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Gli stangati
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Gli stangati

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"La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese".
L'articolo 47 della Costituzione della Repubblica attribuisce al risparmio dei cittadini il più alto rango delle tutele giuridiche possibili.
Nonostante questo le cronache, quasi quotidianamente, ci consegnano storie di patologie finanziarie di cui il risparmio è la vittima principale. Non si tratta soltanto di operazioni truffaldine. Possono esservi momenti di euforia sui mercati azionari che ci spingono a fare scelte irrazionali.
Acquisti di titoli "sbagliati", magari suggeriti da operatori bancari in perfetta buona fede. Ci si può fidare dell'amico consulente, oppure si può restare intrappolati nelle reti di procacciatori di investimenti via Internet.
Questo volume intende raccontare gli episodi più significativi che nel corso di questi anni hanno lastricato le vie del risparmio, dando origine a una impressionante mole di procedimenti penali, cause civili e contenziosi arbitrali in tutta Italia.

Se questo volume ha uno scopo è quello di fare in modo che, leggendo e riconoscendo in queste vicende i loro molti tratti comuni, il lettore-risparmiatore possa avere uno strumento in più per tutelarsi, proteggersi ed evitare comportamenti che possano mettere a repentaglio il proprio denaro.
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateJul 19, 2019
ISBN9788832494204
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    Book preview

    Gli stangati - Stefano Elli

    Capitolo 1

    Mr Charles Ponzi e i suoi discepoli

    Sono sei gli italiani che, per motivi diversi, hanno conquistato la notorietà negli Stati Uniti. Sono Cristoforo Colombo, Charles Ponzi, Al Capone, Guglielmo Marconi, Arturo Toscanini, Enrico Fermi. Solo il secondo ha bisogno di presentazioni. Carlo (Charles) Ponzi, da Lugo di Romagna, emigrato negli Stati Uniti e in Canada ai primi del Novecento, è noto per avere brevettato una modalità di raccolta di denaro truffaldina (uno schema detto, appunto «Ponzi scheme», in lingua inglese) devastante per il pubblico risparmio e che ha visto tra i propri epigoni, tra gli altri, il famigerato finanziere americano Bernie Madoff, arrestato nel dicembre del 2008 e condannato a 150 anni di carcere come autore di un colpo da 18 miliardi di dollari che salgono a 65 sommando i rendimenti fasulli che garantiva. Lo schema inventato da Ponzi si basava sul commercio di Irc (Buoni di risposta internazionale). Di che si trattava? Di buoni postali che potevano essere scambiati in francobolli. Il punto è che, a parità di affrancatura, il costo dei francobolli cambiava a seconda del paese che li emetteva. Giocando sulla differenza di valore dei francobolli tra Italia, Spagna e Stati Uniti, Ponzi scoprì di potere guadagnare cifre enormi, sino al 400% del valore facciale (quello stampato sul buono Irc). Basandosi su questo principio fondò una società dal nome evocativo di Security exchange company, creò una rete di vendita di agenti e procacciatori d’affari e il giro, alimentato dal passa parola e dai guadagni degli investitori, si alimentò giorno dopo giorno. I clienti di Ponzi arrivarono a circa 50mila persone per 15 milioni di dollari di allora (oltre 200 milioni di dollari attuali). Tutto si bloccò nel luglio 1920 per l’azione combinata della magistratura del Massachusetts e di una campagna stampa del Boston Globe. Alla fine saranno 86 i capi d’imputazione a suo carico. Ma l’inarrestabile Ponzi non si fermerà e insisterà nelle sue catene spostandosi di Stato e cambiando l’oggetto delle sue transazioni. Il primo schema Ponzi allestito in Italia risale agli anni 50 ed è ascrivibile all’imolese Giovanni Battista Giuffrè, il primo a essere ribattezzato il banchiere di Dio (il secondo a essere soprannominato il banchiere di Dio fu Roberto Calvi, l’ex presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto il Blackfriars bridge a Londra). Giuffrè in ottimi rapporti con alcuni ordini religiosi si mise a loro disposizione offrendo un canale finanziario privilegiato finalizzato alla ricostruzione di edifici di culto danneggiati dai bombardamenti alleati. Si mise a gestire il denaro di parrocchie, privati e pii istituti asserendo di potere distribuire tassi di interesse elevatissimi. In realtà Giuffrè non faceva altro che rimborsare chi investiva usando il denaro degli ultimi arrivati. Tra gli ordini coinvolti vi fu quello dei Cappuccini. In una situazione non dissimile in anni piú recenti, finì l’ordine dei frati minori (i francescani) coinvolto in una situazione analoga che merita un paragrafo a parte. Lo vedremo.

    Buon centenario Mister Ponzi

    L’ultimo dei seguaci del metodo ideato dall’intraprendente italoamericano si chiama Allen Stanford, ex presidente del Stanford Financial Group, una banca off shore con base ad Antigua che per 20 anni ha venduto certificati di deposito ai risparmiatori americani. Standford incassava fondi personalmente come che si trattasse di un inesauribile bancomat e investiva (o asseriva di investire) il resto in affari immobiliari dagli esiti dubbi. Il buco creato da Stanford è di 7 miliardi di dollari. Ora è in un carcere in Florida e deve scontare una pena di 104 anni. C’è da scommettere che Allen Standford non sarà l’ultimo. Nonostante, infatti, gli organi di informazione da un secolo esatto (i primi articoli del Boston Globe su Ponzi risalgono al 1919), non cessino di mettere in guardia da queste tipologie di truffe raccontando nei dettagli modalità di funzionamento, metodi di distrazione, depistaggi delle vigilanze, dissimulazione di operazioni inesistenti, i risparmiatori che ci cascano con tutte le scarpe sono ondate su ondate. Battaglioni di fantaccini che si immolano, senza un’esitazione né uno sbandamento, sui reticolati di schemi Ponzi che differiscono tra loro per pochi particolari, bramosi di gettarvi i propri soldi (spesso in contanti) in pozzi senza fondo.

    Come funziona un Ponzi

    La carta usata per spiegare il meccanismo di uno schema Ponzi non è mai sprecata. Funziona così: gli investitori vengono attirati verso un investimento dietro la promessa di cospicui interessi (non serve che siano stratosferici). Questi interessi vengono pagati grazie al denaro di altri investitori che vengono convinti a entrare successivamente nella stessa operazione. A loro volta costoro vengono remunerati con il denaro versato da altri investitori persuasi a entrare nell’affare e così via. Insomma una catena di Sant’Antonio che porta molta piú sfortuna di quelle che si propagano sul web. Dirlo così è semplice. Farlo bene è un altro paio di maniche. Perché uno schema Ponzi riesca a durare nel tempo sono necessarie tre condizioni: una certa stabilità dei mercati finanziari; uno story telling (una volta si sarebbe usata l’espressione castello di frottole) credibile e che sia a prova di verifiche di primo livello (quelle che chiunque può fare utilizzando normali fonti aperte, internet, giornali ecc.); un’estrema attenzione da parte del truffatore alla regolarità del pagamento degli interessi. Il che presuppone anche un back office, un ufficio contabilità, in cui si riesca a censire e gestire con precisione il flusso delle entrate e quello delle uscite. E forse proprio quest’ultima variabile è la piú importante per la riuscita dello schema e per la sua longevità: un cliente ben pagato, remunerato puntualmente e soddisfatto del servizio è infatti la migliore garanzia per ottenere quella che è la pubblicità piú antica del mondo: il passa parola. Sotto il profilo organizzativo lo schema Ponzi spesso (anche se non sempre) si presenta all’esterno come una vera e propria impresa di investimento, con una propria struttura bene articolata e funzioni aziendali definite. Il punto è che alle spalle di tutto questo, oltre all’apparenza, non c’è proprio nulla. Si tratta di un gioco di specchi che ingigantisce le prospettive di crescita e miniaturizza quelle di rischio. Snellisce le curve, raddrizza le gobbe e dà forma ai miraggi.

    Ponzi e piramidi

    Lo schema Ponzi non va confuso con altri metodi di vendita chiamati piramidali, anche se i tratti comuni delle due costruzioni non sono pochi. Gli schemi piramidali possono essere leciti o illeciti, possono essere utilizzati per vendere beni di consumo o strumenti finanziari. Si avvalgono entrambi del proselitismo per perpetuarsi. In entrambi i casi, infatti, le catene possono funzionare soltanto se l’afflusso di nuovi partecipanti è continuo e regolare: cioè se si realizza un effettivo equilibro tra il denaro che defluisce e quello che affluisce. La reale differenza tra un Ponzi e uno schema a piramide verte nell’attiva partecipazione delle vittime alla vita dello schema. A differenza degli schemi Ponzi nelle piramidi l’importante è che ai persuasori-procacciatori sia offerta un’opportunità di guadagno sui prodotti o sugli strumenti offerti ai nuovi partecipanti: una sorta di continuo ingresso nel circuito nel quale i neofiti, per ottenere il privilegio di entrare nel network, nella rete di vendita, pagano i loro reclutatori (spesso facendo anticamera in lunghe liste d’attesa) che a loro volta verseranno parte del guadagno a chi li aveva reclutati. Un’altra differenza tra uno schema Ponzi e una struttura piramidale consiste nella responsabilità penale degli attori. Nel primo caso queste si limitano agli organizzatori della catena, essendo i suoi partecipanti delle mere vittime dello schema. Meno certa l’irresponsabilità penale dei partecipanti alle piramidi, i quali potrebbero essere perfettamente consapevoli delle finalità fraudolente del network, se non addirittura dolosamente proattivi nel tentativo di rifarsi delle eventuali perdite subite a scapito di altri malcapitati. Un altro tipo di schema piramidale è quello (lecito) tipico del multilevel marketing che offre in prevalenza prodotti di largo consumo. In almeno un caso, però, in Italia una rete in multilevel ha agito vendendo prodotti finanziari strutturati: è accaduto con la rete S.S.I. che distribuiva prima prodotti previdenziali della Bayerische divenuta poi Ergo Previdenza. In questo caso, sono sorte problematiche piuttosto serie che hanno portato anche a un’intensa attività della Guardia di Finanza, con piú procure della Repubblica coinvolte, da Catanzaro a Bolzano, con altrettante inchieste finite con delle archiviazioni. Gli schemi Ponzi non sono tutti uguali. C’è quello mordi e fuggi (si ruba quel tanto che basta per fare il colpaccio e ci s’invola per qualche tempo o per sempre). C’è quello di medio periodo (per cui è necessaria un’organizzazione piú rodata) e poi c’è il piú insidioso. Il Long Term Ponzi che vedremo in uno dei capitoli dedicati al famigerato Madoff dei Parioli. A tutto questo poi si aggiunge il tema spinoso degli investimenti truffaldini effettuati via web, da piattaforme online d’investimento. Internet ha aggiunto alcuni fattori di rischio in piú: il piú importante è la spersonalizzazione del rapporto tra chi investe e chi propone l’investimento. Ma anche la facilità di accesso alla rete da parte di un pubblico poco avvertito e attrezzato culturalmente. Se a questo si aggiunge la velocità di esecuzione degli ordini, e la poca chiarezza sull’identità e sulla localizzazione geografica dei proponenti, la conclusione è una sola: abbiamo a che fare con veri e propri crepacci da cui, una volta caduti, è praticamente impossibile

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