I dieci - Una fortezza attorno alla città
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Anteprima del libro
I dieci - Una fortezza attorno alla città - Piero Carletti
Mantiero
1. LA RICCHEZZA DEI POPOLI
Quando si domanda ad un giovane cosa desidera per sé, le risposte sono le più varie: una relazione affettiva, una macchina, le vacanze, uno stipendio, un lavoro, una casa, vivere nella natura incontaminata, ma in ogni caso esse esprimono solo un frammento di qualcosa di più vasto, che soddisfi un bisogno universale: il bisogno di felicità.
Lo stesso, certo, vale per i più adulti, anche se per essi tale desiderio viene manifestato con richieste circoscritte a pochi beni durevoli: salute, riposo, lavoro stabile, beni per i figli.
Tuttavia, in ogni caso siffatte aspirazioni sono riduttive rispetto alla realtà.
Esiste infatti una tensione che non è descritta nei sondaggi, ma è impressa nel cuore di ciascuno.
Questa esigenza può essere conosciuta in profondità solo da Chi ci ha creato e ci ama, ed ha voluto trasmetterne a noi la conoscenza in molti modi, anzitutto attraverso la sua Parola.
E questa ci insegna che la vita bella non è avere cose, ma vivere relazioni autentiche, anche attraverso i beni.
Così, la Scrittura ci spiega che la felicità viene dalla cura di sé e degli altri (V Comandamento), a partire dai propri genitori (IV Com.).
Ci istruisce alla felicità che scaturisce dalla fedeltà verso il coniuge ed alla propria identità sessuale, che è orientata ad una specifica vocazione (VI Com.).
Ci orienta a lavorare per produrre i beni necessari per sé e per la società (VII Com.).
Esorta anche a vivere e comunicare nella verità (VIII Com.).
Incoraggia ad alimentare la purezza del cuore tenendo in ordine i propri desideri verso la donna e le cose altrui, affinché essi rispondano ai reali bisogni ed alla verità (IX e X Com.).
La felicità, ci insegna, nasce però anzitutto dal rapporto con l'unico vero Dio, che è Padre (I Com.), dalla lode e dal ringraziamento a Lui (II Com.), dal dedicare a Lui il giorno settimanale festivo, in cui ci rigenera e ci benedice assieme alle nostre opere (III Com.).
Come si vede, le aspirazioni espresse normalmente dalla gente attengono soprattutto alla sfera del quinto, sesto e settimo Comandamento, ossia alle tre S (salute, sentimenti e soldi), e questo evidenzia una visione della vita ridotta a pochi ambiti, e per di più in essi è schiacciata solo su alcuni aspetti materiali e immediati.
Questo ordinario disordine causa una ipertrofia, una dilatazione delle attenzioni verso alcuni bisogni a danno degli altri, che così vengono trascurati, con un conseguente diffuso sbandamento che, generalizzato e reiterato, porta ad una inquietudine sociale profonda, dalla quale viene alimentata ulteriore sofferenza.
Per eliminare o soffocare poi questo grido, si adottano conseguenti scelte erronee, perché non illuminate dalla Sapienza divina, che a loro volta ingarbugliano sempre più un popolo.
Infatti tutti noi siamo creati per uno scopo preciso, che è quello della felicità, o meglio della beatitudine, la quale ha una portata più estesa e profonda della felicità, perché non è collegata solo ad una emozione o ad un ambito ridotto e strumentale della vita, come può essere la ricchezza, l'onore o il potere, ma è un appagamento totale e permanente, che comprende quei beni ma non si riduce ad essi, e sfocerà alla fine alla visione di Dio in compagnia dei fratelli.
Siamo cioè destinati ad una vita di relazione piena, come figli e fratelli. Una vita abbondante, in quantità buona, pigiata, scossa e traboccante, senza dolori o impedimenti di alcun genere.
Una vita che porta a possedere il Paradiso, ad avere consolazione ed ereditare la terra, ad essere sazi di giustizia, a trovare misericordia, a vedere Dio, ed essere chiamati figli di Dio.
Il presupposto di questo cammino di felicità verso la beatitudine è avere una vita libera, che consegue ad una scelta continua, ma non tra il bene e il male, bensì nell'esprimere una preferenza verso il bene senza l'impedimento che spinga al male, ossia proprio ciò che chiediamo al Padre nostro, di non lasciarci entrare nella tentazione, ma di liberarci dal Demonio.
A fronte di tutta questa bellezza e ricchezza a cui siamo chiamati già su questa terra, abbiamo invece un mondo che tende a coltivare tormento e angoscia, come anticipo dell'inferno.
Questo girone dantesco è fatto di dissolutezze, invidia e gelosia, divisioni e discordie, fornicazione e impurità, idolatrie e stregonerie, ubriachezza e collera.
Sono queste le piaghe che si generano seguendo la strada opposta a quella indicata dal Creatore nella tavola dei Comandamenti, la via dei peccati, ossia commettendo omicidi e cattiverie, compiacendo devianze nella sessualità, sottraendo i beni altrui, diffondendo falsità, coltivando desideri disordinati, e prima di tutto con l'adorare falsi idoli, spergiurare il nome di Dio e trascurare il giorno festivo.
Così vediamo sempre più diffusi ed estesi i frutti del male, che porta anzitutto a distruggere le famiglie, attraverso l'inimicizia, la competizione e la manipolazione tra uomo e donna, che ostacolano o rovinano i matrimoni.
Poi istiga nei rapporti coniugali l'impedimento a concepire i figli o li uccide nel grembo; li abbandona, li violenta, li droga, ne confonde l'identità sessuale o spinge ad abusare di essa.
Porta poi ossessioni, suicidi e omicidi, accende la bramosia dei beni, provoca dissidi e discordie, con conseguente disoccupazione e impoverimento delle famiglie.
E, alzando lo sguardo alla sfera ultraterrena, impedisce il rapporto con Dio Padre e ostacola la salvezza e l'entrata in Paradiso.
Il male fomenta tutto ciò che rovescia l'ordine naturale e trasgredisce l'armonia nell'uomo e nelle sue relazioni con gli altri e con il creato, poi annienta la ricchezza costituita dalle differenze tra le persone ed i popoli.
Esso è il frutto delle idolatrie,