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La regola Tolkien
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La regola Tolkien

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La nostra civiltà sta attraversando una profonda crisi che può sfociare in un epocale trapasso culturale. Cosa fare di fronte al concreto rischio della morte della nostra identità? Di fronte al progetto di annientamento delle nazioni volto a instaurare un 'nuovo ordine mondiale', non si può che immedesimarsi nei protagonisti del capolavoro di Tolkien, 'Il Signore degli Anelli', i quali hanno dovuto aspramente lottare per difendere la propria esistenza. Pertanto, ricercando le cause e illustrando le conseguenze della crisi civile e sociale che stiamo vivendo, nel libro si aprono nuove prospettive per dare un reale contributo alla causa della libertà e della sovranità nazionale, in modo da uscirne vittoriosi, proprio come è avvenuto nella trilogia tolkieniana.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 1, 2021
ISBN9791220324953
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    La regola Tolkien - Gianluca Sementilli

    La regola Tolkien

    Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,

    Tutta la tua vision fa manifesta,

    E lascia pur grattar dov’è la rogna.[a]

    (Dante Alighieri)

    Oimé, non più tacere!

    Gridate con cento migliaia di lingue.

    Vedo che, per il tacere, il mondo è guasto.[b]

    (Santa Caterina da Siena,

    compatrona d’Italia e d’Europa)

    L’unica cosa necessaria

    per il trionfo del male è

    l’ignavia degli uomini buoni.[c]

    (Edmund Burke)

    [a] La Divina Commedia, Paradiso, XVII, 127-129

    [b] Edizione critica delle Lettere di santa Caterina da Siena, a cura di Antonio Volpato, Centro Internazionale di Studi Cateriniani, 2016

    [c] Frase attribuita allo statista britannico, anche se non è presente in nessuna delle sue opere. Pare che essa derivi da un’altra citazione dello stesso Burke contenuta in ‘Pensieri sulle cause dell’attuale malcontento’ (1770): Quando i malvagi si uniscono, i buoni devono associarsi. Altrimenti cadranno uno ad uno, un sacrificio spietato in una lotta disprezzabile.

    1

    La crisi di civiltà

    L’inizio di questo nuovo millennio è stato finora segnato da profonde trasformazioni, le quali, interessando tutti gli aspetti sociali, sia nel campo della politica e dell’economia e sia nelle tendenze culturali e di costume influenzate dai nuovi mezzi di comunicazione, hanno notevolmente inciso sul modo di vivere e di pensare delle persone. Questo tentativo di trasformare radicalmente la società, oltre a consegnare alle nuove generazioni un mondo profondamente diverso da quello che hanno ereditato, ha già portato un drastico e sensibile peggioramento delle condizioni di vita quotidiana, manifestato in maniera del tutto evidente nella crisi economica di questi ultimi anni.

    La crisi che stiamo attraversando non può essere ricondotta esclusivamente alle conseguenze sull’economia di decisioni politiche prese da un’inebetita classe dirigente. Seppur tali effetti, in modo inesorabile, stiano incidendo negativamente sulla vita reale delle persone, essi sono semplicemente il riflesso materiale generato dalla decadenza civile di un’intera comunità, essenzialmente dovuta al deserto spirituale che sta caratterizzando la nostra epoca. Infatti, in nome di un sedicente progresso valutato per lo più da discutibili indicatori economici, si vuole cancellare quel patrimonio umano fatto di storia, tradizioni e senso del sacro che può essere sintetizzato nel termine ‘civiltà’.

    Il concetto di civiltà è nato per identificare le diverse forme di vita sociale e materiale che l’uomo si è dato nel corso della sua storia in base a valori spirituali, culturali e istituzionali. Tali fattori non sono definiti casualmente dalla tendenza del momento, ma si ripetono di generazione in generazione, in modo da costituire un imprescindibile elemento di appartenenza identitaria. Pertanto su questi specifici elementi si fonda il principio di civiltà, attraverso i quali essa si può poggiare come se fossero delle solide radici che le permettono di reggersi autonomamente e persistere al duro corso della storia e degli eventi.

    Quando si pone l’obiettivo di trasformare radicalmente una società, inevitabilmente sorge la necessità di combattere la civiltà che ne ha plasmato la struttura sociale, sciogliendo i vincoli e i legami ereditati dal passato. Perciò, se in seguito a dei gravi squilibri politici ed economici avviene un radicale mutamento dei valori e delle convinzioni fondamentali di una comunità, volti esclusivamente alla disgregazione delle strutture e delle istituzioni vigenti, allora si è di fronte a una crisi di civiltà.

    L’Europa e la sua civiltà

    Una civiltà, come già anticipato nell’introduzione di questo capitolo, definisce il complesso degli aspetti materiali, sociali e spirituali di un popolo, o di più genti affini, messi in relazione a un determinato periodo storico o a una particolare area geografica, oppure, nel suo significato più consono, a segnare imprescindibilmente l’identità di una comunità.

    Da Italiani noi apparteniamo, insieme a tutti gli altri popoli d’Europa, alla civiltà europea, la quale, come si deduce dal nome, contraddistingue in maniera inequivocabile il nostro continente. Essa si è in seguito estesa in altre parti del globo, per esempio nelle Americhe, in seguito al processo di colonizzazione da parte di genti europee. Non rimanendo perciò confinata solo sul territorio europeo, la nostra civiltà è anche identificata con il termine occidentale, il quale non è soltanto un nome preso in prestito dalla geografia, ma è diventato un sinonimo per identificare il nostro modo di vivere e di pensare.

    Questo termine è stato coniato già nell’antichità per indicare la civiltà greco-romana, antesignana dell’attuale civiltà europea, sviluppatasi territorialmente a occidente rispetto alle civiltà orientali dell’Asia come quella persiana, indiana o cinese. In Occidente l’Età Antica, fondata sul complesso di uomini e dèi, ha visto fiorire la grande espressione culturale della Grecia classica e la prima Roma imperiale. Seppur abbia influenzato notevolmente la società odierna (per esempio il termine ‘Europa’ deriva dalla mitologia greca), l’antichità classica è stata superata dall’avvento del Cristianesimo, in cui Dio si è manifestato al mondo facendosi uomo, conducendo l’Europa alla modernità e alla nascita, ereditando dal passato la filosofia greca e il diritto romano, della propria caratteristica civiltà che la contraddistingue nel mondo.

    Infatti, prima di essere considerata un’espressione geografica, l’Europa è soprattutto un’identità culturale rappresentata dalla comunanza etnica, linguistica e religiosa dei distinti popoli che la compongono (appartenenti alla razza bianca, alla famiglia linguistica europea e alla religione cristiana) e da comuni fattori storici e politici espressi dal valore intrinseco della laicità. Principale caratteristica statuale della civiltà europea, essa deriva direttamente dalla sua tradizione cristiana ed è definita, secondo il Vangelo (date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio), dalla divisione del potere in temporale e spirituale (l’Impero e il Papato già dai tempi di Carlo Magno più di mille anni fa).

    Il fattore religioso è sempre stato il cardine di qualsiasi civiltà, non a caso il grande scrittore tedesco Goethe dovette asserire che la lingua materna dell’Europa è il Cristianesimo e il filosofo Immanuel Kant era convinto che il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà. Con queste affermazioni, due massimi esponenti della cultura europea, promotori del moderno pensiero laico e contemporaneo, hanno solo voluto riconoscere la preminenza del Cristianesimo nel plasmare la nostra civiltà. Lo hanno dovuto fare per respingere gli iniqui e faziosi ‘illuminati’, i quali, già nella seconda metà del Settecento, si erano proposti di sradicare le radici cristiane dal nostro continente per edificare una nuova società (concetto che sarà trattato dettagliatamente nei capitoli successivi).

    In un intervento di qualche anno fa incentrato sulle radici cristiane del nostro continente, pubblicato dalla rivista di geopolitica ‘EastWest’, il cardinale Gianfranco Ravasi ha scritto che l’Europa non ha quasi mai avuto una unità civica, politica o storica, ma per secoli ha avuto una sua unità civile, culturale e spirituale. Il pilastro e punto di riferimento di questa unità, insieme al retaggio della filosofia greca e del diritto romano, è stato per l’appunto il Cristianesimo che con la sua celebrazione della persona e della dignità umana, con la contemplazione (ora) e l’impegno sociale (labora) del monachesimo, con la riflessione del Medioevo e con la cultura gloriosa dell’Umanesimo e del Rinascimento, costituiva il grande codice ideale dell’Europa.[1]

    Se i drammi avvenuti nel recente passato hanno posto il dubbio sulla validità dei valori della nostra civiltà, non si può negare che molti danni siano avvenuti con la consapevole scelta di aver voluto abbandonare le proprie radici spirituali. Già a fine Ottocento lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij esprimeva tutta la sua angoscia nel fatto che l’Europa ha rinnegato Cristo, tanto da considerarlo il solo motivo per cui essa sta morendo.[2]

    Forse Dostoevskij, nel suo animo, stava prevedendo quello che sarebbe successo nel Novecento, quando lo scoppio di due guerre mondiali, la Rivoluzione bolscevica nel suo Paese natale e l’affermarsi dei regimi totalitari avrebbero messo in crisi le strutture secolari della società europea. Tali eventi possono essere letti come dei cataclismi volti a distruggere le fondamenta stesse della nostra civiltà imperniata profondamente sui valori cristiani.

    A proposito dei radicali progetti ideologici di avversione alla tradizione cristiana, un Premio Nobel per la Letteratura come il poeta e scrittore Thomas Stearns Eliot, un figlio dell’America che scelse l’Europa come patria, affermava nel secolo scorso che un cittadino europeo può non credere che il Cristianesimo sia vero e tuttavia quel che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il Cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto.[3]

    La nostra civiltà è talmente intrisa di tradizione cristiana che rinnegare la propria identità può solo condurre al disfacimento l’intera società. Infatti, come qualsiasi organismo vivente che una volta recise le proprie radici è destinato a morire, anche una civiltà a cui è stata tolta la linfa vitale è destinata a soccombere. Quindi la difesa della propria tradizione culturale non può essere solo confinata a un esercizio filosofico, ma diventa un ‘imperativo categorico’.

    Negli ultimi due secoli della storia europea, segnati dalla deleteria volontà di eliminare la tradizione cristiana dalla società, il primo a rispondere a questo obbligo è stato il poeta tedesco Novalis, il quale, messo di fronte allo sconquasso provocato dalla Rivoluzione Francese tracimata oltre i confini nazionali (i cui responsabili figurano tra i già citati filosofi e ideologi illuministi), scrisse nel 1799 un saggio dal titolo esplicativo, ‘La Cristianità ovvero l’Europa’.[4]

    Il concetto di ‘Cristianità’ non è inteso solo dal punto di vista religioso, bensì ha un significato civile in cui si rappresentano le terre abitate da popolazioni cristiane (ovvero l’Europa) con le proprie istituzioni politiche e la propria cultura ereditata, come affermato in precedenza, anche dall’antichità classica (la filosofia greca e il diritto romano).

    Vedendo nell’unità religiosa del Medioevo il modello civile di riferimento, Novalis constatò che tutte le maggiori crisi scoppiate in Europa, come la Riforma Protestante o la stessa Rivoluzione Francese, erano dovute alla rinuncia del primato spirituale della Chiesa Cattolica. Per contrastare l’eventualità di ulteriori pericoli che potessero mettere a rischio l’esistenza stessa della civiltà europea, egli intravide la rinascita dell’Europa solamente nel segno del Cattolicesimo, unicamente spirituale e libero dai condizionamenti politici, tanto da assimilare i tratti più meritevoli del pensiero riformatore e illuminista, in modo da non venire più accusato di essere una forza oscurantista e nemica del progresso.

    Il primato dell’Occidente

    In verità, la religione cristiana non è stata una forza oscurantista che ha impedito il progresso del continente e ostacolato l’avvento della modernità. Il filosofo Benedetto Croce nel 1942 (in piena Seconda Guerra Mondiale durante la quale sembrava persa ogni traccia di bene sulla Terra), ponendosi la domanda sul perché, appartenendo alla civiltà europea, non possiamo non dirci ‘cristiani’, scrisse per l’appunto un saggio a riguardo (‘Perché non possiamo non dirci cristiani’), in cui definì il Cristianesimo come la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta apparso da "un miracolo, una rivelazione dall’alto, un intervento di Dio nelle cose

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