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Le Torri Nere - Venti di Guerra
Le Torri Nere - Venti di Guerra
Le Torri Nere - Venti di Guerra
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Le Torri Nere - Venti di Guerra

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About this ebook

Secondo volume.
Erika, Marcoh ed Ethan si svegliano in cima al colle su cui hanno subito la pesante sconfitta per mano di Miles e dei suoi seguaci. Non sanno ancora perché non li abbiano uccisi, ma quel dubbio lascia ben presto il posto alla rabbia e alla disperazione per la morte del loro mentore e guida. Hans giace sepolto a pochi metri da loro. Li ha lasciati soli in un mondo che ora sembra uno sconosciuto.
Decidono di ripartire, tornare a casa e cercare vendetta. Sanno che le azioni di Miles sono guidate da un piano preciso, che la scelta di quella Torre Nera non è stata affatto casuale, ma le loro certezze si fermano qui. Devono scoprire che cosa ha in mente quel pazzo che una volta avevano considerato un amico e un compagno.
Nel frattempo, Liam si trova a indagare sulle azioni dei Protettori, i quali sanno cose che nessuno dovrebbe conoscere. La rivolta di Lancia non è stata affatto casuale, la guerra civile che ha stravolto la città era solo uno specchietto per le allodole, loro volevano qualcosa. Le parole di suo padre gli rimbombano nella mente: il tempo sta per scadere.
LanguageItaliano
Release dateJan 22, 2021
ISBN9791220254472
Le Torri Nere - Venti di Guerra

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    Le Torri Nere - Venti di Guerra - Cristiano Cantelli

    Cristiano Cantelli

    Le Torri Nere - Venti di Guerra

    ISBN: 9791220254472

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Diritti

    Mappa

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

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    29

    30

    31

    32

    33

    Epilogo

    Diritti

    ISB 9791220254472

    Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons

    Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0

    Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web

    http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

    Mappa

    immagine 1

    Prologo

    Aprì gli occhi con calma. La sua camera da letto lo accolse, avvolta nell’oscurità reclamata dalle imposte ancora chiuse. Non attese neanche un secondo e si mise subito seduto sul giaciglio che lo aveva cullato durante la notte appena trascorsa. Sapeva che fuori il sole stava sorgendo, nonostante non avesse modo di guardare oltre la finestra. Il suo orologio biologico, infatti, era impeccabile: ogni mattina si svegliava alla stessa ora.

    Si alzò in piedi e si vestì con calma, indossando sotto i suoi soliti abiti di pregevole fattura una cotta di maglia e legandosi alla vita il cinturone a cui era fissato il fodero della sua inseparabile spada.

    John Holmes si avvicinò quindi alla finestra, l’aprì e spalancò le imposte con poca grazia, lasciando che sbatacchiassero rumorosamente contro le pareti dell’edificio che in quelle ultime settimane gli aveva offerto riparo.

    Respirò a pieni polmoni l’aria fresca del mattino e sentì le energie ricaricarsi tutto d’un tratto. Osservò poi la città di fronte ai suoi occhi e studiò il panorama come se fosse una scacchiera. Le sue pedine erano già schierate e pronte a muoversi secondo i suoi ordini. Erano pochi i rumori che giungevano alle sue orecchie. Una calma surreale aleggiava sulla città che aveva di fronte. Sembrava un sogno.

    Lancia aveva appena trascorso una notte infuocata, con cittadini e soldati intenti a darsi battaglia tra le sue vie. Il tutto si era concluso a tarda ora e adesso a ricordare gli eventi trascorsi vi erano soltanto dei pinnacoli di fumo nero che si innalzavano oziosamente verso il cielo sereno. I cittadini in rivolta si erano scontrati con un contingente di soldati, gli ultimi rimasti a difendere il signore della città e le sue leggi. I ribelli avevano schiacciato il nemico, non senza un gran numero di vittime, e avevano costretto gli uomini del re a rifugiarsi all’interno della fortezza cittadina. Le strade adesso appartenevano al popolo, così come tutto il resto della città. Mancava un solo luogo da conquistare.

    Ci siamo. John Holmes sorrise, consapevole che il momento fatidico era quasi giunto. La guerriglia della sera precedente era stata l’ultimo tassello di un piano ben architettato che avrebbe cambiato per sempre il mondo così come lo conoscevano. E lui era proprio lì, al centro di tutto questo, anzi, a guidare tutto questo. Il capo del suo ordine aveva riposto grande fiducia in lui e ciò lo faceva sentire fiero, oltre che estremamente potente. Aveva fede nel credo dei Protettori e un giorno non troppo lontano li avrebbe guidati in quel mondo pregno di corruzione, male e conquistatori.

    Maledetti demoni pensò con rabbia, stringendo con forza i bordi della finestra. Li odiava con tutto se stesso e sentiva il sangue ribollirgli nelle vene al solo pensiero che quelle bestie credessero di avere anche solo il diritto di respirare.

    Cercò di calmarsi e respirò nuovamente a pieni polmoni l’aria mattutina. Non era quello il momento di perdere la calma, doveva portare a termine il piano e non poteva permettersi errori.

    Alzò ulteriormente lo sguardo fino a incontrare la fortezza cittadina: un imponente massiccio di pietra, scuro e tenebroso, distante non molti chilometri dall’edificio in cui aveva passato la notte. Era laggiù che l’ultima resistenza del signore della città si era rifugiata, sperando che le possenti mura riuscissero in qualche modo a tenere fuori la rivolta cittadina che ormai da settimane infuriava a Lancia.

    Ma i suoi occhi non si soffermarono sulla fortezza, proseguirono oltre e scrutarono a fondo la Torre Nera che sorgeva lì vicino, distante dal palazzo solo qualche centinaio di metri. Quella era l’unica delle tante Torri Nere a trovarsi all’interno di una città. Gli abitanti di Lancia l’avevano sempre guardata con rispetto e timore, quasi fosse un dio vendicativo pronto a far piovere morte e distruzione.

    Non è un dio, all’interno di essa si cela un demone, e io farò in modo che nessuno possa più sconfiggerlo. John era determinato più che mai a completare il piano.

    Era certo che quella dannata Torre fosse già stata conquistata, ma non era importante. Avrebbe però voluto conoscere il suo conquistatore, e magari ucciderlo in un duello all’ultimo sangue. Amava sentire il cuore battere all’impazzata durante uno scontro con uno di quei mostri senz’anima.

    Qualcuno bussò alla sua porta, riscuotendolo dai tanti pensieri che avevano iniziato ad assalirgli la mente.

    <>

    La porta si aprì e un soldato entrò. Salutò il suo superiore con rispetto e poi comunicò: <>

    <>

    Il soldato annuì e uscì dalla camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle. John lo udì scendere le scale di legno con passo svelto e comunicare a gran voce ciò che gli era stato ordinato di riferire.

    Lanciò un’ultima occhiata alla città, prima di chiudere la finestra e respirare profondamente nel tentativo di calmarsi e schiarirsi le idee.

    L’ultima tappa si disse, prima di uscire dalla camera da letto e dirigersi verso il pian terreno dell’edificio.

    Scese le scale lentamente, facendo pesare i suoi passi più del dovuto sui gradini di legno. Ascoltò lo scricchiolare delle assi e seppe che il suo arrivo sarebbe stato accolto con timore reverenziale. La sala che si presentò di fronte ai suoi occhi la conosceva ormai molto bene. Era spoglia, senza mobilio, se non un tavolo al centro e alcune sedie attorno a esso. Da una piccola finestra filtrava la luce del mattino e illuminava i presenti: tre sottoufficiali dei Protettori e il soldato che era venuto a chiamarlo pochi istanti prima, quest’ultimo in disparte. I tre uomini di alto rango lo stavano attendendo in piedi attorno al tavolo e lo salutarono con rispetto. Lui protese una mano in avanti e fece cenno di sedersi. I suoi sottoposti obbedirono e attesero che anche lui facesse altrettanto.

    Osservò i tre uomini per qualche istante, prima di parlare. <> iniziò. <>

    Il sottoufficiale alla sua destra, Marlom, un uomo magrolino e stempiato, si protese in avanti e iniziò a spiegare la situazione. <>

    Il sottoufficiale di fronte a John, Kil, annuì. <>

    <> commentò John dopo un sospiro. <>

    <> affermò il terzo e ultimo sottoufficiale. Aveva una quarantina d’anni ma li dimostrava molti meno. Il suo fisico atletico e la poca barba incolta avrebbero fatto impazzire qualsiasi donna, ma lui aveva promesso di amare soltanto il Maestro e di fare qualsiasi cosa per soddisfarlo.

    <> aggiunse.

    <> asserì John con decisione.

    <> disse il sottoufficiale magrolino con gli occhi contornati da occhiaie scure. John sapeva bene che, nonostante l’aspetto malaticcio, l’uomo sarebbe stato fondamentale nella gestione dei ribelli. Era stato lui a intrattenere i rapporti con i capi dei facinorosi, riuscendo a portare Lancia nel caos più totale.

    <> intervenne il sottoufficiale di fronte a John. <>

    <> domandò Marlom.

    Kil annuì. <>

    <> annunciò John Holmes, alzandosi in piedi e svettando sui presenti. Voleva far capire ai tre sottoufficiali quanto fosse determinato, e soprattutto che era impossibile mettere in discussione le sue decisioni. <>

    I tre uomini lo guardarono in silenzio, chi con timore e chi con odio. Ma a John non interessavano i loro sentimenti. Era certo che gli avrebbero ubbidito, non aveva mai dubitato della loro lealtà e mai l’avrebbe fatto.

    Il Maestro è con me.

    <> ordinò. <>

    I tre sottoufficiali annuirono all’unisono e si alzarono in piedi. Salutarono il loro superiore e uscirono dall’edificio. John rimase quindi da solo con il soldato che lo aveva avvertito della presenza dei tre ospiti. Ordinò all’uomo di andarsene e di lasciarlo solo. Aveva bisogno di riflettere e di pregare.

    Questa notte cambierò il mondo.

    Il sole era basso sull’orizzonte, prossimo a scomparire oltre i tetti delle case limitrofe. John Holmes camminava in silenzio, ascoltando la quiete prima della tempesta che regnava a Lancia. Non vi erano persone per le strade, solo qualche cane randagio. Ogni tanto si vedeva costretto a scavalcare un cadavere oppure a scansare rovine di carri, banchi del mercato e altro ancora. La città non avrebbe retto altri giorni di quel caos.

    Si soffermò di fronte a un edificio non molto distante dalla fortezza cittadina. Di fianco all’ingresso vi erano due suoi subordinati, armati e con indosso la tipica armatura dei Protettori. Fino a quel momento si erano mossi con discrezione, con lo scopo di non essere associati al disastro che si stava sconvolgendo Lancia. Ma adesso le cose stavano per cambiare: la città sarebbe caduta per mano del popolo oppresso e loro avrebbero fatto parte di quella clamorosa vittoria. Per tutta la durata della rivolta, si erano limitati ad addestrare i civili, ad armarli e a sostenerli con scorte di cibo e informazioni. Ma quella notte sarebbero scesi in campo. I capi dei ribelli dovevano molto ai Protettori, soltanto grazie a John si erano potuti spingere fino a quel punto.

    John indossava la sua adorata e scintillante armatura, l’occhio senza ciglia inciso sulla corazza pettorale. Ogni suo movimento era accompagnato da un tintinnio metallico che lui trovava estremamente piacevole.

    I due uomini situati di fronte all’ingresso dell’edificio bussarono alla porta e annunciarono l’arrivo del capitano. John fu accolto all’interno dai tre sottoufficiali con cui aveva conferito quella stessa mattina e dai capi dei ribelli: due uomini vestiti con pezzi di armature sottratte ai soldati nemici. Entrambi lo guardarono con espressioni diffidenti.

    <> domandò John, sedendosi sull’unica sedia disponibile in quel salotto spoglio. Quella era stata sicuramente la casa di qualche poveraccio rimasto ucciso durante gli ultimi avvenimenti.

    <> spiegò uno dei rivoltosi.

    <> aggiunse l’altro uomo del popolo.

    <> commentò John, annuendo a malapena.

    <> disse il sottoufficiale Kil.

    <> chiese John.

    Fu Marlom a rispondere, la voce stanca e appena udibile. <>

    <> domandò il capo della rivolta più vicino a John.

    Lui lo fissò dritto negli occhi e annuì con vigore. Odiava quelle persone. Si credevano invincibili perché avevano costretto le forze cittadine a ritirarsi all’interno della fortezza. Erano convinte di esserci riuscite da sole, grazie alla loro grande forza di volontà e al coraggio del popolo. La verità era ben diversa: senza i Protettori e l’aiuto del Maestro non sarebbero mai arrivati fino a quel punto.

    <> annunciò John, alzandosi e facendo raschiare le gambe della sedia sulla pavimentazione di pietra. <>

    I capi dei ribelli sorrisero soddisfatti, consapevoli che con l’aiuto dei Protettori tutto sarebbe stato più semplice.

    <> domandò John.

    Entrambi gli uomini annuirono all’unisono. <> disse uno dei due.

    <>

    <>

    <> lo rassicurò John.

    <>

    Attesero in quell’edificio che il sole tramontasse definitivamente e infine uscirono all’aperto. I rivoltosi gli avevano assicurato che i loro uomini ormai si erano introdotti nella fortezza e che non rimaneva che attendere l’apertura dei portali. S’incamminarono a passo lento verso il palazzo che presto sarebbe stato preso d’assedio, accompagnati solamente dal rumore metallico provocato dalle loro armature.

    Giunsero a destinazione dopo pochi minuti di cammino. Si trovavano ora in una piccola piazza contornata da bassi palazzi di pietra. Nessuna luce traspariva dalle finestre e alcune delle porte d’ingresso erano state sfondate. La fortezza cittadina si trovava a poche centinaia di metri di distanza, nascosta dagli edifici circostanti.

    Centinaia di uomini e donne vestiti alla meno peggio affollavano la piazza; alcuni di essi indossavano pezzi di armature rubate e imbracciavano armi sottratte ai soldati della città oppure attrezzi da lavoro. Tra la folla si distingueva però un gruppo di uomini ben equipaggiato. Erano silenziosi, a differenza del popolo di Lancia, e sfoggiavano sguardi seri e cupi. John sapeva che i suoi Protettori avrebbero dato la vita pur di portare a termine con successo quella missione.

    Kil si avvicinò a lui con fare guardingo. <<È tutto pronto, signore, attendiamo l’apertura dei portali.>>

    John annuì brevemente e si posizionò di fianco a uno dei capi della rivolta, l’altro stava discutendo con alcuni suoi concittadini. <>

    <>

    <>

    L’uomo annuì e si allontanò a passo svelto, iniziando a urlare ordini a destra e a manca.

    Quell’esercito improvvisato rimase nella piazza per quasi mezz’ora. Il chiacchiericcio sovrastava qualsiasi altro rumore e John si ritrovò a odiarlo, assieme a tutte quelle persone che lo stavano producendo e che iniziavano a diffondere un terribile lezzo di sudore. Quella gentaglia non possedeva minimamente la disciplina di un vero esercito. Era certo che sarebbero morti a decine, ma sapeva anche che la fortezza sarebbe caduta definitivamente. Ne era convinto. Non perché si fidasse del popolino che lo circondava, ma perché i suoi Protettori avrebbero sicuramente fatto la differenza.

    Qualcuno urlò dai margini della piazza. Nessuno comprese le parole di quel grido, ma un silenzio opprimente calò sulla folla. John vide i cittadini di Lancia stringere con decisione le armi e sgranare gli occhi. Alcuni di essi sbiancarono dalla paura. La tensione era palpabile. Il suo sguardo calò sui suoi Protettori e notò con soddisfazione la loro imperscrutabilità.

    Poi, il grido si ripeté, squarciando il gravoso silenzio in cui erano caduti tutti i presenti. <>

    I capi dei rivoltosi iniziarono a urlare. Era giunto il momento che tanto a lungo la città di Lancia aveva atteso. L’ultima battaglia stava per avere inizio.

    John si avvicinò ai suoi sottoufficiali e al piccolo esercito di Protettori. I cittadini di Lancia, nel frattempo, si erano messi in moto e sfilavano ai suoi lati correndo in modo scomposto e urlando al cielo la rabbia e la paura che stavano provando.

    <> fu l’unica parola detta dal capitano dei Protettori ai suoi sottoposti.

    Le sue labbra si mossero appena nel pronunciare una breve preghiera rivolta al Maestro. Seguì infine i suoi uomini, immergendosi nel fiume di persone diretto alla fortezza cittadina.

    Corse a perdifiato, la spada stretta saldamente in pugno. Svoltò un angolo e si trovò di fronte all’ingresso della fortezza, la quale si trovava nel bel mezzo di una immane piazza dalla forma irregolare e piastrellata. Le basse mura a protezione dell’edifico non avevano affatto l’aria minacciosa e avrebbero impensierito soltanto un esercito composto da vigliacchi. Per fortuna, tutto si poteva dire di quel popolo che adesso stava varcando la soglia delle mura ma non che fosse formato da codardi.

    Dai merli di pietra facevano capolino alcuni arcieri indaffarati a scoccare frecce sui nemici. Non erano molti e non avrebbero rallentato il fiume di persone che stava dilagando nel cortile di fronte al palazzo cittadino. Quest’ultimo era una roccaforte massiccia e non molto alta, che terminava con alcuni merli dalla forma fin troppo classica. Molte finestre si affacciavano su quel versante, oltre ai grandi portoni d’ingresso e a qualche balconata addobbata con fiori ormai secchi. Anche quel luogo sembrava abbandonato, nonostante fosse esattamente lì che si erano rifugiati i rimasugli della guardia cittadina e dei pochi uomini che l’ex sovrano, Orlem Garre, aveva fatto giungere in città.

    Oltre la fortezza, non molto distante e ancora all’interno della bassa cinta muraria, si ergeva in tutta la sua tetra altezza la Torre Nera che John aveva scorto quella stessa mattina e che dal momento del suo ingresso in città non aveva fatto altro che tormentarlo. La Torre svettava oltre gli altri edifici e si stagliava nera come la pece contro il cielo stellato. Sembrava quasi che qualcuno avesse ritagliato un pezzo dalla volta celeste, lasciando una finestra sul nulla più assoluto, una finestra con la forma di una torre protetta da decine e decine di rostri acuminati.

    John superò i portali spalancati e si ritrovò nel cortile. I rumori della battaglia creavano una cacofonia assordante. Corse verso il nemico più vicino e lo trafisse alle spalle, liberando un ribelle dalla sua presa. Il cittadino di Lancia lo ringraziò con timore reverenziale e si allontanò alla svelta, pronto a immergersi in un nuovo duello.

    John non se ne restò con le mani in mano, ma continuò a combattere al fianco del popolo e dei suoi Protettori. Soltanto dimostrandosi forte, vigoroso e pronto a sacrificarsi per la causa sarebbe riuscito a farsi seguire senza discussioni. E questo era proprio quello che voleva: essere rispettato e salire di rango. Il Maestro sarebbe stato dalla sua parte soltanto se avesse dimostrato il suo infinito amore nei suoi riguardi, estirpando il male da quelle terre.

    Parò l’affondo di un soldato nemico e poi i successivi attacchi che seguirono. L’avversario che aveva di fronte era veloce e giovane, forse non arrivava a trent’anni. Purtroppo per lui, si era schierato dalla parte sbagliata e presto ne avrebbe pagato le conseguenze.

    <> disse nel parare un montante e contrattaccando con vigore. La spada del Protettore penetrò nella gorgiera del nemico senza difficoltà, come se avesse appena trafitto un panetto di burro. La corazza del ragazzo fu immediatamente invasa da una cascata rosso cremisi. Il soldato gorgogliò qualcosa, sputando sangue, e crollò a terra.

    Fu allora che John si guardò attorno, riprendendo fiato. Il caos era diminuito, gli scontri attorno a lui scemavano velocemente. Vide con piacere che i suoi sottoposti avevano risalito le scale a ridosso delle mura e adesso uccidevano gli arcieri che fino a quel momento avevano fatto piovere morte dall’alto.

    È finita pensò raggiante. Era stato fin troppo facile, quasi non vi aveva trovato gusto.

    Due soldati gli corsero incontro e ingaggiarono con lui un duro duello. Il loro addestramento, si rese conto John, doveva essere durato solamente pochi giorni, perché li sconfisse entrambi senza grosse difficoltà. Quindi si fermò a riposare e osservò i vari scontri giungere al termine. I soldati della città si arresero e s’inginocchiarono. Furono disarmati, portati in un angolo del cortile e sorvegliati con attenzione. Alcuni rivoltosi entrarono nel palazzo cittadino, sfondando le porte con gli arieti che sarebbero dovuti servire a penetrare nel cortile. Si udirono altri rumori metallici e urla provenire dall’interno e, infine, tre cittadini di Lancia, macchiati di sangue e madidi di sudore, tornarono all’aperto spingendo senza molta grazia una quarta persona. John riconobbe subito l’individuo forzato ad avanzare: il signore della città. L’uomo fu condotto di fronte ai due capi della rivolta e fu fatto inginocchiare. Non era alto e aveva dei lunghi capelli neri che gli ricadevano in modo scomposto sulle spalle e sulla schiena. Anche lui era sudato e la sua espressione tradiva una grande paura. Tremava. I suoi occhi neri guizzavano da un uomo all’altro senza sosta.

    <> pregò, abbassandosi a baciare le scarpe sudicie e consunte del capo della rivolta che si trovava più vicino. Quest’ultimo si scansò di colpo, e guardò il signore della città con disgusto, come se avesse appena schivato un appestato.

    <> lo accusò.

    <> gli fece eco il suo compagno.

    <>

    <>

    Bastò un singolo cenno della testa da parte dei due uomini al comando del popolo di Lancia per porre fine alle parole del signore della città. Uno dei tanti cittadini che affollavano il cortile si avvicinò con un pugnale in mano e lo conficcò nella testa del più grande nemico della rivolta. L’uomo crollò al suolo con l’arma ancora piantata nella nuca.

    John si allontanò alla ricerca di Marlom, uno dei suoi sottoufficiali. Lo trovò non molto lontano, intento a parlare con dei suoi sottoposti.

    <> si congratulò John con tutti i presenti.

    <> gli sussurrò Marlom.

    John annuì. <<È giunto il momento>> affermò.

    Marlom sorrise e accompagnò il suo capitano, seguito da altri due Protettori. Si fecero largo tra la folla e arrivarono di fronte a un edificio non molto alto, defilato rispetto al palazzo cittadino.

    <<È qui>> disse seccamente John, ricordandosi a menadito le istruzioni del capo del suo ordine.

    Marlom indicò l’entrata ai due Protettori, che nel frattempo si erano fermati alle sue spalle. Essi corsero verso l’entrata del basso edificio e spalancarono la porta a suon di spallate. L’oscurità fece capolino oltre l’ingresso. John non esitò a entrare.

    Si trovava ora in una piccola stanza. Sulle pareti erano state appese delle mensole ricolme di utensili e di fronte a lui vi era una scalinata che conduceva in basso, nelle viscere della terra.

    I sotterranei.

    Marlom scovò una torcia tra i tanti oggetti presenti nella stanza e l’accese. John gliela sottrasse senza molta grazia e si avviò con passo deciso verso la scalinata. La luce guizzante di fronte a sé illuminò i molti gradini di legno, consumati dal tempo e dai tarli, che conducevano verso il basso e si dileguavano nel buio più totale.

    Iniziò la discesa.

    Le pareti di pietra alla sua destra e alla sua sinistra erano bagnate dall’umidità e riflettevano la luce della torcia. I mattoni che gli sfilavano ai lati si fecero presto da parte per fare spazio alla roccia grezza e nuda. L’odore di muffa assalì le narici dei presenti con forza, ma nessuno ci fece troppo caso.

    Giunsero in fondo alla scalinata dopo quasi un minuto di discesa. Di fronte a loro si apriva adesso uno spiazzo scavato nella nuda terra. Sarebbe potuta sembrare una caverna naturale, se non fosse stato per il pavimento lastricato. Gocce di acqua cadevano dal soffitto grezzo e risultavano fredde sulla pelle scoperta. L’odore di muffa era più forte che mai là sotto.

    John si guardò attorno per qualche istante, studiando l’ambiente e, soprattutto, scrutando con attenzione le pareti deformi. Infine, dopo alcuni istanti, trovò quello che stava cercando: un’incisione. Si avvicinò e la toccò con le dita, sfiorando il disegno scavato secoli fa nella pietra. Il simbolo era simile a quello della sua Chiesa, e si domandò il perché: un occhio con al centro della pupilla una torre stilizzata, la sommità più larga della base. Sembrava proprio una Torre Nera, anche se non erano stati rappresentati i rostri acuminati.

    Solo allora si rese conto della scanalatura che correva destra dell’incisione. Aveva origine dalla pavimentazione, saliva per quasi due metri, correva verso sinistra per circa un metro e infine tornava verso il suolo, disegnando un rettangolo nella parete rocciosa.

    Una porta.

    Fece cenno agli altri di avvicinarsi e lui indietreggiò di qualche passo, le fiamme della torcia che oscillavano a ogni suo minimo movimento.

    <> ordinò, indicando l’ingresso per chissà cosa.

    I suoi sottoposti fecero come richiesto e si appoggiarono contro la porta nella parete. Iniziarono a spingere, grugnendo e sudando. Ci volle quasi un minuto prima che l’anta di pietra si decidesse a muoversi, raschiando sulla pavimentazione. Si mosse lentamente, girando su cardini invisibili, sotto la spinta continua dei tre Protettori.

    Riuscirono ad aprirla dopo innumerevoli sforzi. Un tanfo, tipico dei luoghi abbandonati da tempi immemori, sgorgò dalla camera che avevano rivelato e che era immersa nelle tenebre più assolute. John si aspettò di vedere uscire un demone da un momento all’altro, ma non accadde.

    I demoni dimorano soltanto nelle Torri Nere.

    Si avvicinò con passo lento, tenendo la torcia di fronte a sé come un talismano. La luce sferzò le tenebre e rivelò un ambiente angusto, una vera e propria caverna. Non vi era nulla, a parte un massiccio blocco di pietra, alto circa un metro, ricoperto di incisioni antiche. L’umidità aveva trovato posto nelle loro scanalature e ora esse riflettevano la luce rossastra della torcia. Sopra quella specie di altare vi erano impilati una mezza dozzina di libri dall’aspetto consunto e fragile.

    Aveva ragione pensò, riferendosi al suo superiore, il capo dei Protettori.

    Si voltò verso Marlom. L’uomo lo guardò sbalordito. <<È giunto il tuo momento. Solamente tu sai leggere questi tomi così antichi, per questo ti trovi qui.>>

    Marlom annuì e si avvicinò ai libri che aveva di fronte. Si soffermò e li guardò dall’alto con aria solenne. Forse temeva che toccandoli si sarebbero sgretolati. Tutti tacevano, respiravano l’aria pesante e ascoltavano il silenzio opprimente. Quello era un momento solenne, un momento che avevano atteso a lungo.

    John sorrise involontariamente. La gioia che stava provando era incontenibile. <>

    1

    Ethan si svegliò lentamente e subito percepì un forte bruciore al volto, ricordo del pugno con cui Konrad Smith lo aveva colpito poco prima che il combattimento contro Miles giungesse al termine. Esso però non fu l’unico a costringerlo a destarsi. Lentamente, il suo corpo parve ricordare di aver partecipato a un duro combattimento e decine di fitte dolorose comparvero dal nulla. Si mosse sul posto, cercando una posizione più comoda, e fu allora che tanti aghi roventi gli si piantarono nel petto e nei fianchi. Pensò di essersi risvegliato all’inferno.

    Aprì gli occhi. Il cielo stellato lo sovrastava e una leggera brezza gli soffiava sul viso. Si mise seduto a fatica e imprecando. Attorno a lui vi era terra brulla e piccoli tratti di erba secca smossa da un venticello fresco. Poco lontano da dove si trovava si ergeva la Torre Nera: un mostro divora-luce sul cui corpo spuntavano decine di picche e lance pronte a proteggerlo. La guardò con apprensione. Era infatti lei il motivo per cui si trovava su quel colle non molto lontano da Castello Rosso, e anche la ragione per cui, a pochi metri di distanza, sorgeva la tomba di Hans Vitt.

    Sentì gli occhi bruciare e inumidirsi. Non avrebbe mai più rivisto l’uomo che lo aveva salvato da una vita miserabile e da un villaggio destinato all’abbandono. Era stato ucciso da Miles Loh, suo migliore amico, l’uomo che aveva sconfitto la morte, il Re Conquistatore di Samor.

    Si alzò in piedi con difficoltà e si toccò il petto, il punto del

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