Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Sangue sul papiro
Sangue sul papiro
Sangue sul papiro
Ebook276 pages3 hours

Sangue sul papiro

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Lo stile personale aggiunge al libro una personalità forte e inimitabile, come in quest’Opera. I personaggi sono ben costruiti, sembrano vivi e non di carta. La costruzione del romanzo con i loro lati oscuri, gli aspetti criminali, le indagini, ci riportano al noir. C’è suspense, una vicenda che tiene sempre in tensione. In questa Opera i protagonisti intraprendono viaggi lontani, dovranno decifrare messaggi criptati, affrontare pericoli inattesi e ostacoli da superare, per giungere al loro obiettivo: la ricerca della verità. Altro elemento è l’azione, arricchita da personaggi affascinanti e determinati; quest’ultimi sono coraggiosi dotati di grande curiosità che li spinge ai limiti del conosciuto e li rende desiderosi di partire alla scoperta dell’ignoto. Gli avvenimenti seguono una sorta di crescendo di tensione per non annoiare il lettore, il quale sarà spinto a leggere sempre più. La caratteristica del romanzo è il ritmo che è sempre presente a ogni passo e che vi farà strada fino all’ultima pagina. Il lettore leggendo l’Opera si troverà di fronte a innumerevoli tappe, ma considerare il libro “Sangue sul papiro” un viaggio, è riduttivo: vi troverete da un capo all’altro del mondo a percorrere un vero e proprio percorso avventuroso. Qual è il filo conduttore? È la ricerca di un papiro contenuto in una scatola, appartenuta al faraone Snefru. Dove sarà nascosto?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 30, 2020
ISBN9791220311267
Sangue sul papiro

Read more from Vito Speroni

Related to Sangue sul papiro

Related ebooks

Action & Adventure Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Sangue sul papiro

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Sangue sul papiro - Vito Speroni

    lettore.

    1

    La pioggia e sprazzi di bel tempo si erano alternati durante il viaggio da Milano a Rorschacherberg: un comune svizzero di settemila abitanti del Canton San Gallo. Vittorio aveva una memoria fotografica e non dimenticava facilmente un percorso che aveva già fatto, anche se la pioggia battente non lo aiutava. Aumentò la velocità dei tergicristalli in vicinanza della via che lo avrebbe condotto all’hotel: un castello completamente ristrutturato immerso in un parco che si trovava tra le colline, dalle quali si poteva ammirare le limpide acque del lago Costanza.

    Mentre percorreva la strada che saliva all’albergo la pioggia cessò e si aprì uno squarcio tra le nuvole dove il sole fece capolino. «Giusto in tempo» borbottò, mentre parcheggiava l’auto.

    Si avviò all’ingresso. Il lungo corridoio in marmo tirato a lucido si riempì delle impronte lasciate dalle suole tipo carro armato dei suoi scarponi. Scese i tre scalini e si trovò in una grande sala. Alla sua destra vide due scrittoi con sopra un computer di ultima generazione, alla sua sinistra un salottino con tre poltroncine stile moderno, dove spiccava il rosso dei cuscini rispetto al grigio della stoffa. Al centro un tavolino con una ciotola in cristallo di Murano colma di frutta esotica. La reception era davanti a lui. Una ragazza era impegnata con la tastiera del computer, lo guardò e voltò il capo alla sua sinistra con un’espressione interrogativa. Quello che doveva essere il direttore posò la cornetta del telefono e lo squadrò da capo ai piedi.

    «Desidera!» gli chiese, con tono sgarbato.

    Vittorio era alto due metri, pesava cento chili, aveva la barba sfatta, e i capelli arruffati. Dopo aver viaggiato per sei ore di seguito sentiva i morsi della fame e il bisogno di una doccia bollente. Quel piccoletto che lo guardava dal basso verso l’alto con fare da superuomo lo stava facendo incazzare.

    Posò il borsone sul bancone e urlò: «Si può avere una camera in questa topaia?»

    Il direttore deglutì, e balbettando rispose che costava seicento franchi a notte: sogghignando.

    «La prendo per due giorni.»

    Aprì la cerniera della borsa sotto gli sguardi perplessi dei due, e si mise a cercare tra gli effetti personali. Da un calzino tolse un fascio di banconote arrotolate. «Pago in contanti…»

    Schifato, l’altro prese i soldi. «Ci sono trecento franchi in più!»

    «Ho fame, vorrei una bistecca: cottura media, e una bottiglia di Amarone della Valpolicella del 2000.»

    «Sì signore» rispose in modo ossequioso.

    Arrivato nella stanza aprì gli armadi e guardò in bagno: un riflesso condizionato dal suo vecchio lavoro. Dal frigobar prese una bottiglia di acqua e uscì sul balcone, beandosi della vista del lago. Rientrò quando sentì la melodia che proveniva dallo Smartphone: era Federico. «Ti invio l’indirizzo. La persona esce da casa alle quattro e raggiunge a piedi la panetteria.»

    «Ci sentiamo tra qualche ora» rispose.

    Il bagno era fornito di una cabina idromassaggio, sauna, telefono viva voce e radio FM. All’interno ci potevano stare comodamente due persone, e il pensiero andò alla sua compagna. «Magari…» brontolò, aprì il miscelatore, regolò la temperatura, e restò sotto il getto sino a quando gli portarono la cena.

    Sul carrello portavivande una piastra bollente teneva in caldo la bistecca alla fiorentina cucinata sulla brace. Lo chef controllò che la cottura fosse media, come richiesta da Vittorio, e la tagliò a pezzetti mettendoli su un piatto di portata, che il cameriere mise sulla tavola. A parte, una ciotola contenente un’insalata mista con lattuga, carote a julienne, pomodori e mais. Il sommelier stappò la bottiglia di Amarone e verificò la sua bontà. Ne versò due dita nel calice da vino e attese che Vittorio lo assaggiasse. Lui fece segno con la testa che andava bene. Diede la mancia ai tre, e questi lasciarono la stanza.

    Finito di cenare programmò la sveglia nello Smartphone, e si mise a letto. Guardò distrattamente qualche programma televisivo fino a quando il sonno non prese il sopravvento.

    Alle quattro salutò il portiere di notte che gli chiese se andasse a pesca. Lui rispose di sì. L’aria era frizzante, si allacciò il giubbotto e si mise un copricapo di lana. Mentre raggiungeva l’auto chiamò Federico. «Da questo momento dovrò fare a meno del tuo aiuto. Se ci dovessero essere problemi sai cosa fare.»

    «Stai in campana» rispose.

    Aprì il bagagliaio, alzò il tappetino e digitò il codice sulla tastiera. Sollevò lo sportello, prese lo zaino, e vi ripose il borsone, tolse la batteria dal telefono e si incamminò verso l’uscita.

    Senza poter usare supporti elettronici doveva raggiungere il centro della cittadina usando una carta stradale, dove aveva evidenziato il percorso. Utilizzando il visore notturno si inoltrò nel bosco e per evitare di perdersi ogni dieci minuti controllava con la bussola che la direzione fosse quella giusta. Dopo alcune deviazioni si fermò di nuovo. «La strada dovrebbe trovarsi a un centinaio di metri in quella direzione» mormorò, «eccola!» esclamò, quando vide il viottolo che portava in paese.

    Era l’alba ma la giornata uggiosa impediva che il buio della notte lasciasse il posto alla luce mattutina. Quando arrivò davanti alla villetta per precauzione suonò: nessuno rispose. Proseguì fino alla fine della via e poi ritornò indietro passando da una strada parallela.

    Era in terra battuta coperta da ghiaia, senza illuminazione. Vittorio camminava rasentando i muri delle case e l’unico rumore erano gli scarponi che pestavano il pietrisco. Due ante sopra di lui si aprirono e una luce illuminò la via. Si appiattì contro un portoncino protetto da una tettoia. La persona che si sporgeva guardava a destra e a sinistra. Un gatto miagolando uscì da un cespuglio e si avviò verso il bosco. L’uomo chiuse le ante, e ritornò il buio.

    La casa, isolata rispetto alle altre abitazioni, era circondata da un’alta siepe. Un portone in legno chiudeva l’ingresso posteriore, e un vialetto in porfido mosaico portava al garage.

    La basculante era chiusa. Prese due lamine in acciaio che teneva in una delle tasche dello zaino e aprì la serratura.

    Fece luce con la lampada portatile: l’auto era nel garage; un banco da lavoro occupava una parete, e nella lavanderia vide la lavatrice con l’oblò aperto. Salì le scale gradino dopo gradino. Aprì la porta. Si trovò nella cucina. Il cono di luce illuminò la caffettiera che stava su una delle griglie della stufa. Si avvicinò e sollevò il coperchio: era piena di caffè.

    Quando era in missione o sotto copertura, e si trovava in una situazione di pericolo, si affidava al suo innato sesto senso. In quel momento la sua voce interiore gli stava inviando dei segnali. Si mise in ascolto. Un lamento soffocato proveniva da una stanza vicina. Si avvicinò cautamente. Vide un corpo steso a terra con la camicia inzuppata di sangue.

    «Resisti, chiamo i soccorsi!» Lui non reagiva: era morto.

    Vittorio prese il telefono che teneva stretto nella mano e notò che aveva selezionato il numero di emergenza. «Mi resta poco tempo» borbottò. Mise a soqquadro il salotto, la cucina, e la camera da letto: quello che cercava lì non c’era. Scese in cantina. Aprì i cassetti del banco di lavoro, buttando a terra il contenuto. Niente. Andò in lavanderia e rovesciò la cesta con la biancheria sporca. Niente. Il suono intermittente delle sirene lo percepiva sempre più chiaramente. Prese le chiavi della macchina appese al muro. Calpestò un paio di pantaloni. Dalla tasca spuntava il lembo di una busta. La raccolse. Salì sull’auto e spostò il sedile fino in fondo. Con il telecomando aprì il cancello e mise in moto. Posizionò la leva del cambio automatico sulla D e partì.

    Il portone in legno alla fine del vialetto si apriva a ventaglio: troppo lentamente.

    Non si fermò, ma accelerò. Lo sfregamento del legno contro la carrozzeria ne rallentò la corsa ma non la arrestò. I due specchietti retrovisori si staccarono di netto.

    Superato l’ostacolo l’auto fece un balzo in avanti come se una molla non più trattenuta avesse rilasciato tutta la sua forza cinetica. Girò il volante a sinistra. Le ruote anteriori persero l’aderenza sulla ghiaia, e nonostante l’intervento dei sistemi elettronici per limitare il sottosterzo, il muso della macchina stava puntando dritto contro il muro di cinta di una casa vicina.

    Mantenendo il piede destro sull’acceleratore e frenando leggermente con il piede sinistro riuscì a riprendere il controllo. Aumentò la velocità. La salvezza era a poche centinaia di metri.

    La comparsa delle luci dei lampeggianti sopra a un’auto della polizia gli segnalava beffardamente la fine della corsa. Vide due poliziotti posizionarsi dietro la macchina con le armi spianate. Per una frazione di secondo pensò di arrendersi, ma il piede sull’acceleratore non rispondeva al comando della sua mente, e si mantenne a tavoletta. Comparve una seconda auto e una terza. Aveva pochi secondi per decidere. Come un missile si stava fiondando sul blocco stradale. I poliziotti erano pronti ad aprire il fuoco. Vittorio frenò e a poche decine di metri dall’ostacolo tolse il piede e con una sbandata controllata si infilò a tutta velocità nel bosco.

    Dopo aver abbattuto decine di alberi di Abete rosso appena piantati, passò attraverso dei cespugli, per poi rendersi conto con orrore che davanti a lui iniziava una discesa a precipizio. Per una decina di metri l’auto si staccò dal suolo. Atterrò con il muso sollevando polvere e sassi, per poi riprendere la vertiginosa discesa.

    Volava di tutto al suo passaggio: piccoli alberi, i legni di una staccionata, le pietre di un muretto a secco.

    Il piede che premeva sul pedale del freno non aveva nessun effetto, la macchina prendeva sempre più velocità scivolando sull’erba, e quando si accorse che si stava dirigendo contro a degli alberi tolse le mani dal volante, mise le braccia incrociate davanti al petto e si preparò allo schianto: tutti gli airbag esplosero.

    Nella semi incoscienza percepì dei sinistri scricchiolii. Sollevò le palpebre. L’albero era al limitare di uno strapiombo e stava crollando: avrebbe trascinato con sé anche l’auto. Afferrò il volante. La testa sbatteva qua e là: come quei cagnolini di plastica messi sul cruscotto.

    Lo schiacciamento delle lamiere provocarono la rottura a ragnatela del parabrezza e del lunotto, mentre il vetro vicino al guidatore fu perforato da un ramo che lo mandò in mille pezzi. Le schegge di vetro schizzarono impazzite all’interno dell’abitacolo.

    È finita! Ti amo amore mio pensò, prima di perdere conoscenza.

    Quando si riprese non sapeva quanto tempo era passato. La mattinata inizialmente uggiosa si era trasformata in una giornata limpida e il sole era alto nel cielo. Sentiva l’elicottero che stava sorvolando la zona e il latrare dei cani. Respirare gli provocava forti dolori, si toccò il costato: un male lancinante gli tolse il fiato. I pezzi di vetro del finestrino si erano conficcati in profondità e ogni movimento che faceva peggiorava la situazione. Tolse tutti quelli che poteva, ma ora doveva uscire. La macchina ridotta a un ammasso di lamiere deformi si era fermata in mezzo a un groviglio di cespugli di rovo. Le portiere erano bloccate. Non pensò al dolore e scivolò fuori attraverso il finestrino. Le spine si infilavano nel corpo martoriato acuendo ancora di più la sofferenza.

    Rimase sdraiato sul prato di erba medica fino a quando si sentì in grado di alzarsi. Ci provò, e urlò dal dolore: la gamba sinistra era gonfia, e la parte inferiore era coperta da un ematoma.

    «L’osso della gamba è rotto, ma per fortuna non è esposto» rimuginava tra sé.

    Si guardò in giro e vide il suo zaino, una borsa termica chiusa con una cerniera, e un sacchetto con all’interno articoli per la pulizia della casa.

    Saltellando prese due rami lunghi circa un metro, li pulì dalle foglie e si sedette vicino alla borsa termica. Il contenuto lo mise nello zaino e tagliò un rettangolo di plastica. Lo avvolse intorno alla lesione, e con del nastro fissò i due pezzi di legno alla gamba.

    Provò a fare qualche passo. Il dolore che si propagava in tutto il corpo era terribile. Doveva comunque allontanarsi. Con un ramo, mentre camminava all’indietro, cancellava le tracce con le foglie. Il sole era calato dietro la collina e con il buio le ricerche sarebbero state sospese.

    Aveva bisogno di riposare. Una caverna attirò la sua attenzione. Era grande abbastanza per potersi sdraiare. Si infilò all’interno e coprì l’ingresso con dei cespugli.

    Controllò la gamba: l’ematoma non si era allargato, ma quello sul costato sì. «Non potrò resistere a lungo» borbottò.

    Si dissetò bevendo l’acqua di una delle bottigliette e mangiò alcune barrette energetiche. Si rilassò, e la stanchezza prese il sopravvento.

    Il silenzio della notte era rotto dai rumori provenienti dagli animali che popolavano il bosco. Si svegliò di soprassalto. Qualcosa si muoveva all’interno della grotta: era uno scoiattolo. Rise amaramente, e iniziò a riflettere: Avrei dovuto solo verificare se la scatola con il papiro, appartenuta al faraone Snefru, fosse nascosta nella casa, ma tutto è andato storto: il ragazzo è stato ucciso, la polizia Svizzera mi crede un assassino, e con i miei precedenti, se mi arrestassero, butterebbero via la chiave della prigione, ma se non mi trovano potrei morire per le ferite; sono proprio in un bel pasticcio.

    2

    Il faraone Snefru venne incoronato nel 2609 a. C., e fu il primo sovrano della quarta dinastia. Nacque da una sposa secondaria di nome Meresankh e per legittimare le sue pretese al trono sposò la principessa Hetep-Heres, figlia di Huni e della sposa principale indicata con il titolo di figlia del re e sposa del re.

    Durante il suo regno aumentò le ricchezze dell’Egitto e fece edificare tre piramidi: una a Meidum, e due a Dahshur.

    Quel giorno il faraone era irritato e non sapeva per quale motivo, congedò gli ultimi petulanti e si apprestò a raggiungere il tempio dove si svolgeva il rituale di ringraziamento al dio Ra.

    Mentre avanzava impettito tra due ali di folla festante, nuvoloni dal colore del piombo, che si avvicinavano minacciosi da Nord, oscurarono i raggi del sole che si riflettevano sull’abito trapuntato d’oro.

    Un vento impetuoso che si insinuava in ogni anfratto creava mulinelli di sabbia. I sudditi si dispersero spaventati, controllati a fatica dalle guardie reali che formarono un cordone di protezione intorno al faraone.

    Si scatenò un temporale. Le saette scaricavano a terra la loro potenza, e la pioggia scendeva copiosa. Snefru salì frettolosamente la scalinata in marmo dove erano in attesa i sacerdoti.

    Stupefatto dall’insolito evento raggiunse la stanza sacra che si trovava alla fine dell’edificio. Si prostrò ai piedi della statua e disse: «Cosa posso fare per placare la vostra ira?»

    Una luce accecante invase il tempio e il tuono fece tremare le mura. Lui fissava inebetito l’effige del dio Ra. Le voci allarmate dei sacerdoti gli giungevano ovattate: il suo pensiero era altrove.

    Ritornato in sé ordinò al comandante delle guardie reali di cercare Neferti: uno scriba abile nel predire cose a venire e raccontare quelle passate.

    «Il dio del sole mi ha parlato. Tu che conosci il passato e il futuro dimmi cosa significa la mia visione.»

    Neferti lo ascoltò attentamente, e scrisse su un papiro la profezia.

    Dopo averla letta il faraone fissò attonito lo scriba, e gli chiese se avesse interpretato bene.

    «Sì, mio signore» rispose.

    Il faraone mise il papiro in uno scrigno d’ebano foderato d’oro con inciso le sue insegne, e chiamò Fahim: il comandante di tutte le armate.

    3

    Fahim nacque in un villaggio nei dintorni di una città egiziana designata a fornire i futuri guerrieri. All’età di cinque anni fu strappato alla famiglia e portato in caserma.

    La selezione era condotta in modo crudele. Solo i più forti sopravvivevano alle marce nel deserto, dove erano costretti a portare un carico superiore al loro peso e dissetarsi con acqua putrida. Ogni mancanza, anche se lieve, veniva punita con la fustigazione. Lui sopportava senza mai lagnarsi. Voleva diventare un militare di carriera che per un plebeo era l’unico modo per raggiungere una posizione sociale agiata.

    A dodici anni era alto più di un metro e ottanta per novanta chili di muscoli. Era un predestinato, e alla fine del corso di addestramento fu promosso comandate di uno dei plotoni che facevano parte della guardia personale del faraone.

    Ai soldati non veniva corrisposto nessun compenso, ma ricevevano in dono tre ettari di terra libera da imposte, e se facevano parte della guardia personale del re avevano a disposizione ogni giorno cinque mine di grano abbrustolito, due di carne bovina, e un litro di vino.

    Durante una battuta di caccia al leone, la preda preferita del faraone: simbolo di forza e virilità, Fahim intervenne in aiuto del sovrano, ma lasciò a Snefrù il compito di finire la fiera agonizzante.

    La cattura del felino e la sua offerta agli Dei aumentò il prestigio del faraone che non si scordò dell’eroico soldato. Fahim, con la benevolenza del re e le indubbie doti da condottiero arrivò in pochi anni al

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1