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Darrienia
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Ebook1,141 pages17 hours

Darrienia

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Si dice che il passato ritorni sempre a tormentarci, eppure alcuni passati dimenticati sussurrano nomi e hanno debiti da riscuotere.

Curiosità pericolose risvegliano un'oscurità nascosta che attende pazientemente di prendere il controllo. Il labile confine tra sogno e realtà è in pericolo e gli eletti devono affrontare il male che si cela dietro l'imminente disastro.

Ma in agguato nell'ombra, a guidare la loro mano, c'è la vera minaccia e un piano segreto... 

Gli aspiranti eroi riusciranno a scoprire la verità in tempo o non diverranno altro che pedine del male?

LanguageItaliano
PublisherNext Chapter
Release dateMar 18, 2021
ISBN9781071593011
Darrienia

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    Book preview

    Darrienia - KJ Simmill

    Capitolo Primo

    Il passato

    Nella sua vita, Elly aveva fatto molte cose, sia banali che straordinarie, ma aiutare Marise, la sadica assassina che aveva addestrato, ad andarsene era stata la cosa più soddisfacente che avesse fatto da secoli.

    Fuggire senza essere viste dalla villa di Blackwood non era stato un compito da poco, soprattutto dato il livello di sicurezza che manteneva. Le sue guardie erano una cosa che non aveva mai capito. Erano ben addestrate, leali, vigili e non necessarie. Uno spreco di risorse che avrebbero potuto essere meglio impiegate altrove.

    La sua dimora si trovava in un'area nascosta oltre un anello di vulcani noto come Approdo della Fenice. Un luogo noto solo a coloro che vivevano e morivano lì e, ovviamente, ai dipendenti delle Corti del Crepuscolo, che a Blackwood piaceva pensare di controllare. Tuttavia, nonostante la superba sicurezza, per Elly, era stata una semplice operazione minore. Dopotutto, aveva viaggiato non solo con persone dalle capacità che quel mondo non aveva mai conosciuto, ma anche con coloro che, in quel periodo, erano ricordati come eroi.

    Attendeva con impazienza il giorno della sua riunione con Marise. Avrebbe segnato l'inizio della loro più grande avventura. Combatteva con la curiosità che la spingeva a scoprire come si fosse sistemata nella sua nuova vita, per vedere se il graduale processo di risveglio era stato completato. Ma, fino a quando non fosse arrivato il momento, sarebbe stato troppo pericoloso. Blackwood continuava a sorvegliarla attentamente in cerca di eventuali segni che si fosse messa in contatto. Per il momento avrebbe dovuto aspettare. Anche quando si sarebbero incontrate, tutto sarebbe dipeso dal fatto che Marise la perdonasse per averla rinchiusa nell'oscurità. Marise doveva restare nascosta affinché le cose tornassero come erano prima che lei esistesse, altrimenti ciò che doveva accadere non sarebbe mai potuto accadere.

    Il momento della loro riunione si avvicinava sempre di più. Presto il loro viaggio sarebbe iniziato e le genti del mondo avrebbero imparato qual era il loro vero posto. Elly si guardò obiettivamente mentre si legava i lunghi capelli in una crocchia. I suoi capelli erano di gran lunga la caratteristica più sorprendente. Anche in quel momento, mentre controllava che non ci fossero imperfezioni, il suo sguardo fu attratto dal loro vivido colore blu; una sfumatura rimasta a costante ricordo dell'antica punizione che aveva ricevuto. Vi si era abituata nel tempo ma lo stesso non si poteva dire per chi la guardava.

    Anche mentre studiava sé stessa in modo critico all'interno della superficie dello specchio, sapeva che Blackwood stava finalmente agendo. L'idea - che era stata suggerita dalla fonte giusta - era finalmente sbocciata nella sua debole mente; era una soluzione così ovvia che non riusciva a capire perché non ci avesse pensato prima. In quel momento di ispirazione, aveva mandato una guardia a chiamarla. Una guardia che sarebbe arrivata da un momento all'altro. All'improvviso si era riempito di ottimismo. Proprio quando stava per abbandonare ogni speranza di trovarla, l'idea si era finalmente concretizzata. Sebbene ci fosse voluto più tempo del previsto.

    Era pronta a partire da giorni. Si era aspettava che lui arrivasse alla conclusione molto prima, ma a volte poteva essere un po' lento. La sottigliezza non era una cosa che capiva bene.

    Sapeva che, mentre aspettava che il messaggero raggiungesse la sua camera, la necessità di portare pazienza era quasi finita; e come faceva a sapere che la guardia stava venendo da lei? Era semplice, sapeva tutto.

    Lord Blackwood ha richiesto la vostra presenza immediatamente! La guardia abbaiò l'ordine, spalancando la porta senza nemmeno bussare. Vedendo il suo sguardo arrabbiato, si ritirasse leggermente. A nessuna delle guardie piaceva rivolgersi alla figlia di Blackwood. Se gli fosse stato chiesto perché, avrebbero potuto azzardare che fossero i suoi capelli innaturali, o i suoi strani occhi viola sfumati. Più probabile, tuttavia, era che i loro antichi istinti riconoscessero che non sembrasse del tutto umana. Nonostante quella paura, avevano anche del rispetto per lei. Li aveva sempre difesi quando si verificava un diverbio. Alcuni di loro le dovevano la vita, anche se non se ne rendevano conto.

    Per favore, perdonate l'intrusione, aggiunse, notando l'inconfondibile fastidio. Era nuovo. Gli avrebbe perdonato quell'errore solo una volta. Aveva sempre concesso alle reclute il tempo di imparare il proprio posto.

    Molto bene, informalo che sto arrivando. Un leggero sorriso le sfiorò le labbra mentre perfezionava il proprio aspetto. Finalmente era arrivato il momento.

    Non perse tempo nel raggiungere la sala delle udienze di Blackwood. Era una stanza semplice che si affacciava sui pendii delle montagne e dei vulcani in lontananza. Per dare l'impressione di una grande conoscenza a chiunque gli sarebbe stato davanti, la stanza era stata rivestita di scaffali pieni di testi comuni e rari, nessuno dei quali aveva nemmeno mai guardato. Per coloro al di fuori del suo piccolo feudo, c'era una sola ragione per cui una persona sarebbe stata invitata in quella dimora nascosta, il loro tempo e la loro utilità erano scaduti. Nascosti in quella stanza c'erano numerosi angoli e passaggi che potevano essere usati come mezzo di fuga rapida o, come più spesso accadeva, per consentire alla sua assassina di osservare attentamente il prossimo obiettivo.

    Sebbene Elly fosse stata consapevole della sua destinazione, era rimasta sorpresa che non avesse richiesto quell'udienza nella sua sala del trono. Una stanza che gli dava l'illusione dei poteri che pensava di essere destinato a possedere. Entrando, gli offrì un rapido sorriso. Sedeva al solito posto dietro una scrivania di legno, al momento disseminata di varie carte che, dato il loro contenuto di scienze avanzate, sembravano essere molto al di sopra del suo livello di comprensione.

    Mi avete convocata, mio signore? Fece un inchino poco convinto mentre si avvicinava. Più che altro era un'azione per soddisfare il suo ego. Per il momento era fondamentale che continuasse a credere che lei fosse una delle sue fedeli dipendenti. Con il tempo sembrava che lui avesse dimenticato la vera ragione per cui lei fosse lì e, per il momento, non aveva voglia di ricordarglielo.

    Elaineor. Manifestò di essersi accorto della sua presenza prima di tornare al silenzio che aveva riempito l'aria prima del suo arrivo.

    Aspettò pazientemente. Fu travolta dall’ansia all’aspettativa di ciò che sarebbe seguito. Il pensiero del suo ricongiungimento con Marise le riempì la mente mentre si augurava che lui dicesse le parole che desiderava sentire.

    Alla fine, parlò di nuovo. Mi manca, sapete. Ho provato quasi di tutto per trovarla, ma ogni sforzo è stato vano. Mentre il silenzio scendeva ancora una volta, si ritrovò a chiedersi esattamente quanto tempo ci sarebbe voluto. Stavo pensando, sicuramente qualcuno deve sapere dove si trova, poi mi è venuto in mente, voi.

    Io, mio signore? Sentì il cuore battere contro la cassa toracica. Era così forte che avrebbe giurato che lui potesse sentirlo. Una parte di lei temeva che lui avesse scoperto la verità, forse anche come e dove avesse nascosto la sua assassina. Era possibile che l'idea lo avesse portato a scoprire cosa fosse realmente accaduto? Si impose la calma. Si parlava di Blackwood. Non era affatto uno sciocco ma aveva un grande talento nel trascurare l'ovvio. Sebbene fosse agitata da un tumulto interiore, non c'era alcun segno che tradisse tali emozioni. Era un'esperta nel recitare la parte che le persone si aspettavano. Nessuno poteva vivere la vita che aveva vissuto lei senza diventare un maestro della segretezza e dell'inganno.

    Sì, dopotutto le eravate molto vicina. Vi parlava in modi che nessuno di noi ha mai conosciuto. Credo che, se ne aveste la possibilità, potreste trovarla, dopotutto, si fermò ancora una volta come per considerare attentamente la frase successiva, Eravate più che insegnante e allieva, no? Mi preoccupo, Elaineor. Cosa potrebbe essere successo, potrebbe essere stata sconfitta, ferita e non poter tornare? Ne dubito. Penso che sia qualcos'altro. Avete notato dei cambiamenti in lei prima che se ne andasse. Penso che qualunque cosa le sia accaduta le stia impedendo di tornare a casa, di tornare da me.

    Allora cosa avete in mente, mio signore? Sapete che, come chiunque altro, desidero rivederla. Elly sospirò. Aveva detto la verità, solo Marise apprezzava veramente le sue capacità. Era una delle poche persone degne di viaggiare al suo fianco. Durante la sua assenza si era sentita così sottovalutata, così annoiata.

    Ecco perché voglio che la troviate.

    Io, mio signore? Era una recita di sorpresa che avrebbe fatto implorare molti teatri itineranti per le sue capacità, esattamente i giusti livelli di shock ed eccitazione che si mescolavano mentre si portava le mani al petto per la sorpresa.

    Beh, avevate una connessione speciale. Non sono sicuro del motivo per cui non ci ho pensato prima .

    Molto bene, mio signore, partirò immediatamente. Aveva la mano quasi sulla porta quando la sua voce la fermò. Non si voltò a guardarlo mentre parlava, per paura che lui vedesse la sua impazienza.

    Riportatela indietro, Elaineor. Sebbene basse e quasi silenziose, le sue parole erano piene di avvertimento. Non vista, Elly sorrise. C'erano poche cose che potevano intimidirla, e di certo lui non era una di quelle.

    Con quell'avvertimento se ne andò. Blackwood rimase seduto per un momento come per assicurarsi che la persona che era pubblicamente conosciuta come sua figlia, se ne fosse veramente andata. Fu solo una breve pausa, che rifletteva la sua impazienza. Se lei fosse rimasta fuori anche solo per pochi secondi, lo avrebbe sentito parlare nella stanza apparentemente vuota. Eiji, sai qual è il tuo compito? Un piccolo pannello di legno si aprì nella stanza per permettere a un giovane di emergere. I suoi capelli biondi erano arruffati, spettinati, come se la mano abbronzata li avesse attraversati ansiosamente molte volte, nello stesso modo nervoso con cui lo faceva in quel momento.

    Aveva un’aria stanca. Il sonno lo aveva eluso negli ultimi giorni, portato con la forza in quel luogo sconosciuto, legato e bendato. I suoi pantaloni di pelle marrone erano sgualciti dal viaggio tutt'altro che ospitale, e alla sua camicia di lino non era andata meglio, mostrava chiari segni del maltrattamento che aveva subito durante il lungo viaggio. Anche se avesse cercato di scappare, sapeva che non avrebbe mai trovato la strada di casa. C'erano stati troppe svolte e cambi di direzione durante il viaggio. A volte sembrava quasi che tornassero indietro solo per ingannare la sua bussola interiore.

    Vista la situazione, se si fossero semplicemente presentati da lui, li avrebbe accompagnati volentieri. Non avrebbe avuto scelta. Invece era stato colpito alle spalle, trascinato nel retro di un carro angusto, e lasciato a interrogarsi sul proprio destino. L'unico avvertimento era stato che, se avesse provato a fare qualcosa, delle persone sarebbero morte.

    Guardò la figura che sedeva davanti a sé. Era conosciuto come Lord Blackwood e, per il bene del suo maestro, Eiji non aveva altra scelta che seguire le richieste di quel signore corrotto.

    Sì, Lord Blackwood, affermò un po' a malincuore. A differenza di Elly, lui non si inchinava, la sua morale non lo permetteva.

    Manderai un messaggio a Ponte del Cavaliere nell'istante in cui troverà la ragazza. Blackwood era stato molto attento a non rivelare nella sua conversazione chi era che Elly avrebbe dovuto cercare. Affinché il suo piano funzionasse, il giovane Elementalista doveva credere di non essere in pericolo. Tuttavia, non appena fosse stato stabilito un contatto con Marise, sarebbero state prese le misure appropriate per zittirlo.

    E il mio maestro, posso vederlo? Chiese Eiji nervosamente. Non aveva altra scelta che aiutare quell'uomo. Almeno sembrava un compito semplice, la conferma che la guerriera fosse stata individuata in cambio della vita del suo maestro.

    Siamo agli inizi e la tua lealtà è incerta, ma ti prometto che non gli verrà arrecato alcun danno da nessuno dei miei uomini mentre fai ciò che ti viene chiesto. Adesso vattene. Quando Blackwood fece schioccare le dita, la guardia di stanza fuori entrò, mise un sacco sulla testa di Eiji e lo scortò via in un modo dolorosamente familiare. Dovevano lasciarlo nelle zone esterne delle grotte vulcaniche. Blackwood sapeva che non importava dove l'avventura di Elly l'avesse portata, anche con la capacità di viaggiare attraverso Collateral, non aveva altra scelta che passare attraverso il labirinto sotto L'Approdo della Fenice. Era lì che la sua piccola spia avrebbe individuato la pista.

    ***

    Emerse dalla foresta, correndo veloce quanto le sue gambe stanche le permettevano. Si spingeva in avanti, nonostante la fatica, come se la sua vita dipendesse da quello. Aveva ragione, era così. Si guardò intorno disperatamente alla ricerca di qualcuno, chiunque, che potesse venire in suo aiuto. Ma sapeva che le possibilità di trovare qualcuno erano scarse. Quell'isola non possedeva che una sola città, e la sua posizione le sfuggiva. Non osava gridare. Le uniche persone che ne avrebbero tratto beneficio sarebbero state quelle che la inseguivano.

    I suoi capelli scuri arruffati erano pieni di rimasugli della foresta da cui era fuggita pochi istanti prima. Il davanti del suo maglione stretto e finemente lavorato era incrostato di terriccio e i suoi pantaloni di pelle erano strappati da quando era stata aggredita la prima volta.

    Sapeva che c'erano guai in agguato sulla barca, ma non si era aspettata che i loro pregiudizi arrivassero a tanto. Avevano sentito lo scopo del suo pellegrinaggio quando aveva parlato con il comandante al porto di Albeth, mentre gli chiedeva il permesso di lavorare per pagarsi il viaggio. Era quasi certa che l'unico motivo per cui erano saliti a bordo fosse stato per seguirla. L'avevano messa a disagio per tutto il viaggio. Aveva sperato che finisse quando la barca fosse attraccata e, per un po', era successo.

    Non li aveva visti darle la caccia dall'ombra, fino a quando il sentiero isolato non l'aveva resa il bersaglio perfetto. Aveva lavorato nel piccolo bar della barca come cameriera per pagare il passaggio. Lo scopo del pellegrinaggio era di viaggiare sulle orme della sacerdotessa Cassandra. Era un viaggio che il tempio aveva insistito che facesse, se avesse voluto unirsi a loro. Era un rito normalmente richiesto solo come viaggio finale della succeditrice dell'attuale grande sacerdotessa, e lei non era certamente quello. A causa del tradimento di suo padre, anche il tempio si era rifiutato di addestrarla a meno che non avesse completato quell'antico rito. Poiché era stata così ansiosa di dimostrare che si sbagliavano, di dimostrare che poteva realizzare qualcosa di più di quanto le consentisse il nome della sua famiglia, stava per morire.

    Lottando per liberarsi dalle loro prese ubriache, era fuggita nella foresta, sperando di disperderli ma nella macchia avevano guadagnato terreno. Non le era stata lasciata altra scelta che fuggire in campo aperto e nessuna alternativa se non quella di affidare il proprio destino alle mani degli Dei. Anche se sembrava che l'avessero abbandonata.

    Si guardò alle spalle, il panico le riempì gli occhi mentre le lacrime le rigavano il viso infangato. Gli ululati di coloro che la inseguivano creavano in lei ondate di paura causandole debolezza negli arti ardenti. Adesso erano più vicini. I suoi movimenti barcollanti, mentre trascinava un piede davanti all'altro, permettevano loro di ridurre rapidamente la distanza. Non poteva più farlo. Era così stanca, così esausta. Nonostante la voglia di vivere, il desiderio di continuare ad andare avanti, le gambe non riuscivano più a reggere il suo peso. La sua unica speranza era trovare un rifugio sicuro, una città, un viaggiatore o solo un qualche riparo in cui nascondersi, ma sembrava che i Fati fossero contro di lei. Il suo sguardo terrorizzato non incontrò nient'altro che la prateria deserta, con occasionali arbusti e cespugli sparsi per l'aperta pianura.

    Le sue dita artigliarono freneticamente il terreno quando vide i raggi del sole mattutino scintillare su un frammento di metallo nascosto sotto una piccola macchia di arbusti. Sembrava che le facesse segno dalla base dell'arbusto in decomposizione mentre la luce del sole danzava su di esso. Pregò che fosse un'arma, qualcosa che potesse usare per difendersi. Le unghie, già rotte e insanguinate, artigliarono freneticamente il terreno mentre cercava di spingersi verso la speranza di salvezza. Scavò più forte, giurando di aver sentito qualcos'altro, un sussurro nel vento che la chiamava, eppure, nonostante il suo rapido guardarsi attorno, non riusciva a localizzarne la fonte.

    Per un momento, le cose sembrarono muoversi al rallentatore. Udì i richiami provocatori dei suoi inseguitori che uscivano dalla foresta. Le sue dita sfiorarono l'oggetto metallico portato alla luce mentre lo tirava via.

    Per favore, fa' che sia un'arma, pregò ad alta voce. Eppure, ancora una volta il destino le aveva giocato un brutto tiro. Nella sua stretta non teneva un pugnale ma un antico ciondolo, un talismano di epoche passate. Gridò di paura e frustrazione quando le fu strappata la sua ultima speranza di salvezza.

    Non aveva tempo per ammirare l’intricato disegno, né le importava. In pochi istanti quelli che la inseguivano avrebbero vinto. Anche spinta dall'adrenalina della sua stessa paura, non poteva fare altro per sfuggire agli instancabili mostri che la inseguivano.

    'Svegliati.' Sentì di nuovo lo strano sussurro. Stavolta era più forte. Il suo tono rilassato la riempì di una calma dissociazione mentre osservava le figure che si avvicinavano concentrare il loro sguardo su di lei.

    Un'esplosione di luce la circondò, una forza che sembrava irradiare dal talismano stesso. Qualcosa sembrò avvolgerla in una foschia nebbiosa e cominciò a sorgere in lei una nuova speranza. Forse quel ciondolo era lo strumento della sua salvezza, dopotutto. Sentì la propria energia rinnovarsi, solo per ritrovarsi a guardare il proprio corpo dall'alto in basso. Sebbene la morte fosse davvero una misericordia, non era la salvezza in cui aveva sperato. Il talismano rimase stretto nella sua mano senza vita. Per un istante, mentre si guardava, le parve di vedere il proprio corpo muoversi. Non che importasse, gli uomini le erano quasi addosso, e Ade le aveva mandato una scorta. Prese la mano di sua madre e si allontanò attraverso i cancelli verso il mondo sotterraneo.

    Gli occhi di Acha si spalancarono, ogni fibra del suo essere era in allarme. Suo padre l'aveva mandata a chiamare, eppure, prima che potesse raggiungerlo, era stata attaccata. Giaceva ancora a faccia in giù, ma l'area in cui si trovava non era più circondata dalla foresta. Si guardò intorno piena di panico, alla ricerca delle creature che temeva l'avessero attaccata mentre camminava nel dominio delle Fate. Sembrava tutto così insolito.

    Ebbe un momento di lucidità. Una breve pausa in cui tutto sembrò acquisire un senso. Non era stato un mostro a sferrare il colpo che l'aveva spinta sull'orlo della morte. Era stato suo padre. L'aveva convocata, quella che aveva scelto come sacrificio. Ricordava vagamente le parole sbiadite della sua offerta ad Ade mentre il suo mondo veniva immerso nell'oscurità. Suo padre l'aveva usata, ma fino a che punto non lo sapeva ancora.

    Ricordava l'oscurità che l'aveva avvolta nella sua silenziosa paralisi. Una maledizione che non poteva combattere mentre era costretta a cadere nel sonno. Ma attraverso i suoi sogni le erano state fornite le informazioni di cui aveva bisogno. Un mezzo per continuare la sua vita in un tempo così lontano dal proprio.

    Da quando era caduta addormentata, tanto era cambiato eppure in qualche modo, in un modo strano, tanto era rimasto lo stesso. Pochi secondi dopo essere stata in grado di muoversi e sentire di nuovo, la vita del corpo che aveva preso le balenò davanti. Ricordi che rivelavano parte della storia e degli sviluppi accaduti mentre lei dormiva.

    Sapeva che ormai erano passati quasi 1300 anni da quando suo padre l'aveva uccisa. Era stata una sciocca a non prendere più seriamente il suo dilettarsi nella magia. Guardandosi indietro, poteva vedere chiaramente che gli strumenti che usava erano per un'ambizione più alta che diventare il prossimo Sciamano.

    La città che una volta aveva chiamato casa adesso era meno che polvere. Il passare degli anni aveva chiesto un pesante tributo. Sebbene fosse passato molto tempo, i villaggi non erano molto diversi da quelli che aveva conosciuto. La proprietaria di quel corpo aveva viaggiato molto. C'erano più insediamenti che ai suoi tempi ma il mondo aveva anche perso parte del suo antico splendore. Gli eventi della vita della giovane donna balenarono nella mente di Acha a un ritmo disorientante. Acha non poteva fare altro che guardare e stupirsi.

    Ogni paese possedeva ancora i vecchi sentieri sterrati che venivano creati dai passi di chi li percorreva. Le foreste, sebbene più piccole, brillavano ancora di magia ma la forza che sosteneva un tale splendore si era notevolmente indebolita. Le case a un piano erano ancora costruite in legno o mattoni, qualunque fosse il materiale in abbondanza nell'area dell'insediamento, ma sembravano più stabili ora che ai suoi tempi.

    La persona di cui aveva preso il posto aveva trascorso molto tempo all'interno di una città, dove coloro che l'avevano costruita avevano in qualche modo bilanciato uno o anche due edifici uno sopra l'altro. Aveva notato, attraverso quei ricordi, l'emergere di una nuova sostanza. Copriva alcune delle vecchie tracce di terra battuta, come se fosse stata posta a terra una solida pietra ininterrotta. Aveva anche notato che era apparso in alcune case come pavimento invece del comune legno.

    Lungo i sentieri della città, alti oggetti di legno torreggiavano a intervalli regolari. Di notte si accendevano mentre i cilindri di pietra alla loro sommità venivano riempiti di olio e incendiati per illuminare le strade con la potenza di centinaia di candele. Sembrava che quello stile di illuminazione si fosse fatto strada all'interno su scala minore. Le case avevano versioni più piccole che pendevano dai soffitti. Quelli, tuttavia, contenevano un piccolo coperchio, che usavano per spegnere la fiamma. Avevano anche fatto lampade di vetro; si basavano su un principio simile in quanto il panno assorbiva il fluido che era immagazzinato in un bulbo sottostante e bruciava per creare luce portatile. Era incredibile, tutta quella nuova tecnologia, eppure con poco del cambiamento esterno che si era aspettata di trovare quando aveva visto frammenti spezzati di quel mondo attraverso i propri sogni.

    Ora consapevole degli eventi che erano accaduti mentre lei dormiva - e avendo conservato la conoscenza della vita di quella persona - si sentiva pronta ad affrontare quello strano nuovo tempo. Quel tempo era il suo, adesso. La sua casa, la sua famiglia, persino la sua storia, non erano altro che una storia. Il destino le aveva trovato una forza vitale da sostituire, ma allo stesso tempo temeva che il suo destino avrebbe comunque rispettato quello pianificato per la vita che aveva preso.

    Sapeva che era stato predeterminato che avrebbe preso il controllo della vita di quel corpo, ma era ancora impotente come quello che era morto cercando di sfuggire ai suoi aggressori. I suoi muscoli dolevano, la sua pelle pulsava e muoversi era quasi impossibile. Ma non poteva essere il suo destino restare stesa lì, morire come avrebbe fatto la proprietaria del corpo. Doveva pensare a qualcosa, e velocemente. Quella giovane sarebbe dovuta morire, quindi sapeva che era meglio non aspettarsi l'arrivo di un salvatore.

    Gli inseguitori le erano alle costole. Il loro alito fetido puzzava delle enormi quantità di alcol che avevano consumato. La puzza di sudore riempiva l'aria, soffocandola con la stessa pesantezza del vuoto che l'aveva imprigionata in precedenza. I suoi occhi nuotavano nell'oscurità mentre il suo corpo affaticato iniziava a morire. Non vide mai la faccia del suo aggressore. Sentì solo le mani ruvide sulla sua pelle mentre sollevava il suo corpo molle in piedi. Cercò di lottare, di combattere, ma tutto il suo corpo sembrava così pesante.

    Un grido angosciante riempì l'aria. All'inizio pensava che fosse suo, ma poi le cose sono divennero un po' più chiare. Un po' di stanchezza si era placata. Le urla erano quelle di un uomo, quello che l'aveva afferrata. Ululò come se il suo tocco bruciasse. Le tornò un frammento di resistenza con cui lottò debolmente per respingerlo. Immagini le passarono per la mente. Scene non familiari, immagini che non riusciva a distinguere del tutto. Le strane immagini le passarono per la mente così velocemente che non riuscì a distinguerle l'una dall'altra, fino a quella finale. Vide una mano allungarsi per afferrarla, e poi finì tutto.

    Le sue mani ricaddero e il peso del corpo che cadeva li tirò giù entrambi. Si chiese se quella strana forza potesse essere l'ennesimo effetto collaterale dell'incantesimo incompleto di suo padre, o se i Fati fossero intervenuti per assicurarsi che potesse realizzare qualunque scopo avessero scelto per lei.

    Cosa gli hai fatto? Un altro uomo si fece avanti solo per essere fermato quando il terzo aggressore allungò il braccio, bloccandolo. Se avesse potuto vedere attraverso gli sciami danzanti di oscurità, avrebbe notato le due figure che la guardavano con orrore, paralizzate. Si alzò lentamente in piedi nel tentativo di difendersi, consapevole che, qualora avessero continuato il loro assalto, sarebbe rimasta indifesa. Ma il fatto che si fosse alzata sembrò scoraggiarli per il momento. Stare in piedi era doloroso. Le sue gambe tremavano mentre si sforzavano di sostenerla e ci volle un grande sforzo per rimanere in piedi. Bloccò le ginocchia per sembrare più stabile, sapendo che era meglio non mostrare debolezza.

    Non hai visto? sussurrò uno degli aggressori. Il panico sembrava inondare l'aria intorno a loro mentre quello che aveva parlato faceva un piccolo passo indietro, il braccio teso che costringeva il suo compagno a fare lo stesso. Lo ha ucciso! La strega non l'ha nemmeno toccato! Usciamo di qui!

    Sentì i loro passi svanire rapidamente in lontananza, ma l'oscurità, danzando davanti ai suoi occhi, le rendeva la vista impossibile quasi quanto stare in piedi. Emise un lieve gemito quando le gambe crollarono sotto di lei. Le macchie scure nel suo campo visivo nuotarono e si ingrandirono finché non sentì le morbide braccia della terra sostenere il suo peso. Si sarebbe riposata, solo un po'.

    ***

    Zo! Il puro panico nella voce di Daniel l'aveva spaventata. Era in un mondo tutto suo mentre si prendeva cura del piccolo orto che Angela, la madre di Daniel, usava per coltivare medicinali. Zo, Zo, chiamò di nuovo. La voce echeggiò tra gli alberi che circondavano la casa. L'urgenza nel tono era un'enfasi della sua angoscia. Quando la vide, lei si stava già precipitando nella direzione indicata della sua voce, il trapiantatoio ancora stretto tra le mani infangate. L'espressione sul suo viso rifletteva la sua disperazione. Papà... ha trovato... bisogno... ansimò, incapace di creare una frase coerente attraverso le grandi boccate d'aria. Era piuttosto lontano dalla città in cui viveva lui alla piccola capanna, soprattutto quando sembrava che il tempo fosse essenziale.

    La città di Crowley, situata su un'isola con lo stesso nome, distava una trentina di minuti a piedi da dove viveva Zo. Era una piccola isola che consisteva in alcune rovine, un porto senza equipaggio, un santuario e un tempio, la maggior parte dei quali si trovavano lontani dalla città quasi centrale. Era un'isola dove si conoscevano tutti. Una comunità in cui tutti si erano uniti per fare la loro parte. Sebbene Zo fosse un'estranea, condivideva l'unità della città che aveva imparato a conoscere come casa. Svolgeva un ruolo attivo, parte del quale era la coltivazione e la cura delle erbe officinali utilizzate da Angela, il medico del paese.

    Daniel cercò di riprendere fiato prima di tentare di nuovo di parlare. Il suo viso avvampava e i suoi capelli castano chiaro, che normalmente erano tenuti così in ordine, erano arruffati per la corsa. Gli occhi scuri si riempirono di urgenza mentre cercava di forzarsi di nuovo a parlare, ma fallì. Riuscì a stabilire un contatto visivo con i suoi intensi occhi blu ma prima che potesse parlare lei lo interruppe.

    Prendi fiato. Rallenta. Gli mise una mano sulla schiena mentre lui si sporgeva in avanti, respirando profondamente. Non poté fare a meno di sorridere quando lo sguardo gli cadde sulle ginocchia dei pantaloni leggeri di lei macchiate di terra. Trascorreva più tempo in mezzo alla terra di chiunque altro conoscesse.

    Papà ha trovato una ragazza, è ferita gravemente. Non appena lui pronunciò queste parole, lei capì di cosa aveva bisogno. Si precipitò nella cabina ed emerse pochi istanti dopo con la sua malconcia borsa di stoffa a tracolla. Si asciugò le mani ormai pulite sulla camicia di lino fresca. Si era persino cambiata i pantaloni, anche se a parte la macchia di sporco non c'era modo di dire che fossero diversi. Sembrava sempre preferire quei vestiti leggeri, anche in condizioni climatiche avverse. Strinse la fibbia di cuoio sui capelli castani mentre lui continuava. La mamma è esausta. Ha fatto quello che poteva ma...

    Fammi vedere. Daniel le prese la mano. Fu una reazione istintiva per impedirle di restare indietro mentre lui si avviava verso la città.

    Ormai avrebbe dovuto aver imparato la lezione. Chiunque fosse stata prima di arrivare lì, sapeva certamente correre. Aveva pensato a un certo punto che potesse essere stata una messaggera reale, o un araldo, entrambi erano noti per la loro velocità e resistenza. Presto si era reso conto che era più probabile che fosse un'alchimista esperta, o una farmacista, soprattutto se considerava le sue capacità. Data la sua età, i suoi talenti erano notevoli e lui poteva concludere con sicurezza che nessun altro al mondo possedeva le capacità che possedeva lei. Non rimaneva nessuno che sapesse usare il suo stile di magia.

    Di recente si era ritrovato a ripensare a come si erano conosciuti. Si chiedeva spesso come sarebbe andata a finire la sua vita se lei non fosse apparsa, quel giorno. Era andato tutto molto meglio da quando era arrivata. La sua mano scivolò via mentre lei lo superava. Continuò a correre e mise da parte la sua fatica ripensando al giorno in cui le loro strade si erano incrociate...

    ... Era tornato a Crowley dopo aver trascorso i suoi normali tre giorni all’Università nella provincia orientale di Albeth. Daniel, come molto spesso accadeva, si era trovato distratto mentre ripensava agli argomenti che avevano trattato nelle lezioni, in particolare nella lezione di mitologia. Non c'era niente che potesse distrarre la sua mente come le antiche tradizioni. Aveva detto che dal piccolo porto sarebbe tornato subito a casa, con le erbe che sua madre aveva richiesto. Invece aveva guidato il cavallo in attesa solo per una parte del percorso prima di inviarlo a completare la consegna senza di lui.

    Ancora una volta si era ritrovato nella foresta. Quelle escursioni erano qualcosa che sua madre aveva imparato ad aspettarsi. Anche se incoraggiava l'approfondimento della medicina durante il tempo libero - sperando ancora che un giorno avrebbe preso la sua posizione di medico lì - era contenta che non passasse ogni momento in una qualche forma di studio. Capiva l'importanza che aveva passare del tempo da solo. Anzi, gli era grata per i giorni in cui tornava a casa tardi. Nella sua mente significava che stava facendo qualcosa di diverso dal seppellire la testa e le emozioni nello studio. Era preoccupata per suo figlio e spesso si chiedeva se avesse fatto amicizia. Era passato molto tempo da quando suo figlio aveva socializzato con altre persone.

    Erano passate settimane dall'ultima volta che Daniel si era avventurato nella foresta. Era il suo luogo di ispirazione, un luogo in cui poteva concentrarsi e pensare. Ogni giorno, alla fine del trimestre, si ritrovava lì, a rimuginare sul lavoro che era stato impostato. Anche allora, mentre camminava nella foresta, la sua testa era sepolta in profondità in un libro.

    Dalla foresta a casa sua era una passeggiata relativamente breve eppure, nonostante ciò, sembrava che non ci fosse un'anima in giro per miglia. Nessuno sembrava più avventurarsi lì, non da quando il giardino delle erbe di sua madre - che si trovava in una grande radura vicino al confine più lontano della foresta - era diventato sterile. La foresta era nota per i suoi miti, i racconti dei troll e delle fate della foresta, l'angoscia e il dolore, ma lo era ogni foresta allo stesso modo. Sembrava che non fosse possibile avere una foresta senza qualche oscura leggenda dietro. Non c'era modo migliore per impedire ai bambini di allontanarsi che con le storie dei mostri e dei demoni che li predavano.

    Daniel andava là così spesso che conosceva ogni albero e ogni svolta, senza bisogno di guardare. Camminava in modo autonomo, lasciando la mente libera di studiare gli esempi di antiche scritture rinvenute nell'ultimo decennio in alcune rovine sotterranee. Sperava un giorno di scoprirne il segreto e di poterle leggere. Era una conoscenza che era stata perduta insieme alla magia Ecatiana.

    Si diceva che l'arte di quel linguaggio fosse stata dimenticata quando il potere ecatiano era svanito, e così lo era stata anche la capacità di fare letture magiche dal testo degli antichi. Era certo che, se li avesse studiati abbastanza a lungo, un giorno sarebbe stato in grado di capirli. Cercava caratteri ripetuti e cercava di abbinare lettere a simboli mentre camminava. Poteva passare ore sul testo e non andare avanti, ma non vi riuscivano nemmeno le menti più brillanti. Sembrava che quel codice fosse impossibile da decifrare, ed era proprio per questo che doveva farlo.

    I libri di Daniel furono strappati dalla sua presa mentre si scontrava con qualcosa con una tale forza che cadde all'indietro. Rimase seduto confusamente per un momento, sapendo che non c'era niente lì che avrebbe dovuto bloccargli la strada. Era così occupato mentalmente a tornare sui suoi passi per vedere dove poteva aver sbagliato che passò un buon minuto prima che guardasse per vedere cosa, o più precisamente chi, lo aveva portato a un arresto così brusco.

    Scusate. Daniel si scusò improvvisamente quando la sua visione si fermò su un'altra figura. Studiò la giovane donna, che era anche lei seduta a seguito della loro collisione. Vedendola, ogni fibra del suo essere si riempì di panico. Balzò in piedi, gli occhi spalancati per la paura, affrettandosi a indietreggiare di qualche passo mentre la sua mente lo riportava a un evento di molti anni prima. Un ricordo che, ora completamente affiorato, lo fece gelare, incapace di ritirarsi ulteriormente o di pronunciare un'altra parola. Non poteva fare altro che fissare con orrore paralizzato mentre riviveva la paura che aveva provato allora. La giovane donna aveva circa venticinque anni - non molti più di lui - ma non era lei che vedeva, non fino a quando il suo panico iniziò a placarsi.

    Lentamente, mentre calmava il respiro, iniziò a vedere più la realtà che l'illusione creata dalla sua paura. La figura, che sedeva in mezzo alla legna sparsa, non si era ancora alzata in piedi. Era chiaramente terrorizzata da lui e la propria reazione alla sua presenza non aveva contribuito a disinnescare la situazione. Lo fissò, timorosa di muoversi, timorosa di parlare e spaventata di lui come lui lo era stato di lei. Lo fissò, gli occhi spalancati per lo shock da cervo, incerta su come rispondere alla presenza di quella persona nell'area che aveva chiaramente stabilito come propria casa.

    Fu un lungo silenzio, nessuno dei due parlava mentre i loro occhi si fissavano. La mente di Daniel ragionava con lui. Cercava di incoraggiarlo a dire qualcosa, qualsiasi cosa. I suoi pensieri correvano. C'era, nella migliore delle ipotesi, una sottile somiglianza con la persona che aveva ricordato, ma i capelli di quella persona erano più rossi e i suoi occhi di una tonalità diversa. Il lato razionale cominciò a vedere la ragione mentre si calmava, e sicuramente lei era stata molto più alta della persona dai capelli castani che sedeva davanti a lui. Inoltre, la paura non era qualcosa che la persona che ricordava avrebbe conosciuto.

    Lei si mosse lentamente per raccogliere timidamente i libri caduti, con pochi movimenti cauti. Rivolse lo sguardo verso il suolo, temendo di affrontarlo. Tese le spalle quando qualcosa in uno dei libri attirò brevemente la sua attenzione. Lo lasciò aperto, mettendolo in cima al mucchietto prima di alzarsi per restituirglieli.

    Stai leggendo delle leggende Metisee? chiese piano, rompendo il silenzio. I suoi occhi scorsero in modo significativo la pagina mentre glieli restituiva.

    Lui guardò l'antica scrittura e poi di nuovo lei. Gli ci volle un momento per forzare le braccia ad allungarsi per prenderli, ma quando comprese le sue parole, l'eccitazione fece evaporare tutta la paura rimanente.

    Sai leggere questo? chiese dubbioso, ma l'eccitazione nella sua voce non poteva essere mascherata. Non c'era motivo di ritenere che la figura mentisse. Il suo istinto gli diceva che le parole che diceva erano vere, e se così fosse stato, la giovane donna sarebbe stata davvero molto interessante.

    Tu no? Lei fece un leggero passo indietro. Lo sguardo nei suoi occhi la innervosiva. Prima era arrivata la strana reazione per averla trovata lì, e ora quel completo cambiamento nel modo in cui sembrava percepirla. Non riusciva a capire quale fosse stato il proprio errore, ma chiaramente qualcosa che aveva fatto aveva assai turbato quella persona. Dato che è nel tuo libro, ho pensato...

    Daniel - le sue paure dimenticate - si guardò intorno per orientarsi. Si ritrovò nella piccola radura che visitava spesso quando voleva passare un po' di tempo da solo. Dall'accampamento improvvisato e dal cerchio di pietre bruciate in cui aveva acceso il fuoco, era evidente che era rimasta lì per un po' di tempo. Non aveva visitato quel luogo per diverse settimane, quindi non poteva essere sicuro di quanto tempo fosse stata lì, ma era chiaro che non si era allontanata molto da quella zona. Era per lo più autosufficiente. C'era un piccolo mucchio di frutti e bacche e stava persino coltivando piccole piante. Si chiese cosa l'avesse spinta a cercare isolamento e rifugio lì.

    Non sei di queste parti, vero? chiese con calma, quando quello che voleva veramente chiedere era: Chi sei, cosa ci fai qui e come puoi affermare di leggere una lingua dimenticata da tempo?

    Non credo, rispose lentamente, pensando attentamente alla sua risposta. Per tutto il tempo lei lo guardò con cautela, facendo coincidere ogni suo passo verso di lei con un passo nella direzione opposta. Mi sono appena svegliata qui. La verità era che non aveva idea di come fosse arrivata lì, o nemmeno esattamente dove fosse. Era rimasta in quella zona mentre cercava di dare un senso alla propria situazione. Sperava di poter avere più informazioni sul proprio passato prima di dover spiegare qualcosa. Era impossibile spiegare qualcosa che lei stessa non sapeva.

    Nah, questa è un'isola piccola. Tutti conoscono tutti, se capisci che intendo. Sorrise dolcemente; l'eccitazione ancora aleggiava nella sua voce mentre guardava di nuovo l'antico testo. Ti sei svegliata qui? le chiese avvicinandosi lentamente. Mentre indietreggiava di nuovo, si sentì cadere quando l'albero abbattuto dietro di lei le fece perdere l'equilibrio e la costrinse a sedersi sulla superficie ruvida.

    Non ricordo molto. Penso di ricordare di essere andata a scuola. Tutto il resto è vuoto, e penso che sia stato più di dieci anni fa , rispose con cautela, incapace di approfondire ulteriormente. Con quella frase aveva detto a quello sconosciuto quasi tutto quello che sapeva.

    Dieci anni? ripeté incredulo. Dovresti venire a trovare mia madre. Fu veloce nel saltare alla conclusione che soffrisse di amnesia e si ritrovò istintivamente a esaminarla in cerca di segni di lesioni. Quello di cui non si rendeva conto era che il disturbo che affliggeva quella sconosciuta era molto più complesso, più pericoloso di qualsiasi cosa potesse diagnosticare. È un medico, aggiunse in seguito allo sguardo incuriosito.

    Tutti conoscevano sua madre. Era un rinomato medico, conosciuto non solo da loro ma anche dalle zone più prestigiose. Non era raro che le persone viaggiassero fino a lì solo per ricevere il suo aiuto. Era famosa e quindi, in quanto suo figlio, anche lui veniva spesso riconosciuto. Ha molti contatti, devi avere una famiglia da qualche parte.

    Gli sorrise con cautela mentre lui si spostava per sedersi dall'altra parte dell'albero caduto, lasciando un ampio spazio tra loro. lei si avvicinò per prendergli il libro dalle mani, iniziando a sentirsi meno minacciata da lui.

    Allora stai studiando le leggende Metisee o la magia? domandò, cambiando rapidamente argomento per darsi il tempo di riflettere sul suo suggerimento. Qualcosa in lui le sembrava quasi familiare.

    Mitologia e studi soprannaturali, tra le altre cose, rispose in modo sbrigativo. Daniel studiava diligentemente al Collegio. Si sarebbe potuto definire un genio. Uno dei suoi tutori una volta aveva detto che aveva la stoffa del saggio. Conservava le informazioni come una spugna trattiene l'acqua. Daniel aveva una sete inestinguibile di conoscenza e aveva già completato i suoi studi di base -matematica, storia, nuove scienze e botanica- molto più velocemente di quanto chiunque si aspettasse, oltre a completare l'addestramento medico per placare sua madre. Poi era passato alla sua passione, la mitologia e il soprannaturale. Se possibile, voleva una professione che riguardasse qualcosa in quel campo. Aveva già eccelso tanto, dopo un solo trimestre, che il valutatore gli aveva detto che non aveva bisogno di studiare oltre. Se qualcosa era in un libro o in un rotolo, era certo che non solo l'aveva letto, ma lo ricordava. Tuttavia, Daniel aveva continuato a frequentare le lezioni. Se non altro, la sua presenza gli garantiva l'accesso alla biblioteca, che era la seconda più grande del mondo conosciuto.

    Sopra la foresta, il cielo cominciò a scurirsi. Sentendo il canto notturno degli uccelli, Daniel si rese improvvisamente conto di quanto fosse tardi. Sua madre si sarebbe preoccupata se non fosse tornato a breve e lui ne sapeva abbastanza per sapere di non voler restare nei boschi di notte; anche se le storie erano solo leggende. Allo stesso tempo, si sentiva obbligato a restare e saperne di più su quella sconosciuta. Ciò, di per sé, era insolito. Non era una persona molto socievole. Aveva dei conoscenti, ma non aveva mai veramente stretto amicizie. Stranamente, dopo che la tensione del loro incontro iniziale si era dissipata, si era accorto di sentirsi più a suo agio a parlare con quella persona di quanto non fosse stato a parlare con i suoi coetanei da molto tempo a quella parte.

    Quindi riesci davvero leggere questo? Si avvicinò a lei che stava studiando il suo libro.

    Questo? Sorrise alzando leggermente le spalle. Sicuro. Racconta la storia di Metis, di come lei e Zeus abbiano dato alla luce un bambino. Gli indovini dissero che se mai lei avesse concepito un altro bambino, sarebbe stato un maschio che avrebbe poi preso il posto di Zeus, come aveva fatto suo padre prima di lui. Questo lo turbò tanto che, per garantire la propria sicurezza, mangiò Metis, che all'epoca era ancora incinta del suo primo figlio. Continua dicendo che il bambino che ha divorato insieme a Metis è nato attraverso Zeus. Ci sono molte dicerie, ma questa è l'idea di base. Gli restituì il libro. Parli sempre di libri prima dei convenevoli? Un sorriso disinvolto le sollevò le labbra mentre si strofinava le braccia per alleviare il gelo dell'aria fresca della notte. Rendendosi conto che avrebbe dovuto accendere il fuoco, si alzò per posizionare parte della legna raccolta, che giaceva ancora sparsa sul terreno.

    Scusa. Fu solo ora che si rese conto di non essersi presentato. Sono Daniel, Daniel Eliot.

    Zoella Althea. Zo, lo corresse. Nonostante tutto, il suo nome era una cosa che ricordava chiaramente. Una volta che lei ebbe finito di accatastare la legna rimanente, le offrì un ramo ardente, che aveva lavorato duramente per accendere mentre lei sistemava la montagnola di legna. Lo guardò interrogativamente prima di fargli cenno di avvicinarsi. Mentre si sporgeva in avanti per accendere il fuoco, si fermò prima ancora che la fiamma avesse la possibilità di propagarsi.

    Quella è camomilla? Come aveva visto gli inconfondibili fiorellini, l’idea del fuoco si era spenta, così come il ramo che teneva in mano. Si avvicinò alla macchia verde, accovacciandosi per esaminare la pianta rigogliosa.

    Sì, l'ho coltivata da sola. Guardò con orgoglio verso la piccola macchia di erbe. Quando si era svegliata lì, si era ritrovata con molte erbe e semi, alcuni dei quali aveva piantato. Possedeva ben poco ma, per un motivo che le sfuggiva, tra il contenuto della sua borsa c'era uno strano tappo. Non riusciva a pensare a nessun motivo per cui avesse potuto conservare, anche se, doveva ammetterlo, qualunque cosa ci fosse stato nella bottiglia che una volta aveva sigillato era piacevole. Aveva passato molto tempo ad inalare la fragranza aromatica nella speranza che l'odore stimolasse un ricordo.

    È quasi impossibile far crescere qualcosa in questi terreni, affermò Daniel, distraendola dalle sue riflessioni. Un nuovo pensiero si materializzò nella mente sua mentre si avvicinava al calore del fuoco. La guardò sorpreso quando si rese conto che ora era acceso. Mia madre ha una casupola vicino al margine della foresta. Una volta aveva un incredibile giardino di erbe aromatiche, ma il terreno si è guastato e la maggior parte delle cose è morta. Sono sicuro che potresti restare lì per un po'. È più sicuro e più caldo che dormire nei boschi. In cambio, forse potresti occuparti del giardino? chiese, domandandosi come potesse essere che lei fosse non solo esperta di botanica, ma sapesse leggere una lingua che, per anni, nessuno era stato in grado di decifrare. In un modo o nell'altro doveva assicurarsi di poter continuare la conversazione. Si sentiva obbligato a imparare tutto quello che c'era da sapere su di lei, e sapeva che sarebbe stato difficile, date le sue condizioni.

    Va bene, rispose Zo cautamente. Qualcosa in lui le aveva quasi portato alla luce un ricordo. Lo fissò intensamente, incapace di collocare il ricordo dimenticato, ma quella strana familiarità le diceva che poteva fidarsi di lui...

    ...Zo era appena arrivata alla porta della casa di Daniel quando Angela l'aveva spinta velocemente dentro, si guardò alle spalle, vedendo suo figlio a pochi metri di distanza. La sua voce mentre salutava Zo lo distolse dai propri pensieri. Era difficile credere a tutto quello che era successo solo un anno e mezzo prima. Si sentiva come se fosse sempre stata lì, come se fossero stati migliori amici da sempre.

    Zoella, grazie agli dei. Già da quello seppe che era una cosa seria, Angela la chiamava sempre Zo, come tutti gli altri. Ho fatto tutto quello che potevo per ora. Non risponde a nulla. Considerati gli ultimi giorni, speravo...

    Zo annuì in silenziosa comprensione mentre si dirigeva al lavandino per lavarsi le mani. Angela era stata impegnatissima negli ultimi tempi e, sebbene avesse aiutato dove poteva, Zo spesso si sentiva più fra i piedi che di aiuto. Era chiaro che Angela aveva trascorso diverso tempo con la paziente prima di mandare Daniel a prenderla. I capelli biondi brizzolati e lunghi fino alle spalle sfuggivano dalla coda di cavallo e incorniciavano il suo viso pallido e gli occhi scuri che rivelavano l'entità delle sue fatiche.

    Incapace di aiutare oltre, Angela ne approfittò per riposarsi. Si sedette sulla sedia di fronte alla finestra di vetro colorato. La luce screziata dal vetro finemente modellato si riversava nella stanza e danzava sul pavimento di legno. Sapeva che la paziente sarebbe stata in buone mani. Sebbene Zo avesse la stessa età di suo figlio, aveva abilità con le erbe e l'alchimia che sfidavano la sua età, e addirittura superavano le proprie. Aveva un talento naturale per la medicina, qualcosa che non avrebbe mai potuto essere insegnato. Era come se il paziente e le erbe le parlassero, istruendola su ciò di cui aveva bisogno. Era un'abilità che molto tempo prima veniva chiamata conoscenza delle erbe. Era un talento raro che la stessa Angela possedeva, ma rispetto all'abilità di quella giovane ragazza lei era un discepolo al cospetto del maestro.

    Poteva riposare sapendo che Zo era con lei e che la ragazza non aveva ferite mortali. Dopo una breve pausa, avrebbero potuto discutere di ciò che avesse scoperto Zo, semmai, e ideare un piano da lì.

    Zo salì lentamente le scale di legno seguita da Daniel. Nell'ultimo anno e mezzo, quel posto era diventato per lei una seconda casa. Era quasi una seconda natura camminare sul pianerottolo dirigendosi verso la stanza più lontana. La porta aperta permetteva alla luce di fuoriuscire dall'interno per illuminare il corridoio buio.

    La casa di Daniel era la più grande del villaggio. C'erano solo due case costruite su due piani; la loro, che fungeva anche da ospedale, e la casa del vecchio amico di Daniel, Stephen. A casa di Daniel c'era una stanza al piano superiore per i pazienti che dovevano essere monitorati, la sua stanza, la stanza dei suoi genitori e una stanza più piccola per le emergenze che non potevano essere gestite al piano di sotto. C'erano anche alcune stanze extra al piano di sotto dove potevano essere eseguiti interventi chirurgici e i pazienti potevano riposare.

    Essere la dottoressa di una piccola città non era facile, e trovarsi su un'isola remota significava che avevano bisogno di avere lì tutte le strutture necessarie a curare coloro che avevano serio bisogno di cure. Sua madre aveva più del talento necessario per adempiere a tutto ciò che serviva e le restava il tempo per vedere coloro che si recavano lì via mare per un consulto. Era ben nota, soprattutto perché la maggior parte dei medici era più incline a praticare la medicina scientifica e i trattamenti più moderni. Angela, sebbene abile in entrambi, preferiva i vecchi metodi.

    All'interno di quella che chiamavano la sala di risveglio, il padre di Daniel, Jack, osservava la giovane donna dormire. La sua fronte si corrugò in un cipiglio. Quando il suo sguardo si posò su Zo, i suoi occhi scuri si addolcirono un po’. Si arruffò i capelli brizzolati con una mano mentre si alzava per salutarla. Dopo quel breve convenevole se ne andò subito.

    C'era qualcosa di diverso nell'amica di Daniel. Qualcosa che lo metteva a disagio. L'aveva già giudicata male una volta, e anche dopo così poco tempo insieme era chiaro che Daniel pensava tutto il bene possibile di lei. Aveva sempre temuto che suo figlio non avrebbe mai più fatto amicizia dopo aver perso Stephen. Da quel giorno si era ritirato in sé stesso. Si era allontanato da tutti ma quella persona aveva suscitato qualcosa in lui. Dopo averla incontrata, per la prima volta da molto tempo, avevano visto Daniel sorridere.

    Jack temeva che sapere cosa ci fosse di così diverso in lei avrebbe cambiato per sempre il modo in cui la vedeva. Era semplicemente troppo bello per essere vero. Aveva trasformato un giardino morente in un fiorente rigoglio di vita in poco più di due settimane, e in quanto al dono di saper usare le erbe, era incredibile. Sua moglie aveva pensato di assumerla come apprendista. Sebbene fosse chiaro che Zo non aveva alcuna competenza nella parte più rigorosa della medicina, come le suture e la chirurgia, sembrava che le sue abilità in botanica fossero senza eguali. Ogni volta che un caso necessitava di ulteriori ricerche, sembrava che, in qualche modo, Zo sapesse sempre cosa fare.

    Non poteva fare a meno di essere sorpreso che una persona del genere potesse restare scomparsa per così tanto tempo. Era chiaramente ben istruita. Sicuramente qualcuno, da qualche parte, la stava cercando, ma non c'erano notizie di guaritori scomparsi o di chiunque potesse corrispondere alla sua descrizione.

    Guardò Angela, che ora sedeva addormentata sulla sua sedia preferita. Era il posto perfetto per riposare ma assicurarsi di vedere Zo quando se ne fosse andata. Non lo sorprendeva che stesse già dormendo. Era arrivata a casa in piena notte dopo essere stata chiamata per la nascita del primo figlio della signora Hamisley. Era stato un travaglio doloroso e complicato che alla fine aveva portato alla nascita di un bambino sano. Prima di quello si era occupata delle persone coinvolte in un incidente alla segheria. Sembrava che non le fosse stata data alcuna possibilità di riposarsi da giorni, ormai, e gli faceva piacere che potesse avere quel momento. La coprì con la coperta che di solito era drappeggiata sullo schienale della sedia, prendendosi un momento o due per guardarla dormire.

    ***

    Si arruffò i capelli brizzolati con una mano mentre si alzava per salutarla. Dopo quel breve convenevole se ne andò subito.

    C'era qualcosa di diverso nell'amica di Daniel. Qualcosa che lo metteva a disagio. L'aveva già giudicata male una volta, e anche dopo così poco tempo insieme era chiaro che Daniel pensava tutto il bene possibile di lei. Aveva sempre temuto che suo figlio non avrebbe mai più fatto amicizia dopo aver perso Stephen. Da quel giorno si era ritirato in sé stesso. Si era allontanato da tutti ma quella persona aveva suscitato qualcosa in lui. Dopo averla incontrata, per la prima volta da molto tempo, avevano visto Daniel sorridere.

    Jack temeva che sapere cosa ci fosse di così diverso in lei avrebbe cambiato per sempre il modo in cui la vedeva. Era semplicemente troppo bello per essere vero. Aveva trasformato un giardino morente in un fiorente rigoglio di vita in poco più di due settimane, e in quanto al dono di saper usare le erbe, era incredibile. Sua moglie aveva pensato di assumerla come apprendista. Sebbene fosse chiaro che Zo non aveva alcuna competenza nella parte più rigorosa della medicina, come le suture e la chirurgia, sembrava che le sue abilità in botanica fossero senza eguali. Ogni volta che un caso necessitava di ulteriori ricerche, sembrava che, in qualche modo, Zo sapesse sempre cosa fare.

    Non poteva fare a meno di essere sorpreso che una persona del genere potesse restare scomparsa per così tanto tempo. Era chiaramente ben istruita. Sicuramente qualcuno, da qualche parte, la stava cercando, ma non c'erano notizie di guaritori scomparsi o di chiunque potesse corrispondere alla sua descrizione.

    Guardò Angela, che ora sedeva addormentata sulla sua sedia preferita. Era il posto perfetto per riposare ma assicurarsi di vedere Zo quando se ne fosse andata. Non lo sorprendeva che stesse già dormendo. Era arrivata a casa in piena notte dopo essere stata chiamata per la nascita del primo figlio della signora Hamisley. Era stato un travaglio doloroso e complicato che alla fine aveva portato alla nascita di un bambino sano. In precedenza, si era occupata delle persone coinvolte in un incidente alla segheria. Sembrava che non le fosse stata data alcuna possibilità di riposarsi da giorni, ormai, e gli faceva piacere che potesse avere quel momento. La coprì con la coperta che di solito era drappeggiata sullo schienale della sedia, prendendosi un momento o due per guardarla dormire.

    ***

    Zo si inginocchiò accanto alla paziente e si mosse per appoggiarle delicatamente la mano sulla fronte. Era qualcosa che faceva spesso per leggere la malattia di una persona, uno strumento diagnostico noto come il tocco empatico. Era un'abilità possibile solo per i guaritori. Ogni volta che toccava qualcuno sapeva se e per cosa soffriva. Era sia una benedizione che una maledizione.

    Daniel prese il mortaio e il pestello dal comodino mentre Zo cominciava a rovistare nella propria borsa. Prese tre piccoli sacchetti di erbe e gli spiegò quante usarne e l'ordine in cui dovevano essere aggiunte. Mentre lui mescolava il composto, Zo esaminò attentamente le ferite della giovane donna.

    Alcuni tagli erano profondi ma il sangue che aveva perso non era sufficiente a causare la perdita di coscienza di cui soffriva. Guardò più intensamente, non con gli occhi ma nel profondo della propria mente, mentre poggiava l'altra mano sul petto della ragazza. I sentimenti che aveva percepito in lei erano irregolari. Anche con la sua abilità non riusciva a individuare la causa della condizione, cosa che normalmente era così facile.

    Non riesco a vederlo, sussurrò. Daniel si fermò all'improvviso, resistendo all'impulso di voltarsi a guardarla.

    Cosa intendi? Nella sua voce filtrava la preoccupazione. Lo vedeva sempre, era quello che la rendeva così brava. Aveva sempre individuato il problema esatto pochi istanti dopo aver applicato i suoi metodi speciali.

    Le sue ferite non sono sufficienti a causare questa profonda recessione della coscienza.

    Zo sospirò quando Daniel le porse gli ingredienti miscelati che erano stati macinati e trasformati in una pasta densa. Sebbene Angela avesse già curato le ferite, quella miscela avrebbe funzionato leggermente meglio sul corpo della ragazza. Forse lei può dirmi qualcosa, mormorò Zo, la sua voce si spense.

    Eh?

    Non importa. Zo, in teoria, conosceva il procedimento. Lo conosceva ma era passato così tanto tempo. Erano passati almeno undici anni da quando si ricordava di aver tentato qualcosa di simile. D'altra parte, quella lacuna nei suoi ricordi non significava che i suoi talenti fossero rimasti inutilizzati. Quando era arrivata lì per la prima volta, dietro di lei non si stendeva altro che oscurità. Di recente aveva iniziato a ricordare piccoli dettagli. Non ricordava ancora nulla dall'età di dodici anni, ma conosceva il viso di sua madre e il volto della sua padrona e amica, Amelia. Sapeva, contro ogni logica, che aveva usato le arti ecatiane e, da bambina, le era stato insegnato come farlo. Nonostante ciò, non aveva mai ricordato il nome della sua casata, o qualsiasi cosa che potesse condurla lì.

    Da quel momento non ricordava più nulla, ma si sarebbe considerata una stupida se non avesse usato i suoi talenti in quel periodo. Le sue abilità erano una seconda natura. Non aveva bisogno di ricordare le parole o i riti. Le venivano istintivamente, ed era un istinto di cui aveva imparato a fidarsi.

    Trattenne il respiro mentre iniziava a concentrarsi.

    Daniel ascoltava attentamente mentre scarabocchiava l'incantesimo. Le parole stesse erano pronunciate in una lingua antica, ma solo quando l'abilità che usava richiedeva la massima concentrazione. Gli incantesimi più facili li pronunciava in lingua comune, evocando i propri poteri. A volte si chiedeva se, in quei casi, le parole fossero davvero necessarie.

    Un dolore acuto le salì lungo il braccio. Un dolore così intenso da farle emettere un leggero piagnucolio mentre stringeva i denti per resistere. Daniel fu al suo fianco in un istante. Restò lì nel dubbio, incerto su cosa avrebbe potuto fare se lei fosse stata in pericolo. Sapeva che era meglio non toccarla, anche una leggera interruzione poteva avere gravi ripercussioni.

    Zo non si rendeva conto che lui era accanto a lei; in quel momento lei era altrove. Vide la forza vitale di una giovane donna, quasi identica alla figura che giaceva davanti a lei, lasciare il corpo per prendere la mano di una scorta verso l'altro mondo. Poteva sentire i suoni delle persone che emergevano dalla foresta e si avvicinavano a lei. All'improvviso sentì la mano di Daniel toccarla leggermente.

    Non capisco cosa vedo. È morta? Zo parlò con più difficoltà del previsto. Il suo respiro era affannoso quando tornò a rendersi conto di ciò che la circondava.

    Daniel ritirò la mano, esitando. Era convinto che stesse per collassare. Il suo respiro era diventato irregolare e poco profondo e aveva perso colore. Non aveva potuto fare altro che guardare, aspettando accanto a lei forse per trenta minuti, quasi convinto che il suo respiro stesse per arrestarsi. Quando le sue labbra avevano iniziato a mostrare la debole sfumatura blu della cianosi si era reso conto che, indipendentemente dalle conseguenze, doveva fare qualcosa.

    Ho letto una volta di un immortale che aveva la capacità di prendere il corpo di un altro espellendo l'essenza dell'occupante e mandandolo nell'Ade. Si dice che abbia continuato a farlo fino a quando non ha avuto abbastanza potere per riprendere la sua forma. Non è niente di simile, ne sono sicuro. Non riuscì a nascondere il sollievo nella sua voce mentre rispondeva, sentendo il bisogno di riempire il silenzio con una qualche forma di risposta. Da quando aveva parlato, le era tornato la maggior parte del colore. Era quasi come se il suo corpo avesse avuto bisogno che gli fosse ricordato che era viva, cosa del quale, data la sua conoscenza della magia, non avrebbe dovuto preoccuparsi se la persona a cui era collegata fosse stata viva. Solo se il soggetto di un incantesimo era morto c'erano rischi per l'incantatore che prendeva le condizioni del bersaglio e la signora sul letto davanti a loro respirava chiaramente.

    Zo sussultò quando la resistenza tra lei e la giovane donna si interruppe bruscamente. Le sue gambe si indebolirono, rifiutandosi di reggerla oltre, e si accasciò a terra facendo respiri profondi e affannosi. Si asciugò rapidamente la fronte con la parte posteriore del braccio, rimuovendo le gocce di sudore.

    Gli occhi della paziente si aprirono. La sua figura balzò in posizione seduta mentre lo sguardo allarmato scrutava la stanza con

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