L'erede di Hokuto-Sun. Anna story regenesis (prima parte)
By Manuel Mura
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L'erede di Hokuto-Sun. Anna story regenesis (prima parte) - Manuel Mura
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La regina degli spettri
Anna aveva appena finito la cena al ristorante italiano quando vide entrare tre giovani che avrebbe definito tutto muscoli e niente cervello, tipologia che finiva sempre per attirarla. Non che facesse molta distinzione: se era uomo e respirava andava bene. Ma quei tre erano di sicuro italiani come lei, lo comprese dall'accento. E in Cina non se ne trovavano molti nemmeno nel ristorante medesimo. Anzi in quel momento era quasi vuoto, sia per via dell'orario tardo che della posizione di periferia.
Dal canto loro i tre ragazzi la puntarono subito come le falene attratte dalla luce, anche se era la scelta più ovvia essendo l'unica donna non accompagnata e bellissima.
Alta e dal corpo atletico aveva capelli castani a caschetto su un viso ben fatto con il naso all'insù e intensi occhi grigi simili all'argento. Dalle spalle larghe e il seno consistente, messo in risalto dal vestito scarlatto dalle tante decorazioni floreali e dall'ampia scollatura, raggiungeva la perfezione nel magnifico fondoschiena e continuava con le lunghe gambe che lo spaccato rosso metteva bene in evidenza. In effetti era magnifica dovunque la si guardasse.
Come li vide avvicinarsi mise meglio in mostra le gambe, gonfiò il torace vigoroso mettendo bene in evidenza il seno e pensò d'aggiungere al tutto un'oliva che mangiò lentamente. E l'espediente dette subito i frutti sperati: la guardavano estasiati come fosse l'unica donna al mondo.
Erano ormai cotti al punto giusto, pensò Anna. Ma l'entrata improvvisa dell'ometto anziano - piccolo e minuto, dai capelli bianchi tagliati corti a spazzola, occhi chiari acuti su un viso liscio un tempo attraente malgrado il naso leggermente curvo - le fece perdere interesse per i giovani: finalmente, dopo tanto tempo, incontrava qualcuno che conosceva e non detestava.
I ragazzi se la videro passare davanti in un lampo e sfuggirle dalle mani, rimanendo sgomenti che preferiva un vecchio decrepito a loro tre. Delusi se ne andarono dal locale, mentre Anna abbracciava l'ometto come il più caro degli amici.
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In realtà era molto invecchiato. Con i capelli tutti bianchi, più ingobbito e col sostegno del bastone sembrava proprio un innocuo vecchietto e non un assassino di prim'ordine di Cosa Nostra nonché grande esperto di veleni.
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Lo fece accomodare al tavolo e gli offrì la cena ma l'ometto accettò solo una sigaretta.
Anche se cercava di non darlo a vedere era molto teso: si guardava attorno nervosamente, sudava e pensava al modo migliore per dirle qualcosa di sicuro importante, forse voleva chiederle un favore. Ma per toglierlo dall'imbarazzo fu Anna a parlare per prima.
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Anna non lo credeva affatto: l'unico che si avvicinava alla figura di un genitore era proprio l'ometto davanti a lei.
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Diede una bella boccata alla sigaretta mentre un gruppo di sei uomini vestiti di nero e dall'aria poco raccomandabile entravano nel locale e si sedevano proprio al tavolo accanto a loro. A vederli il signor Pastore si agitò ulteriormente, sicuramente già prima si guardava da loro e ora l'avevano trovato.
Comunque non fecero niente se non ordinare la cena ma buttavano occhiate continue al loro tavolo e non solo rivolte ad Anna: era chiaro che non cercavano lei.
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Puntò il capo del gruppo, un uomo alto e largo, dal volto pieno talmente malfatto da sembrare magnifico quello di un rospo a suo confronto, contornato da naso pronunciato, ciuffi di capelli scuri su un cranio in gran parte calvo malgrado fosse relativamente giovane e occhi boriosi dello stesso colore. E ad Anna non sfuggirono le pistole che lui e i compari nascondevano sotto le giacche. Tuttavia non appartenevano alla mala locale, anche perché erano tutti occidentali, probabilmente italiani come lei.
Il signor Pastore continuò a fumare la sigaretta cercando di nascondere sempre con meno successo l'agitazione.
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Lo disse ad alta voce facendo girare gli uomini e imbestialire il capo. Questi s'alzò di scatto e si pose davanti a lei gonfiando il torace senza scomporla minimamente.
<> ruggì con voce gutturale e impastata.
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Non bastasse la frase gli mandò il fumo in faccia facendolo tossire e imbestialire ulteriormente. Estrasse la pistola puntandogliela alla testa, subito affiancato dai suoi uomini che circondarono il tavolo.
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In effetti il presidente italiano non era altro che un prestanome sostituibile in qualsiasi momento, ma l'uomo se la prese ulteriormente.
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Si avvinghiò al braccio dell'uomo che se lo scrollò di dosso in un attimo per poi afferrarlo per la maglia e tirarlo su.
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Gli schiacciò la testa sul tavolo puntandogli la pistola alla testa.
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L'ometto sudò mentre Rana premeva il grilletto senza il minimo rimorso anzi sorridendo, solo che il colpo non prese lui ma uno dei suoi uomini. Cadde a terra morto tra l'incredulità generale.
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Un dolore alla mano gli fece morire le parole in gola e cadere la pistola: solo dopo un istante si accorse d'avere conficcato un coltello da cucina.
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Come la vide alzarsi, con lo sguardo duro come l'acciaio, gli occhi che brillavano di rosso e un alone del medesimo colore che ricopriva il suo corpo, rimase di sasso.
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<> Ma nessuno dei suoi si mosse: sembravano paralizzati. <
Ma furono loro a morire: crollarono a terra esanimi e il corpo esplose come un palloncino inondando di sangue il ristorante.
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L'uomo sudava ma non intendeva dargliela vinta: in fondo si trattava pur sempre di una donna.
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Fece per asciugarsi il sudore dalla fronte per poi scattare con la mano verso il volto di Anna, sperando di sorprenderla con il coltello che nascondeva sotto la manica: fu inutile.
La giovane evitò il colpo senza problemi e gli conficcò il dito indice nella testa.
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Buttò un'occhiata al ristorante e stavano tutti dormendo a eccezione di Pastore. E a pensarci nessuno finora aveva gridato o era scappato malgrado gli spari e i morti.
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Tolse il dito e il dolore scemò subito in Rana che ritrovò in un istante le forze e la baldanza. Come la vide voltarsi afferrò la pistola con l'altra mano, sicuro d'eliminarla una volta per tutte.
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La sua testa si gonfiò come un palloncino ed esplose.
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Volentieri la seguì fuori dal ristorante: viaggiarono un po' senza meta, per poi fermarsi su una larga e lunga scalinata.
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Si accese una sigaretta e si accomodò su uno scalino con accanto l'ometto.
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