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Hakkakei
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Hakkakei

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Narrativa - romanzo (432 pagine) - Che cos'è l'Albergo in cui Grazia e altri si risvegliano senza sapere come ci sono arrivati? Come funziona? Come se ne esce? ”Hakkakei” in giapponese significa “ottagono”. Romanzo finalista al Premio Urania 2011


Grazia Toma è una chimica romana che si risveglia in un albergo in cui il numero otto è ovunque, finanche nella struttura immersa in un nulla nero. Presto apprende di non essere sola. L'Albergo ha altri occupanti. Tutti hanno un braccialetto che attraverso un led colorato indica il tempo di permanenza, al termine del quale si sparisce in un "pop" di atomi, e tutti devono sottostare a regole semplici e rigide. L'Albergo è una struttura creata per selezionare i leader che dovranno impedire il lento degrado della civiltà umana, destinata a un'uniformità che nel futuro la renderà schiava di se stessa.

Hakkakei è stato finalista al Premio Urania 2011. Un romanzo eccezionale in quanto a incastro e fabula. Ha il sapore di certe trovate à la Joe R. Lansdale La notte del Drive-In o di certi meccanismi politici riconducibili, alla lontana, all'Ender di Orson Scott Card.


Luigi Rinaldi è nato a Roma nel 1967. Docente di ruolo in Chimica nella scuola secondaria, ha lavorato in passato nel campo nei rifiuti industriali e delle bonifiche ambientali. Ancora oggi svolge attività di consulente in qualità di libero professionista. Scrive per hobby da alcuni anni per lo più racconti di fantascienza, genere di cui è molto appassionato. Nel 2006 è giunto terzo al Premio Alien con il racconto Sindrome 75 e, sempre nel 2006 è giusto finalista al Premio Galassia – Città di Piacenza. Nel 2010 ha vinto il Premio Robot con il racconto Hidden, con il quale è giunto finalista anche al Premio Italia 2011. Dal 2012 al 2018 è stato plurifinalista al Premio Rill (2012, 2013, 2014, 2015, 2016, 2018). Nel 2018 ha pubblicato l’antologia Oscuro prossimo venturo tramite l’editore Wild Boar. È presente con un suo racconto Prova di Recupero nell’antologia Altri Futuri (Delos Digital, 2019), curata da Carmine Treanni. Altri suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie quali NASF, Short Stories e, con Delos Books, in 365 racconti erotici per un anno, 365 racconti horror per un anno, 365 racconti sulla fine del mondo e Magazzini di Mondi. Ha scritto anche racconti non di genere che sono stati pubblicati in antologie della Giulio Perrone. Nella vita privata è sposato con Yumi, con la quale ha collaborato in alcuni lavori per conto della casa editrice giapponese Engine Room (è stato il “copywriter” italiano in un libro d’illustrazioni fotografiche su Venezia venduto in Giappone). Yumi stessa ha lavorato in ambito letterario: è stata traduttrice di numerose opere (dall’inglese al giapponese), tra le quali alcuni romanzi dello scrittore scozzese Scott Mariani. Luigi Rinaldi parla un discreto giapponese.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 19, 2021
ISBN9788825414455
Hakkakei

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    Hakkakei - Luigi Rinaldi

    giapponese.

    Questa collana

    Benvenuti a Innsmouth, città immaginaria lovecraftiana descritta nella storia La maschera di Innsmouth, pubblicata nel 1936, e che – con questa nuova collana dal nome omonimo – voglio erigere a capitale della narrativa Weird. Un genere ad ampio raggio che propone storie che dalla normalità fanno confluire improvvisamente elementi estranianti non riconducibili alla realtà che ci circonda.

    Con Innsmouth il lettore passa, da un momento all'altro, da una tranquilla Comfort zone a una Weird zone molto fosca e talvolta terrificante, o semplicemente straniante … Innsmouth è una collana di letteratura Weird, un genere difficilmente catalogabile e che ha come capostipite il solitario di Providence, Howard Phillips Lovecraft.

    Le storie che Innsmouth propone hanno in sé un elemento soprannaturale, la cui sensazione da parte del lettore viene percepita mentre si inoltra nella narrazione. Racconti intrisi di ignoto, di oscuro, le cui radici lovecraftiane si sono espanse nel tempo grazie a opere di molti altri autori come Franz Kafka, Ray Bradbury, James Ballard, Stephen King o, in chiave ancor più moderna, China Miéville.

    Buona lettura.

    Luigi Pachì

    1.

    Grazia aprì gli occhi e si trovò a contemplare la metafora di una malattia epatica: un sole pallido, freddo, che irraggiava una luce color giallo vomito chiazzata ai bordi di scuro.

    Era come se l’impulso vitale dell’astro, per mezzo del quale era nata l’intelligenza, ovvero il fine ultimo dell’evoluzione, fosse stato sfilato e gettato via.

    Stava fissando una buccia di sole, un carapace abbandonato, un relitto.

    Immersa in abbozzi di pensieri scollati tra di loro, la donna ci mise molto più del dovuto per accorgersi che stava contemplando in realtà una banale plafoniera dalla forma ottagonale.

    Si tirò faticosamente su con i gomiti.

    Scoprì di essere distesa su un letto a due piazze e d’indossare un pigiama bianco. Ai piedi aveva i calzini.

    Inoltre qualcuno le aveva allacciato al polso sinistro un cinturino di plastica trasparente, senza cerniera, in cima al quale un LED emetteva una luce verde fluorescente.

    Poi si guardò attorno.

    Era in una stanza molto grande e con troppe pareti, così strana che sembrava essere stata ideata da un architetto ubriaco oltre che eccentrico.

    Notò in senso antiorario: un comodino con abatjour e telefono; un minuscolo frigorifero; una grossa tenda color grigio fumo; una scrivania con uno specchio; una sedia; un televisore a schermo piatto; un orologio a lancette con tutte e ventiquattro le ore; due quadri posti l’uno accanto all’altro raffiguranti rispettivamente una chiocciola marina e un girasole.

    Poi ancora, alla sua sinistra: due pareti ad angolo retto sporgente che delimitavano un altro ambiente la cui esistenza era intuibile da una porta posta su una di esse; sull’altra, un armadio.

    All’estrema sinistra, infine, una seconda porta.

    Riportò l’attenzione sull’orologio. Segnava le 20.05.

    Scese dal letto e nell’atto di alzarsi in piedi calpestò un paio di ciabatte bianche.

    Ebbe subito un forte capogiro seguito da un violento conato di vomito.

    Si precipitò d’istinto alla porta più vicina e l’aprì. La luce, già accesa, le rivelò un bagno. Si accasciò sul water dopo averne sollevato in tutta fretta l’asse.

    Nonostante i ripetuti conati, non vomitò nulla se non lunghi fili di bava bianca.

    Si ripulì la bocca con la carta igienica e pigiò il pulsante dello sciacquone rimanendo a contemplare la traiettoria a spirale dell’acqua che confluiva velocemente sul fondo del water.

    Una spirale perfetta.

    Ripresasi, si rialzò ed esplorò il nuovo ambiente.

    Il bagno comprendeva oltre al water un bidet, una vasca doccia e un lavandino arredato da uno specchio dalla cornice ottagonale. Accanto a esso, sui sostegni erano disposti dei grossi asciugamani bianchi.

    Poi la sua attenzione si spostò sulla mensola del lavandino, dove c’era un cestino in finto legno, colmo di oggetti.

    Lo rovistò.

    Conteneva un piccolo bicchiere in plastica, una saponetta, un tubetto di dentifricio, uno di sapone da barba, un pettine, uno spazzolino, una lametta, una scatolina bianca con dentro la cuffia per la doccia.

    Accanto al cestino, una confezione di assorbenti senza marca e un rotolo di carta igienica di riserva.

    A destra dello specchio, un phon fissato al muro con un gancio, il cui filo elettrico penetrava senza presa direttamente nelle maioliche, bianche e ottagonali.

    Aprì il rubinetto, si lavò a lungo le mani e il viso. L’acqua era fresca e confortante.

    Poi si contemplò allo specchio: i capelli neri e lisci, gli intensi occhi castani sotto i quali alloggiavano le prime rughe, le ciglia corte, il naso leggermente lungo anche se regolare, la bocca piccola.

    Fu allora che, all’improvviso, notò che nell’immagine riflessa il pigiama riportava un numero sul taschino, nel lato del seno sinistro. Lo lesse alla rovescia: 560.

    Per qualche ragione quel numero la riportò a uno stato completo di autocoscienza.

    Fin lì si era come mossa al confine tra realtà e sogno senza decidere verso quale dei due regni dirigersi.

    – Ma dove cazzo sono? – Mormorò.

    Uscì dal bagno e fece un giro completo su se stessa, contando le pareti.

    – Otto.

    Ebbe un altro capogiro e represse un nuovo conato di vomito.

    I battiti cardiaci aumentarono. Fu costretta a sedersi di nuovo sul letto.

    Quando il disagio passò, si rialzò e corse ad aprire l’armadio alla ricerca dei propri vestiti. Era vuoto. C’erano solo delle stampelle, un cuscino e una coperta grigia.

    Chinandosi sulle ginocchia, aprì il cassetto sotto le ante.

    Trovò all’interno un altro pigiama uguale a quello che aveva indosso. Esaminandolo, scoprì che il numero 560 era scritto anche sul retro della camicia.

    Infine c’erano due paia di reggiseno, apparentemente della seconda, la sua misura, due paia di mutandine e due di calzini.

    Il panico la colse in una stretta morsa e prese ad ansimare. I sospiri si amplificarono nel silenzio ovattato della stanza.

    Si tirò su e notò solo allora, sul mobile su cui poggiava il televisore, un cartellino bianco posto accanto a un telecomando.

    Sopra c’era scritto in caratteri neri:

    PREMA IL TASTO ROSSO.

    Prese in mano il telecomando e lo esaminò. Aveva otto tasti bianchi con impresse le prime otto lettere dell’alfabeto greco e uno rosso, più grande, senza simboli.

    Lo schiacciò.

    Il televisore si accese e una scritta cominciò a scorrere sullo schermo accompagnata da una voce maschile in perfetto italiano.

    Signorina Grazia Toma, benvenuta nell’Albergo.

    Il Rappresentante di Piano l’accoglierà fin da subito per sostenerla e illustrarle le principali norme che regolano il soggiorno.

    Il Direttore l‘ aspetta alla Reception per un brindisi.

    Ci auguriamo che la permanenza, qui da noi, sia di suo gradimento.

    Poi la scritta scomparve e al suo posto apparvero due icone ottagonali bianche con scritto all’interno:

    TV e INFO.

    Sotto di esse un’ulteriore scritta:

    SCEGLIERE COL TASTO ALFA.

    Grazia rimase paralizzata con il telecomando in mano e la bocca aperta per più di un minuto. Non riusciva a elaborare quello che aveva appena letto e sentito.

    Poi si girò, fissò la tenda grigia e corse a scostarla.

    Trovò il buio.

    Dalla finestra sigillata non si scorgeva nulla. Nero totale. Un nero che dava alla testa, un nero luminoso.

    Mormorò un verso di una poesia letta chissà dove e chissà quando:

    – Luce nera, illumina la mia notte.

    Richiuse la tenda, infilò le ciabatte, corse alla porta situata dall’altra parte della stanza.

    2.

    Fuori, scoprì un immenso corridoio, lunghissimo, ricoperto da una soffice moquette bianca. Delle porte sporgevano su entrambi i lati in modo alternato a una discreta distanza l’una dall’altra.

    Il corridoio era illuminato da un numero indefinibile di plafoniere ottagonali poste sia sul soffitto sia sulle pareti e che creavano uno strano effetto ottico per via della prospettiva, sembrando congiungersi all’infinito in un punto improprio.

    La sua attenzione fu poi catturata da alcuni quadri posti sulla parete di fronte alla sua porta e che raffiguravano temi insoliti.

    Un ariete. Un ananas. I Tre Moschettieri.

    Poi girò su se stessa e urlò:

    – C'è nessuno? Ehi! Aiuto!

    La sua voce carica d’ansia si perse per il corridoio con una strana eco.

    Stava già per cedere al panico quando un uomo uscì dalla Camera n. 561, posta a destra, sul lato opposto rispetto alla sua.

    Era calvo, d’aspetto piacevole, sulla cinquantina, portava degli occhiali neri. Anche lui indossava quella specie di pigiama e teneva le maniche della giacca tirate su fino ai gomiti. In mano aveva un grosso asciugamano.

    La donna sospirò di sollievo. Aveva temuto di essere sola in quel posto surreale.

    L’uomo fissò prima Grazia, poi la camera da dove era appena uscita.

    – Hai preso il posto di Lunardi, eh? – Le disse con un forte accento genovese. – Così se n’è andato quel povero scemo! Eh, già! Oggi a me, domani a te.

    – Chi? – Gli chiese Grazia, confusa.

    L’uomo si avvicinò e le tese la mano.

    – Lascia stare. Franco Bernardi, piacere. Come ti chiami?

    Grazia gliela strinse.

    L’uomo aveva una presa molto forte. Le fece quasi male. Notò che anche lui portava al polso opposto un braccialetto simile al suo, con quello strano quadrante ottagonale dal LED verde luminoso.

    – Grazia Toma – Si presentò. Il cuore le batteva forte. – Dove siamo? Come sono finita qui?

    L'uomo abbozzò un sorriso ironico.

    – Non è venuto quell’idiota di Sasso, vero? – Si guardò attorno e scosse la testa. – No, in effetti, sembra proprio di no. E nemmeno qualche suo simile della Rappresentanza.

    Grazia aveva appena sentito la parola Rappresentanza dalla Televisione.

    Gli chiese cosa fosse.

    – Ce lo chiediamo un po’ tutti. Povera ciccia! Vieni con me, va! Ti aiuterò io. – La prese sotto braccio in modo cortese e le fece un gesto come per invitarla a un ballo.

    Grazia era troppo frastornata per opporsi e lo lasciò fare. Si avviarono insieme lungo il corridoio in direzione antioraria.

    3.

    Dopo pochi passi fu presa di nuovo dal panico. Non era riuscita ancora a inquadrare quella situazione in un qualsiasi contesto razionale e adesso camminava sotto braccio a quel tipo strano.

    Con la mano destra libera, tirò per la manica la giacca del pigiama dell’uomo e gli chiese con voce piagnucolosa:

    – Ehi! Che cazzo succede? Dove siamo? Mi rispondi?

    – Belle domande. – Rispose Bernardi.

    Invece di aggiungere altro, le indicò col mento alcuni quadri disposti sulle immacolate pareti del corridoio.

    Uno in particolare destò a Grazia molta impressione: un cane gigantesco con tre occhi. Lo teneva al guinzaglio un uomo sorridente con tuba e frac.

    Che aveva tre occhi anche lui.

    In preda alla frustrazione, Grazia si liberò dalla presa di Bernardi con uno strattone e urlò:

    – Ma dove cazzo siamo? Si può sapere? Mi vuoi rispondere? Te lo chiedo per l’ultima volta o ti prendo a calci!

    Bernardi sbadigliò e passandosi pigramente l’asciugamano sull’altra mano, appena liberata, le rispose:

    – Ѐ un albergo, non vedi? Sei cieca?

    – Un albergo? – Grazia ripeté quella parola scomponendola nella sua mente in diversi frammenti, come se in essa fosse racchiuso un mistero tremendo.

    – Esatto, un albergo. – Le fece eco l’uomo con aria svagata.

    Erano intanto arrivati in un ambiente che faceva da giunzione tra il corridoio da dove erano appena venuti e il successivo, che si estendeva con un’inclinazione di 45° verso destra rispetto al primo.

    Sul lato interno della giunzione c’era un accesso privo di porta.

    Bernardi le fece un cenno.

    – Per di qua.

    Il nuovo ambiente era molto spazioso e aveva una forma rettangolare. Sulla parete di sinistra Grazia notò delle macchine a forma di fungo dall’ignota funzione, delle sedie e una porta con su scritto WC. Su quella opposta c’erano quattro distributori automatici di merendine e altre vivande varie.

    Davanti c’erano invece le porte metalliche e simmetriche di ben quattro ascensori.

    Bernardi si avvicinò a uno di essi, il secondo da sinistra, e premette il pulsante di richiamo.

    Poi picchiettò con le dita sul muro e prese a fissare Grazia con interesse, quasi con lascivia.

    Ma la donna era ancora in uno stato confusionale per accorgersene in piena coscienza.

    Inoltre era stata distratta da uno strusciare di ciabatte proveniente dalla giunzione che la indusse a girarsi.

    C’era una coppia di mezza età proprio sulla soglia d’accesso alla stanza degli ascensori. Entrambi indossavano il pigiama e portavano un cartellino ottagonale allacciato al collo. Avevano un’aria perplessa come se stessero cercando qualcosa. Grazia notò che l’uomo aveva un foglio in mano. I due fecero un vago cenno di saluto e poi, senza entrare, presero a discutere tra loro.

    – Vedi, Sabina? – Disse l’uomo rivolgendosi alla compagna. – La Rosa del Deserto ha cinque petali. Quindi la soluzione deve essere sicuramente su questo piano! Eppure c’è lo stesso qualcosa che non mi quadra. – Le mostrò il foglio. La donna vi avvicinò lo sguardo miope e alzò le spalle.

    Poi, come se niente fosse, i due ripresero a camminare in direzione antioraria scomparendo dalla vista di Grazia.

    Bernardi, accortosi del suo sguardo interrogativo, le disse:

    – La Caccia al Tesoro serale.

    – La Caccia al Tesoro? – Chiese Grazia, mentre la porta dell’ascensore si era intanto appena aperta.

    L’uomo la invitò a entrare, sfiorandole i glutei.

    – La Caccia al Tesoro serale. – Ripeté lui sottolineando la parola serale.

    Poi pigiò un pulsante e l’ascensore partì.

    – L’altro giorno – proseguì Bernardi – il Sei e il Sette mi hanno obbligato a stare chiuso in camera per far da terzo gettone. Due palle così! Tu lo faresti? Per trenta miseri crediti, poi!

    Grazia non prestò attenzione a quelle oscure parole, distratta com’era dall’analisi della cabina dell’ascensore.

    Aveva una forma ottagonale. Vi erano quattro specchi alternati a delle pareti bianche dove erano poste delle foto che raffiguravano delle terme, un bar e quella che sembrava una sala di ricreazione con tanto di tavoli da biliardo, un campo di calcetto e delle macchine ludiche.

    Sulla pulsantiera c’erano otto tasti numerati che andavano dallo zero, appena pigiato da Bernardi, al sette.

    Forse sto sognando, pensò.

    L’uomo, forse intenerito dal suo sguardo perso nel nulla, finalmente si aprì.

    – Credimi, Grazia, non so dove siamo. Nessuno lo sa. Io sono arrivato qua tre settimane fa. Proprio come te.

    – Cosa? – Grazia fu come scossa dal suo torpore e si sentì accapponare la pelle alle parole tre settimane fa.

    L’uomo annuì.

    – L’ultima cosa che ricordo è che stavo litigando con uno stronzo di cliente per via di certe fatture. Poi mi sono svegliato qua.

    Grazia cercò di digerire quello che Bernardi le aveva appena detto senza riuscirci.

    – Mi stai prendendo in giro?

    – Ѐ la verità. Sei al Check In, cara, benvenuta nell’Albergo! – Concluse l’uomo mentre le porte dell’ascensore si aprivano.

    Poi l’accompagnò fuori, palpandole nuovamente il sedere.

    Grazia trovò ad accoglierla una stanza rettangolare simmetrica a quella da cui provenivano e dotata di oggetti simili, ovvero i distributori automatici e gli strani funghi. La attraversarono e sbucarono in quella che sembrava effettivamente la Hall di un albergo.

    Era enorme, il pavimento azzurro non aveva la moquette ma era tirato a cera. Da degli altoparlanti era diffusa della musica classica.

    Grazia, che un po’ se ne intendeva, riconobbe la Sonata n. 1 in Do Maggiore di Mozart.

    – Là! – Bernardi le mostrò un luogo con un dito. – Quella è la Reception. Il Sei e il Sette, ovvero il Baffo e il Codino, ti chiameranno subito il Direttore. Lui ti accompagnerà in un posto curioso. Curioso davvero, ti avverto. Ti farà il solito strano discorso senza senso che fa a tutti quelli che arrivano al Check In e non risponderà a nessuna delle tue domande. Ma tu vacci lo stesso, almeno ti farai un’idea della situazione. – Fece una risatina al limite della follia, poi proseguì. – Scusami, ora ti devo lasciare, vado alle terme. Magari ci si vede dopo, a cena. Ci faremo una bella chiacchierata, così avremo modo di conoscerci meglio. Che dici? Siamo vicini di camera del resto e qui non c’è mai un cazzo da fare! – Le diede un bacio sulla guancia, le fece l’occhiolino e si congedò.

    Grazia aveva la mente in subbuglio. Contemplò prima l’uomo allontanarsi con andatura disinvolta poi la zona che le aveva appena indicato. La Reception era facilmente individuabile da un lungo bancone in marmo nero, dietro al quale c’erano due uomini in doppio petto bordò alle prese con quelli che sembravano dei clienti. Il Sei e il Sette, aveva detto Bernardi. Che voleva dire? Perché li aveva chiamati con dei numeri? Il Baffo e il Codino.

    Poi la sua attenzione fu catturata da un altro luogo, posto rispetto alla sua visuale a circa dieci metri a destra dal bancone della Reception. C’erano dei divani, delle poltrone e dei tavoli, occupati in quel momento da alcuni uomini che indossavano pigiami e vestaglie.

    Ancora più a destra di esso, ad altri sei o sette metri, c’era invece quella che sembrava un’uscita, delimitata da un’ampia porta a vetri. Dalla stessa incombeva un nero spaventoso, minaccioso, spettrale.

    Luminoso. Lo stesso che aveva visto oltre la finestra sigillata della sua camera.

    Grazia puntò allora sulla Reception sentendosi sempre più a disagio.

    Giunta a ridosso, notò una scena che attrasse la sua attenzione: a qualche metro da lei, sulla destra, un giovane ragazzo orientale si agitava isterico, confortato da una donna, anche lei in pigiama ma con una fascia rossa attorno al braccio con su scritto il numero due.

    Il ragazzo stava inveendo in una lingua straniera contro i due uomini della Reception, in piedi al di là del bancone, i quali, calmi e sorridenti, sembravano capire perfettamente le sue parole.

    Anche la donna con la fascia rossa sorrideva come se nulla fosse, ammiccando loro con complicità.

    Appena Grazia toccò materialmente il bancone, uno dei due uomini si voltò verso di lei, quasi come se l’atto l’avesse attivato. Si distaccò dal terzetto restante e le si avvicinò.

    Era un bell’uomo, brizzolato, con i baffi, impeccabile nella sua uniforme. Grazia notò che aveva dei bottoni d'oro dalla forma ottagonale sulla giacca.

    Il Baffo, pensò.

    – Posso esserle utile, signorina? – Le chiese.

    – C’è un grosso casino da risolvere! – Disse Grazia con voce rotta dall’ansia. – Non so come sono finita in questo posto surreale! Dove sono? Quando mi ci avete infilata?

    La donna era impaurita e irritata allo stesso tempo. Non aveva creduto a pieno alle parole di Bernardi, anche se intuiva che c’era senz’altro qualcosa di anomalo e, forse, e questo le destava più preoccupazione, d’irrazionale in tutta quella faccenda.

    – Mi può favorire il suo Cursore? – Le chiese l’uomo con i baffi.

    Grazia rise nervosa.

    – Sarebbe?

    – Il braccialetto che ha al polso sinistro, vede? – Glielo indicò.

    Graziò fissò il LED col quadrante verde.

    – E che cosa sarebbe ‘sto affare? Chi me l’ha messo addosso? Quando? E perché? – Chiese porgendogli il polso sinistro. L’uomo non rispose. Fece invece scorrere uno strumento elettronico su di esso, una specie di telecomando.

    Poi corrugò le sopracciglia concentrandosi su uno schermo posto dietro al bancone, nascosto alla sua vista.

    – Signorina Grazia Toma, camera n. 560. Tutto a posto! Ѐ stata registrata al Check In alle ore 20.00 di oggi. Benvenuta!

    Come le accadeva quando si sentiva presa in giro, Grazia esplose in una crisi isterica.

    – Ci fai o ci sei? Coglione! Se non mi dici subito che cazzo sta succedendo vado dai carabinieri e vi denuncio tutti! Capito? – Gli urlò in faccia.

    La donna con la fascia rossa e il ragazzo orientale interruppero la loro sceneggiata per girarsi a guardarla. Anche il secondo uomo della Reception, uno che sembrava uscito da un film, "il Codino", pensò una parte della mente di Grazia, la fissò con aria divertita.

    La donna con la fascia rossa in particolare, grassottella e con i riccioli castani, allungò il collo all’indietro per osservarle il numero che aveva sul retro del pigiama, chissà perché, e poi scosse la testa.

    Grazia se ne accorse.

    – Che hai da guardare? – Le chiese.

    Ma la donna non le rispose. Tornò invece a dedicarsi al ragazzo orientale che aveva ripreso subito a fare le bizze.

    – La prego, Signorina Toma, si calmi. – Disse, invece, l’uomo con i baffi con tono molto pacato. – Comprendo il suo disorientamento. Tutti i nostri clienti al Check In sono disorientati. – Indicò con gli occhi il ragazzo orientale. – Vedo che non è stata accompagnata da nessun Rappresentante. Mi rincresce davvero. La cosa, però, non è dipesa da noi.

    – Io non ho bisogno di nessun Rappresentante! – Esplose Grazia. – Non so nemmeno a che cazzo serve un Rappresentante in uno stronzo di albergo! La questione è che qualcuno mi ha infilato qui con la forza dopo avermi rapita, drogata e chissà cos’altro! Dove sono i miei documenti? E i miei vestiti? Voglio andare via di qui! Subito! Questa cosa è di una gravità estrema!

    – Voglia pazientare ancora solo un istante. – Fece l'uomo. – Il Direttore sarà qui a momenti.

    Grazia si sentiva già esausta. Non era ancora venuta a capo di quella faccenda kafkiana, non aveva fatto progressi nemmeno di un millimetro in direzione della verità ed erano passati già parecchi minuti. Questo amplificava la sua isteria. Cercò di controllare il respiro e di razionalizzare.

    – Razionalizzare. – Mormorò a se stessa.

    Improvvisamente comparve sulla scena, come dal nulla, un distinto signore, moro, sui cinquanta, gli occhi più blu del mare e un elegante vestito marrone. Grazia non riuscì a capire da dove fosse sbucato. Probabilmente era passato alle sue spalle senza che lei se ne fosse accorta.

    Si avvicinò al ragazzo orientale, gli parlò in perfetto giapponese, o quello che era, e lo accompagnò tenendolo per mano, girando dietro di lei lungo il bancone, in direzione di una porta posta a sinistra della Reception e sulla quale era dipinto in rosso un ottagono.

    Durante questo breve tragitto, la donna con la fascia rossa incitò il ragazzo con gesti d’incoraggiamento.

    Poi in prossimità della porta accadde qualcosa d’inspiegabile.

    Il ragazzo e il Direttore sparirono. Grazia strabuzzò gli occhi. Eppure era certa di quello che aveva visto. La porta non si era aperta. I due erano semplicemente spariti, proprio d’innanzi a essa.

    Non ebbe il tempo di ragionare sull’evento perché, nemmeno una frazione di secondo dopo ecco che i due riapparvero di nuovo, di fronte stavolta, sempre come dal nulla.

    Il Direttore teneva ancora per mano il ragazzo asiatico che pareva visibilmente provato.

    Allo sguardo perplesso di Grazia per quello che sembrava essere stato uno show da prestigiatore, l’uomo con i baffi le fece notare, sorridendo:

    – Il Direttore ha così tanto lavoro! Deve farsi in otto, mi creda! – E indicò l’orologio che, sulla parete dietro il bancone, segnava le 20.20.

    4.

    Il Direttore diede le ultime rassicurazioni al ragazzo asiatico, battendogli una mano sulla spalla.

    Poi lo lasciò andare.

    Quest’ultimo cominciò a vagare per la Hall, guardandosi attorno come in trance, senza sapere in che direzione andare. Coscienziosamente, il suo angelo custode, la donna con la fascia rossa, lo raggiunse e lo prese sotto braccio.

    – Adesso ti faccio vedere il resto dell’albergo, dai! – Gli disse con un tono di voce entusiasta.

    Mentre lo trascinava verso gli ascensori, incrociò un’altra donna, anch’essa con la fascia rossa, che stava accompagnando a sua volta un bel ragazzo dall’aria stralunata.

    Le due donne si salutarono e si fermarono a scambiare qualche parola.

    – Giornata dura, eh? – Disse l’accompagnatrice del ragazzo asiatico all’altra.

    – Eh, già! Lui – indicò il ragazzo che teneva stretto per il braccio e che aveva la bocca aperta dallo stupore – è l’ultimo dei Check In serali di oggi, per fortuna.

    – Sasso intanto fa sempre come cazzo gli pare! Quella poveretta – rispose l’altra indicando con il pollice Grazia – è arrivata da sola alla Reception! Chissà che colpo le sarà preso!

    L’altra si girò a guardare Grazia con pietà.

    – Che stronzo… – Disse.

    Poi si salutarono. Nel frattempo Grazia, che aveva ascoltato tutto, si sentì chiamare dal Direttore.

    – Signorina Toma!

    Si voltò. L’uomo le si avvicinò e le strinse la mano, sorridendo come per rassicurarla. Era gelida.

    – Eccomi a lei. Sono il Direttore. Molto piacere! – Si guardò attorno con una certa teatralità. – Vedo con rammarico che nessuno della Rappresentanza l’ha accompagnata. Mi dispiace! Ma adesso venga, mi permetta di invitarla nella mia camera. Avrà senz’altro delle domande da pormi.

    – Di là? – Chiese Grazia, titubante, indicando la porta magica.

    – Sì, staremo più tranquilli. – La rassicurò il Direttore prendendola per mano. – Non abbia paura! Non le accadrà nulla di male.

    – No, senta, io non…

    – Andiamo, coraggio! – La interruppe il Direttore, sorridendole ancora.

    Quell’uomo era strano, aveva un modo di fare così rassicurante che Grazia smise di opporsi. Lo seguì, tenendolo per mano fino a ridosso della porta con l’ottagono rosso.

    Appena il Direttore toccò la maniglia si ritrovarono come per magia in un altro ambiente, un curioso luogo a forma di ottagono nel quale ogni lato possedeva una porta.

    Grazia era sconcertata, stordita, non riusciva a capacitarsi di quello che le stava succedendo. Era come se fosse stata letteralmente teletrasportata.

    Si guardò attorno ed ebbe un capogiro. Il luogo dove si trovavano aveva una struttura senza senso. Oltre tutto, c’era qualcosa che non andava nella geometria. Il dentro non tornava con il fuori.

    Il Direttore, con fare quasi paterno, si accorse del suo disagio, la sorresse e le disse:

    – Stia tranquilla. Questa è solo una giunzione, un passaggio. Andiamo.

    Sempre tenendola per mano, le fece cenno di seguirlo. L’accompagnò nei pressi di una delle porte, scelta apparentemente a caso tra le otto, erano tutte uguali e indistinguibili, e toccò la maniglia.

    Senza sapere di nuovo come, Grazia si ritrovò, sempre insieme al Direttore, in un corridoio molto simile a quello del suo piano.

    Voltandosi, notò che la porta dalla quale presumibilmente e in qualche modo erano passati aveva un ottagono fluorescente di color rosso.

    – Questa è la Direzione. – Disse l’uomo senza scomporsi. Poi la condusse nei pressi di una camera. Su di essa c’era un numero, l’otto, con sotto scritto: DIRETTORE. Solo allora le lasciò la mano, le aprì la porta e la fece accomodare. Fissandola negli occhi le disse, quasi alludendo a qualcosa di escatologico:

    – Il colloquio è personale, mi capisce?

    5.

    La stanza del Direttore era anch’essa di forma ottagonale e sembrava avesse le stesse dimensioni della sua. C’era una scrivania spoglia, sistemata proprio al centro, con un semplice telefono. Una sedia e poco altro. Poi a fianco della scrivania c’erano due poltrone, su una delle quali l’uomo la invitò a sedersi. Tra le poltrone c’era un tavolino in cristallo con un vassoio contenente diversi bicchieri vuoti e delle bevande. Anche il Direttore si sedette e, sorridendo, rimase come in attesa della reazione di Grazia, studiando intanto le sue impressioni.

    La donna, infatti, si stava ancora guardando attorno.

    Sulle pareti erano disposte numerose foto e quadri. Riconobbe la Mole Antonelliana di Torino, illuminata a notte. Poi la Gioconda.

    Il quadro più grande raffigurava un inquietante ragno meccanico. Sulla corazza c’erano otto ragni meccanici più piccoli che a loro volta contenevano altri otto ragni ancora più piccoli e così all’infinito.

    Il Direttore, accortosi del suo interesse verso l’opera, le disse:

    – Un capolavoro tardo futurista del Brengato. Assiomi del 1928. Ma lei potrebbe non conoscerlo.

    Che cosa aveva voluto dire con lei potrebbe non conoscerlo?, si chiese Grazia. Preferì non porgli quella domanda.

    – Cosa posso offrirle? – Proseguì il Direttore. – Un aperitivo? Una coppa di champagne?

    Grazia si accorse di aver preso sete per lo shock. Non si fidava di accettare bevande da quel tipo ma se stava delirando, e da quello che aveva appena visto non era proprio impossibile, voleva dire che era già stata drogata. Tanto valeva togliersi almeno la sete.

    – Un'aranciata, grazie. – Gli disse con un filo di voce.

    – Un'aranciata, benissimo! – L'uomo le preparò il bicchiere d'aranciata con gesti calmi e calcolati. Vi aggiunse un cubetto di ghiaccio e glielo porse.

    Grazia lo trangugiò tutto d’un fiato, quasi sbrodolandosi. Poi finalmente chiese, trattenendo il respiro:

    – Allora? Mi vuol spiegare che succede?

    Il Direttore incrociò le mani e la fissò negli occhi, sorridendo.

    – Lei, signorina Toma, è ospite nel nostro Albergo. Ha effettuato il Check in alle 20.00 in punto. Ora si deve semplicemente godere la sua permanenza qui da noi fino al Check Out, sfruttando, se lo desidera, tutti i confort che le sono messi a disposizione. Rispettando il Regolamento, ovviamente.

    – Sta eludendo la mia domanda e la mia pazienza sta oltrepassando il limite. E se oltrepasso questo limite perdo totalmente il controllo di me stessa, la avverto. – Gli rispose Grazia.

    Il Direttore sospirò, non scomponendosi affatto alle sue minacce.

    – Capisco il suo disorientamento. Ma deve farsene una ragione. Cosa ricorda?

    Perché gli faceva quella domanda? Grazia scavò nella memoria. Le pareva intatta ma subiva una brusca interruzione in un punto. L’ultima cosa che ricordava, infatti, era che stava tornando alla Stazione Termini in metro, dopo essere passata da Feltrinelli per degli acquisti, dei libri di Thomas Mann. Benché fosse una sola fermata, aveva deciso di non farsela a piedi perché era stanca. Dopo? Dopo c’era il nulla. E dopo il nulla quel posto. Quanto tempo era passato? Gli avvenimenti vissuti erano sfocati nella sua memoria come se su quel vagone della metro ci fosse salita una settimana prima.

    – Come sono finita qui e dove sono? – Cominciò a paventare alcune possibilità non proprio allettanti. – Sono stata in coma? Sono forse finita in una specie di clinica per matti?

    Il Direttore sorrise, poi le rispose.

    – Oh, questa non è una clinica e lei non è affatto impazzita, mi creda. Ѐ un albergo. Un albergo, come le dicevo, con il suo Regolamento. – Tacque un attimo come per concentrarsi, poi la fissò e continuò. – Come tutti gli ospiti lei ha diritto a ottanta crediti al giorno. Sono la nostra moneta interna. Le sono versati alle ore 08.00 di ogni mattino sul suo Cursore. – Indicò il suo polso sinistro. – Scoprirà presto come si usa, in fondo è molto semplice. I crediti di cui ha diritto sono ampiamente sufficienti per godersi, oltre alle necessità basilari, anche parte dei comfort e degli svaghi che il nostro Albergo può proporle. Sostengono i costi di tre vitti al giorno, dell'affitto giornaliero della camera con servizi annessi, nonché la tassa per la Rappresentanza, che per Regolamento è obbligatoria. Questi ultimi due costi, a differenza dei pasti, le sono detratti automaticamente. Purtroppo, la tassa sulla Rappresentanza suscita diverse proteste visto che il servizio presenta a volte delle inefficienze. Ma queste, come scoprirà, non dipendono da noi. Sia tollerante, siamo italiani del resto! – Ridacchiò quasi avesse alluso, chissà perché, a qualcosa di oscuro con quell’ultima frase. – Come le dicevo, se è capace di gestire il suo reddito può usufruire di servizi extra quali le terme, la lavanderia, oppure bevande e altri cibi confezionati, compresi i tabacchi, che si possono acquistare agli Erogatori. Inoltre abbiamo un Mercato Virtuale visitabile sull’INFO del suo televisore, fornito di ben ottomila articoli che può scegliere, acquistare e ritirare in tempo reale, direttamente alla Reception. Poi c’è il Bar, un punto di aggregazione sociale fondamentale. Una Biblioteca, il cui servizio di prestiti dei libri è anche gratuito. C’è la Sala Hobby che organizza periodicamente delle attività ludiche con le quali oltre a divertirsi può provare anche a incrementare il suo bottino di crediti. Inoltre, se lo desidera, può comprare o vendere servizi od oggetti con gli altri clienti. Può persino accorciare o ampliare il suo Soggiorno qui da noi, vendendo o acquistando del Tempo, anche secondo certi vincoli un po’ complicati da spiegarle ora ma che potrà imparare facilmente in seguito. Tutto questo è possibile solo rispettando il Regolamento. Se lo si viola ci sono ovviamente delle penali e delle restrizioni, nei casi più gravi c’è l’Espulsione.

    Grazia l’aveva ascoltato allo stesso modo di come avrebbe potuto ascoltare un pazzo chiuso dentro una camicia di forza.

    – Continua a eludere la mia domanda. – Disse.

    Il Direttore annuì.

    – Signorina Toma, non sto eludendo nulla. Vede, non sono in grado di darle le risposte alle domande che le stanno più a cuore. Tutti, ovviamente non solo lei, mi chiedono il perché, il dove, il quando. Ma io non so risponderle al perché, al dove o al quando. L’Albergo è l’Albergo. Deve farsene una ragione. Lei è qui perché è qui. E il dove è qui. Il quando è adesso. Queste sono le uniche risposte che so e che posso darle.

    – Non sia ridicolo! Vuole farmi forse credere che anche lei non sa dove siamo? – Chiese Grazia, incredula.

    L'uomo rimase impassibile sulla sua poltrona e rispose.

    – Le sembrerà assurdo ma è così. Anche se ho semplificato di molto la mia risposta. Per fare un esempio che vagamente può aiutarla a intuire la questione, diciamo che le domande che mi pone, per me non hanno senso in quanto sono inapplicabili. Per cui anche le risposte al riguardo non possono che essere inapplicabili. La mia funzione, compresa quella del mio staff, è che i miei clienti, tra cui lei, abbiano tutti i comfort possibili e che fino al Check Out godano di una buona assistenza per qualunque bisogno. A tal riguardo, dimenticavo, abbiamo anche un medico con annessa infermeria, al Piano Settimo.

    – Quello che mi ha detto è senza senso. – Disse Grazia fissandolo negli occhi per cercare di carpire qualcosa, un dubbio, un’esitazione. Ma quegli occhi blu erano semplicemente uno specchio. Nulla più.

    – Mi dispiace, ma è proprio così. – Rispose il Direttore, impassibile.

    Grazia rifletté. Le vennero in mente altre possibilità.

    – Sto scontando una pena? Sono in una specie di prigione? Sono ostaggio di terroristi?

    – Oh, certamente no! Se l’ho spaventata per via del Regolamento e per le penali, mi dispiace! La cosa in realtà è molto semplice! Vede, in molti posti, in particolare in alcuni posti, sono applicate delle regole che in taluni casi possono sembrare restrittive. Immagini, che ne so, gli aeroplani. Mica tutti possono fare quel che vogliono in un aeroplano in volo, no? Non per questo, applicare delle regole significa che viaggiare su un aeroplano sia lo stesso che essere finiti in un luogo di pena. Ecco, qui è la stessa cosa con le dovute differenze. A parte queste premesse lei è libera come l’aria!

    – Allora io voglio abbandonare subito quest’albergo, aereo o astronave che dir si voglia! Subito!

    – Nessuno la costringe a restare. Può andare e circolare dove vuole nell’Albergo e fuori eccetto che nelle zone riservate allo staff. Ma mi permetta di aggiungere una cosa al riguardo. Da qui tutti i clienti, prima o poi, se ne vanno. C’è un Check Out, non se lo scordi. – Indicò il suo Cursore.

    Grazia fissò il LED color verde del suo braccialetto. A cosa voleva alludere quel pazzo? Cominciò a cedere alla disperazione.

    – Insomma, è uno scherzo? Se è una candid camera è durata abbastanza! – Scoppiò a piangere più per la rabbia impotente che per la paura. Non piangeva più così da chissà quanto tempo e si sentì un verme.

    – Non faccia così, coraggio! – L’uomo le fornì subito un fazzolettino di carta, tirandolo fuori dal taschino della giacca come un prestigiatore. Grazia lo accettò e si soffiò il naso.

    – Adesso andiamo, la riaccompagno.

    – Va bene. Troverò un posto fuori da qui, uno qualsiasi: una casa, una stazione, non m’importa che sia notte inoltrata! Credo che i carabinieri saranno parecchio interessati a sentire quello che state facendo, qualunque cosa esso sia. – Lo minacciò.

    – Signorina Toma, rifletta su quanto le ho detto e si rilassi. – Replicò il Direttore senza scomporsi. La invitò ad alzarsi e l’accompagnò al corridoio fino alla porta con su disegnato un ottagono rosso. Poi le prese la mano e toccò la maniglia. Di nuovo furono teletrasportati in quell’assurdo ambiente a otto porte.

    – Abbia fiducia in se stessa! – Fece il Direttore, sorridente e con aria rassicurante, toccando poi, e sempre tenendola per mano, la maniglia di una delle otto porte scelta sempre apparentemente a caso.

    Si ritrovarono teletrasportati come per magia di nuovo nella Hall.

    L’uomo, infine, la salutò cordialmente con un ultimo coraggio! e si diresse subito verso il bel ragazzo dall’aria stralunata, accompagnato dalla donna di prima, quella che l’aveva guardata con pietà e che, poté notare adesso Grazia, aveva sulla fascia rossa il numero tre.

    – Signor Andrea Taralli, buongiorno! – Fece il Direttore, rivolgendosi a lui. Scambiò qualche parola di circostanza, poi lo prese per mano e lo condusse alla porta dalla quale lei era appena uscita.

    Svanirono sulla soglia di schiena per poi riapparire neanche un secondo dopo di fronte. Ancora quel trucco.

    Grazia fissò l’orologio sopra la Reception. Le 20.20.

    Assurdo! Le lancette non si erano mosse. Ma se era stata là dentro almeno venti minuti! E quel ragazzo? Quanto tempo era stato lì? E quello di prima ancora, l’altro ragazzo asiatico?

    Mentre rifletteva su questo ennesimo enigma, il Direttore andò a scambiare qualche parola con i due uomini della Reception. Il ragazzo appena uscito, intanto, fu subito preso in custodia di nuovo dalla sua rappresentante. Teneva la bocca aperta ed aveva un’espressione di sconcerto sul viso.

    – Che ti dicevo? – Gli disse il suo angelo custode mentre lo trascinava via. – Non è stato nulla di che, vero? Adesso ci facciamo un giretto! Ehi, ma sei proprio un bel ragazzo, sai?

    La testa cominciò a girarle. Troppe assurdità e tutte insieme. Fissò i tre uomini dietro il bancone. Parevano tre tranquilli gestori di un qualsiasi albergo. Un Direttore con due addetti alla Reception. Una follia, davvero.

    Prese una decisione. Doveva andarsene di lì. Subito. Non c’erano dubbi. Non avrebbe aspettato il mattino, non avrebbe aspettato la luce del sole. Quel posto la stava facendo diventare pazza, sempre ammesso che non lo fosse diventata di già.

    Si diresse finalmente verso l’Uscita, verso quel buio luminoso, indifferente agli sguardi curiosi che le erano rivolti da coloro che sostavano sulle poltrone e sui divani.

    Quando giunse in prossimità della porta, esitò.

    Qualcuno alle sue spalle le disse:

    – Lascia perdere, bel culetto. Di

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