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La vera storia di Larysa Aston
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Ebook135 pages2 hours

La vera storia di Larysa Aston

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Per Larysa la vita, non è mai stata rosa e fiori; rapita solo quando aveva tre anni, e buttata in strada, ad affrontare una vita che non gli appartiene, se non fosse, per la sua migliore amica, di nome Denise, l'avrebbe fatta finita da parecchio tempo. Larysa si risveglia in un mondo distrutto, in compagnia di un ragazzo di nome David; lei non ricorda niente, l'unica cosa, che gli viene detta e di riuscire a scoprire, la verità, su cosa sia successo. Non gli resta che fidarsi di David.Riuscirà, Larysa a scoprire tutta la verità?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 16, 2021
ISBN9791220328722
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    La vera storia di Larysa Aston - Cristian Gaetano Ragunì

    info@youcanprint.it

    CAPITOLO 1

    UN REGALO POCO GRADITO

    Oggi è giovedì, per chiunque sarebbe un giorno come tanti, quanto avrei voluto vivere un solo giorno senza macinarmi di pensieri, senza pensare a questa fottuta città: alla gente che ci vive, alla corruzione, agli spacciatori che donano la morte senza alcuno scrupolo. Il mio nome è Larysa Aston, o almeno credo, in ventidue anni non ho mai visto il volto dei miei genitori. L’unico ricordo che ho è quel maledetto giorno di diciannove anni fa al parco di New York.

    Dopo di che, l’unico genitore che io conosco è Aleandro Costarica, nato a città del Messico nel 1970, unito alla più grande associazione a delinquere: si fanno chiamare lo stato.

    Aleandro è uno dei più fidati del boss, un tipo insospettabile con la faccia rotonda e baffoni, maglietta sempre sporca di salsa e pantaloni acquistati a basso prezzo, sì, credetemi, ne ho visti tanti, ma più schifoso di lui non ce n’è. Lui è a capo del giro di prostituzione, per gli amici Alean il magnifico. Vi domandate il perché? Di magnifico non ha niente, però possiede le ragazze più belle, e tra queste purtroppo ci sono anch’io. Certe volte penso a come vorrei non essere mai nata, a come potrei farla finita, a cosa ho mai fatto per meritarmi questa vita; eppure sono sempre stata fedele alla Chiesa, ho sempre pregato per una vita migliore. Ma non credo che il mio dio, o il dio di tutti, di quelli buoni o della feccia di questo mondo, avrebbe mai desiderato tutto questo inferno.

    Per fortuna non sono veramente sola per poter decidere di farla finita, ma con me c’è la mia migliore amica, una mia collega di lavoro, Denise Anteau, originaria di Bucarest, in Romania.

    Anche lei è stata adottata con lo stesso metodo, strappata dalle mani dei suoi cari, presa e buttata per strada ad affrontare un destino che non le appartiene di diritto. Ma io, d’altro canto, come faccio a parlare di un destino che non ho mai comandato, che non ho mai deciso? Non potrei mai pensare a un futuro che mi appartiene di diritto, è stato impensabile fino ad oggi.

    Sono appena passate le 10:00, fuori è una splendida giornata e io come ogni mattina sono seduta a bere il mio caffè in compagnia delle pareti umide di casa. Sul muro alla mia sinistra è appeso un quadro che ritrae un angelo, me lo ha regalato Denise dicendomi che quando starò male mi consolerà, ma io non ci credo; ammesso che esistano, gli angeli, il mio deve essersi arreso molti anni fa.

    Ho ancora un’ora di tempo prima di incontrare la mia amica; mi affretto ad andare in bagno e apro la specchiera in cui tengo tutti i prodotti che mi servono per togliermi il mascara che ieri sera mi è colato dagli occhi, visto che ho bevuto tanto. Vi chiedete perché ho bevuto? Non sopporto che un uomo di settant’anni mi metta le mani addosso, la chiamo la mia medicina, lo scorda pensieri, non posso permettermi di non accettare un cliente: sarei picchiata, drogata e come desidero io uccisa. Ma ho fatto una promessa a Denise: che non l’avrei mai abbandonata. Io per lei sono tutto.

    Finito di prepararmi, vado subito in camera mia e fra tutti i vestiti che ci sono nell’armadio, prendo un paio di jeans azzurri e una maglietta color pesca a mezza manica. Mi giro verso il comodino, la sveglia indica che sono le 10:30. Lascio il letto da rifare, mi vesto in fretta e furia e mi precipito alla scarpiera accanto alla porta d’ingresso; dal terzo cassetto prendo le mie scarpe da tennis bianche, almeno di giorno voglio sentirmi libera di muovermi e alleviare i dolori ai piedi, visto che ho solo poche ore di tempo libero prima di dovermi rimettere le scarpe col tacco e prendere qualche altra storta.

    Anch’io, come gli altri, ho le mie abitudini la mattina, anche se un po’ particolari. Ogni giorno mi tocca andare al Soft Coffee, un locale costruito dalla mafia per riciclare la maggior parte del denaro sporco, dove ad aspettarmi ansioso, ma solo per il denaro, c’è Aleandro. Già, dimenticavo la borsa dove tengo i soldi, la prendo dal tavolino assieme alle chiavi di casa, poi esco e do un giro alla serratura chiudendo la porta, ma che sbadata, è inutile, mi conoscono tutti! Sarà la fretta, oggi Denise mi deve comunicare una bella notizia e sinceramente non ci sto più nella pelle.

    Prima di arrivare alle scale percorro il mio amato corridoio, mi sono sempre chiesta come mai è stata messa la guaina sul pavimento. Che strano, il mio vicino di casa Josh Anastasy oggi ancora non si è fatto vivo. Josh è un uomo di cinquantacinque anni, ex imprenditore, divorziato, i suoi figli non se lo filano, purtroppo ha dovuto cedere tutte le sue proprietà alla moglie e il destino vuole che sia anche disoccupato. In confronto la mia vita sembra rose e fiori, ma devo dire che gli sono molto affezionata, ormai è di famiglia. Più in là vive Leotta, ottant’anni suonati, non ho mai avuto il piacere di conoscerla tranne che per le storie che racconta Josh, che la chiama la vecchia botta; dice di essere una veggente, figuratevi che gli predisse che non sarebbe potuto sfuggire al suo destino, questo tra di noi resta un vero mistero. Penso che sia una donna diffidente. Ogni volta che passo davanti alla sua porta mi ritorna in mente come la chiama Josh, almeno la giornata inizia sorridendo.

    Ma devo sbrigarmi, alle 11:00 devo farmi trovare alla fermata dell’autobus, linea 1532 direzione centro, solito autista, sempre le solite facce depresse, sono veramente stufa di vivere in periferia. Il lungo tragitto di trenta minuti sarebbe più facile se almeno una volta non ci fosse il solito molestatore, alcolizzato e depresso che mi chiede quanto voglio. Ancora oggi mi chiedo quando arriverà il giorno in cui potrò permettermi un’automobile.

    Scendo gli ultimi gradini e do una piccola controllata alla mia cassetta delle lettere, non che mi aspetti di ricevere qualche bella notizia, ma non voglio rimanere senza luce.

    Apro il portone e come ogni giorno un via vai di persone che marciano lungo il marciapiede mi investe; sull’altro lato della strada il solito maniaco mi aspetta puntuale come ogni mattina, a centocinquanta metri sulla sinistra c’è la mia fermata, dove tra dieci minuti arriverà il mio solito destino.

    M’incammino verso la fermata, oggi fa parecchio caldo, il sole mi sbatte in fronte, ho dimenticato i miei occhiali ma non posso ritornare a casa, perderei l’autobus.

    L’unica cosa che posso fare è prendere dalla borsa una salvietta, apro la cerniera, sposto la felpa, le chiavi, il telefono, svariate carte, i soldi, qualche profilattico. Adesso capisco perché Denise si rifiuta sempre di cercare qualcosa nella mia borsa, dice che sono molto disordinata. Finalmente trovo le mie salviette, ne tiro fuori una e la passo delicatamente sul mio viso, quando d’improvviso sento una voce provenire dalla strada. Hey Larysa, dove guardi? Sono qui. Mi giro sulla mia destra, vedo un taxi fermo, sul sedile posteriore è seduta una ragazza, la squadro attentamente: capelli neri e corti, carnagione scura, occhi castani, un sorriso a trentadue denti, talmente bianchi che il sole vi si riflette. D’improvviso sento una forte emozione che invia un impulso al mio cervello, subito riconosco Denise e mi precipito verso di lei.

    Larysa, attenta! Mi volto di scatto, il suono acuto e prolungato di un clacson mi investe i timpani, mi fermo tenendo le mani sulle orecchie, le sposto solo dopo che l’automobile è passata. L’autista pensa bene di ringraziarmi, anche se l’unica frase che sento è Brutta stronza! e con un segno di educazione mi lascia pietrificata in strada. Mi avvicino al taxi.

    Larysa, stai bene? mi chiede Denise mentre apre lo sportello.

    Sì, è che non riesco a capire cosa ci fai qui. Di solito ci vediamo alla terza fermata.

    Hey, voi due, non ho mica tutto il giorno, vorrei iniziare la giornata guadagnando protesta il tassista.

    Non farci caso, Larysa… Sai bene dove devi accompagnarci, brutto spilorcio, ricordi cosa ti ha detto?

    Senti, ragazzina, non voglio immischiarmi, quindi dimmi dove vi devo accompagnare.

    Al Soft Coffee risponde Denise.

    Non riesco a capire cosa intenda dire con ricorda cosa ti ha detto se la bella notizia che deve darmi è un viaggio gratuito in taxi fino al Soft; potrei anche pensare di essere scampata all’incontro con il solito maniaco, ma non credo, anche perché l’autista sembra essere stufo di Denise.

    Denise, non è che io non sia contenta, ma con tutti i tassisti che ci sono non penso che tu sia stata tanto fortunata. So che quello che ho appena detto non piacerà all’autista fallito e che scatterà un pandemonio, ma almeno riuscirò a capire qual è il problema.

    Infatti in questo stesso istante l’uomo alla guida scoppia di rabbia. Lo sapevo, mia moglie me lo aveva detto, col carattere che hai non puoi fare il tassista, se tutte le persone che faccio salire sono come voi due preferisco spaccare le pietre! E poi non bastavano le due ore al centro commerciale, anche l’amica rompe! Finisce di parlare e comincia ad accelerare.

    Denise gli rivolge uno sguardo di fuoco e replica inferocita: Brutto stronzo, come ti permetti? Basta, è inutile continuare la discussione visto che mi hai rovinato la sorpresa!

    Sorpresa?

    Sì, Larysa, oggi mi sono alzata più presto solo per andare a comprare la videocamera, ricordi? Te l’avevo promesso. Mi fa un sorriso e dalla borsa estrae un pacchetto regalo bianco col nastro azzurro, i miei colori preferiti. Come se fossi una bambina, strappo il cartoncino facendone cadere tanti piccoli pezzettini dappertutto, che bellissima emozione sto provando tenendo in mano la videocamera! Solo l’autista, infastidito, sbatte le mani sul volante, ma né io né Denise ci preoccupiamo di ripulire i sedili.

    Sei contenta?" mi domanda Denise.

    Sì, sono contentissima, ma ti sarà costata un occhio della testa!

    Larysa, sai che per renderti felice farei questo e altro, preferirei restare senza soldi che vederti triste.

    Avverto un forte sentimento per Denise, il mio cuore comincia a battere e percepisco un lieve calore che mi dona benessere su tutto il corpo. Poso la camera accanto a me e le

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