcosa di più e di diverso da un metodo scientifico generico, secondo Kuhn, ma anche un freno ed un limite talvolta inaccettabile, secondo me. Concordo infatti con Graham Hancock quando, parlando di paradigma archeologico, sostiene che «l’uso da parte dell›Archeologia ortodossa di presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato come motivo per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde in passato è segno di scarsa erudizione»⁴. Ma anche di stupidità o malafede, aggiungo io.

    La Sfinge della Piana di Giza (Egitto)

    Kuhn, sempre in La struttura delle rivoluzioni scientifiche, sostiene anche che, in modo complementare, una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma. Ed è mio parere che sia in atto da circa vent’anni una grande rivoluzione archeologica, e non soltanto archeologica. Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia ed una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà. Mi rendo conto che sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere, pur di portare avanti teorie innovative, ma comunque quei pochi ci sono, e sono sempre di più. Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla, e cercherò di spiegare in questo mio studio come l’attuale paradigma storico ed archeologico – ingessato e immobile ormai da intere generazioni – abbia ormai i giorni contati e sia condannato ad essere inesorabilmente rovesciato. È questione di tempo, poco tempo, ma per tentare di sopravvivere combatterà con le unghie e con i denti, lasciando sicuramente ancora molti valorosi caduti sul campo di battaglia.

    Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi pionieri di questo nascente revisionismo storico-archeologico è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bauval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana Archeomisteri o l’irlandese Ancient Origins, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’Archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo.

    Aveva ragione il ricercatore italiano Mauro Quagliati, quando scriveva che «la Rivoluzione archeologica parte dall›Egitto»⁵ e constatava come la ricostruzione ufficiale della storia antica dell’umanità appaia sempre più insoddisfacente alla luce di numerose prove archeologiche, domandandosi quanto si dovrà attendere per una revisione radicale delle tesi ortodosse. È, infatti, proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa rivoluzione ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe autorità, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della Geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. E la stessa cosa sta avvenendo per numerosi altri siti di interesse archeologico sparsi per il mondo, dagli Stati Uniti d’America all’Australia, dalla Bosnia all’Indonesia.

    Marco Zagni, nella sua introduzione al saggio Il risveglio degli Antichi⁶ (di cui è coautore insieme a Loris Bagnara, Andrea Lontani e Diego Marin), dopo aver menzionato il Caso Nizza (quando, negli anni Sessanta, l’allora giovane geologo Floriano Villa, durante gli scavi per la costruzione di un centro commerciale, aveva assistito al ritrovamento di resti di case e appartamenti di tipo moderno in strati argillosi vergini al di sotto della città francese databili almeno a 600.000 anni fa), riporta tre punti fondamentali riassuntigli dallo stesso Villa nell’Aprile del 2000. Si tratta, come vedremo, di considerazioni e di affermazioni molto forti che il geologo non aveva mai potuto rendere note pubblicamente nel lungo corso quarantennale della sua carriera professionale ed universitaria. Questioni che però sono ben note nell’ambito scientifico ed accademico e delle quali si parla spesso in appositi contesti a porte chiuse, a condizione che esse non vengano pubblicamente rese note.

    Vediamo quindi, nel dettaglio, una sintesi di questi tre punti:

    1 - Le civiltà umane sono di carattere ciclico.

    Esse si sviluppano e poi scompaiono, si auto-distruggono o vengono distrutte da catastrofi naturali terrestri o provenienti dallo spazio (impatti di asteroidi o comete) a distanza di determinati intervalli di tempo. Sono stati infatti trovati crani umani di tipo moderno e relative testimonianze di civiltà avanzate in strati geologici datati con certezza dagli scienziati anche a milioni di anni fa. Classici esempi di quei rinvenimenti che una certa Archeologia di frontiera definisce con l’acronimo di OOPART (Out Of Place Artifacts, cioè Oggetti Fuori Posto).

    2 - I convegni tra scienziati a porte chiuse.

    Diversi scienziati parlano tra di loro di determinate questioni in incontri a livello internazionale, ma mantenendo a riguardo il più assoluto riserbo. Niente di ciò che viene discusso deve trapelare all’esterno. Alcuni di questi incontri hanno riguardato addirittura la non spiegabilità in termini convenzionali della formazione di alcune catene montuose (in particolare catene giovani, come le Ande o le nostre stesse Alpi) presenti sulla Terra. Alcune incredibili spiegazioni emerse in questi incontri top secret, secondo quanto riferì Villa, hanno chiamato in causa concetti impressionanti come quello della orografia artificiale (e cioè la formazione di catene montuose come fenomeno voluto da un disegno intelligente di tipo umano o preterumano), o addirittura le antiche cronache vediche indiane – «forse le più fedeli rappresentazioni della Storia antica della Terra e degli esseri umani» – dove esplosioni atomiche di enorme potenza, nell’ambito di guerre combattute in un remoto passato, avevano contribuito ad innalzare dalle acque marine alcune delle odierne catene montuose.

    3 - Nella nostra attuale civiltà tecnologica gli equilibri non devono essere alterati.

    Questo lo vuole, come evidenzia Zagni, il vero potere. Non risulta difficile immaginare a quali settori ci si riferisca, soprattutto di questi tempi. Tali equilibri sono di ogni genere: sociali, culturali, storico-religiosi, ma soprattutto economico-tecnologici, anche a discapito dell’ambiente terrestre, dell’amore per il vero progresso e della vera Scienza. Una vera Scienza che ormai, di fatto, non esisterebbe più, dato che oggi anche la ricerca pura è totalmente subordinata al fattore economico.

    Questi tre punti possono fornirci un inesauribile serbatoio di spunti di riflessione. Personalmente, non rimango stupito da alcuno dei tre. Alla luce della mia esperienza e delle mie conoscenze, non li ritengo semplicemente plausibili, ma li considero decisamente attinenti con il quadro oggettivo della realtà. Il primo e il secondo, sinceramente, non mi dicono niente di nuovo e, andando avanti con la lettura di questo libro, capirete la mia posizione a riguardo. Vi invito semmai, in particolare, a riflettere sul terzo punto e sulle sue profonde implicazioni. Risulta quantomai evidente che il vero potere, il vertice della piramide, ovvero quella ristretta cerchia che controlla e gestisce la Matrix in cui viviamo, teme qualsiasi turbamento degli equilibri su cui si fonda l’ordine costituito. E, in particolare, tale potere teme fortemente che l’umanità possa conoscere o riscoprire il proprio passato, le proprie origini e, conseguentemente, le proprie straordinarie potenzialità. Tale potere ha sempre fatto sì che l’umanità restasse confinata in quella Caverna così brillantemente enunciata da Platone nel VII° libro della sua Repubblica e che mai potesse osservare la luce del Sole.

    Secondo una certa visione fatta propria dal più deteriore Pitagorismo, parafrasando peraltro alcuni concetti espressi da Platone nel Politico, l’umanità procederebbe secondo un inviluppo catabasico⁷, stabilito da Dio, quello stesso Dio che avrebbe creato il mondo e gli uomini, per cui la luce della Verità Divina, e la tradizione nelle istituzioni religiose delle diverse civiltà, si andrebbe progressivamente oscurando, fino al suo completo occultamento nella vita esteriore degli uomini. E, in questo inesorabile contesto catabasico, la pienezza della luce della Sapienza Divina delle origini verrebbe ciclicamente riattualizzata, per periodi e spazi sempre più limitati e coinvolgendo parti sempre più ristrette di uomini ed istituzioni civili e religiose.

    In ragione di tale presunto inviluppo catabasico, le civiltà tradizionali avrebbero conosciuto – sempre secondo tale distorta interpretazione – diverse fasi di decadenza e relative crisi, a causa delle quali si sarebbero prodotti progressivi degradamenti del loro stato di perfezione originaria, e questa stessa catabasi avrebbe fatto sì che l’umanità si allontanasse progressivamente dal suo stato divino per lasciare spazio all’emersione del suo elemento titanico (sic!), che si sarebbe sovrapposto ad una antica natura e ad un presunto ordine primordiale.

    Giorgio Vasari: dettaglio dell’affresco Le primizie della terra offerte a Saturno, 1557

    (Firenze, Palazzo Vecchio, Sala degli Elementi)

    Occorre qui assolutamente fare chiarezza, perché ci troviamo di fronte ad una visione non solo iniziaticamente errata, ma anche e soprattutto profondamente falsata della realtà e dello stato dei fatti. Una visione che non esito a definire contro-iniziatica e marcatamente olimpica, se non addirittura dionisiaca, che ribalta a proprio uso e consumo tutta una serie di concetti e di verità iniziatiche proprie dell’Eleusinità e della più autentica Tradizione Occidentale.

    Come ho evidenziato nella quarta parte del primo volume del mio saggio Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta⁸, finché gli Dei Titani regnarono su questo mondo l’umanità visse nella più piena e totale armonia e in simbiosi con i suoi creatori. Soltanto a seguito del ribaltamento religioso che trae origine dalla Titanomachia e dalla vittoria dei nuovi Dei Olimpici usurpatori ebbe origine il deleterio e nefasto concetto di hybris. E questo perché, da quel momento in poi, qualsiasi tentativo, sia da parte dei Titani sconfitti di redimere e liberare l’umanità, sia da parte di quest’ultima di rialzare la testa, di aprire gli occhi e di riaccendere la fiaccola della Conoscenza, fu visto inevitabilmente dai nuovi dominatori come intollerabile atto di tracotanza e di superbia, atto empio e quindi da punire severamente.

    Gli Eleusini hanno sempre rigettato, categoricamente e con forza, il principio di una presunta unità trascendente delle religioni, come del resto anche l’aberrante idea che possa esistere un esoterismo assoluto derivante da una presunta Unica Tradizione Primordiale onnicomprensiva ed unitaria, sia nelle forme e nei modi in cui è stato proclamato e celebrato dalla Tradizione Pitagorica antica prima e da molte personalità dell’Umanesimo e del Rinascimento dopo, sia per come è stato teorizzato agli inizi del ‘900 da René Guénon nella sua dottrina dell’Unità Metafisica della Sapienza Eterna. E tantomeno da come è stato più recentemente delineato da Frithjof Schuon nel suo saggio Unità Trascendente delle Religioni⁹.

    Per gli Eleusini esiste quindi, sì, una Tradizione Primordiale ed originaria, ma la riconoscono e la identificano esclusivamente con la religione Titanica pre-olimpica, e quindi pre-ellenica. Quella grande religione comune che, prima del rovesciamento religioso e culturale operato con la Titanomachia e con la conseguente istituzione del sistema sociale del patriarcato e del culto di nuovi Dei usurpatori, era praticata e trasmessa da tutti i popoli dell’Azzurro Occidente, quindi da tutti i popoli europei, mediterranei e vicino-orientali, dalle brumose terre della Scozia al Nord Africa, dalla penisola Iberica alle catene montuose del Caucaso, dall’Egitto alla valle del Danubio, da Creta all’Anatolia. Quella stessa religione trasmessa in un’età aurea all’umanità dagli Dei Titani creatori, da quegli Dei Titani della stirpe di Giapeto che crearono l’uomo a propria immagine e somiglianza e lo alzarono in piedi, in piena dignità, mettendogli in mano le loro stesse armi e i loro stessi strumenti di potere e infondendogli, come vero marchio indelebile, la loro stessa essenza vitale e spirituale. Non solo, quindi, il dono della vita e dell’immortalità dell’anima, ma anche la Conoscenza e la ragione, la capacità di apprendere e di distinguere il bene dal male, la verità dalla menzogna. La capacità di apprendere e seguire quell’unico comandamento che il Grande Padre Urano lasciò ai mortali figli della stirpe di Giapeto: «È proprio dei pesci, delle fiere e dei volanti uccelli divorarsi l’un l’altro. Ma a voi dò la Giustizia, la Verità dall’ampia pupilla»

    ¹⁰.

    Friedrich Heinrich Füger: Prometeo dona il fuoco all’umanità, 1817

    (Kessel, Neue Galerie)

    Che lo si voglia o no, nonostante millenni di condizionamenti contro-iniziatici e di dominio ininterrotto dei nuovi Dei usurpatori, che nel corso dei secoli si sono via via manifestati sotto varie forme ed espressioni, seminando false dottrine e generando nuovi falsi profeti (e, con essi, nuove religioni fondate sul dogma e sulla sottomissione, sull’oscurantismo e sull’oppressione), quella scintilla, quella essenza divina titanica presente in ogni uomo, non si è mai spenta, ed ha rappresentato per l’umanità, anche nelle fasi più buie della sua storia, l’unica speranza di redenzione e di affrancamento. Quella stessa essenza divina titanica che, paradossalmente (ma non certo a caso) viene identificata dalle tradizioni contro-iniziatiche e dalla religione ellenica (irrimediabilmente contaminata dall’inquinamento olimpico-dionisiaco) alla stregua di un male assoluto, se non addirittura come qualcosa di bestiale e di brutale che distoglierebbe gli uomini da un presunto stato divino.

    Secondo la Tradizione Misterica Eleusina, l’umanità è infatti stata creata da Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo, i quattro figli del Dio Titano Giapeto. E tale Tradizione ci insegna che Atlante donò all’uomo la Conoscenza e la Vita, Menezio la Forza, sia interiore che esteriore, Prometeo il seme maschile ed Epimeteo quello femminile. I quattro Titani poi, congiuntamente, donarono all’umanità la Notte, un termine che esprime un concetto superiore a quello di anima che comunemente intendiamo, il concetto stesso dell’Essenza Divina Titanica, un quid perenne e immortale, in quanto privo dell’asse del tempo, che, tramite e grazie all’opera di questi quattro Titani, alberga ancora oggi in ogni uomo figlio della Stirpe di Giapeto. Quella stessa essenza divina che tanto ancora oggi spaventa i difensori delle tradizioni contro-iniziatiche, tanto da associarla a qualcosa di bestiale e di fuorviante, mentre in realtà rappresenta l’esatto opposto.

    Anche se un pesante giro di vite di questo asservimento e controllo dell’umanità è stato indubbiamente dato con la cristianizzazione forzata della società romana imperiale – che vide il suo apice sotto il regno di Teodosio, trovando piena legittimazione giuridica con il famigerato e criminale Editto di Tessalonica –, questa drammatica involuzione catabasica e oscurantista della civiltà europea aveva decisamente radici più profonde. Se Costantino e i suoi successori avevano metaforicamente aperto la porta della gabbia del mostro e Teodosio l’aveva decisamente spalancata, permettendo ad esso di uscire e di scatenare la sua furia dogmatica e persecutoria (compiendo così quello che Fabio Calabrese ha giustamente definito l’atto più infame della Storia¹¹), questo mostro già si annidava da tempo nelle pieghe della storia. Mi sto riferendo a un mostro tentacolare e strisciante dai molti nomi e dalle molte facce, emblema di ogni principio contro-iniziatico, che sin dalla sconfitta degli antichi Dei Titani ad opera degli Dei Olimpici usurpatori, puntualmente ha rialzato la testa con i propri emissari di turno (Zeus, Dioniso, Amenofis IV°, meglio noto come Akhenaton, Mosè, Gesù Cristo, Paolo di Tarso, fino ad arrivare al profeta dell’Islam Muhammad), operando incessantemente nella direzione di una sottomissione dell’umanità e di un ottenebramento delle coscienze, con un obiettivo non solo finalizzato al mero dominio o potere politico, ma anche e soprattutto al voler impedire che l’umanità si riappropriasse di quel fuoco restituitole un tempo da Prometeo, che mangiasse il frutto proibito dell’Albero della Conoscenza, prendendo così piena consapevolezza di sé e di quella parte titanica che è naturalmente insita in ogni uomo e in ogni donna e che attende solo di essere risvegliata.

    Piero di Cosimo: Il mito di Prometeo, 1515 ca.

    (München, Altepinacothek)

    A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda, solitamente ribadisco che prima di rispondere ad una simile domanda dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola. Fino a pochi anni fa il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai.

    Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della scienza ufficiale. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati. In poche parole, oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana. Per non parlare della rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale, un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale ed attestata va oltre il 9.500 a.C. E di altri siti, come ad esempio l’incredibile complesso di gigantesche rovine megalitiche di Gornaja Šorija, in Siberia, o quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi, che ho personalmente più volte visitato e che sono ancora in corso di scavo, sono state datate addirittura al 29.000 a.C.! Piramidi la cui artificialità è stata ormai dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, ma che per alcuni archeologi, che peraltro neanche si sono degnati di vederle, restano delle colline naturali.

    Penso sinceramente che, se non assisteremo a una manipolazione di questa rivoluzione archeologica, il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare. Sarà allora che il paradigma sarà finalmente rovesciato e la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore. Ma una simile rivoluzione presenta indubbiamente dei rischi. Oggigiorno diventa pericoloso soltanto mettere in discussione, dal punto di vista storico, alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, o – in campo scientifico – una teoria virale o la presunta efficacia dei vaccini, quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo! Esistono dei poteri forti, delle vere e proprie lobby che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella Politica e nell’Economia, ma anche nella Scienza e nella Storia; lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più scomode, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi.

    Ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici. Tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia. È molto più facile per gli studiosi attenersi al paradigma e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose. Ma anche i più miopi ed ostinati non potranno farlo ancora a lungo. Queste nuove scoperte scomode si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante e gli argini della diga del paradigma mostrano crepe e spaccature ogni giorno sempre più grandi.

    Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro Il ritorno degli Dei, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili. Ciò che solitamente vediamo e apprendiamo della Storia, ma anche della Religione, della Scienza, dell’Economia e di varie altre discipline, è soltanto una piccola parte della realtà, di una grande realtà i cui confini si estendono spesso oltre ogni umana immaginazione. Una realtà che, se vista nella sua reale dimensione e nelle sue reali forme e implicazioni, farebbe impallidire qualsiasi rappresentazione cinematografica della Matrix e porterebbe inesorabilmente le menti più inavvedute e impreparate nel baratro della follia.

    Due immagini degli imponenti blocchi megalitici di Gornaja Šorija, in Siberia

    Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni che, a mio avviso, porterà in un futuro non lontano ad un grande incremento della presa di coscienza dell’umanità. Sempre più persone stanno arrivando alla conclusione che le cose non sono proprio come ce le raccontano o come qualcuno vorrebbe farci credere che siano. Ed è a queste persone che mi sento di dedicare questo mio lavoro, questo mio piccolo contributo al risveglio delle coscienze.

    La consapevolezza che esistano oscure forze e realtà, connesse a doppio filo con chi detiene le vere redini del potere politico ed economico, che negli ultimi secoli hanno fatto di tutto affinché l’umanità non prendesse coscienza della sua vera storia, delle sue vere origini e delle sue reali potenzialità è sempre maggiore ogni giorno che passa, e ritengo che questo sia un bene e un preciso segnale di speranza. Un segnale che i tempi stanno finalmente cambiando e che forse l’umanità stia iniziando a svegliarsi e a ribellarsi contro i dogmi imposti da false dottrine oscurantiste e, soprattutto, contro i burattini che la governano e contro i veri burattinai, che mai appaiono sui giornali e sugli schermi televisivi.

    Sempre più persone comuni – e quindi non soltanto gli addetti ai lavori – stanno finalmente comprendendo che la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola. E a conferma di tale quadro vi è proprio la diffusione mediatica, sempre maggiore, di scoperte archeologiche scomode. Non che in passato certe scoperte non avvenissero, ma fino pochi anni fa esse venivano sistematicamente taciute all’opinione pubblica e raramente quindi divenivano oggetto di pubblicazione o di diffusione. Ma oggi non è così. Assistiamo, infatti, sicuramente anche grazie allo sviluppo di Internet, ad un aumento esponenziale della circolazione di informazioni riguardo a scoperte archeologiche potenzialmente in grado di alterare il vigente paradigma storico-archeologico. Basti pensare, oltre agli imponenti complessi megalitici di Göbleki Tepe in Turchia e di Gornaja Šorija nel Sud della Siberia e alle straordinarie piramidi di Visoko, che già abbiamo menzionato, a siti altrettanto antichi ed enigmatici sparsi in tutti gli angoli del globo, da quello di Puma Punku, in Bolivia, nell’area di Tiahuanaco, alla gigantesca piramide indonesiana di Gunung Padang, i cui strati più antichi sono stati datati a 26.000 anni fa, fino ai resti di un enorme complesso urbano rinvenuto in Sud Africa, ai confini con il Mozambico, di un’età stimata addirittura pari a 200.000 anni. Per non parlare degli innumerevoli rinvenimenti sottomarini, dal complesso di Yonaguni nelle acque del Giappone fino ai complessi urbani, con tanto di piramidi e reti stradali, identificati sui fondali dell’oceano Atlantico, dalle Azzorre ai Caraibi.

    In poche parole, oggi gli storici e gli scienziati avrebbero potenzialmente in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter riscrivere i libri di Storia e retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana. Ma ancora non lo fanno, dimostrandosi ottusamente chiusi nei loro paradigmi accademici e cattedratici ed arrampicandosi goffamente sugli specchi pur di negare l’evidenza.

    Mi rendo conto che potrebbe sembrare complottistico, o quantomeno azzardato, affermare che certi ambienti accademici non operino in libertà ed autonomia, ma che siano palesemente eterodiretti e che vi siano forze e poteri, anche e soprattutto di natura politica, economica e finanziaria, che seriamente temono che l’umanità possa venire a conoscenza della sua autentica storia e che, di conseguenza, investono ingentissime risorse nel tentativo di rafforzare o di puntellare un paradigma che è evidentemente ormai logoro e destinato a crollare. Ma la realtà – drammaticamente – è proprio questa, e leggendo questo mio saggio potrete forse acquisirne consapevolezza. Ecco perché occorre che, in ambito storico e archeologico, chiunque abbia compreso determinate dinamiche dia finalmente il proprio contributo all’abbattimento di quel paradigma che ancora ingabbia le istituzioni accademiche, spianando la strada verso una piena riconquista del nostro passato, affinché il futuro dei nostri figli possa essere migliore.

    Uno degli enigmatici monoliti del sito di Göbekli Tepe in Turchia

    LA RISCOPERTA DELLA PRIMA GRANDE CIVILTÀ EUROPEA

    Come sappiamo, la civiltà Minoica, sorta e sviluppatasi sull’isola di Creta e divenuta una delle massime potenze dell’antichità mediterranea, è relativamente da poco tempo tornata a pieno titolo sullo scenario della Storia. Infatti, fino a poco più di un secolo fa essa rimaneva del tutto ancora avvolta nelle nebbie del mito e relegata nelle frange della letteratura classica, in quanto presenza indissolubile e incancellabile, ma al contempo eterea e sfuggente, nella coscienza collettiva del mondo antico, quale inestinguibile memoria di un passato remoto ed eroico. E, come viene evidenziato in un recente saggio di Luca Bombardieri, Giampaolo Graziadio e Anna Margherita Jasink¹², questi suggestivi richiami, questi spettri di un grandioso passato mai del tutto sopito e dimenticato, hanno iniziato a rimaterializzarsi, a prendere nuova vita e a mostrarsi nuovamente al mondo solo in tempi a noi relativamente molto vicini, grazie a straordinarie scoperte come quelle di Troia e Micene, del Palazzo di Cnosso e degli altri grandiosi palazzi cretesi, la decifrazione del Lineare B, e le successive indagini archeologiche in tutto il bacino dell’Egeo, accompagnate da instancabili e illuminanti studi filologici.

    Le ricerche sul mondo egeo antecedente all’età greca ebbero inizio solo nella seconda metà del XIX° secolo, grazie a personaggi che sono ormai passati alla Storia come Heinrich Schliemann e Arthur Evans, considerati i padri fondatori dell’Archeologia egea, ma anche ai loro eredi e continuatori, uomini di valore come Wilhelm Dörpfeld, Christos Tsountas, Federico Halbherr, Alan John Bayard Wace, Carl Blegen, fino ad arrivare a Michael Ventris, che nel 1952 ha identificato in un dialetto greco la lingua che si nascondeva sotto la scrittura denominata Lineare B, e al grande Spyridon Marinatos, padre degli scavi del sito minoico di Akrotiri a Santorini, ucciso in circostanze misteriose a mai chiarite, nel 1974, proprio sull’isola dove stava lavorando. Un delitto che ancora oggi reclama giustizia e che, come mi confidò alcuni anni fa a Firenze la figlia, Nanno Marinatos, anch’essa valente archeologa e autrice di importanti pubblicazioni, si vocifera che sia stato dovuto ad alcune scoperte scomode effettuate dal padre.

    Dobbiamo a Sir Arthur Evans (1851-1941), archeologo britannico, figlio a sua volta dell’archeologo John Evans e conservatore dell’Ashmolean Museum di Oxford, se la civiltà Minoica ha potuto finalmente riemergere dall’oblio. Grande estimatore di Heinrich Schliemann, Evans dette l’avvio agli studi sulla cultura egea e, nonostante che gli archeologi successivi abbiano più volte criticato i suoi metodi e messo in dubbio le sue interpretazioni, il suo ruolo di padre fondatore di questo settore di studio, ancora in crescita e in evoluzione, non è mai stato messo in discussione.

    Grazie alla caparbietà, alla determinazione e all’intuizione di questo grande archeologo, come il mito di Troia anche quello del Labirinto trovò riscontro nella realtà. Iniziando i suoi scavi, sulle tracce delle antiche leggende, sulla collina di Kefala, nel sito cretese di Cnosso, sorpreso ed incredulo si trovò presto di fronte alla più affascinante scoperta archeologica di tutti i tempi. Era il Marzo del 1900 e, dopo appena quindici giorni di scavi, Evans, che ancora non credeva ai suoi occhi, poteva già intravedere

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