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Inventarsi un'impresa
Inventarsi un'impresa
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Inventarsi un'impresa

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About this ebook

Per avviare un'attività, sia che si scelga per vocazione sia che lo si faccia per affrontare l'emergenza, servono idee, risorse, relazioni, competenze, opportunità. Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare degli impegni burocratici, delle pratiche da sbrigare, delle barriere psicologiche da superare. In questo libro tutte le risposte alla cascata di dubbi e interrogativi che assalgono chi decide di "mettersi in proprio". Come finanziarsi; in che modo tagliare e cucire su di sé una propria impresa; con quali strumenti operativi muoversi nella giungla degli uffici e delle registrazioni. Come sciogliere quel nodo psicologico che intrappola e soffoca le spinte al cambiamento per "lanciarsi" con coraggio e realizzare una nuova idea. Come ricominciare da se stessi e non smettere di sognare.
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateOct 1, 2011
ISBN9788863453171
Inventarsi un'impresa
Author

Paolo Gila

Paolo Gila – Giornalista e scrittore, si occupa di economia e finanza per conto delle testate televisive e radiofoniche nazionali dalla sede Rai di Milano, dove segue la borsa e i mercati finanziari. Ha pubblicato numerosi libri, fra i più recenti, Inventarsi un’impresa (Il Sole 24 Ore, 2010), I Signori del Rating (Bollati Boringhieri, 2012), Capitalesimo (Bollati Boringhieri, 2013). Nel 2007 ha ideato l’Indice Ifiit, il primo indice di fiducia sugli investimenti in innovazione. E’ ideatore – e curatore del Festival Internazionale della Geografia di Bardolino, giunto alla sua terza edizione.

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    Inventarsi un'impresa - Paolo Gila

    1. Quando rischiare non è poi così rischioso*

    Mi sono più che mai convinto di come tutto abbia inizio per un vero senso di urgenza… Chi è determinato ad agire e a vincere – e a farlo adesso – molto semplicemente non spreca tempo ed energie in occupazioni senza importanza o che non contribuiscono al rinnovamento.

    John P. Kotter, È ora di cambiare

    Se è vero che un ciclo di ripresa economica è alle porte e che le aziende che hanno resistito sono pronte a ripartire, è il momento di dare soluzioni concrete a quanti hanno perso il posto di lavoro o sono in cassa integrazione. Persone a cui non è più possibile chiedere di stringere la cinghia, rassicurandole con formule vuote. È un’emergenza anche psicologica, perché nervi e fiducia collettiva sono allo stremo.

    I segnali convergono però sul fatto che, pur nella più ottimistica delle previsioni per la nostra economia, anche in futuro non tutti riusciranno a trovare un lavoro, e che i più dovranno inventarselo. In particolare le giovani generazioni che, come sempre, avranno scarse opportunità, a meno di stabilirsi altrove o, per l’appunto, mettersi in proprio. Le premesse per un cambiamento epocale ci sono tutte: sta a noi saperle trasformare in una definitiva occasione per adottare stili di vita maggiormente consapevoli, e modificare alcune diffuse abitudini di pensiero che appaiono ormai logore, non idonee ad affrontare il presente con le sue criticità. La possibilità di reagire spetta alle risposte istituzionali che ne verranno, quanto al nostro ingegno, alla capacità degli imprenditori lungimiranti di creare sinergie per fare sistema, alle reti sociali di cooperazione ma, seppure il lavoro rappresenti un sacrosanto diritto, non è più tempo di aspettarsi niente da nessuno. La lezione che la crisi in corso ci sta dando è proprio questa: smettiamola una volta per tutte di piangerci addosso, trovando in noi stessi lo slancio necessario per ricominciare. Sarebbe il segno inequivocabile che qualcosa sta veramente cambiando.

    Dal senso di urgenza all’efficacia

    Anche se i più fortunati ne hanno uno, è il caso di dirlo, sono tante le persone che non amano il proprio lavoro e finiscono per odiarlo. Certo, si tratta alle volte di lavori di ripiego o particolarmente usuranti, spesso sottopagati o in nero. Nel migliore dei casi, tuttavia, in molti raccontano di averne una percezione ambivalente, a periodi alterni, solo in minima parte gratificante, giustificando così a sé stessi il fatto che, in mancanza di valide alternative, siano costretti a restare lì dove sono. Di questi tempi, persino a ringraziare il cielo di averlo.

    La maggior parte della gente afferma che, se potesse, a parità di retribuzione cambierebbe di sicuro attività per una che considera più motivante, dando per scontato che ci si debba sentire meglio nel tempo libero. Purtroppo, infatti, sono pochi coloro che si identificano fortemente in ciò che fanno, traendone una vera ragione di vita e bilanciandolo in modo appagante con gli affetti familiari, le relazioni sociali e altri interessi. Chi ha fatto del proprio hobby un business, o della propria passione un imperativo, come ad esempio gli artisti. Ma anche tanti imprenditori e professionisti di successo la pensano così. Va detto, inoltre, come una migliore prospettiva di guadagno non sia di per sé sufficiente a indurre la gente a cercare un altro lavoro, e tanto meno ne garantisce soddisfazione certa una volta ottenuto; quanto, invece, l’effettiva opportunità di crescere e di specializzarsi offerta da un eventuale nuovo impiego.

    La domanda più frequente che mi viene rivolta da chi richiede la mia consulenza – si tratti dei pazienti come dei partecipanti ai corsi sul pensiero strategico – è sempre la stessa, pur nelle sue varianti: Ho la necessità di voltare pagina nella mia vita perché non ne posso più, ma non trovo il coraggio per farlo. E ancora: Come possiamo migliorare la nostra situazione attuale?. Nel corso dell’ultimo anno sono stati più numerosi che in passato quanti si sono rivolti a me perché insoddisfatti di un lavoro non più rispondente alle proprie aspettative, e che avevano fatto precipitare con il proprio umore contagioso anche gli equilibri familiari. Vicende in qualche caso drammatiche, fatte di litigi estenuanti con i figli, con il partner, fino alla separazione.

    Ad alimentare tutto ciò il clima di incertezza e di precarietà causato dai rigori della crisi economica, e dalle pressioni psicologiche da parte di capi stressati a loro volta. Una situazione ormai diventata ingestibile, che ha generato tensioni e burn out, non ricomponibile attraverso un semplice appello alla forza di volontà.

    In questi casi, il contributo di uno psicologo dovrebbe consistere nell’aiutare i suoi assistiti a decidere, consapevolmente, chi vogliano essere e cosa vogliano dalla vita. Cosa non da poco, a dire il vero. Ma non sto semplificando: se non sappiamo cosa cercare non potremo mai ottenerlo. In pratica, si tratta di come riprendersi il controllo della propria esistenza, mettendo a frutto tutte le risorse – anche quelle che a torto non si riteneva di avere – per acquisire una diversa cognizione di sé, riuscendo in qualcosa che, forse, mai avremmo pensato prima di poter realizzare. Come può accadere a coloro che, ribaltando il senso comune, considerino la precarietà o la perdita del posto di lavoro non più motivo per disperarsi, bensì occasione per riconsiderare le proprie scelte di vita. Non ultima, quella di smettere di lavorare per arricchire qualcun altro, convincendosi che, talvolta, i cambiamenti diventano necessari per il proprio benessere; trasformando la rabbia e la reattività in un senso vero di urgenza e determinazione a farcela.

    Cambiar vita, dunque, e mettersi in proprio. Ripartendo da zero. Il risultato dipende dalla vostra capacità di orientare coerentemente le energie fisiche e mentali verso l’obiettivo che vi siete prefissi, agendo le leve giuste, gestendo abilmente l’impatto con tutto ciò che non è direttamente controllabile attraverso una vostra azione diretta. Non vorrei infondervi un facile ottimismo, ma con questo affermo semplicemente che anche voi potreste essere tra quelli che riusciranno ad avere successo a patto di usare cervello e disciplina. Nostro malgrado però, i fatti non si curano della teoria, e solo nell’esperienza concreta potrete giocarvi appieno la partita con ciò che è di per sé ambiguo, molteplice e mutevole, come la realtà. Ma non occorre arrovellarsi la mente senza motivo. La soluzione migliore per arrivare all’eccellenza consiste piuttosto nel riuscire a progettare qualcosa di semplice e di apprezzato dagli altri. È questa la ricetta dei vincenti.

    Per prima cosa, prenderemo in considerazione i costi e i benefici del mettersi in proprio, elencando nei paragrafi successivi alcuni suggerimenti che possono risultare utili per riuscire negli affari. In tal senso sono del parere che, a meno di significativi impedimenti della personalità e del carattere che qui tralasceremo, anche attitudini che per taluni costituiscono una naturale inclinazione – penso all’intuito e al piacere per il rischio – possano in parte essere apprese e allenate. Vedremo come.

    Quasi tutti gli imprenditori di ogni età, provenienza geografica e fascia di fatturato aziendale, conosciuti negli anni o che ho intervistato per questo libro, mi hanno riferito che la molla principale che li ha spinti a provarci è stata l’opportunità di realizzare un sogno e di raccogliere una sfida con sé stessi, spesso per incoscienza. Alla mia domanda di analizzare nel dettaglio in che cosa e in che modo fosse cambiata la loro vita, soprattutto riferendosi all’inizio della propria avventura, le risposte principali sono state le seguenti, che qui sintetizzo in ordine sparso.

    Benefici:

    • maggiore possibilità di crescita e di ampliamento dei propri orizzonti personali;

    • piena autonomia nelle scelte e nelle decisioni di lavoro; • maggiori soddisfazioni economiche e miglior tenore di vita, come volàno di più ampie opportunità per sé e i familiari;

    • immagine sociale più prestigiosa con riflessi positivi sulla propria autostima;

    • relazioni interpersonali più allargate;

    • occasioni più concrete per esprimere la propria creatività e il proprio ingegno riuscendo in nuovi campi;

    • soddisfazioni nel rappresentare un punto di riferimento per i clienti, i collaboratori, la comunità di appartenenza.

    Costi:

    • totale assorbimento delle proprie energie fisiche e psicologiche, in particolare nella fase di start-up;

    • maggior peso delle responsabilità;

    • rinunce personali significative, quanto a vita in famiglia, tempo libero, hobby;

    • perdita del benessere psicologico per il timore che l’idea non funzioni, ansia, irritabilità, somatizzazioni da stress, sentimenti di solitudine;

    • maggiore conflittualità coniugale, familiare e tra soci;

    pressioni a causa di interessi patrimoniali;

    • continue seccature e preoccupazioni per gli obblighi di legge da espletare, scadenze, controlli fiscali, rapporto con le banche difficoltoso;

    • rischi di rigida sovrapposizione tra ruolo e identità personale, sviluppo di sentimenti di onnipotenza e atteggiamenti arroganti (come giudizio espresso dagli altri di essere cambiati in peggio).

    Nonostante tutto, non esistono particolari controindicazioni a mettersi in proprio, e se avete cominciato a pensarci seriamente vuol dire che la cosa fa per voi, anche se siete ancora perplessi. In qualche caso, tuttavia, può essere prematuro.

    Alle volte è opportuno frenare il proprio entusiasmo e saper attendere. Se vi state formando o state lavorando come tirocinanti in un valido studio professionale, in un’azienda o presso un esercizio commerciale con un sostanzioso giro di clienti, l’esperienza in atto vi sta consentendo di osservare e di imparare. Senza destare sospetti, chiedete al vostro datore di lavoro quante più informazioni vi servono. Occupatevi di quante più cose possibili. Siate zelanti ed esplorate ambiti a voi ancora poco conosciuti, anche se appaiono distanti dai vostri reali interessi o da ciò che costituirà in futuro il vostro core business. In realtà i segreti di un mestiere non solo si imparano, ma si rubano nei loro dettagli, tra i risvolti di quello che tutti sono in grado di vedere e di conoscere. L’esperienza farà il resto. E anche quando vi parrà di non avere più niente da apprendere, proprio allora vale la pena di approfondire ancora. Per diventare i migliori.

    Continuate a seguirmi. Da ora in poi la nostra parola d’ordine sarà: efficacia.

    La roulette per chi non russa

    La gran parte delle persone è frenata dal compiere qualcosa dall’esito incerto, come prestare dei soldi, giocare al casinò o mettersi in proprio, a causa dei rischi cui soggettivamente ritiene di andare incontro. Ciò che davvero ci impedisce di agire è l’istintiva paura di perdere o di fallire, prima ancora che l’effettiva disponibilità di denaro o la valutazione dei vantaggi che compiere quella determinata azione ci apporterà.

    Piaccia o no, non esiste idea di impresa che non comporti un rischio da correre, legato al valore competitivo che l’offerta di merci o di servizi di quell’azienda ha nell’intento di soddisfare i potenziali clienti. Per rischio di impresa si intende comunemente l’assenza di alcuna certezza su quelli che saranno gli esiti di un’attività, ma non ha necessariamente una connotazione negativa a priori. In modo riduttivo, invece, si ha la tendenza a considerare il rischio come se fosse sempre correlato a un pericolo, alla probabilità di subire un danno irrimediabile. È la ragione per cui alcuni imprenditori tendono a sopravvalutare certi rischi finanziari facilmente gestibili, mentre appaiono indifferenti a pericoli ben più gravi, come l’impiego di collaboratori con scarse competenze in ruoli strategici.

    La percezione soggettiva dei rischi che riteniamo di correre mettendoci in una determinata situazione dipende dal nostro patrimonio genetico e da fattori che sono in parte appresi con le esperienze che facciamo. In pratica, coraggiosi si nasce ma, questa è la buona notizia, si può diventarlo consapevolmente. In che modo? Innanzitutto, smettendo di pensare a qualcosa di eroico da compiere. Più semplicemente, invece, un atto coraggioso va pensato come un possibile effetto delle circostanze che noi stessi abbiamo creato, o che in quel momento si presentano davanti a noi. Chiarirò con un esempio. Immaginate di essere a pesca sul greto di un fiume e di essere gli unici testimoni di qualcuno in difficoltà, colto da malore mentre nuota. Chiede aiuto. La circostanza è impegnativa a causa della corrente a sfavore. Sapete nuotare discretamente e siete in ottime condizioni fisiche. Potete farcela. Non c’è tempo per chiamare qualcuno. Cosa fate? Né io né voi esiteremmo a prestare soccorso. Coraggiosi o meno, in questo caso sono state le circostanze a spingerci all’azione. Abbiamo valutato i rischi, e se siamo qui a parlarne vuol dire che siamo riusciti nel nostro intento…

    Più in generale ritengo che il timore di non farcela, soprattutto quando noi stessi siamo gli artefici delle circostanze, possa essere affrontato sviluppando strumenti adeguati per tenerlo a bada. Per l’esperienza che ne ho con i pazienti, infatti, posso dirvi che la virtù più efficace che possiamo contrapporre alla paura è di guardarla in faccia. Predisponendo con cura tutto ciò che occorrerà alla vostra impresa, senza trascurare nulla, rischiare non sarà più così rischioso come pensavate. Sarete in grado un po’ alla volta, passo dopo passo, di modificare la vostra istintiva paura e la percezione del pericolo con una più razionale capacità di farvi fronte. Il grado di apprensione che proverete dipende dal vostro carattere e dalla vostra personalità, ma col tempo finirete col farci l’abitudine fino a farla diventare un’alleata. L’importante è che non vi sovrasti. Tranquilli, ce la farete. Siete pronti?

    Quando si giudica la portata di un determinato rischio in situazioni di informazioni parziali, incerte o incomplete, la mente umana utilizza alcuni paradigmi indiziari, quasi fossimo dei commissari di polizia che indagano su qualcosa di sospetto e di cui si vorrebbe conoscere la reale consistenza. La razionalità dell’investigazione sui rischi che corriamo è però limitata, non solo per l’impossibilità di prevedere quali possano essere gli scenari futuri, ma anche per alcune scorciatoie mentali che noi stessi mettiamo in atto inconsapevolmente, autoingannandoci. Gli psicologi definiscono queste trappole distorsioni cognitive. Vediamone qualche esempio, riferibile alle scelte che potreste fare.

    Coloro che, nonostante la perdita del lavoro, avrebbero comunque la possibilità di reimpiegarsi nell’arco di breve tempo valuteranno il rischio di mettersi in proprio come minore rispetto a chi vede la cosa come l’unica chance disponibile. Pertanto, non è sempre vero che chi non ha nulla da perdere risulti

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