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Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo: 85 parole chiave per meditare il Dharma
Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo: 85 parole chiave per meditare il Dharma
Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo: 85 parole chiave per meditare il Dharma
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Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo: 85 parole chiave per meditare il Dharma

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Il linguaggio filosofico del Buddhismo, 85 parole chiave per meditare il Dharma, si presenta come un dizionario essenziale, capace di introdurre il cultore di filosofia della religione alla dottrina prevalente della scuola Mahāyāna (Grande Veicolo).
Non è però solo una guida al Buddhismo di Tibet, Cina, India e Giappone. Opponendosi al facile sincretismo, il testo mette in contatto questo insegnamento profondamente spirituale sia con il Buddhismo classico Hīnayāna (Piccolo Veicolo) del Sud-Est asiatico, sia con le analogie psicologiche e filosofiche dell’Occidente, senza dimenticare le altre religioni come l’Induismo soprattutto, ma anche il Cristianesimo, il Taoismo e lo Zoroastrismo.
  • La revisione e l’ampliamento dei capitoli introduttivi e conclusivi oltre che del saggio in appendice su “La filosofia del Dharma”;
  • una ventina di vocaboli in più;
  • un maggior numero di “storie” scelte tra le più importanti della vastissima letteratura buddista,
fanno di questa nuova edizione una lettura scorrevole e allo stesso tempo un utile strumento didattico.
Un libro illuminante!
LanguageItaliano
PublisherOm Edizioni
Release dateFeb 4, 2021
ISBN9788892721067
Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo: 85 parole chiave per meditare il Dharma

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    Il Linguaggio Filosofico del Buddhismo - Alessandro Del Genio

    Pensa

    PRONUNCE

    Parole sanscrite e pāli:

    Le vocali a ā i ī u ū (lunghe con il trattino, brevi senza) e i dittonghi e ai o au (sempre lunghi) si leggono come in italiano; ḷ ḹ ṛ ṝ sono vocaliche e si fanno seguire nella pronuncia da una brevissima i.

    In sanscrito quando le vocali sono seguite da vengono nasalizzate, da divengono aspirate. In pāli o ed e diventano brevi quando precedono due consonanti, come mettā e bojjanga.

    Le consonanti:

    •Gutturali: k g hanno sempre suono duro: kilesa = chilesa, giri = ghiri; come in angheria.

    •Palatali: c ch j jh ñ . Ad esempio Candra si pronuncia Ciandra; Jīva = Giva; la ñ si legge all’incirca gn, o anche ni: ñā ṇ a = gnā ṇ a.

    •Retroflesse: ṭ ṭ h ḍ ḍ h (come in inglese Tree ), (come nanna).

    Ph bh th dh kh sono le rispettive consonanti seguite da una lieve aspirazione.

    •Semivocali: y come la i di jato, iena. La v dopo altra consonante si pronuncia u ( Tvam leggi Tuam).

    •Sibilanti, sempre aspre: ś (palatale, pronuncia sc), (retroflessa, ad esempio Mok ṣ a si legge Mokscia).

    è l’unico caso in cui la pronuncia si discosta dalla grafia, infatti, si legge all’incirca gñ: ad esempio jñāna = gñyāna; Ājñā leggi Āg-gnā.

    L’accento non cade mai sull’ultima sillaba. Cade sulla penultima se essa è lunga; se questa invece è breve cade sulla terz’ultima; infine, sulla quart’ultima sillaba se penultima e terz’ultima sono brevi.

    È lunga una sillaba contenente vocali lunghe o dittonghi, o se è seguita da più consonanti (bhāvanā = bhávana; Nirvāṇa = Nirvána; passaddhi = passáddhi).

    Parole giapponesi:

    In linea di massima la lettura delle vocali è all’italiana e delle consonanti è all’inglese. Si presti soprattutto attenzione a:

    ch come in italiano cena;

    g sempre dura come in gallo;

    h sempre aspirata;

    j sempre come in gennaio;

    s sempre sorda come in lusso;

    sh come in sciopero;

    w è letta u semivocalica;

    y è letta i semivocalica;

    z è dolce come in mezzo;

    ts è aspra come in mazzo;

    ō e ū sono vocali pronunciate lunghe.¹

    _____________

    ¹ Cfr. M. A. Falà in W. Rahula, L’insegnamento del Buddha, Limena (Pd) 1996, p. IV; cfr. www.sanscrito.it. Cfr. www.fioredoriente.live; cfr. http://bifrost.it/Lingue/Sanscrito.html; cfr. A. Tollini (a cura di) in E. Dōgen, Poesie, 2019.

    PREMESSA

    Le armi portano la paura nel mondo e la paura porta la violenza. Che quantità di violenza d’ogni genere c’è nel mondo! Vediamo gli uomini agitarsi e lottare disperatamente come pesci in uno stagno, il quale si va rapidamente prosciugando. Gli oggetti della brama degli uomini non sono mai abbastanza. Mentre di uomini e di brama umana ce n’è sempre di più. Non è un problema di minor conto che si possa risolvere con delle riforme. È una contraddizione fondamentale, la quale può portare solo all’orrore di un crescente conflitto.¹ Contro ogni tendenza, il Buddhismo incoraggia il miglioramento delle condizioni materiali, ma insiste anche fortemente sullo sviluppo morale e spirituale per una società felice, pacifica e soddisfatta. Chiaramente non accetta la posizione secondo la quale i potenti e vittoriosi sono giusti e i deboli e gli sconfitti sono ingiusti

    Secondo l’antica Sapienza (pāli: Paññā; sanscrito: Prajñā), il precetto di non-nuocere (Ahiṃsā) implica innanzi tutto l’obbligo specifico di non uccidere qualsiasi forma di vita, ma anche quello più generale di non offendere con parole, gesti, atteggiamenti che, seppur indirettamente, possano colpire qualche essere vivente. Questo vuol dire che la non-violenza si applica alla capacità di cogliere le distinzioni senza condurre a un comportamento discriminante (in lingua sanscrita Upekṣā: equanimità, imparzialità).

    Oggi si parla meglio di compassione attiva (in sanscrito Karuṇā; in tedesco Mitleiden: capacità di partecipare ai dolori altrui). Essa implica il passaggio dal prendersi cura delle proprie sofferenze a occuparsi di quelle altrui, dalle persone che ci sono indifferenti a quelle care, fino a includere qualcuno che al presente ci odia e ci danneggia, se si pensa che egli soffre per il suo stato d’animo attuale e soffrirà ancor di più per le conseguenze future di questo sentimento negativo.

    Non ci sono, cioè, solo motivi di dolore da condividere, né soltanto di gioia e non si limitano solo a qualcuno e solo al presente.

    Nel lavoro di perfezionamento morale, va evitato il pericolo di cadere nella dispersione, nell’inefficacia e soprattutto nell’eccesso di Compassione in cui si produce una condizione di bontà cieca, tracciando un ideale equilibrio come possibile armonia tra essa e la Sapienza senza che anche quest’ultima produca, nell’esagerazione, una condizione d’intelligenza cinica e scettica. Come spiega Atiśa (l’Illustre) ne La lampada sul sentiero verso l’illuminazione (Bodhipata-pradipam) «qualsiasi pratica virtuosa senza meditazione sulla mancanza di sé e viceversa, ogni comprensione della vacuità senza calma dimorante, è da intendersi come un legame e non come liberazione». Si possono ottenere profondi e vasti benefici persino dalla corretta e costante pratica dei primi livelli meditativi. Inducendo a coltivare una sempre maggiore attenzione alle cose, agli eventi e alle azioni la meditazione produce effetti che trasformano la qualità della conoscenza e anche del comportamento. Contribuisce, in altri termini, a realizzare quell’intreccio tra Sapienza e Compassione che costituisce l’asse portante dell’etica buddista.³

    Tutti gli esercizi che vanno sotto il nome di meditazione sono considerati come una pratica salutare, in certi casi antidepressiva, indispensabile per essere felici, o comunque, rimanendo nell’abito spirituale, propedeutica al raggiungimento della massima aspirazione della natura umana, cioè la santità. Chiunque può praticare la meditazione e in tal modo lavorare sui propri problemi e accoglierli. Questo non toglie che la perfetta libertà non si trova senza regole. Specialmente i giovani pensano che libertà significhi fare tutto quello che si vuole. Ma cercare di ottenerla senza essere consapevoli delle regole non ha alcun significato. È per acquisire questa perfetta libertà che si pratica la meditazione.

    A tal proposito, devo fare alcune considerazioni.

    Ogni attività sia essa sportiva o intellettuale ha bisogno dell’iniziazione di un maestro, soprattutto all’inizio, finché non si raggiunga una certa stabilità. Questo è importantissimo anche per la meditazione, perché fondamentalmente egli con il suo aiuto può evitarci travagli e sofferenze. Infatti, un maestro sa correggere gli errori in cui s’incappa inevitabilmente da principianti. Ad esempio, correggendo un’errata postura, può impedire che noi peggioriamo la nostra salute fisica. E anche dal punto di vista psicologico, essendo capace di guidarci attraverso gli stati alterati di coscienza, può farci ottenere il giusto equilibrio interiore, indispensabile in quanto la calma mentale ottenuta non deve impedire il progresso verso una comprensione chiara e profonda.

    Dove trovare tanto cuoio

    Da poter ricoprire l’intera terra⁵?

    Ma avvolgi di cuoio il tuo piede

    Ed è come se ne venisse ricoperta tutta la terra!

    (Śāntideva, Bodhicaryāvatāra, Introduzione alla pratica del Risveglio, 5.13)

    Inoltre, qualsiasi dottrina (soprattutto religiosa) non è composta da vuote teorie senza nessun riscontro con la realtà. Essa, d’altronde, può essere molto utile concretamente nei limiti in cui è approfondita attraverso lo studio e l’analisi attenta dei suoi contenuti. Fondamentalmente, perché questo è l’unico modo attraverso il quale l’amico spirituale può valutare la nostra idoneità a incominciare la pratica della meditazione, fino a conseguire le competenze necessarie da trasmettere ad altri. Insomma, usando un paragone, è ovvio che solamente una corretta conoscenza frutto d’impegno consente di essere pronti a intraprendere un lavoro tanto atteso.

    Considerate il vostro corpo come un vascello,

    Una semplice barca per andare di qui e di là.

    Fatene una gemma che esaudisce i desideri

    A beneficio di tutti gli esseri.

    (Śāntideva, Bodhicaryāvatāra, 5.70)

    Gli insegnamenti esposti all’interno di questo vocabolario non hanno bisogno di particolari avvertenze da dare al lettore. Anzi, illustrano quanto di meglio la teoria e la pratica della filosofia buddista, fortemente coniugate insieme, hanno prodotto nel rispetto delle indicazioni precedentemente date. Essi indicano sia i fondamenti della teoria esposta dal Buddha storico Gautama, sia i migliori risultati che tale dottrina ha prodotto attraverso le scuole di illuminati praticanti buddisti, particolarmente famosi ai nostri giorni.

    E se non mi basta mai il piacere,

    Miele sulla lama del rasoio,

    Come potrebbe mai bastarmi il merito,

    I cui frutti sono la felicità e la pace?

    (Śāntideva, Bodhicaryāvatāra, 7.64)

    Il dizionario spiega le parole chiave del Buddhismo attraverso ottantacinque lemmi. Ma soprattutto utilizza oltre duecentocinquanta storie, a volte senza commenti e spiegazioni ulteriori, per mettere il lettore in diretto contatto con le fonti. Questa impostazione è una necessità nata dalla struttura stessa della dottrina buddista. Innanzitutto, il Buddha non lasciò nulla di scritto e la trasmissione orale avvenne per lo più attraverso dei veri e propri racconti. In secondo luogo, anche i testi che furono scritti dopo la sua morte da monaci e filosofi mantennero, seppur sotto forma di dialoghi, questa struttura composta da parabole, senza dimenticare poi le liriche dei poeti cinesi o gli assurdi enigmi dei maestri giapponesi.

    Così, il lettore avrà la possibilità di approfondire i vari aneddoti seguendo le tracce bibliografiche riportate (ove non direttamente citato si rimanda a una ricerca nella ricca Bibliografia e nella Sitografia), oppure, può chiarire eventuali concetti con altre voci del vocabolario stesso.

    Ad esempio: al lemma Realizzazione si potrebbe analizzare un pensiero riverberante stratificazioni di significati profondi, come quest’episodio del maestro Pao-chê:

    Il maestro Pao-chê del monte Ma-Ku si stava facendo aria con un ventaglio, quando sopraggiunse un monaco e gli chiese: «La natura del vento è eterna e raggiunge ogni luogo, perché ti sventoli?».

    Pao-chê disse: «Tu puoi conoscere che la natura del vento è eterna, ma non il fatto che essa arrivi dappertutto». Il monaco disse: «Che cosa significano le ultime parole?». Ma Pao-chê continuò a sventolarsi.

    (Genjō-kōan, in Dōgen, Shōbōgenzō, Tesoro dell’occhio della vera legge)

    Seguendo la citazione da cui è tratto il passo, si potrebbe in questo modo scoprire che il pensiero approda nel gesto del maestro Pao-chê che agita il ventaglio in un’afosa giornata d’agosto, così come la Legge trova il suo compimento attraverso la pratica.

    Invece, in un altro brano del dizionario – poniamo che si trovi al lemma Citta (Mente) – si potrebbero chiarire i termini meno noti attraverso una o più note esplicative a fondo pagina, oppure per mezzo di rimandi ad altre voci del testo stesso segnalati da abbreviazioni di vedasi (v.) riferite al termine precedente, come in questo caso:

    Per Gautama (v.) fu come se la prigione che lo racchiudeva da migliaia di esistenze fosse crollata. Il carceriere era l’ignoranza⁷. Solo l’ignoranza aveva oscurato la sua mente, così come le nuvole avevano nascosto la luna e le stelle. Velata da onde infinite di pensieri illusori, la mente aveva diviso in maniera fallace la realtà in soggetto e oggetto, io e altri, esistenza e non esistenza, nascita e morte, e da tali discriminazioni erano sorte le visioni errate, le prigioni della sensazione, del desiderio, dell’attaccamento e del divenire. La sofferenza della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte non fa altro che rendere le mura più spesse. L’unica cosa da fare era acciuffare il carceriere e guardarlo in faccia. Ed ecco il carceriere è l’ignoranza… Una volta scomparso il carceriere, anche la prigione svanisce per non venire ricostruita mai più.⁸

    A mio avviso l’intero libro va letto, dalla prima all’ultima pagina, come se fosse un testo filosofico, un sussidiario morale orientato alla religione, vedendovi in esso, se necessario, anche l’aspetto propedeutico del Buddhismo contemporaneo. I brani sono comunque raggruppati secondo diversi argomenti che seguono un ordine alfabetico, in modo da focalizzarne più facilmente il contenuto e il significato. Potrete così rapidamente scegliere e ritrovare i passi preferiti!

    Mentre tratta i concetti chiave del Buddhismo, le scuole e i personaggi, tutto il vocabolario fa costantemente riferimento all’opera, tra storia e leggenda, del fondatore di questa dottrina. Per l’importanza che gli si deve attribuire, diversi vocaboli ne studiano i vari aspetti storici, etimologici, filologici e generali. Gli sono perciò dedicati, specificamente, le voci: Buddha, Gautama Siddhārtha, Risvegliato e Tathāgata. Inoltre, l’Appendice "La filosofia del Dharma" approfondisce i suoi più importanti insegnamenti e costituisce un vero e proprio saggio finale.

    _____________

    ¹ Cfr. S. Rice, Il Buddha parla qui e ora, Roma 1993, p. 91.

    ² Cfr. W. Rahula, L’insegnamento del Buddha, Roma 1996, p. 102.

    ³ Cfr. G. Pasqualotto, Il Buddhismo, Milano 2003, pp. 21, 27-30, 41.

    ⁴ Cfr. S. Suzuki, Mente zen, mente di principiante, Roma 1977, p. 30.

    ⁵ Con le sue spine, le asperità ecc.

    ⁶ Cfr. S. G. Fazion, M. Fuss, J. Lopez-Gay, Le grandi figure del Buddhismo, Assisi 1995, pp. 259-260.

    ⁷ Vedasi: Avidyā.

    ⁸ Cfr. T. N. Hanh, Old Path, White Clouds, Berkeley 1991, p. 121.

    DIZIONARIO

    A

    Ādi-Buddha (Primo Buddha)

    Secondo alcune scuole buddiste indica l’Assoluto, il Buddha primordiale eternamente illuminato e perfetto: sorta di originaria divinità creatrice dell’universo spirituale (l’influenza di un principio monoteista cristiano apparentemente in contrasto con l’ateismo buddista è poco probabile).

    Sostanza universale e perenne, vuoto cosmico, nondimeno un essere individuale, concreto e vivo, ma per la dottrina Cittamātra (v.) non unico. Nei Tantra viene identificato (v.) con Samantabhadra (l’Interamente buono) e con Vajradhāra (il Portatore del diamante) o Vajrasattva (l’Essenza adamantina), mentre nel Buddhismo giapponese con Vairocana (v.).

    Archetipo del Buddha assimilato al concetto di grembo materno dei Tathāgata¹, infatti dall’Ādi-Buddha emanano tutti gli altri Buddha.

    Il suo culto si diffuse in Mongolia e in alcune regioni della Cina.

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