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Terremoto nel cuore: Collana : Le avventuriere ai confini del mondo - Volume 2, #2
Terremoto nel cuore: Collana : Le avventuriere ai confini del mondo - Volume 2, #2
Terremoto nel cuore: Collana : Le avventuriere ai confini del mondo - Volume 2, #2
Ebook363 pages5 hours

Terremoto nel cuore: Collana : Le avventuriere ai confini del mondo - Volume 2, #2

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About this ebook

Chantal ha una vita tranquilla, senza intoppi e un nome tutt'altro che funky. Per ravvivare la sua vita quotidiana, si rifugia nei libri e in sogni di avventura e di romanticismo. La sua unica originalità? È nata in Nepal ed è stata adottata da una simpatica coppia alsaziana. Non ha più rivisto sua sorella gemella dai tempi dell'orfanotrofio, dove erano state separate all'età di due anni.

Un giorno, però, la vede su uno schermo televisivo mentre aiuta le vittime del terremoto in Nepal. Elettroshock. Inaspettatamente, Chantal decide di volare nel suo paese natale e cercare la sorella. Si lascia alle spalle il fidanzato Louis e la sua vita ordinata per uscire dalla sua zona di comfort... Con Chantal, dimenticate la torta ai mirtilli per assaggiare i momos, partite per Katmandu, Pokhara e fate il giro dell’Annapurna senza soffrire il mal di montagna... Questo viaggio sarà una sorpresa e vi stupirà...

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMay 7, 2021
ISBN9781071591307
Terremoto nel cuore: Collana : Le avventuriere ai confini del mondo - Volume 2, #2

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    Terremoto nel cuore - Sophie Rouzier

    Biografia dell’ autrice

    Sophie Rouzier, 37 anni, è una straordinaria giramondo. Preferendo i lunghi viaggi alla routine quotidiana, è stata in oltre cinquanta paesi. Accampandosi sul ghiaccio in mezzo ai pinguini imperatori, facendo trekking su un fiume ghiacciato nel Ladakh in India o, ancora, andando in kayak a Spitsbergen nelle Isole Svalbard tra gli iceberg, i suoi diari di viaggio abbondano di mille ricordi e aneddoti. Li condivide con i lettori attraverso le sue eroine.

    Nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo Clara au Guatemala: l’odyssée glamour d’une apprentie globetrotteuse, primo volume della collana Les aventurières du bout du monde. La sua seconda commedia romantica Tremblement de cœur: Chantal au Népal è stata pubblicata nel 2018. Con la sua novella Happy road trip to you pubblicata nel 2019, offre ai suoi lettori una tappa negli Stati Uniti.

    Al momento, Sophie sta lavorando al suo quarto libro, che avrà per destinazione il Botswana e la Namibia.

    Facebook: SophieRouzierauteur

    Twitter: @SophieRouzier

    Instagram: @sophierouzierauteure

    Email: sophierouzier.auteur@gmail.com

    www.sophierouzier.com

    «Sii te stesso, tutto il resto è già stato preso»

    Oscar Wilde

    Prefazione di Denis e Nadia Tribaudeau

    Non avrei mai pensato che i miei corsi di sopravvivenza sarebbero stati così stimolanti per Sophie. Ma che sorpresa leggere le avventure della saga di Chantal in Nepal alla ricerca della sorella! C’è tutto: amore, suspense, dramma, ricongiungimento, umorismo, dolore, sorprese. Proprio come me e mia moglie, verrete coinvolti nelle straordinarie avventure di questa ragazza destinata a una vita pacifica e monotona ma che, una sera davanti al telegiornale, si ritrova con il destino brutalmente ribaltato.

    Vi immergerete nel mondo dei viaggi e dell'imprevisto e ben presto vi invaderà un irresistibile desiderio di avventura.

    Ma, al di là del lato leggero e del «romanzo per ragazze», Sophie vi rende consapevoli dell'importanza di superare se stessi per raggiungere grandi risultati. Bisogna saper cadere per rialzarsi meglio, non lasciarsi mai andare e osare sempre per non avere mai rimpianti. Le ragazze lo sanno bene e ci sorprendono ogni giorno con la loro capacità di adattarsi a una vita che, dopotutto, è molto meno facile di quella degli uomini. Il loro coraggio e ostinazione sono paragonabili alla volontà di una tigre che cerca i suoi piccoli persi nella vastità della giungla piena di avvoltoi affamati. Molti fatti di quest’opera sono stati vissuti davvero da Sophie, ne sono stato testimone, l'ho fatta uscire (o meglio, la natura l'ha fatta uscire) dalla sua zona di comfort e lei ha saputo reagire meravigliosamente e ha messo in atto delle strategie di sopravvivenza che le ho modestamente insegnato. Quindi, nelle pagine che seguono, troverete un piccolo assaggio di «vere» tecniche di sopravvivenza. Molte scene sono state direttamente ispirate da ciò che ho vissuto con lei e con altri nove corsisti in Nepal, nel 2016, ai piedi dell'Annapurna, sulle alture di Pokhara. Anche lo «Yeti bianco» e la sua casa isolata si riconosceranno sicuramente. Per quanto mi riguarda, mia moglie mi assicura che sono bello e seducente come Clay, ma io non ci credo, penso che lo dica solo per non ferire i miei sentimenti. D'altra parte, c'è sicuramente un po' di somiglianza con il suo aspetto rude... Una cosa è certa, la prova finale per una coppia dovrebbe essere quella di vivere una situazione di sopravvivenza. Se la coppia resiste, sarà solida e durerà per sempre. Per questo «ho il giusto manuale di istruzioni»: è solo necessario che i due innamorati ascoltino i loro cuori per prendere la strada giusta... quella dell'amore.

    Secondo me, vedrei bene un adattamento cinematografico di questo romanzo tipo «Bridget Jones».

    Brava Sophie e a presto per nuove avventure!

    Capitolo 1

    Mi chiamo Chantal. Non chiedetemi perché mi hanno dato questo nome. Sì, è antiquato. Sì, non è molto glamour come nome. Lo so bene. Ma questo nome mi calza a pennello. Anch'io sono vecchio stile, noiosa, una che segue sempre le regole. Non attraverserei mai la strada con il semaforo rosso, non guiderei mai sulla corsia di sinistra per far ridere gli altri passeggeri, come faceva mio padre. Non sono funky. Mangio soia, faccio jogging tutte le mattine e non bevo alcolici. Mi alzo presto perché trovo fantastico godermi una giornata lunga e ben organizzata. Sono il tipo che si fa sfruttare in ufficio, lavoro più di quanto dovrei. Parlo solo quando ho qualcosa di interessante da dire, non sono abituata a perdere tempo e vado subito al punto. Sono sempre puntuale e adoro i libri molto descrittivi che gli altri ritengono soporiferi. Una persona che definireste insignificante? Sono io! Sono la ragazza che non noterete mai durante una serata, ma io mi ricorderò di voi, del vostro nome e del logo sulla vostra maglietta, anche senza avervi rivolto la parola. Eccomi qua. Sono Chantal. So cosa state pensando ora... «Bene, questa storia sarà proprio simpatica, questa Chantal ci farà dormire» E invece no! Aspettate un po’. Vale comunque la pena che voi mi ascoltiate!

    Sto solo cercando di spiegarvi chi sono, in modo che voi possiate identificare il personaggio. È un gioco da ragazzi. Tutti hanno incrociato una prima della classe durante la scuola. Il tipo di ragazza che aveva lunghi capelli neri sottili, legati dietro la testa in una coda da cavallo bassa. Quella che aveva gli occhiali orribili, scelti dai suoi genitori, e che adesso sono tornati di moda. Sì! Proprio quei vecchi occhiali brutti, spessi, e con la montatura in tartaruga. Io sono quel tipo di persona! Ok, siete riusciti a inquadrarmi meglio?

    Se faccio sport, è per cercare di avere una silhouette. Sono alta, magra e insignificante, ma questo l’ho già detto. Volete sapere qualcosa di nuovo, qualcosa che vi stupirà? Nonostante questo fisico, che considero ingrato, ho un ragazzo. Certo, è noioso come me, ma ne ho uno. A volte faccio fatica a crederci.

    Chi è questo fortunato, vi chiederete? Ecco una breve descrizione non esaustiva delle sue principali attrattive e caratteristiche: gli piace il cinema italiano degli anni '50, il jazz, il tai chi e condivide con me la passione per il tofu. Fa yoga ogni mattina al sorgere del sole. Non viviamo insieme, è ancora a casa di mamma e papà. In parte, a causa della loro religione. Comunque, il mio ragazzo è quanto meno più moderno dei suoi genitori. Ha provato più cose di quanto la Bibbia consenta prima del matrimonio e ha addirittura consumato... non è il caso di farne un dramma. Solo lui si è divertito... Quando vi ho detto che è noioso...

    Vi racconterò del nostro incontro... perché è stato mitico. La mia compagna Theresa, una fan delle discoteche, tra due ripassi per il nostro esame di chimica, mi aveva trascinata a una festa studentesca. Si era preparata per bene, avreste potuto pensare che sarebbe andata a lavorare sulla strada, tra la gonna corta, il trucco pesante, i collant con la riga e i capelli fluenti. In breve, eravamo appena arrivate che aveva già una mezza dozzina di spasimanti ai suoi piedi che, grazie alla luce soffusa, non potevano vedere l'opera d'arte che era il suo viso. Ben presto mi sono sentita di troppo. Ma Theresa mi coinvolgeva nelle conversazioni, continuava a parlare di me, cercava di farmi fare bella figura. Era la mia protettrice, cercava di convincere qualcuno dei ragazzi a interessarsi a me. Ma io non ero andata per quello. Avevo accettato di accompagnarla a questa festa solo perché volevo bere alcol fino a ubriacarmi. Volevo prendere una sbronza per la prima volta nella mia vita, sentirmi, come si suol dire, «partita», essere libera e fare cose che non sarei mai stata capace di fare da sobria. Al primo sorso di birra, mi sono ripromessa di non berne mai più fino alla fine della mia vita.

    Dopo poco tempo, Theresa aveva deciso di interessarsi a uno dei suoi pretendenti. Questi ne aveva già avuto abbastanza che io stessi incollata a loro.

    — Ehilà —disse a uno studente che se ne stava da solo al bar—. Prenditi cura della ragazza. Ha bisogno di compagnia.

    E fu così che l'altro, preso alla sprovvista, si sentì in dovere di fare conversazione con me. E poi a quel punto, per forza di cose, anch’io mi sono adeguata. Non volevo più continuare a fare da tappezzeria. Adoro parlare con gli estranei e raccontare la mia vita, riempire gli spazi vuoti e lanciare degli argomenti di conversazione! Questo giovane era arrivato al momento giusto! Onestamente, avrei preferito restare a casa sotto il piumone con il pigiama in pile, i calzini e il gatto al mio fianco. Sto forzando un po' l’immaginazione, perché in realtà non ho un gatto. Insomma, insisto e sottoscrivo: guardare l’ennesima replica di un adattamento di un romanzo di Jane Austen in televisione e nella sua versione originale sarebbe stato molto più piacevole. Beh no, ero in presenza di un giovane caduto dal cielo, lungi dall'essere ripugnante, che cercava di parlarmi, timido come me e che sembrava molto colpito dalla mia mancanza di prestanza e di sex appeal (e di seno). È sicuramente un geek, mi sono detta. Un ragazzo che passa le serate al computer con i videogiochi. Le cuffie avvitate sulle orecchie, chiacchiera con i suoi amici virtuali mentre mangia la pizza. Un vero cliché. O forse è un serial killer, ho pensato, che vuole mettere le mani su qualsiasi ragazza che non abbia l’aria troppo maschile. Fortunatamente, non era niente di tutto ciò. Ecco una trascrizione delle prime parole che ci siamo scambiati:

    — Ehm, ciao —mi ha detto.

    Wow, questo sì che è un approccio.

    — Ciao —gli ho risposto convinta quanto lui—. Vuoi la mia birra? —gli ho chiesto.

    — No, non mi piace.

    — Neanche a me.

    — E allora, perché l’hai ordinata?

    Vi risparmierò il resto della conversazione perché, per i primi dieci minuti, è stata di scarso interesse. Poi abbiamo trovato un paio di cose in comune e abbiamo finito per scambiarci i nostri numeri di telefono, sperando che nessuno dei due cercasse di chiamare l'altro.

    Due mesi dopo, gli ho inviato inavvertitamente un SMS ed è così che è iniziata la nostra love story. Certo, ho dovuto ignorare il fatto che indossa camicie a scacchi con pantaloni a righe. Non ha stile. Neanch’io, ma almeno conosco le basi. Ho dimenticato di dirvi che si chiama Louis. Chantal e Louis, suona davvero borghese. Louis non può negare le sue origini, emergono nel suo modo di esprimersi. Ecco una frase tipica che potrebbe pronunciare: «Chantal, oggi ho fatto una follia! Sono uscito cinque minuti prima della fine della lezione di matematica per far capire al professore che era noioso.» Con Louis arricchisco il mio vocabolario, mi eleva.

    Dicono che chi si assomiglia si piglia. Sembra che gli opposti si attraggano... che i brutti si riproducano tra di loro. Non posso dire quale di questi detti sia stato accertato (come vero[1]). Comunque sia, quelli erano i tempi dell'università. Adesso, sia Louis che io siamo entrati nella vita lavorativa. Non sorprende che, grazie al nostro zelo, siamo stati assunti dalle società in cui abbiamo svolto il nostro tirocinio di fine studi. Per me, è una rinomata azienda farmaceutica a Strasburgo, e per Louis è un istituto di statistica. Ciascuno di noi due lavora davanti al proprio computer, evitando il contatto con i colleghi e la macchina del caffè.

    Sono felice di stare con Louis. È serio, posso contare su di lui. È sempre di buon umore. Non mi deluderà mai, ne sono sicura. Tuttavia, vorrei aggiungere un aspetto negativo, se me lo permettete. Tra noi manca la passione, come la conosciamo nei romanzi o nelle commedie romantiche e un briciolo di follia, solo un briciolo mi basterebbe. Siamo entrati in una routine. Allora io sogno con i miei libri grandi storie d'amore e spero segretamente di essere qualcun’altra. Un'eroina vittoriana, una principessa russa? E perché no, una di queste stelle di RnB[2] che muove il suo didietro senza complessi ed eccita la razza maschile facendo scorrere la lingua sulle sue labbra carnose? Desidero essere una donna seducente su cui si concentrano tutti gli sguardi quando entra in una stanza. Vorrei essere sicura di me. Vorrei indossare un vestito attillato con tacchi di diciotto centimetri e un rossetto scintillante. Vorrei riempire questo vestito, che si vedano le forme, i fianchi e un seno arrotondato rifatto grazie a un amico chirurgo. Vorrei anche essere simpatica. Vorrei che le persone si ricordino di me e che, in segreto, sognino di stare come me. Vorrei che tutti mi ascoltassero quando apro la bocca e che non mi interrompessero. Vorrei essere un modello, un riferimento. Vorrei far parlare di me perché sono bellissima e non solo perché la mia azienda risparmia qualche euro grazie al mio intervento. Sono stanca di essere la dipendente dell'anno anche se lavoro in una società da soli due mesi. Nessuno conosce il mio nome, ma tutti sanno chi è il topolino da laboratorio. Stanca di avanzare su questa strada che è stata tracciata per me! Questa strada dove passo sopra le insidie senza problemi. Voglio azione, pericolo, voglio essere un’altra. Non sono fatta per questo corpo. Il mio vero temperamento non si può esprimere, è imprigionato. Brucio dentro e nessuno se ne accorge. Soffoco. Fortunatamente per me, questa sensazione non durerà ed è questa la storia che vi racconterò...

    — Chantal, hai dimenticato di abbottonarti la camicia fino in cima —mi dice Louis, alzando a malapena lo sguardo dal giornale.

    Cercare di essere sexy con un ragazzo del genere...

    Capitolo 2

    Ho paura di farvi fuggire. Restate, restate. Ho tanto bisogno di voi. Non lasciatemi da sola di fronte al mio destino. Sento che potete aiutarmi a trovare la strada che devo seguire. Ma, per prima cosa, venite al lavoro con me. Vi porto sulla mia bici, è un mezzo ecologico... proprio come me. Visitiamo insieme il mio posto di lavoro. Edifici a perdita d'occhio, una delle più grandi aziende farmaceutiche in Europa. Noi studenti di chimica la sognavamo. E naturalmente, io lavoro qui. Sono l'orgoglio dei miei genitori. Se voi sapeste... si vantano con chiunque voglia ascoltarli, che la loro figlia scoprirà il vaccino contro l'AIDS o sconfiggerà la fame nel mondo (abbiamo bisogno di medicine per sconfiggerla?). Ma in realtà questo non è affatto il mio campo. Infatti, nessuno ricorda in quale ramo lavoro. Li ho sentiti raccontare che lavoro nelle nanotecnologie. Beh no, ancora no. Invece sono tra coloro che controllano il lavoro degli altri e cercano di farli produrre di più, meglio, e a un costo inferiore. Sono un ingegnere del controllo qualità. Quindi il premio Nobel per ora non mi tocca.

    Ogni mattina mi viene il mal di stomaco quando inizio a legare la bici davanti al mio laboratorio. Ho paura. Dovrò ancora salutare tutti, sorridere, fingere di credere di appartenere a questa azienda, a questa vita ben scandita da uno stipendio alla fine del mese. Io non sono come loro. Cammino rasente alle pareti dei corridoi, sperando di non incontrare nessuno, non voglio stringere mani e fingere di essere interessata ai loro weekend, quando in realtà non me ne frega niente. Almeno quando inizio a lavorare sono da sola davanti al mio computer. Quello che mi preoccupa di più sono le riunioni: ascoltarli parlare di stupidaggini per ore e ore. E quello che parlerà di più passerà per il più intelligente di fronte agli altri. Ci manca solo che vogliano una caramellina come premio!

    — Ciao Chantal! Come va? —mi chiede un collega con più interesse del solito.

    Questa è la domanda a cui devo rispondere affermativamente, anche se mi sento esattamente il contrario. Faccio yoga con Louis, mangio bene, dormo le mie otto ore, bevo abbastanza acqua e non ho bisogno di togliermi il trucco perché non mi metto neanche il fard sul viso. Quindi sì, il mio corpo sta bene. Sicuramente vivrò più a lungo di te. Quindi sì, devo rispondere che sto bene. Ma non conosco la gioia. Sono in modalità sopravvivenza. I giorni si succedono tutti uguali, io li subisco.

    Quando affronto l'argomento con Louis, lui non mi ascolta. Sono solo le riflessioni di una bambina viziata. Ho tutto per essere felice. Dovrei guardarmi intorno, le persone che chiedono l'elemosina, i migranti, i malati, le famiglie lacerate, la difficile situazione degli orsi polari, i pesci pieni di plastica. Io ho da mangiare a sufficienza. Dovrei essere felice, quindi sto zitta. Soffro in silenzio. Non voglio deprimervi con la mia negatività. Non sono nemmeno al punto di voler lasciare questo mondo. Sento che c'è ancora speranza. Beh, probabilmente, da qualche parte, se si cerca bene... Mi sono forgiata questa vita da sola, devo sopportarne le conseguenze.

    Entro nel mio ufficio. Sono appena tornata da due settimane di ferie e vedo tutti i miei colleghi riuniti. Ho un solo desiderio, quello di girare i tacchi verso la porta di uscita. Mi osservano con insistenza. Ho una macchia sul cappotto? I baffi a causa della mia cioccolata calda biologica del Guatemala? Diluirla nel latte è una vera sfida al mattino.

    — Bentornata tra noi, Chantal! Dai, siediti e raccontaci un po’ della tua vacanza.

    Vogliono davvero sapere del Comic-Con[3]? Mi prenderebbero per una ragazzina. E poi, non riuscirebbero mai ad immaginarmi travestita da Principessa Zelda, è troppo funky per me. Eppure è stato così. Il mio vestito sembrava più un pigiama che una versione sexy di questo personaggio dei videogiochi. Non ho avuto problemi ad indossarlo, perché sapevo che nessuno mi avrebbe riconosciuto, figuriamoci negli Stati Uniti! In quanto grande fan dei supereroi, Louis ci teneva a partecipare a questo evento. Anche lui sogna di essere qualcun altro e indossare calzamaglie strette, ma questa è un'altra storia. Prima di poter dire qualsiasi cosa, una collega dice:

    — Non ci posso credere che tu l'abbia fatto! Chantal! Wow! Non pensavo fosse il tuo genere. Tu che hai l’aria tanto, ehm...

    Casalinga? Ho l’aria da eremita, da topo di biblioteca, da fifona? È un indovinello? Lei non osa finire la frase.

    — Uh... —balbetto.

    — Fino in Nepal! Ad aiutare la gente!

    — Falle vedere, falle vedere. È appena tornata, potrebbe non averlo ancora visto!

    — Ma di cosa parlate? —chiedo, intimidita da tanto interesse intorno a me.

    E allora cercano su YouTube un reportage sul terremoto che ha avuto luogo in Nepal due giorni prima. Ne ho sentito parlare al telegiornale, non potevo non saperlo. Le immagini sfilano davanti ai miei occhi. Vedo persone che soffrono, altre che piangono. Ci sono anche quelli che si sono persi, e sullo sfondo gli edifici crollati, i detriti, la polvere... E poi lei. Non mi sarei mai aspettata di rivederla un giorno. Mi viene voglia di vomitare. È così bella, così sicura di sé. La giornalista le pone alcune domande. Lei risponde in un buon inglese e spiega le azioni dell'associazione di cui fa parte come volontaria. Parla del lavoro titanico delle autorità per trovare le persone tra le macerie. Mi salgono le lacrime agli occhi. Non può essere. Non riesco più a seguire il reportage.

    — Oh! Chantal, scusa, non volevamo ricordarti quei momenti. Devono essere stati terribili! Avresti potuto dirci comunque che stavi andando in Nepal. E poi, interrompere le tue vacanze per fare la volontaria!

    Non riesco più ad ascoltarli. Mi siedo, mi manca il respiro. Mi circondano come zombie pronti a condividere il mio minuto di notorietà.

    Non l’ho detto a molti, ma quella persona sullo schermo, che loro pensano che sia io, è mia sorella. Non può essere che lei. Non la conosco. In effetti, è stato tanto tempo fa. Ci assomigliamo sempre come due gocce d'acqua. L'unica differenza è che lei va avanti a testa alta e non porta il peso della sua vita sulle spalle.

    — Chantal, sappi che siamo tutti molto orgogliosi di quello che hai fatto. Dopo aver parlato con il grande capo, l'azienda è pronta a sponsorizzare il tuo ritorno in Nepal, potresti prendere una specie di congedo per motivi di attività sociale e volontariato...

    Stanno delirando. Loro credono che andrò in un paese dove mia madre biologica ha abbandonato me e mia sorella perché una volta aveva avuto una storia con uno straniero. Che sfortuna, è bastata una volta! Ogni giorno vedo le mie origini allo specchio, questo basta per ricordarmi da dove vengo.

    Vogliono dare lustro al nome della loro azienda. Nei media si parla di aziende farmaceutiche che fanno soldi sulle spalle dei paesi in via di sviluppo. Mentre, invece, questi paesi poveri tentano, con i propri mezzi, di produrre molecole che possano salvare delle vite. Ai miei capi, di me non importa davvero niente. Non sanno cosa questo potrebbe significare per me.

    — Io - io ci penserò... —balbetto.

    Capitolo 3

    Vi devo una spiegazione. Mi avete immaginata fisicamente in un certo modo ma io sono tutt’altro. Sono una bambina adottata. L'ho sempre saputo. Ho vissuto con mia sorella per due anni in un orfanotrofio in Nepal. Ci siamo lasciate con un addio straziante. Mi hanno strappato il cuore quel giorno. Lo ricordo come fosse ieri.

    In Nepal, a quei tempi, non si potevano adottare due bambini dello stesso sesso, quindi siamo state separate. Io sono stato affidata alle cure di una famiglia adottiva. Sono partita per la Francia mentre lei è rimasta. I miei genitori hanno sempre cercato di rintracciarla. Lo hanno fatto per me. Non sono mai riusciti a sapere niente. Né il reparto maternità, né l'orfanotrofio hanno mai fornito informazioni utili. Mio padre biologico era un uomo importante, probabilmente un diplomatico in viaggio d'affari. Non voleva che sua moglie venisse a sapere della sua avventura. In realtà, non ne so niente, ma è quello che immagino. Mia madre biologica ha un nome così comune che è impossibile sapere che fine abbia fatto.

    A dire il vero, non mi è mai importato. Ho avuto un'infanzia più che normale. Sono stata felice con la mia famiglia adottiva. Sapevo che mi mancava una parte di me, ma non ho mai sentito il bisogno di saperne di più. Certo, mi sono interessata al paese, alle mie origini, ma più per le domande dei miei compagni di scuola che per un'altra ragione. Sì, i miei occhi sono leggermente a mandorla e la mia carnagione è meno bianca di altre. I miei capelli sono neri e fini. Nelle foto di classe si vedeva bene che c'era qualcosa di diverso. È chiaro che non sono nata nel piccolo villaggio di Munster. I miei genitori volevano così tanto un figlio che hanno attraversato i confini per venire a prendermi, a salvarmi. Tuttavia, mi hanno strappato dall'unica persona che mi amava di un amore incondizionato, il mio doppio, la mia metà. Colei che, come me, era stata abbandonata. Per un certo periodo, abbiamo potuto contare solo l’una sull’altra. Ci mettevano nella stessa culla. Quando una piangeva, l'altra, con la sua presenza, la consolava. Non si può sottovalutare questa forza, questo legame che esiste tra gemelli.

    Trovo difficile prendere una posizione, ma sono loro grata per avermi fatta uscire dall'orfanotrofio e per avermi portata nella loro vita. Mi hanno accettato senza conoscermi mentre mia madre mi ha rifiutato. Perché ci ha lasciate vivere per nove mesi nel suo grembo? Eravamo una parte di lei, e lo siamo ancora.

    All'orfanotrofio, fanno di tutto perché i bambini non abbiano paura degli estranei. C’erano anche dei dipendenti bianchi che si prendevano cura di noi. Dei caucasici, pardon, voglio esprimermi in modo politicamente corretto. Li sentivamo parlare in una vasta gamma di lingue. Questo serviva per prepararci a lasciare il paese.

    Del giorno in cui i miei nuovi genitori sono venuti a prendermi, non ho ricordi. Ho in mente solo le foto, quelle scattate in quel momento. Per loro, questi erano solo momenti di pura felicità. Per me la sensazione era tutt’altra: mi si portava via dalla mia unica famiglia.

    Ho avuto bisogno di tempo per adattarmi a questa nuova situazione. Due anni sono certamente pochi, ma abbastanza da lasciare segni indelebili. Mi mancava mia sorella. Non capivo dove fossi.

    I miei genitori volevano che imparassi un po’ di nepalese, che mangiassi dei momos, una specie di ravioli. Mi hanno fatto ubriacare di tè allo zenzero, mi hanno parlato dell'induismo, di città con nomi favolosi come Kathmandu o Bhaktapur, mi hanno portato allo zoo per vedere gli animali del mio paese di origine. Da piccola, avevo paura degli elefanti e delle scimmie. Nei miei incubi, li vedevo scappare da me, portando via mia sorella che mi guardava con occhi pieni di lacrime.

    Quello che volevo era essere normale. Volevo ottenere buoni voti, mangiare crêpes, indossare abiti da principessa. Il mio più grande desiderio era che smettessero di vedermi come una straniera e mi lasciassero vivere, respirare l'aria pura dei Vosgi. Non capivo perché mi facessero vivere ricordandomi costantemente chi ero. Per dei genitori adottivi, non deve essere facile. I miei non si sono mai sentiti all'altezza. Non sapevano come fare. È stato detto loro dell'impegno che l’adozione avrebbe comportato, che i primi momenti sarebbero stati cruciali per la nostra relazione futura. La fiducia, la sicurezza... un bambino adottato che piange deve essere confortato al più presto. Non bisogna lasciarlo urlare. Non deve credere che lo si abbandoni ancora. Un brutto sogno, i disegni, tutto viene analizzato. I miei temi a scuola, il mio comportamento in classe verso gli altri compagni... non un momento di tregua, tutto era sezionato. I miei genitori, io, gli psicologi... io volevo solo avere una vita normale.

    Ho finito per averla. Ho fatto di tutto per dimenticare chi fossi. Ho rifiutato tutto il mio passato. Vengo dalla valle di Munster. Mangio torte di mirtilli e formaggio bianco con kirsch[4]. Ho praticato danza classica e tennis. Suonavo il piano e volevo andare al catechismo come tutte le mie compagne. Mi sono costruita una gabbia, una tana. Una vita in cui non ci sono sorprese. Una linea ben tracciata che dovevo solo seguire. Ottenere il diploma di maturità, finire gli studi, trovare un buon lavoro, un compagno che si prendesse cura di me e soprattutto non avere mai figli. Come per rinchiudermi ancora di più in me stessa, mi sono rifugiata nei libri, un vero topo di biblioteca. Come Bilbo, uno dei miei personaggi preferiti di Tolkien, sono convinta che una vita per procura sia molto meglio di una vita piena di rischi e avventure. Una delle sue battute preferite riflette completamente il mio pensiero: «Noi siamo gente tranquilla e alla buona e non sappiamo che farcene delle avventure. Son cose brutte, fastidiose e scomode! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello!»

    Per completare il mio profilo, devo anche confessarvi

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