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Social tv
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Social tv

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La prima Guida completa alla nuova TV nell’era di Facebook e Twitter.
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateOct 30, 2013
ISBN9788832408171
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    Social tv - Giampaolo Colletti

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    La nuova filiera della Social tv

    Il consumo di video vive a livello globale una fase di espansione apparentemente inarrestabile. Gli americani assorbono 256 minuti al giorno di tv (dati Nielsen, aggiornati a ottobre 2011). L’Italia insegue da vicino, con 246 minuti, ovvero oltre 4 ore su 18 a disposizione – escludendo le ore di sonno. Un po’ ovunque, a parte in Cina e in India, la media è intorno alle 3 ore e mezza quotidiane.

    Guardiamo più immagini in movimento che mai, ma non ci limitiamo più a farlo sul totemico schermo televisivo di casa. L’attenzione si spalma progressivamente su molteplici device con molteplici funzioni – pc, tablet e smartphone in primis. Ma anche davanti alla tv le nostre abitudini cambiano, e velocemente. E il ritmo accelererà via via che avremo tutti collegato a internet il nostro monolite in salotto con una console, un set-top box, un media player, una smart tv, poco importa il mezzo.

    La parola d’ordine tra gli utenti evoluti è palinsesto personalizzato. Ovvero slegarsi dalle costrizioni degli orari imposti dalla tv lineare e live, quella a ciclo ininterrotto da mezzanotte alle 23.59, sfruttando invece le repliche disponibili on demand 24 ore su 24.

    Le opportunità, del resto, abbondano e si moltiplicano di giorno in giorno: dai servizi di catch-up tv in streaming offerti dai siti ufficiali dei broadcaster (come la Rai) al push vod (video on demand) sui decoder dei gestori di pay tv (come MySky), dai giganteschi archivi accessibili a chi paga un modico abbonamento mensile alle piattaforme di pay streaming – il leader nel segmento è la californiana Netflix, 24 milioni di subscriber negli States e 3 milioni nelle neonate filiali aperte in Canada, Messico, America Latina e Gran Bretagna – alle banali ma efficaci registrazioni sui dvr, eredi digitali e con memoria di massa dei gloriosi videoregistratori.

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    Solo considerando quelli generati dai dvr, presenti nel 42% delle case americane, gli ascolti differiti, o se preferite time shifted, già costituiscono Oltreatlantico da un terzo alla metà del totale per le fiction seriali in onda sui canali generalisti. Per ogni due spettatori tradizionali incollati il lunedì sera, dal 16 gennaio 2012, sulle frequenze di fox per la stagione d’esordio del poliziesco fantascientifico Alcatraz, ultimo parto della fervida fantasia di J.J. Lost Abrams, ce n’è uno che preferisce invece la fruizione differita, in un momento qualsiasi, nei 7 giorni successivi. Ma se osserviamo solo la fascia 18-49 anni, la più ambita dai pubblicitari, il rapporto diventa quasi 1 a 1. I dvr aumentano il bottino di Alcatraz del 74%.

    Particolare non secondario, con i dvr gli spot si possono si saltare a piacimento e, di norma, si saltano, con intuibile scorno degli inserzionisti. Se poi aggiungiamo che in questo computo di audience differita non sono inclusi gli stream online (nel caso di Alcatraz su fox.com e Hulu.com), i download a pagamento su iTunes, Amazon e Vudu o quelli gratuiti non autorizzati, e qualsiasi altra modalità di visione ex post in tempi abbastanza ravvicinati da non rientrare nella finestra dvd, è facile rendersi conto di quanto l’esperienza televisiva sia diventata multischermo e on demand.

    È un processo che non provoca effetti detrimentali sull’esposizione collettiva a talk, telegiornali, reality e sceneggiati. Le nuove tecnologie non cannibalizzano quelle preesistenti. Internet non divora l’ex tubo catodico, al contrario si sta imparando a usare più fonti di segnale in simultanea e a vivere in un ecosistema di autentica convergenza cross-mediale.

    In teoria, sembrerebbe uno scenario privo di criticità per i giganti dell’industria. Così non è.

    Per i broadcaster era infinitamente più comodo lo spettatore antico, immobile nelle sue 4 ore al giorno davanti a 1-2 programmi.

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    Bastava poco per accontentarlo e immolarlo come vittima sacrificale sugli altari dell’advertising. Lo spettatore contemporaneo – diviso nelle stesse 4 ore su centinaia di emittenti, singoli show, canali YouTube, web tv iperlocali o video attivati da applicazioni per cellulare – è un target sfuggente, costoso da agguantare, impossibile da addomesticare. È un amante peraltro infedele, senza esitazioni nel tradire i vecchi fornitori di intrattenimento quando si presentano occasioni ghiotte su sponde inedite, si pensi appunto a YouTube.

    La frammentazione degli ascolti, seppur in un’epoca di boom della televisione in senso lato, rappresenta dunque un pericolo per il modello di business consolidatosi negli ultimi 60 anni.

    Ma il pericolo esplode, conflagra, quando affianchiamo il diffuso desiderio di time shifting e personalizzazione all’altra immensa novità del tele-millennio: l’interazione con i social network, la metamorfosi della tv classica in Social tv.

    Soprattutto per le trasmissioni in diretta non è più possibile evitare la dialettica in tempo reale con il popolo di Facebook, Twitter, della blogosfera e dei servizi di mobile check-in e mobile tagging. Non è possibile perché questo popolo ha raggiunto dimensioni quasi pari all’intera platea televisiva:

    £ 850 milioni di iscritti a Facebook, il più veloce ad aggiornare le sue statistiche;

    £ 140 milioni di utenti attivi al mese su Twitter a metà 2012, per 340 milioni di tweet al giorno, secondo dichiarazioni del ceo Dick Costolo e del suo luogotenente inglese Tony Wang;

    £ dei 180-200 milioni di smartphone, la metà negli ultimi mesi del 2011 ha installato l’app dell’inglese Shazam, nata per taggare, identificare e acquistare canzoni, ma estesa di recente a taggare e identificare programmi tv, sbloccando in cambio filmati extra o regalie varie;

    £ 181 milioni di blog in attività a fine 2011, contro i 36 di cinque anni fa (fonte: nm Incite, Nielsen+McKinsey);

    £ 90-100 milioni di persone intente a postare su Google+, ulteriori 50 milioni, in prevalenza donne sotto i 50 anni, intente a bloggare o re-bloggare scritti altrui su Tumblr;

    £ persino un neofita ancora in beta testing come Pinterest, irresistibile per chi ama collezionare e condividere grafici, disegni e foto, può issarsi da zero a 10 milioni di utenti unici globali nel volgere di soli 9 mesi (tra maggio 2011 e gennaio 2012).

    Potremmo continuare a snocciolare numeri per pagine, salvo vederli sfiorire da una stagione all’altra nel limbo dei dati desueti, se non fosse assolutamente ridondante. Le masse critiche, le soglie di non ritorno, sono state superate da parecchio. Qualunque sia in futuro il tasso di crescita del social networking planetario, non modificherebbe il peso del fenomeno e, nello specifico televisivo, la sua influenza sugli interessi degli spettatori multischermo e sulle loro decisioni di consumo.

    Influenza che si traduce in economics, perché ogni paio di occhi girato verso un apparecchio tv ha un valore economico. Influenza che impone l’urgenza di riscrivere strategie, investimenti e dinamiche dell’intero comparto industriale.

    Brian David Johnson l’ha definita la transizione da una tv fatta di appuntamenti fissi a una tv di relazioni umane. Johnson è un futurologo in forze alla Intel, i suoi ragionamenti servono al colosso di Santa Clara per individuare dove indirizzare il suo fatturato. Dopo trent’anni passati a vendere microprocessori per pc, nella nuova direzione di Intel figurano oggi i decoder. Dotandoli dei suoi chip, spera infatti di usarli per proporsi nelle vesti di operatore virtuale anti-pay tv: invece di diffondere canali via satellite, digitale terrestre o cavo, li farà arrivare ai televisori attraverso internet.

    Nell’universo della Relationship tv i campioni d’ascolto saranno i format quelli in grado di stabilire un’area di contatto, dai cancelli perennemente aperti, con i propri fan. Rispetto all’antico paradigma della Appointment tv, costruita intorno a blocchi settimanali di contenuto da 30-120 minuti e impermeabile al feedback del pantofolaio (couch potato), il compito di autori, conduttori e dirigenti si complica. L’attenzione dello spettatore va mantenuta alta non più solo per una sera a settimana, ma 7 giorni su 7.

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    L’esperienza dilatata che un tempo apparteneva solo a un drappello di super-appassionati, intenti con club e altre iniziative a evangelizzare e disseminare amore per uno show, ora si applica a decine, centinaia di migliaia di spettatori per singola trasmissione e richiede formule di interazione e partecipazione assai raffinate.

    Dalle mere preview online si è passati ai webisodes e ai web backstage, e dai lì ai social feed di personaggi immaginari (i tweet dell’eroe di una fiction) o al live blogging su Tumblr di attori protagonisti e comprimari, primedonne e vallette, nel bel mezzo delle riprese. Un’applicazione lanciata a marzo 2012 da mtv Europe consente a chi la installa sul proprio smartphone di invitare i propri contatti Facebook ad assistere in simultanea a un programma richiamabile dalla nuvola dei server Viacom, ciascuno sul proprio cellulare e magari a 500 km di distanza l’uno dall’altro. L’app sincronizza automaticamente lo streaming del filmato e al tempo stesso consente, orientando gli smartphone in modalità panoramica, di aprire una finestra di chat istantanea per commentare in tempo reale scene e personaggi. Lo chiamano co-viewing.

    Il passo successivo è quello di organizzare sessioni di celebrity co-viewing con le stelle dei reality e dei telefilm targati mtv a chattare in diretta web mobile sugli sviluppi di una trama, mentre nello schermo del telefonino scorrono le immagini dell’ultimo capitolo disponibile.

    Dunque sì, la tv va granularizzandosi in nicchie iper-specializzate, e i generi in grado di resistere alla polverizzazione degli ascolti si contano sulle dita di una mano: le grandi manifestazioni sportive, una manciata di competizioni canore e culinarie, qualche sparuta sitcom o poliziesco gradito agli over 55, gli exploit di comici e giornalisti del momento – i nostri Fazio, Santoro e Fiorello – e gli eventi annuali imperdibili come gli Oscar, i Grammys o Sanremo.

    Ma tanto per i superstiti dell’epoca della tv di massa, quanto per i loro colleghi costretti a difendere share lillipuziani, la differenza è che oggi la fruizione si è fatta sociale. Al posto della chiacchiera del mattino seguente davanti al dispenser dell’acqua in ufficio – i cosiddetti water cooler moments – c’è un aggiornamento di stato su Facebook sull’aggressiva intervista di Luisella Costamagna a Mara Carfagna (Robinson, Rai 3, 9 marzo 2012) e l’istantaneo diluvio di polarizzate repliche da parte amici e conoscenti.

    Paradossalmente, proprio mentre trionfa l’on demand su misura, la televisione non è mai stata un media così condiviso e collettivo. Questo impone una flessibilità estrema nella concezione del palinsesto e nella valutazione dei suoi risultati a fini pubblicitari, oltre che di corretto e riequilibrato impiego delle risorse del canone.

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    Prendiamo il talk show Late Night del comico Conan O’Brien, in onda dal lunedì al giovedì alle 23 su tbs, una delle stazioni via cavo in auge negli States. L’irriverente Conan non raggiunge da tempo le platee a cui si era abituato per 2.725 episodi, dal 1993 al 2009, con un format analogo sulla generalista nbc: dai 2,5-3 milioni dell’ultima edizione del Tonight Show su nbc è piombato al milione scarso di Conan sulla tbs. Nondimeno, è stato confermato fino al 2014, e addirittura per proteggerlo dai competitor sono state acquistate come traino le repliche del cult The Big Bang Theory, a 2 milioni di dollari a puntata.

    La ragione va individuata nei demografici. O’Brien ha perso le folle sterminate, ma resta il più forte di tutti tra i giovani: il 67% del suo pubblico ha meno di 49 anni. È l’unico nel gruppetto degli host di talk di seconda serata con 83 milioni di visualizzazioni su YouTube. E appena si chiude il sipario di ogni esibizione, la sua vita continua online, per tutto il daytime, dialogando e solleticando con pillole di contenuto extra quasi 2 milioni di iscritti alla fanpage Facebook (TeamCoco), 5 milioni di follower su Twitter e 1,1 milioni di visitatori unici del sito ufficiale (quest’ultimo è stato nominato agli Emmy, ha vinto i Webby Awards e ha un traffico del 326% superiore al sito di David Letterman).

    Se lo show Conan su tbs ha un milione di spettatori tra le 23 e mezzanotte, quello attivo su web senza interruzioni ne ha svariati milioni, ed è in rapida crescita. Coincidenza, o forse no, la loro crescita non solo tiene a galla l’audience lineare, ma la corrobora: da ottobre 2011 a gennaio 2012 +27%, da gennaio a febbraio 2012 un ulteriore +10%. Conan O’Brien e il suo sforzo supplementare di interattività non rappresentano un caso isolato, semmai è vero il contrario. Così fan tutti, è ormai il caso di dire.

    Quello che finora è rimasto un po’ ai margini è l’intrattenimento di prima serata. Nessuno qui ha saputo o voluto inventare esperienze di Social tv paragonabili, per intensità e reazione, a quelle dello spettacolo televisivo madre da cui derivano. È su quel fronte strategico che si giocherà la partita decisiva per congedarci definitivamente dalla Appointment tv e abbracciare la Relationship tv. L’attesa di tutti è per le prime trasmissioni da Top 10 Ascolti in grado di fondere insieme, con uguale dignità e valore intrattenitivo, consumo on air e consumo in streaming, diretta e applicazioni di secondo schermo, social networking e strumenti di geolocalizzazione, presentatori e community. Sanciranno la fine delle vecchie regole del gioco, già in avanzata decomposizione, e l’alba di una nuova tv con una nuova filiera. Con immense criticità e immense opportunità che solo oggi iniziamo, timidamente, a studiare e imparare.

    La pillola dell’esperto

    Per Social tv s’intende l’attività di guardare spettacoli televisivi commentandoli ed esprimendo giudizi attraverso i social network. Questa sovrapposizione di attività

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