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L'ora del delitto
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L'ora del delitto

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Cadaveri, indizi, segreti, indagini, misteri… ed è subito giallo! Chi è il colpevole? Come ha fatto? Per quale motivo? Comincia così, da parte del lettore, una vera e propria caccia seguendo le tracce lasciate dall’assassino. E alla fine, come sempre, ciò che veramente conta è scoprire la verità, bella o brutta che sia. Immergendovi nelle pagine di questa antologia – che raduna un’incredibile squadra di maestri italiani del genere – vi troverete ad affrontare il male nelle sue molteplici sfaccettature, quell’oscurità che germoglia e cresce nell’animo umano quando il destino ci offre su un piatto d’argento arma, movente e occasione propizia. Perché una cosa è certa: siamo tutti potenziali vittime o carnefici, quando scocca l’ora del delitto!
Un’antologia a cura di Luigi Boccia e Nicola Lombardi che raccoglie alcune delle firme più importanti del giallo italiano: Nevio GaleatiEnrico LuceriMassimiliano GiriSabina MarchesiAlessandro MiceliDaniele PisaniFilippo SempliciLia Tomasich e Diego Matteucci.
LanguageItaliano
PublisherWEIRD BOOK
Release dateMar 25, 2021
ISBN9791220283045
L'ora del delitto

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    Book

    L’AMANTE

    Nevio Galeati

    Erano giorni che rinviava: Michele D’Arcangelo, nominato dirigente superiore alla Questura di Milano, non aveva metabolizzato l’idea di dover lasciare quello spicchio di Romagna che lo aveva ospitato per tanti anni. Così, quando vide entrare Anna Pia Lorillo, promossa commissario l’anno precedente, un po’ spettinata e con gli occhi che brillavano, tirò un sospiro di sollievo: era capitato qualcosa, quindi il trasloco poteva aspettare.

    «Dottore…»

    «Lorillo: ancora con ‘sta storia? Dopo tanti anni ci ricaschi e mi dai del lei?»

    «Non è facile cambiare modo di fare, sa?»

    «Lo so, sì. Piuttosto, cos’è successo? Perché qualcosa dev’essere capitato per farti piombare qui.»

    «Un bell’omicidio, ma in un posto ghignoso, come dicono qui in Romagna: la palestra Spartacus Fitness.»

    «Ah, peggio per te, la squadra è tua. Vedi: sto facendo il trasloco…»

    «La smetta, D’Arcangelo, non ne ha voglia neppure un po’ di riempire scatoloni.» Anna Pia Lorillo era rimasta in piedi, in mezzo all’ufficio. «E si vede benissimo. Poi, certo: è soddisfatto della promozione e della destinazione. Ma, se dice che non le va di annusare in giro per capire cosa sia successo, non le credo.»

    «Uff, smettila, hai ragione e lo sai. Dimmi allora, il morto: uomo o donna?»

    «Una trentenne; a quanto pare uccisa dopo che aveva terminato l’allenamento.»

    «Vabbè, hai fatto bene a passare. Ti accompagno: strada facendo racconti quello che sai.»

    C’era troppa gente davanti all’ingresso dell’edificio che ospitava la palestra: curiosi, giornalisti, fotografi. Tenuti a distanza da alcuni poliziotti del reparto antisommossa; erano lì per la loro stazza, non perché si temessero problemi. Il centro sportivo, privato, era grande: piscina, spa, thermarium; sale da fitness e per corsi di quasi ogni disciplina, sale massaggi; bar e ristorante.

    «Ecco qua, il solito teatrino», commentò D’Arcangelo scendendo dall’auto, «che ci fa perdere un sacco di energie. Allora, dicevi che, quando hanno aperto stamattina, era tutto in ordine. Poi il personale delle pulizie ha visto che la porta dei locali di servizio era socchiusa, che c’erano una scopa e un bidone non al loro posto…»

    «… davanti alla stanza riservata al personale, non nello sgabuzzino. Guardi», spiegò Lorillo indicando il corridoio che stavano imboccando, «la zona è quella delimitata.»

    «E vediamo ’sto cadavere…» concluse D’Arcangelo.

    Il corpo era supino, le braccia allargate, la gamba sinistra ripiegata; cadendo aveva trascinato con sé un paio di scope ed era finito contro un carrello per le pulizie, simile a quelli che si vedono negli ospedali. La donna, giovane e con un fisico che molte dovevano aver invidiato, indossava una tuta con i legging corti e le bretelline; braccia e spalle erano nude. Sotto la testa si era allargata una macchia vischiosa, scura: le avevano spaccato il cranio colpendola con qualcosa, forse il piccolo bilanciere ricoperto di materiale sintetico, giallo, che era sul pavimento.

    «Dottoressa, noi abbiamo finito: ho fotografato tutto. Devo solo repertare l’arma del delitto.»

    L’ispettore capo Musumeci, della Scientifica, aveva parlato senza smettere di lavorare; non si era accorto di D’Arcangelo, fermo qualche passo indietro. Quando si voltò rimase come sospeso, per metà ancora in ginocchio e con la bocca aperta.

    «Presunta arma del delitto, Musumeci, presunta: com’è che non impari?»

    «Dottore, sì, ha ragione, ma qui, fra noi… parliamo in libertà. E non ci aspettavamo certo che si spostasse anche lei, per una cosa così. Cioè, no, mi spiego: siamo rispettosi anche con la dottoressa…»

    «Smettila, che peggiori la situazione: stavo scherzando. C’è sangue su quell’affare?»

    Carmine Musumeci fece un sospiro di sollievo, si alzò del tutto in piedi e sfilò i guanti. «Sì. Ma solo quello. A occhio», rispose, «non ci sono impronte.»

    «Pazienza: in ogni caso ce ne sarebbe stata un’esagerazione, perché credo», e Anna Pia Lorillo si guardò attorno, mentre l’attrezzo veniva riposto in un sacchetto di plastica, «lo usino ogni giorno in tanti.»

    «Ci penseremo. Musumeci, fai un bel lavoro come sempre. Adesso vediamo», si intromise D’Arcangelo, «se qualcuno racconta qualcosa. Intanto: chi comanda, qui?»

    Un ispettore della Squadra mobile, di cui D’Arcangelo non ricordava il nome, passò ad Anna Pia Lorillo alcuni fogli.

    «Ecco le informazioni. Grazie Trioschi; e ci trovi un posto dove fare una prima chiacchierata con i possibili testi? Allora», e Lorillo guardò D’Arcangelo prima di iniziare a leggere i documenti che le erano stati consegnati, «l’impianto è gestito da una società a nome collettivo nata cinque anni fa; la direzione dell’attività è affidata a Massimo Gaiani, che è anche socio fondatore. Il dépliant elenca una serie di istruttori che copre una fascia oraria che va dalle sette alle venti. Sarà una roba lunga, D’Arcangelo. Dobbiamo convocare tutti; a partire da Gaiani.»

    «Eccomi: sono il dottor Massimo Gaiani.»

    L’uomo, appena arrivato, tese la mano a D’Arcangelo, ignorando Lorillo. Il questore fece finta di non vedere, si spostò accanto alla collega; che aveva indurito i muscoli della mascella e fatto un passo in avanti.

    «Sono la dottoressa Anna Pia Lorillo e seguo questa indagine; il signor questore è venuto sulla scena del crimine come gesto di cortesia verso la vecchia squadra. Dove possiamo accomodarci per parlare un po’ e cercare di capire cosa sia successo?»

    «Mi perdoni.» Il direttore della palestra abbassò per un istante gli occhi. «Sono scosso: una nostra giovane cliente, assassinata, qui. E nessuno si è accorto di niente…»

    «Avete un servizio di sorveglianza? Telecamere? Allarmi?»

    «Sì, tutto quello che ha detto, ma stanotte non c’è stato alcun allarme di intrusione. Non abbiamo visionato i video di sorveglianza, anche se quest’area, con gli spogliatoi, non è coperta. Abbiamo sistemi di controllo elettronici all’ingresso, registriamo quello che succede nel perimetro esterno. Non in questa zona, come le dicevo: di giorno ci sono istruttori, addetti alle pulizie, colleghi della direzione. Tutto personale di cui mi fido: perché dovrei sorvegliarli?»

    Il direttore aveva superato l’imbarazzo per la gaffe di un istante prima e spiegava le cose senza gesticolare, le braccia conserte, il viso rilassato. Come se stesse presentando un piano di allenamento personalizzato. Non sembrava scosso come aveva detto di essere. Tanto che si mosse come per prendere sottobraccio Lorillo, quando si spostarono dal corridoio verso l’ufficio di direzione, che aveva fatto aprire per consentir loro di parlare con chi volevano, senza essere disturbati. Fermò il gesto a metà, di fronte allo sguardo di D’Arcangelo.

    «Allora, Anna Pia: cos’hai intenzione di fare?»

    Il futuro questore di Milano si era seduto nella poltroncina del direttore, aveva appoggiato i gomiti sulla scrivania e fissava la collega.

    «Le cose semplici, prima di tutto. Verificare chi siano stati gli ultimi a uscire dalla palestra. Perché Gaiani ha detto che controllano chi entra; gli iscritti, e lo ha verificato subito l’ispettore Trioschi, hanno accesso alle sale passando il proprio badge su un lettore ottico. E sono ripresi da una telecamera.»

    «Pensi che non ci siano immagini di chi esce? Che razza di telecamera hanno? È solo a circuito chiuso o scarica i filmati da qualche parte? La gente si vedrà di schiena, d’accordo. Ma confrontando chi è entrato… Di sicuro resetteranno la memoria, periodicamente.»

    «Giusto. Si tratta di capire ogni quanto. Faccio controllare.»

    «Dottoressa…» Era Trioschi. «Ho le prime informazioni sulla ragazza. Posso? E, qui fuori, c’è un istruttore che, dice, ha qualcosa da raccontare.»

    «Prima tu, dai.»

    «Ecco, niente di che: Stranieri Caterina, trent’anni appena compiuti; ha un negozio di bigiotteria di lusso, oggetti di sua creazione, fatti a mano. Nubile, in città non ha parenti: è nata a Bologna. È iscritta da un anno e mezzo… scusi dottoressa: era iscritta. Seguiva lezioni di pilates due volte alla settimana. Pare fosse molto riservata. Non abbiamo altro.»

    «Va bene così, per ora. Cerca genitori, fratelli o qualsiasi altro parente, a Bologna. Mandiamo qualcuno a casa sua. Poi chiedi al direttore i file delle registrazioni degli ingressi; e fatti preparare l’elenco degli iscritti.»

    Michele D’Arcangelo guardava le vetrinette pieni di gadget, borse, accappatoi e tute con il marchio della palestra; foto di ospiti illustri. Interruppe Lorillo senza voltarsi.

    «Anna Pia, servirà la collaborazione di qualcuno, per mettere insieme nomi e volti…»

    «Vero. Trioschi, scusa: recupera anche il direttore, quando hai quel file. Adesso fai entrare l’istruttore.»

    L’uomo che si affacciò alla porta, con un sorriso timido, aveva un fisico asciutto e slanciato. Arrivò davanti alla scrivania come se camminasse senza spostare l’aria, quasi pattinando. Tese la mano ad Anna Pia Lorillo, che era in piedi, accanto a D’Arcangelo.

    «Lei è?…»

    «Fabrizio, personal trainer di ginnastica posturale e pilates. Lavoro qui, alla Spartacus da quando è stata aperta.»

    «E cos’ha da raccontarci, Fabrizio… di cognome?»

    «Scusi dottoressa: Siniscalchi; sono abituato a usare solo il nome di battesimo, con le clienti.»

    D’Arcangelo sorrise. Il ragazzo si era mosso con il piede giusto, fingendo di scambiare Anna Pia Lorillo per un’allieva.

    «Sì, ecco: l’altro pomeriggio», proseguì, «ho assistito a un brutto litigio fra la povera Caterina e la signora Parenti. Sì, la padrona della palestra, moglie del direttore. Strillavano proprio, tutte e due: mi ero visto di intervenire. Poi si sono calmate e anche nei giorni seguenti è andato tutto liscio. Quando stamattina Massimo mi ha chiamato per dirmi della tragedia, la cosa mi è tornata in mente…»

    «E perché? Strillavano dicendo cosa, Fabrizio?»

    «Ah, la signora Parenti ha offeso di brutto Caterina, ha detto che era una troia e che se si fosse avvicinata di nuovo a Massimo le avrebbe spaccato la testa. Caterina ha risposto per le rime; ha urlato: Se c’hai le corna è perché sei frigida! La signora è diventata rossa, in viso, nel collo, ha iniziato a balbettare. Mi pare abbia detto: Ripetilo e ti ammazzo. A quel punto mi sono fatto vedere e ho chiesto cosa stesse succedendo; hanno smesso di sbraitare e si sono separate. Caterina negli spogliatoi, la signora in ufficio. Ecco, non so se…»

    D’Arcangelo non ce la fece a restare in silenzio. «Oh, non sa se, cosa, Siniscalchi? Si rende conto della gravità di quanto ha affermato? La signora Parenti avrebbe detto a Caterina Stranieri: ti ammazzo. Stanotte qualcuno ha fatto fuori la ragazza. È chiaro cosa intendo?»

    Qualcuno bussò alla porta: era ancora Trioschi, affannato. «Dottoressa: è arrivato il sostituto procuratore. È Giangiacomo Raumer: si è fermato a parlare con il direttore.»

    «Stiamo freschi. Anna Pia, scusa.» D’Arcangelo si alzò dalla poltroncina, sistemò la cravatta e passò le mani sui pantaloni. «È meglio che me ne vada. Dagli in pasto, se vuoi, questa dichiarazione, così penserà di aver chiuso il caso prima ancora di aprirlo. Poi mi dici com’è andata: non mi piacciono le soluzioni semplici, anche se esistono. Ah, mi faccio accompagnare da uno dei tuoi, d’accordo?»

    Anna Pia Lorillo annuì; e si preparò ad accogliere il pm più scorbutico della Procura. Michele D’Arcangelo attraversò l’atrio della palestra in fretta, per non farsi vedere dal magistrato.

    Commissaria, commissario: non le importava molto come la chiamassero. Tanto doveva correre nello stesso modo. Così, mentre i tecnici della scientifica si erano messi a controllare i file della video sorveglianza insieme a Massimo Gaiani, mezz’ora dopo aver parlato con il sostituto procuratore, Anna Pia Lorillo era di fronte a Tiziana Parenti. Nonostante quello che era successo la moglie del direttore non si era ancora vista al centro sportivo; per questo erano lì, a casa sua: una villa bassa, nascosta fra alberi e siepi di bosso. Quando aveva aperto la porta indossava un completo con giacca e pantaloni, senza camicia; ai piedi aveva décolleté con tacco basso; sembrava pronta per un consiglio d’amministrazione. Fu in quel momento che Trioschi, sempre al suo fianco, la presentò chiamandola commissaria.

    «Immaginavo sareste arrivati. Volete accomodarvi?» disse la donna spalancando la porta e facendosi di lato: l’atrio dietro di lei era luminoso e ampio.

    «In realtà», disse Lorillo stringendole la mano, «siamo qui per invitarla a presentarsi dal sostituto procuratore Raumer, nel suo ufficio, per quello che è successo allo Spartacus Fitness.

    «Quando, adesso?»

    «Appena può, signora…»

    «Devo preoccuparmi? Chiamo un avvocato?»

    «Perché mai? Il centro sportivo è suo, credo sia naturale che il magistrato voglia parlare con lei, non trova? E possiamo accompagnarla noi.»

    La donna annuì, attraversò l’atrio e sparì per qualche istante, per tornare con borsetta e occhiali da sole; chiuse a chiave la porta e attivò l’allarme della casa digitando un codice sul cellulare. Durante il tragitto fino a Palazzo di giustizia rimase in silenzio, del tutto tranquilla.

    Una sicurezza che sembrò vacillare quando entrarono nel grande edificio dai muri grigi passando dal cancello riservato ai magistrati; e quando salirono al piano che ospitava i sostituti procuratori, su un ascensore silenzioso e poco illuminato. L’ispettore sedette su una panca in plastica, nel corridoio; Lorillo entrò nello studio di Giangiacomo Raumer precedendo di un passo Tiziana Parenti.

    «Signora, si accomodi.» Il pm si era alzato in piedi, cosa per lui non usuale. «Sono il sostituto procuratore che segue l’indagine sulla morte di una cliente della sua palestra, tale Stranieri Caterina. La informo che si tratta di un atto preliminare: le chiederò alcune informazioni come persona informata sui fatti. Commissaria, si accomodi anche lei, prego.»

    «Sono a disposizione, dottore: conoscevo Caterina, aveva un abbonamento annuale da noi.»

    «Ecco, bene. Fra le prime notizie sommarie, raccolte dalla polizia giudiziaria dopo il rinvenimento del corpo, c’è una dichiarazione a proposito di un evento di qualche giorno fa; ci hanno riferito di un diverbio fra lei e la deceduta, con offese reciproche. In quell’occasione lei avrebbe minacciato la signorina Stranieri.» Raumer chinò appena il capo su un foglio che aveva sfilato da una cartellina. «Addirittura le avrebbe detto una cosa tipo Ti spacco la testa. È vero?»

    «Può essere che abbia usato quell’espressione, ero molto arrabbiata: avevo il sospetto che la Stranieri si portasse a letto mio marito, che scopassero anche in palestra, e non potevo far finta di niente. Non sono una di quelle donne belle, brave e buone. Poi quando lei ha chiamato me frigida, ho perso un po’ di lucidità. Non avrei mai pensato di strillare come una pescivendola in mezzo alla mia palestra; anche se c’era poca gente…»

    «Poca, sì; ma qualcuno vi ha sentito strillare.»

    «Ah, quel lumacone di Fabrizio! Ci prova con tutte.»

    «Ma quello che ci è stato riferito corrisponde al vero?»

    «Non so se ho detto una frase del genere, il senso però era quello.»

    La donna rimase un istante immobile, con la bocca semiaperta e gli occhi appena dilatati. Respirò a fondo e posò le mani sui braccioli della seggiola.

    «Lei sta pensando che da quel litigio sia passata ai fatti e ieri abbia ucciso Caterina? Secondo lei, io sospetto di essere stata tradita e ammazzo l’amante di mio marito, invece di rovinare la vita a lui? Accidenti, non mi conosce! Forse non conosce le donne in genere.»

    Il viso di Raumer si rabbuiò, dando la sensazione che potesse replicare. Fu un istante, un lampo negli occhi; che tornarono subito sornioni.

    «È possibile che lei abbia ragione. All’inizio di un’indagine è indispensabile verificare ogni ipotesi. Quindi, pazienti ancora un momento: dov’era ieri? Pomeriggio e sera intendo.

    «E ora passiamo all’alibi, giusto? Mi perdoni», disse poi Tiziana Parenti alzando le mani con i palmi rivolti

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