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Scelte sbagliate
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Scelte sbagliate

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About this ebook

In una piccola località della Catalogna rurale Axel, primogenito di una famiglia facoltosa, e sua moglie Lisa attraversano un periodo di ristrettezze economiche. Per uscire dall’impasse, la coppia pianifica il rapimento del nipotino Joel. In teoria, un sequestro rapido e facile, da cui tutti sarebbero dovuti uscire indenni. Ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Con questo libro l’autrice ha voluto “esplorare le miserie nascoste nelle relazioni familiari e di coppia. Tutto ciò di cui ci vergogniamo e che occultiamo sotto il tappeto: le menzogne, il rancore, l’invidia, la slealtà”. Un romanzo noir che indaga e mette in discussione stereotipi sociali e sessuali.

Libro pubblicato con il sostegno dell’Institut Ramon Lull, Istituto di lingua e cultura catalana
LanguageItaliano
Release dateFeb 26, 2021
ISBN9788894979329
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    Book preview

    Scelte sbagliate - Susana Hernández

    Colophon

    Titolo originale

    Males decisions

    © 2017 Susana Hernández

    @ 2017 Editorial Alréves S.L.T.

    © Edizioni le Assassine, 2021

    Tutti i diritti riservati

    Traduzione dal catalano di Laura Mongiardo

    Progetto grafico copertina e interni: studioquasar

    Copertina: elaborazione da foto Adobe Stock

    ISBN della versione e-book 978-88-94979-32-9

    La traduzione di questo volume è stata realizza con il contributo

    dell’Institut Ramon Llull.

    Lingua e cultura catalana

    www.edizionileassassine.it

    info@edizionileassassine.it

    Susana Hernández

    Scelte sbagliate

    Traduzione di Laura Mongiardo

    Edizioni le Assassine

    Milano

    Sperare che la vita ti tratti bene

    solo perché sei una persona buona

    è come sperare che una tigre non ti attacchi

    solo perché sei vegetariano.

    Bruce Lee

    LIBRO 1

    Dobbiamo sequestrare Joel

    I

    D obbiamo sequestrare Joel. Ci ho pensato e ripensato. È l’unica soluzione, Àxel.

    Lisa sgancia la bomba un martedì, durante la colazione. Si allaccia la vestaglia di un azzurro annacquato, che si ostina ad aprirsi sul davanti, scosta la frangetta biondo ossigenato che le copre gli occhi e ingoia una cucchiaiata del liquido contenuto nella ciotola. I cereali alla crusca galleggiano come paglia secca in un mare giallognolo di latte vegetale. Mi guarda senza traccia di espressione sul viso, come se avesse appena fatto un commento banale sulle previsioni del tempo. Non ho alcun dubbio che il malumore congenito di mia moglie sia strettamente correlato con la porcheria che butta giù tutte le mattine per fare colazione. Quante volte le ho detto di farsi un paio di muffin della panetteria Vehils e un caffè bello carico, ma non c’è verso. Come se fosse una vendetta organizzata dai cereali, il muffin che stavo assaporando con tanta goduria d’un tratto mi si strozza in gola. Per un istante ho la certezza che rimarrà incastrato lì, per sempre, fino a togliermi il respiro e la vita.

    Su, bevi un po’ di caffè.

    Obbedisco.

    Finalmente, il muffin assassino scivola giù per la gola, a fatica. In un accesso di tosse secca e dolorosa, riesco a dire: Joel, chi? Mio nipote?.

    Ne conosci forse un altro?

    Fa un sospiro lunghissimo, impaziente. La spossatezza e l’apatia sono altri aspetti di Lisa che mi preoccupano, per quanto non possa affermare se abbiano a che fare con i cereali, con me o con questo schifo di paese. A ogni modo, è sempre più evidente che la vita insieme è un piano C per lei, un’uscita di emergenza rimasta aperta dopo che tutte le porte si sono chiuse, quando i sogni ormai non sono altro che materia in decomposizione.

    Lisa scosta la ciotola con i cereali, che ha lasciato quasi intatta, e si accende una Marlboro. Butta fuori il fumo con una calma trattenuta e densa che non lascia presagire nulla di buono. Il suo sguardo freddo si perde oltre la finestra della cucina, verso il groviglio di fabbriche fumanti, la bruma mattutina e le case modeste con il piccolo giardino in cui non cresce nemmeno un’erbaccia, sotto un cielo grigio come i suoi occhi.

    Apri bene le orecchie, Àxel. Abbiamo solo due alternative. O chiedi più soldi al tuo fratellino o sequestriamo il bambino.

    Dai, smettila. Stai scherzando, vero?

    Il mio istinto mi dice di no, che non mi sta prendendo in giro, ma voglio illudermi che si tratti di una burla del mattino, anche se di pessimo gusto.

    Dico sul serio.

    Non ci posso credere, Lisa. Sei completamente fuori di testa, cazzo. E no, non gli posso chiedere altri soldi, ok? Gli dobbiamo dodicimila euro dall’anno scorso, e siamo già fortunati che Rai non ce li abbia chiesti, finora.

    Ma pensa, che gentile a non averti chiesto i soldi. Certo che sei proprio un idiota, Àxel.

    Che vuoi dire?

    Ma come! Il tuo fratellino ti ha fregato l’eredità, si è tenuto tutto quello che era tuo. È il capo della fabbrica, ha le proprietà di famiglia, una casa lussuosa. E tu, cos’hai, Àxel? Che cavolo hai? Le briciole che ti lascia. È normale che non ti chieda indietro i soldi. In fondo sa che te lo deve.

    Sento il petto che scoppia, voglio che taccia una buona volta. Annoto mentalmente che dovrò prendere le medicine non appena avremo terminato la colazione e questa conversazione surreale.

    Sei ingiusta con Rai. Le cose dovevano andare così. Non è colpa sua, non mi ha rubato niente. È stata una decisione di nostro padre.

    Comunque non si è tirato indietro, non ha detto: ‘Ehi, a mio fratello maggiore, l’erede legittimo, spetta una bella fetta della torta dei Badia’. È stato zitto e si è intascato la fortuna. Questa è la realtà, che tu la voglia vedere o meno. E poi, come facciamo a restituirgli i soldi se siamo alla canna del gas? La faccenda è molto delicata, Àxel. Rischiamo di perdere la casa. Abbiamo un debito di settantamila euro.

    Forse non sarebbe tanto male perdere la casa rispondo senza pensarci troppo, per farla uscire un po’ dai gangheri. Non mi piace che parli male di Rai, non lo tollero.

    Cosa?

    Fa un tiro profondo, vorace, in grado di aspirare la sigaretta intera. Il suo fascino oscuro mi soggioga, anche se in questo momento vorrei cancellare le sue ultime parole, riavvolgere il nastro e tornare a cinque minuti fa, prima che aprisse bocca e parlasse del sequestro di mio nipote, di mio fratello, di quello che mi spetta di famiglia e di quello che ho. Adesso che ci penso, cos’ho? Mi guardo intorno e la risposta è ovvia. Lei. Non ho nient’altro che Lisa.

    Be’, tutto questo, amore mio scrollo le spalle. Tanto, questa casa è una merda. Questo dannato paese è una merda. Possiamo tagliare la corda, e ricominciare da un’altra parte.

    E i debiti svanirebbero magicamente? sorride con un miscuglio di accondiscendenza e di pietà. Sei un bambino, Àxel. E dove andremmo, stiamo a sentire... poggia le mani sui fianchi e mi fucila con lo sguardo.

    Ovunque.

    Ah, adesso sì che sono più tranquilla, pensa un po’. E di cosa vivremmo? alza la voce. Me lo dici o no?

    "Ce la cavaremmo in qualche modo."

    Come no! Non sai nemmeno coniugare il verbo ‘cavarsela’. Non farmi ridere. Tutta la tua vita da adulto l’hai passata a lavorare con la tua famiglia. Prima con tuo padre e adesso con il fratellino. Non ti licenziano perché siete parenti. Se te la cavassi davvero, non saresti conciato così, caro mio.

    Senti chi parla! Ma se pulisci il culo ai vecchi! Non si può certo dire che tu sia Einstein, ad ogni modo.

    Almeno non vivo di elemosina come te.

    Non riesco a indovinare cosa lei stia tramando. Non so se vuole provocare una rissa inutile, se vuole rompermi le palle apposta, perché oggi è martedì e non ha niente di meglio da fare fino al turno del pomeriggio o se c’è un’intenzione nascosta dietro questo attacco crudele.

    Quanto sei fastidiosa stamattina. Stai esagerando, Lisa.

    I miei proiettili non fanno centro. Le rimbalzano addosso. Ha un obbiettivo chiaro e ben definito, di qualsiasi cosa si tratti, e non si lascerà distrarre da qualche stoccata. Mi scoccia piegarmi sempre al suo gioco. Alla fine il risultato è inappellabile: Lisa vince, Àxel barcolla.

    Dimostra di avere gli attributi una volta nella vita. Hai le palle per rischiare, Àxel, eh?

    Si siede sopra di me e mi abbassa la cerniera. Sa che non posso resistere. Lo sappiamo entrambi: lei, con la certezza arrogante di chi conosce la precisione letale delle sue armi; io con l’impotenza di chi è sconfitto ancor prima di cominciare la battaglia. Sempre più frequentemente, le dimostrazioni di affetto di mia moglie arrivano con il contagocce, sapientemente dosate, e le accetto pieno di gratitudine, con la disperazione di un cane smarrito.

    Che lo voglia o meno, sono ai suoi piedi.

    Per un momento, dimentico i debiti che ci soffocano, la vita monotona, la nostra relazione in declino. Il corpo di Lisa, il sapore delle sue labbra e gli strattoni ai capelli in prossimità dell’orgasmo mi riportano momentaneamente a un altro tempo in cui ancora condividevamo un barlume di speranza, o qualcosa di simile.

    Ho pensato a tutto nuda, torna alla carica, senza alcuna pietà, senza la benché minima volontà di fingere o protrarre di un solo minuto la sua commedia. Un’altra Marlboro. Joel non si farà alcun male. Tuo fratello pagherà, noi risolveremo i nostri problemi finanziari, e tu non dovrai prostrarti a elemosinare dei soldi che ti spettano per legge. Ma non capisci? È un piano perfetto.

    Mi giuri che non si farà male nessuno?

    Te lo giuro, Àxel.

    II

    Correre in questi luoghi familiari, grigi e smorti, rasserena la mia anima, persino sotto una pioggerella fine e vischiosa, che si attacca alla pelle. Ho bisogno di una routine fissa per rimanere a galla. Tutta la mia vita, perfettamente delineata, si sta sgretolando.

    Dal primo giorno in cui li ho visti parlare all’ingresso della palestra, ho saputo che qualcosa tra me e Rai sarebbe cambiato per sempre. In realtà, per uno spettatore casuale, la scena non avrebbe avuto niente di speciale. Mio marito e Raquel dell’Estrada che parlavano a una ragionevole distanza. Una cosa del tutto innocente. Non mi sono mai considerata una donna gelosa. Non mi serviva. È brutto da dire, ma sono sempre stata la bella della classe, del gruppo di amici, del liceo, del paese. Sembravo avvolta da un’aura protettrice. Non poteva succedermi niente di male.

    Avevo un marito incantevole, un bambino meraviglioso, la casa più bella del paese, con la piscina riscaldata e vetrate con vista sulla campagna, un lavoro in proprio, amici. Tutto quello che si può desiderare. Quella che si dice una bella vita. Ed ero contenta di ciò che avevo. Era esattamente quanto avevo deciso fin

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