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L'ombra del passato
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L'ombra del passato

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About this ebook

Jenna Wilson è una ragazza molto taciturna e introversa, a tratti misteriosa, al contrario del suo look eccentrico. Capelli rosa, un anello al naso e un unico tatuaggio che le ricopre completamente l'avambraccio destro: un angelo dai capelli lunghi avvolto dalle fiamme.
Lavora come cameriera e barista in due locali a New York, dove si è trasferita da sei mesi e vive con Ellie, una ragazza universitaria di ricca famiglia con cui non ha niente in comune.
Conduce una vita solitaria, colma di rabbia e odio. La sua unica valvola di sfogo è la boxe.
Improvvisamente la sua vita viene stravolta da David James, famoso deejay, protagonista di numerose serate all'insegna della musica, dell'alcool e del sesso e figlio di uno degli avvocati più famosi della città.
Pur odiando il suo stile di vita, diverse coincidenze la portano a trascorrere del tempo con lui e a ricredersi.
Nonostante i sentimenti che la legano a David, Jenna cerca in tutti i modi di allontanarlo dalla sua vita, quella vita costruita al solo scopo di sfuggire da un passato oscuro e che la mette in serio pericolo.
David conquisterà la sua fiducia e il suo cuore, ma Jenna avrà mai il coraggio di confessargli il suo grande segreto? E David, quando scoprirà chi c'è veramente dietro Jenna Wilson, continuerà a starle accanto?
Io e te siamo come l’unione di due mari in tempesta che si scontrano, si disfano, lottano tra loro e alla fine non si mescolano mai. Imparano a coesistere, pur mantenendo la propria identità, e si placano a vicenda.
LanguageItaliano
Release dateFeb 22, 2021
ISBN9788867934867
L'ombra del passato

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    5/5
    la prima cosa che mi ha incuriosito del libro è stata la copertina. E' un libro molto coinvolgente,che riesce a toccare profondamente il lettore e permette di immedesimarsi nei personaggi.A mio parere è un libro degno di essere letto. molto scorrevole, l' ho divorato in pochissimi giorni.

Book preview

L'ombra del passato - Antonella Racalbuto

EDIZIONI SENSOINVERSO

AcquaFragile

© Edizioni SENSOINVERSO

Collana AcquaFragile

info@edizionisensoinverso.it

Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

© 2020 – Copyright | Tutti i diritti riservati

Sensoinverso – P.I. 02360700393

ISBN 9788867934829

1° edizione – Dicembre 2020

Immagine di copertina | eric-ward-akT1bnnuMMk-unsplash – A girl stands in a dimly lit hallway on Alca-traz Island, SF

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

Antonella Racalbuto

L’OMBRA DEL PASSATO

«Fissare degli obiettivi è il primo passo per trasformare l’invisibile nel visibile».

Anthony Robbins

Questo libro lo dedico a me, con l’augurio di continuare ad avere la capacità di sognare a occhi aperti.

Prologo

«Volteggia come una farfalla, pungi come una vespa».

È questo il motto della mia vita.

Destro, sinistro, destro.

Difendersi, lottare, sopravvivere. Colpire l’avversario quando meno se lo aspetta. Quando, dopo aver intrappolato nel suo pugno una farfalla indifesa, pensa di aver in tasca la vittoria, ma contro ogni sua aspettativa la farfalla attacca come una vespa e conficcandogli il pungiglione nel palmo della mano, inietta il proprio veleno.

Nell’ultimo anno la vita mi ha insegnato che bisogna essere forti e pronti a difendersi da soli, perché non puoi fidarti di ciò che vedi.

Ho vissuto sotto l’ala protettrice dei miei genitori che mi hanno fatto credere che la vita può essere perfetta, priva d’ingiustizie e di dolore. Però la perfezione non esiste e in un attimo la tua quotidianità si può ribaltare ed essere avvolta dal male.

Quel male che non ti fa respirare, che ti crea uno squarcio dentro da toglierti la voglia di vivere, di andare avanti.

Io sono stata risucchiata dal suo male, distruggendo ogni parte del mio essere. Sono diventata io il mostro, perché ho avuto paura. Paura di morire. Sono fuggita, mi sono rifatta una vita, sono sopravvissuta.

Ma se sei morta dentro, a cosa serve vivere?

La boxe ti insegna questo: lottare per qualcosa di più grande di te, nonostante le cadute, i colpi incassati, il dolore. Bisogna sempre rialzarsi, andare oltre ogni limite di sopportazione, rischiare la tua stessa vita per raggiungere la meta. C’è una ragione più grande che mi fa continuare a lottare e io non devo mollare.

Tutto procedeva secondo i miei piani, finché non è arrivato lui, David, che con la sua presenza costante mi ha strappato alle ombre del mio passato, facendomi credere che anche per me la vita avesse riservato del bene.

In realtà era solo un’effimera illusione che si è dissolta in un battito di ciglia. Anche lui mi ha voltato le spalle e io sono ritornata a essere sola.

Destro, sinistro, destro. Scansa e gancio.

Adesso la solitudine fa male.

E se fino a qualche tempo fa lottare aveva un senso, oggi mollare mi sembra la scelta più saggia.

Capitolo 1: Una nuova vita

Jenna

Correre.

Correre finché non ho più fiato in corpo.

Correre senza guardarsi indietro.

Correre per sopravvivere.

Sento le gambe vacillare, i polmoni bruciare, il cuore schiantarsi nel petto.

Sono sfinita, ma non posso fermarmi.

Devo correre e scappare.

Lancio un’occhiata alle mie spalle, l’aria gelida invernale sferza il mio volto. Non vedo nessuno. Sento solo il rumore delle mie scarpe che, violente, calpestano il cemento della strada.

Giro l’angolo e mi addentro in un vicolo buio, annaspando nel mio stesso respiro. Corro, percorrendone la lunghezza, fino a che non mi blocco alla vista di un grande muro che s’innalza davanti a me. Sono in trappola.

Mi fermo piegandomi in avanti, le ginocchia che minacciano di cedere, mentre cerco di riprendere aria. Quell’aria che non ho più respirato durante la mia fuga. Guardo i miei vestiti sporchi e passo una mano proprio lì, dove il mio dolore ha avuto inizio.

L’odore pungente che impregna la mia felpa mi invade le narici, provocandomi conati di vomito.

Che cosa ho fatto?

Lacrime calde solcano il viso, bruciando come acido sulla mia pelle.

Ripenso agli eventi che mi hanno travolto e la scena si materializza davanti ai miei occhi, rendendo reale ogni cosa.

Un nodo alla gola mi blocca il respiro. Un dolore viscerale mi investe, mandandomi in frantumi. Piccoli pezzi di me cadono ai piedi, riecheggiando nel vicolo deserto.

Tutto quello in cui ho sempre creduto, che ho amato, è stato annientato. Ho perso tutto.

La mia vita è rotta, rovinata, e io non posso fare altro che fuggire.

Sento dei passi in lontananza e pervasa dal terrore, mi nascondo dietro un cassonetto posto in un angolo buio. Il mio respiro incalza, le mani prendono a sudare e il tremore invade il mio intero corpo. Copro la bocca con le mie mani luride e inizio a contare per non sentire la sua presenza.

Sin da piccola contare è stato l’unico modo per non avere paura.

Sento i suoi passi. Uno. Due. Tre.

La sua voce che mi chiama. Quattro. Cinque. Sei.

È sempre più vicino. Sette. Otto. Nove.

Con un calcio violento sposta il cassonetto e io strizzo gli occhi, raggomitolandomi su me stessa, nell’attesa che la sua ira si scagli su di me.

Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore. Il cuore batte all’impazzata nel petto e il mio respiro è accelerato.

– Era solo un sogno, un brutto sogno – dico a me stessa, ma questa è la realtà e non posso far nulla per sfuggire alle ombre che mi inghiottono e mi trascinano a fondo con loro. La mia vita si è dimostrata essere una bolla di sapone. Una volta scoppiata, sono stata investita da ciò che mi circondava e che non riuscivo a vedere. L’oscurità mi ha sommersa, lasciandomi addosso odio e rancore. Non provo nient’altro. Né amore, né affetto, né compassione.

Sono una dura, mi dicono. In realtà non sanno che dietro questa corazza di cemento armato si nasconde una ragazza rotta, andata in mille pezzi tempo fa. Una ragazza fragile alla quale servirebbero un abbraccio, una carezza, un supporto, una persona di cui potersi fidare e che la spalleggi nelle proprie battaglie. Tuttavia sono sola e non mi posso permettere di essere debole. Quei pezzi di me ormai sono persi e irrecuperabili, quindi non mi resta che un lontano ricordo di felicità e spensieratezza. Sono diventata una macchina da guerra, la cui unica missione è distruggere il proprio obiettivo. Chi mi ha tolto tutto deve pagare. E ci riuscirò, anche a costo di sacrificare la mia stessa vita.

Butto un occhio alla radiosveglia posta sul comodino. Segna le cinque e trenta del mattino, sbuffo al pensiero di essere andata a letto due ore fa. Mi giro su un lato, rintanando la testa sotto il piumone, e chiudo gli occhi nella speranza che il sonno mi avvolga nuovamente.

Nuove immagini si accalcano nella mia mente che a malapena riesce a reggere i ricordi. Mi alzo di scatto alquanto nervosa e decido di dare libero sfogo alla rabbia che inizia a ribollirmi nelle vene.

Vado verso l’armadio ed estraggo la mia tenuta da boxe: pantalone yoga, canotta di cotone e sneakers. Mi vesto, infilo una felpa con il cappuccio e il giubbotto di pelle e mi dirigo in cucina.

Cerco di essere silenziosa per non svegliare Ellie, anche se dubito che sia già rincasata. Lei è la figlia di uno dei più ricchi imprenditori della città, Jonathan Hill, e la proprietaria di quest’appartamento di centocinquanta metri quadri, concessole dal padre dopo la sua iscrizione all’università. Ha deciso di affittare una stanza non perché avesse bisogno di soldi, ma perché rabbrividiva al pensiero di vivere da sola e credo anche che le faccia comodo avere qualcuno che la aiuti quando torna a casa ubriaca. In pratica sempre.

Non abbiamo un grande rapporto di amicizia, ma stranamente è l’unica costante della mia vita. Con i suoi modi di fare da ragazza viziata che mi fanno saltare i nervi è quella che mi ha aiutato sin dal primo momento e io non posso far altro che abituarmi a lei.

Il suo annuncio di affitto è stato il primo che ho visto affisso su una bacheca all’uscita della stazione dei bus, al mio arrivo a New York.

Affittasi a ragazza ampia camera luminosa con splendida vista sulla città, in Central Park North. No perditempo riportava l’annuncio. Il luogo esatto nel quale mi sarei dovuta recare. Sembrava un segno del destino così, pur avendo pochi spiccioli in tasca, ho chiamato il numero riportato sul bigliettino ed Ellie mi ha proposto di andare a vedere immediatamente la stanza. Ovviamente la cifra dell’affitto era fuori dalla mia portata, ma quando stavo per andare via, Ellie mi ha sorpreso, chiedendomi metà dei soldi che avevo in tasca come anticipo e proponendosi di aiutarmi a trovare lavoro. Non ha fatto domande sul mio passato, né sul perché tutta la mia roba fosse racchiusa in un piccolo zaino. Mi ha semplicemente accolta in casa sua. Non so perché l’abbia fatto o perché sia stata così gentile con me, ma gliene sono grata. All’inizio ha cercato di trascinarmi con lei, presentandomi al suo gruppo di amici. Poi si è arresa per via dei miei continui rifiuti. Penso si sia abituata alla mia introversione, come io alla sua esuberanza. Siamo agli antipodi, ma la nostra convivenza funziona.

Afferro il borsone, il casco, le chiavi e mi precipito fuori.

L’aria gelida mi investe, facendomi rabbrividire. A grandi passi raggiungo la mia Kawasaki Ninja H2, parcheggiata poco più in là. Sin da piccola desideravo possederne una per via della passione che ho ereditato da mio padre. Sento una fitta allo stomaco al suo ricordo, lo scaccio dalla mente e dopo aver collocato il borsone sulle spalle, infilo il casco, i guanti e salgo sulla moto. Giro la chiave, avviandola, e mi lascio avvolgere dal soave suono del suo rombo. Do un paio di colpi di acceleratore per far riscaldare il motore, intorpidito dal freddo di questo dicembre. Alzo gli occhi al cielo, ammirando il manto di stelle che questa serata mi regala. È ancora notte fonda, ma il letto è diventato il mio peggior nemico. Tolgo il cavalletto, innesto la marcia, lancio uno sguardo fugace allo specchietto e dopo essermi accertata dell’assenza di veicoli alle mie spalle, lascio la frizione e mi immetto in strada. Do gas, cambiando marcia, e aumento immediatamente la velocità. L’adrenalina inizia a scorrere nelle vene, mentre cambio nuovamente marcia e la lancetta del tachimetro in poco tempo segna 110 km/h. Procedo verso la West 116th Street, passo per Columbus Avenue e 9th Avenue e svolto a sinistra imboccando la West 40th Street, la strada è completamente sgombra e accelero ancora.

150… 180… 200 km/h.

Sento il cuore pompare rapido nel petto e una sensazione di benessere mi pervade, mentre mi godo le luci dei lampioni della città che sfrecciano ai lati della strada che percorro. Supero un taxi solitario e accelero alla vista del semaforo giallo. Lo attraverso, senza nemmeno guardare all’incrocio. Svolto nuovamente a sinistra e inizio a scalare le marce per rallentare, essendo quasi vicina alla palestra.

Accosto sul ciglio della strada e mi avvio al suo interno, ancora con l’adrenalina in corpo.

Ehi, Jenna! Di buon’ora questa mattina!

Travis mi accoglie, cingendomi calorosamente le braccia attorno alle spalle. È un uomo sulla sessantina, ex pugile professionista e proprietario della palestra.

La prima volta che mi vide scoppiò a ridere alla mia richiesta di allenarmi.

Qui sono tutti uomini, ragazzina, ti farai male. Guarda che braccine che ti ritrovi, non hai un filo di muscolo rispose.

Ci misi due secondi per mandarlo affanculo e da quel giorno non ha mai smesso di seguirmi. Avevo l’estrema necessità di scaricare la rabbia repressa che mi stava pian piano consumando e Travis ha fatto molto di più: insegnarmi a incanalarla per eccellere in questo sport. Ero un disastro all’inizio, non riuscivo nemmeno a colpire il sacco senza farmi male. Sei mesi dopo, però, la situazione è nettamente cambiata.

Non avevo sonno. E tu fatti gli affaracci tuoi rispondo infastidita, mentre sfilo il giubbino e la felpa.

Vedo che sei di buonumore! Sarà un piacere lavorare con te stamattina.

Gli lancio un’occhiataccia e mi affretto a fasciarmi le mani. Ho bisogno di iniziare.

Mi riscaldo, facendo un po’ di corda e di flessioni. Dopodiché mi dirigo al sacco, dove Travis è già pronto.

Inizio a saltellare, muovendo il mio corpo in modo coordinato, e lo colpisco con una serie di colpi. Destro, destro, sinistro.

È tutto quello che sai fare? urla per incitarmi.

Colpisco di nuovo, stavolta con più forza e la rabbia che prende il sopravvento.

Immagini confuse si figurano davanti ai miei occhi.

Il suo corpo inerme a terra, i suoi occhi vitrei, il suo scagliarsi su di me.

Il dolore si fa spazio tra i ricordi, investendomi in pieno. Lo squarcio al petto si riapre e continuo a colpire per soffocare la disperazione che mi assale, assestando un colpo dietro l’altro. Sento le nocche spaccarsi contro la pelle lacerata del sacco, sporcando le bende che avvolgono le mie mani. Gocce di sudore imperlano la mia fronte, scendendo lungo il viso, lungo il corpo.

Continuo a colpire per cancellare tutto il dolore della mia vita che ormai è solo terreno arido dal quale non cresce più nulla, se non l’odio verso chi mi ha tolto tutto.

"Ehi, ragazzina! Adesso basta!" Il tono di rimprovero nelle urla del mio coach mi riporta alla realtà, bloccandomi. Lo fisso confusa, cercando di riprendere aria. Sono esausta.

Che succede? chiedo, particolarmente infastidita da quell’interruzione.

È da un’ora che colpisci il sacco senza fermarti! Guarda le tue mani!

Seguo la direzione del suo sguardo, posandolo sulle mie mani ricoperte dalle bende impregnate di sangue. Le fisso inebetita, sforzandomi di percepire il bruciore delle ferite che mi sono inferta, ma non sento nulla.

Il dolore fisico non è niente in confronto a quello che mi sta consumando dentro. Sento una fitta allo stomaco che fa riaffiorare la colpa per quello che ho fatto e il respiro mi si mozza in gola.

Senza dire una parola, avanzo verso la corda adagiata a terra e comincio a saltare. Voglio liberare il mio corpo dal peso che mi porto dietro e che mi schiaccia contro il pavimento.

Salto, finché le gambe non mi reggono più e i polmoni bruciano, sotto lo sguardo attento di Travis.

Qualcuno inizia ad arrivare e in poco tempo la tranquillità del luogo viene spazzata via dal rumore dei pugni che si schiantano contro i sacchi sospesi; dei piedi che calpestano il suolo a ritmo di ogni salto; delle voci che allegre conversano tra di loro. Sguardi curiosi si posano su di me e sulle mie mani sporche di sangue. Quel sangue che avrei dovuto versare molto tempo fa.

Mi decido ad andare via. A stento mi trascino negli spogliatoi, dove mi chiudo a chiave per fare serenamente una doccia. Tutti sanno chi sono, ma pochi si sono abituati alla mia presenza. Apro il rubinetto e faccio scorrere l’acqua, mentre mi privo dei vestiti zuppi di sudore. M’infilo dentro, facendomi colpire dal getto di acqua calda che lava via ogni mio pensiero, ogni mio ricordo. La boxe mi aiuta a restare lucida, ma è una sensazione temporanea.

Sono a New York da sei mesi e ancora non sono riuscita a vederlo e a parlargli. E se avessi ricevuto delle informazioni sbagliate?

Pesto un pugno al muro e mi decido a uscire dalla doccia. Mi vesto rapidamente e dopo aver salutato, vado via, pronta ad affrontare il lungo turno di lavoro alla caffetteria.

Ciao, Jenna! Anche oggi allenamento? chiede Sam appena entro nella caffetteria.

Sì, sai che non salto mai gli allenamenti dico, stampandomi in faccia un sorriso. Ormai è consuetudine per me indossare una maschera di allegria nel mondo esterno. Solo in palestra riesco a essere me stessa e a tirar fuori i miei demoni.

Come t’invidio! Io non trovo la voglia neanche per andare a correre ogni tanto, figuriamoci fare tutto questo sport.

Mi lancia la divisa ridicola che sono costretta a indossare e la afferro al volo. Indosso prima il grembiule rosa, dello stesso colore dei miei capelli, e poi un cappellino panna che richiama il colore della scritta riportata su ogni angolo di questo posto: Janet’s coffee.

Falla finita che hai un fisico da invidiare! rispondo, facendo una linguaccia, prima di recarmi al tavolo dove dei clienti si sono appena seduti.

La mattinata scorre rapidamente, tra colazioni e pranzi da servire. C’è parecchio afflusso oggi, forse perché le vacanze di Natale si stanno avvicinando.

Un flashback mi riporta indietro negli anni, a quando ero una bambina. Ricordo la trepidazione durante l’attesa per l’arrivo di Babbo Natale, la notte della vigilia. Mi alzavo continuamente dal letto di nascosto per controllare se Babbo Natale avesse bevuto il bicchiere del latte e mangiato i biscotti che avevo amorevolmente preparato con mamma e lasciato in un piatto sul tavolo della cucina. Inoltre desideravo ardentemente incontrarlo e chiedergli di persona di regalarmi un fratellino, ma puntualmente mi addormentavo prima del previsto.

Altri ricordi si accalcano nella mente, fino ad arrivare al Natale di un anno fa, quando la mia intera esistenza è stata sgretolata come un castello di sabbia sotto un’onda furiosa che ne ha distrutto ogni parte, portando via con sé ogni traccia della sua esistenza. È così che mi sento: un ammasso di macerie insignificanti che non possono più essere rimesse in piedi.

Natale, una festività che ho sempre amato e che oggi odio più che mai. Perché se a Natale la maggior parte delle persone festeggia con i propri cari, io sarò sola e tutto questo non potrà mai cambiare.

Capitolo 2: Questione di attimi

Jenna

Ciao, Jenna! esclama Ellie, accogliendomi sulla porta di casa, non appena ne varco la soglia. È in ginocchio, intenta a cercare qualcosa sul pavimento.

Ciao, Ellie. Che combini? chiedo, incuriosita.

Ho da poco terminato il mio turno di dieci ore alla caffetteria e sono passata da casa per una doccia veloce, prima di andare in discoteca per il turno serale. Da qualche tempo nei week-end lavoro come barman all’Heaven Club, uno dei migliori locali notturni di NY. Mi permette di guadagnare qualcosa in più e mettere da parte un piccolo gruzzoletto.

Ho perso una lente a contatto ed era l’ultima che avevo frigna, continuando a cercare.

Rido per la comicità della situazione e mi dirigo in stanza per prendere la divisa da lavoro dal mio armadio. Avverto il calpestio di passi frettolosi tallonarmi e stranita mi volto a lanciarle uno sguardo. Me la ritrovo dietro e per poco non viene a sbattermi addosso.

Vuoi chiedermi qualcosa? domando, poiché non si decide a parlare.

Ehm… In realtà sì!. Gira per la mia stanza e si guarda intorno, facendomi saltare i nervi. Sai, questa sera al club suonerà uno dei migliori dee-jay della città.

L’ho sentito dire affermo scocciata, cercando di farla arrivare al sodo.

Il suo migliore amico, Miles Allen, nonché suo agente, sarà presente. Sposta il peso da un piede all’altro e mi fissa.

E allora?

Non immagini quanto sia figo!

Fa una giravolta, allargando le braccia, per poi fermarsi davanti al mio armadio, apre le ante e inizia a frugare tra la mia roba.

Giuro che se non la smette, la stendo.

Non vedo come posso aiutarti. Batto il piede freneticamente contro il pavimento e incrocio le braccia al petto per trasferirle la mia irritazione.

Non mi chiedi perché ti parlo di lui?. Sbuca da dietro l’armadio con un sorriso beffardo stampato sul viso.

In realtà vorrei dirle che non me ne frega niente, che desidero fare una doccia in tranquillità e uscire da questa casa quanto prima, ma non voglio che ci rimanga male. Così assumo un’espressione interessata e attendo il suo racconto.

Miles frequenta la mia stessa facoltà alla NYU, ma è qualche anno più grande. È dall’inizio dell’anno che gli vado dietro, ma sta sempre con i suoi amici e non riesco mai ad avvicinarlo.

Sbuffa sull’ultima parola, come se le mancate attenzioni di un ragazzo fossero la fine del mondo. Non sa, invece, che i problemi sono altri. Che un giorno ti svegli avendo tutto e l’altro ti ritrovi a essere sola, circondata dai sensi di colpa che gravano su di te.

Continua a raccontarmi altri dettagli a cui non presto la minima attenzione, farneticando sulla prima volta che l’ha intravisto tra i corridoi della NYU. Sento che tra poco le orecchie prenderanno a sanguinarmi, eppure in passato amavo ascoltare questi racconti.

La NYU è l’abbreviazione della New York University, la più prestigiosa università privata di NY a cui hanno accesso principalmente i più ricchi dello Stato per via della retta costosissima.

Quindi mi chiedevo se stasera potresti farmi avere un privé vicino al loro prosegue Ellie, riattirando la mia attenzione. Intreccia le mani davanti al viso a mo’ di preghiera, facendo labbruccio.

Dici sul serio? mi appresto a chiedere sbigottita, evidenziando la sua folle ossessione. Farebbe di tutto per portarsi a letto un bel ragazzo.

Sì, ti prego, aiutami! Mi piace davvero tanto!

Eppure è una così bella ragazza con capelli biondo oro che incorniciano un viso angelico dai lineamenti delicati. Non dovrebbe avere bisogno di questi escamotage per attirare l’attenzione di qualche insulso ragazzone che non pensa ad altro che al sesso.

Metto un dito sul mento per temporeggiare. Lei continua a fissarmi imperterrita.

Vedo cosa posso fare rispondo alla fine, già sicura di riuscire a farle ottenere ciò che vuole.

Grazie, grazie,grazie! urla in preda all’euforia, avvolgendomi le braccia attorno al collo. Mi irrigidisco per quel contatto improvviso e involontariamente mi tiro indietro.

Adesso devo fare la doccia. Il mio tono è glaciale.

Ellie arretra di qualche passo e con rammarico annuisce e mi lascia passare.

Con ampie falcate raggiungo il bagno e una volta chiusa la porta, poggio le spalle contro di essa, facendo grandi respiri. Non so dare un senso alla mia reazione, ma quando qualcuno mi si avvicina senza preavviso, scatta nella mia testa il bisogno di fuggire. Forse è solo paura o forse è la conseguenza di ciò che ho subito.

Quando sono arrivata a NY, mi sono ripromessa di non creare legami di nessun tipo. Non metterò in pericolo persone innocenti, non dopo quello che è successo. Devo mantenere un profilo basso e tenere fuori dalla mia vita chiunque cerchi di avvicinarsi a me.

Un nodo alla gola mi strappa il respiro, mentre si fa spazio dentro di me la consapevolezza di essere veramente sola a combattere una battaglia troppo grande. Mi spoglio, apro il rubinetto e scivolo dentro la doccia, prima ancora che l’acqua si sia riscaldata.

Il getto di acqua ghiacciata mi travolge in pieno, facendomi raggelare. Poggio le mani contro la superficie fredda delle piastrelle che rivestono l’interno della doccia, cercando di dare libero sfogo al dolore che mi opprime. Mi lascio avvolgere dal tepore dell’acqua, che pian piano si riscalda, sciogliendo la tensione accumulata. Vorrei poter versare delle lacrime fino a sentirmi svuotata. Quelle lacrime che non ho più versato dalla sera in cui la mia vita è andata a puttane. Il macigno che mi schiaccia il petto diventa via via più grande e il respiro accelera. Devo assolutamente risolvere la questione, solo allora avrò un minimo di pace.

Esco dalla doccia

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