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Le Argonautiche degli abissi: Le Argonautiche 1
Le Argonautiche degli abissi: Le Argonautiche 1
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Le Argonautiche degli abissi: Le Argonautiche 1

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Fantasy - romanzo breve (104 pagine) - Un’avventura leggendaria dell’Antica Grecia, dove gli eroi ellenici, tra epica e commedia, combattono i mostri e le divinità abissali dei miti di Ctulhu.


Giasone reclama il trono di Iolco,  usurpato da suo zio Pelia, che lo spinge a compiere una grande impresa per essere acclamato come sovrano. Giasone accetta la sfida: per diventare re dovrà riportare il vello d’oro posseduto da re Eeta della Colchide. I più grandi eroi achei si uniscono a lui mossi da amicizia, da amore, da vanità o dall’idea di sottrargli il vello e divenire essi stessi sovrani.

Ma il disegno di Pelia è più oscuro: allontanare i grandi eroi dalle patrie, e così renderle vulnerabili agli attacchi della stirpe-degli-abissi, suoi antichi alleati, progenie di corrotte divinità che dimorano sulla Terra e sotto il mare da innumerevoli eoni. Gli eroi, tra cui il grande Eracle, la bella Atalanta, il cantore Orfeo, e lo spadaccino Meleagro, partiti con Giasone sulla nave Argo, affronteranno pericoli e avventure che trascineranno alcuni alla morte e alla follia, appesi a un labile legame di fratellanza, non scevro da rivalità e sospetto reciproco.


Uberto Ceretoli vive della passione per la scrittura. Tra le sue opere i romanzi fantasy Il Sigillo del Vento (Asengard, 2006), Il Sigillo della Terra (Asengard, 2007), Il Sigillo del Fuoco (YouCanPrint, 2012), i romanzi steampunk Codex Gilgamesh (Dunwich, 2013), Codex Innsmouth (Dunwich, 2016) e Codex Merrymaid (Dunwich, 2020), il med-fantasy L’ira di Demetra (Plesio, 2015), il romanzo horror distopico Il crepuscolo degli Eccelsi (NeroPress, 2018) e racconti fantastici pubblicati in numerose raccolte. Assieme all’amico Marco Bonati ha scritto Uomini in bilico (Oppure, 2006) e Inganno Diabolico (IoScrittore, 2016, vincitore premio MSDN per il miglior colpo di scena).

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 9, 2021
ISBN9788825415384
Le Argonautiche degli abissi: Le Argonautiche 1

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    Le Argonautiche degli abissi - Uberto Ceretoli

    scena).

    1

    – Femmine. Pelia re di Iolco, devi darci più femmine.

    – Voi non siete nella situazione di pretendere nulla! – Il sovrano scattò dal trono d’oro massiccio e fissò l’emissario, uno dei più raccapriccianti mai inviati da quelli-degli-abissi. La creatura al suo cospetto era più vicina al batrace che all’essere umano e, nonostante indossasse un chitone di bisso, erano ben visibili la cresta ispida della schiena e le spaventose fattezze del volto, storto e privo di orecchie e naso. L’ambasciatore si grattò l’occhio vacuo e sporgente di destra, inarcò le grandi labbra in un sorriso fesso e proseguì con la richiesta.

    – Shì, mi era shtato ben detto che shei un tipo orgogliosho, Pelia. Shei ancora un uomo forte, mio shignore, ma il colore dei tuoi capelli e i shegni del tempo shul tuo visho ti avvicinano ai giorni nei quali bishogna eshshere shaggi e non vigorshi. Tu shei shul trono di Iolco grafie al noshtro aiuto, non dimenticarlo. Mai. Noi ti abbiamo resho re e noi ti deporremo, she neceshshario. Più femmine: queshta è la richieshta del grande-inabishshato Forco. Non shono qui per dishcutere.

    Re Pelia valutò le espressioni dei suoi nobili e dei consiglieri seduti sugli scranni di cedro intarsiati, posti accanto al trono d’oro; la maggior parte dei suoi fedeli generali erano disgustati dall’ambasciatore del popolo di Forco e solo pochi si erano abituati a sopportarne la vista e il puzzo che emanava. Si mosse verso l’emissario ingobbito e vide i vistosi tagli sul collo che fremevano. Sorrise, resse l’afrore di antico marciume e sfoggiò una voce tra comprensione e sarcasmo.

    – Se vi consegno le donne oggi, non ne avrete domani perché non potranno partorirne di nuove.

    L’emissario digrignò i denti seghettati in un sorriso malevolo. – Ci occorrono più femmine. Muovi guerra ai vicini, shaccheggia i villaggi, rapishci le shacerdoteshshe dai templi. Trova un modo o altri lo faranno al tuo poshto. Non ho più nulla da dirti, she non che verremo a prenderle a breve. Ti porgo i shaluti del grande-inabishshato. – La creatura sogghignò e, scortato da guardie armate di lancia e scudo, uscì dalla stanza del palazzo reale trascinando le sue membra, inadatte a reggerlo sulla terraferma. I soldati lo portarono nel cavedio antistante, quindi lungo un corridoio che terminava in un sentiero isolato che scendeva al mare.

    L’odore di marcescenza scomparve con lui.

    – Non è gran cosa ciò che chiede quello-degli-abissi, padre – disse il guerriero che sedeva alla destra del re, simile a lui nei lineamenti gentili ma più giovane.

    – Fai silenzio, Acasto, non ho chiesto la tua opinione – ringhiò Pelia. Dopo lo sfogo guardò i presenti, stupiti. – Perdonatemi tutti, soprattutto tu, figlio mio prediletto. Sono ancora sconvolto e fatico a ragionare. C’è soltanto rabbia. – Sbuffò e ammirò la grande sala che quelli-degli-abissi lo avevano aiutato a strappare a suo fratello Esone, più di venti anni da quel giorno; Pelia tornò a sedere ciondolando e si fissò sulle pareti dipinte da scene di caccia. La luce tremante dei bracieri d’argento rendeva vivi i cacciatori e le loro prede.

    Il giovane Acasto si passò le mani sulla fronte e schiacciò all’indietro i lunghi e crespi capelli neri. Riprese a consigliare il padre. – Intendevo dire che potresti sfruttare i giochi indetti per onorare Poseidone. Verranno atleti, ma anche e soprattutto donne da tutti i regni dell’Ellade. Ci sarà una moltitudine di individui che non si conoscono tra di loro, che non si curano della sorte altrui e che si dedicano esclusivamente a soddisfare i propri piaceri. Quando le donne verranno sorprese a offrire compagnia, le guardie ne imprigioneranno quante ce ne occorrono.

    Pelia diede un pugno al trono d’oro, facendo sussultare i presenti. – Intendi omaggiare Forco con uno stuolo di etère e pornai?

    – Cosa occorre a quelli-degli-abissi, se non femmine con le quali accoppiarsi? Diamogli dunque le più esperte e le più luride che troveremo: saranno doppiamente soddisfatti! – Acasto rise allargando le braccia e nobili e sacerdoti annuirono, soddisfatti che qualcun altro pagasse lo scotto dei loro privilegi. – Quelli-degli-abissi chiedono cinquanta donne? Ebbene, diamone loro cento, e tra le più sudicie che arresteremo: con il via vai di gente della Tessaglia, nessuno si accorgerà della loro sparizione e ne lamenterà la mancanza. Anzi, daremo un senso alle loro tristi esistenze.

    Pelia guardò il pavimento di piastrelle di marmo, assorto. – Vedi, figlio mio, trovare cinquanta donne ogni anno non è un problema. Ma lo diventerà quando Forco ne esigerà cento, cinquecento, mille. E non sarà un problema mio, sarà un problema tuo e di chi verrà dopo di te.

    Acasto scrollò le spalle. – Affronteremo i problemi quando arriveranno, non prima. Domani è un altro giorno.

    – Sbagli, invece. Oggi è l’opportunità che ci offre la dea Ananke per impedire che i problemi di ieri diventino le disgrazie di domani. – Pelia sospirò e guardò i dodici guerrieri che gli avevano giurato fedeltà quando aveva cacciato Esone. – Siete sempre stati con me, devoti in ogni momento. Appoggiate l’idea di mio figlio?

    Il primo, alla sua sinistra si alzò e così fecero gli altri, uno a uno.

    – Bene dunque, che così sia.

    2

    – Un brindisi per il nerboruto Eracle, giunto da Micene dopo aver catturato il cinghiale di Lampo nella palude dell’Erimanto. – Re Pelia era in piedi, davanti a un trono di cedro posto al centro della scena dell’odeion dove aveva radunato tutti i suoi ospiti; alzò la coppa d’oro tempestata di gemme, di lapislazzuli e di alabastro per indicare l’eroe. I dodici generali e i dieci sacerdoti seduti dietro di lui brindarono tutti.

    Muscoloso e alto più di ogni altro, il barbuto Eracle aveva una folta chioma bruna e riccia che gli arrivava alle spalle. Vestito con una tunica lunga sino al ginocchio, indossava la pelle del terrificante leone Nemeo e portava come arma una clava di bronzo; al suo fianco stava un nobile giovinetto di nome Ila che custodiva il suo arco e ne portava le frecce.

    Un’ancella vestita di un morbido chitone aperto sul petto per mostrare il seno, come voleva la moda cretese, porse una coppa d’argento all’alto e prestante guerriero, che indugiò a osservare le forme sode e invitanti dalla donna.

    Re Pelia cercò Anceo tra gli eroi radunati davanti al primo gradino della cavea; il guerriero vestito di una pelle d’orsa teneva le mani sul manico di un’ascia bipenne grande quanto un bimbo e con la testa poggiata davanti i piedi. – Mi domando se ci sarà qualcuno capace di strappare la vittoria dei giochi al valoroso figlio di Zeus!

    Eracle bevve il vino annacquato e rovesciò la coppa, dalla quale non scese una sola goccia. I fortunati che avevano trovato posto a sedere ulularono. L’eroe lanciò uno sguardo cupido al petto dell’ancella e si andò a sistemare tra gli illustri personaggi che erano stati stuzzicati dall’opportunità di vincere i giochi di Poseidone; sgomitò per sistemarsi tra Anceo e il possente Periclimeno mostrando tutta la propria possanza.

    – Il prossimo, si faccia avanti il prossimo. Siete così tanti e valorosi che non ricorderò il nome di tutti ma che nessuno dica che non ho accolto ogni eroe che si è presentato – gridò Pelia, ridendo.

    La folla che circondava l’odeion si aprì per far passare l’ultimo prode. Un ragazzo dai capelli lunghi, biondi, e dagli occhi chiari si fece avanti; indossava una pelle di leopardo, una tunica aderente di cuoio e un doppio mantello vermiglio con preziose decorazioni di miti su una striscia purpurea. Era armato con un grande scudo tondo di pelle, una spada e una lancia e, come i più esperti guerrieri, portava soltanto lo schiniere di sinistra. Arrivò a testa alta sino al centro dell’orchestra e salutò il re con un cenno del capo.

    – Benvenuto, ragazzo. Io, re Pelia ti porgo il saluto di Iolco. Tu sei l’ultimo come ordine ma non mi sembri affatto l’ultimo dalle vesti che sfoggi – il sovrano allargò le braccia e invitò l’ospite a presentarsi. – Tu porti un mantello degno di un re, ma tutti i re che conosco sono giunti o hanno inviato i loro figli. Da dove vieni?

    – Il mio mantello è degno di un re perché di un re sono figlio; e mi vanto di portare con me l’educazione ricevuta da Chirone, giacché io vengo dall’antro di Cariclo e di Filiria, dove le caste figlie del Centauro mi ebbero in cura: dopo aver trascorso vent’anni lassù senza mai dire né fare cosa disonesta, sono tornato nella mia casa per recuperare l’antico dominio ingiustamente usurpato. Il nome che è mi è stato dato da Chirone è Giasone ma tu mi conosci come Diomede, figlio di Esone, vero re di Iolco. Io non vengo per i tuoi giochi, Pelia, io vengo a rivendicare il trono che occupi.

    I nobili e Acasto rimasero impietriti sugli scranni. Il silenziò ghermì l’odeion.

    Pelia alzò una mano e consegnò la propria coppa d’oro alla prosperosa ancella. Piano, si mosse verso Giasone e gli prese le spalle. – Il mio nipote, il mio amato nipote! Ecco Diomede, colui che tra tutti merita più affetto perché lo credevamo perduto. Vieni, vieni. – Camminò in tondo, abbracciato al nipote. – Sei cresciuto in forza e bellezza. Sembri valoroso e io apprezzo il tuo desiderio di importi e il tuo genuino vigore. I Centauri ti avranno ben istruito nell’arte della guerra e della medicina ma l’arte di mediare tra le genti è più complessa e fine che brandire metallo. Ciò che chiedi, purtroppo, non mi è possibile: non posso restituirti il trono perché io sono re non per mia scelta ma per le colpe di mio fratello, tuo padre. Io non ho usurpato questo tono per un mio esecrabile vezzo: mi è stato invece affidato da poteri che sfuggono agli umani limiti. Per essere degni di un trono, nipote mio adorato, occorre compiere imprese eroiche, imprese possibili solo con il favore degli dei.

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