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Nell'Eternità
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Nell'Eternità

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About this ebook

La Regina Serena e i suoi alleati sono fuggiti dal massacro, portando via con loro la Principessa Linka.

Per Jean, è uno strazio; per i suoi amici, molto peggio. Lasciandosi dietro il ghiaccio dell'Artico, Jean e gli altri devono scendere a patti con le loro perdite, mentre si avvicinano al Baltico e alla casa dell'odiato Duca Gorgon.

Mentre le bugie intorno a lui vengono rivelate, Jean passa da una rivelazione irritante all'altra. Finalmente, dovrà fare quello che non ha mai fatto prima: fidarsi degli altri.

Perché solo alla fine di tutto, mentre il sole muore e Shangri-La cade, Jean saprà cosa significa entrare nell'eternità.

LanguageItaliano
PublisherNext Chapter
Release dateDec 4, 2020
ISBN9781071577905
Nell'Eternità

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    Nell'Eternità - Richard M. Ankers

    Capitolo Uno

    -

    Sparita

    Allora questo è l’aspetto dell’eternità.

    Principe Grella

    * * *

    Perché ti tremano così le mani?

    Sentii le parole, colte da una distanza intangibile.

    Jean.

    Potevo essere io, il nome suonava familiare.

    Jean.

    Come un’isola persa nella nebbia in mezzo al mare, rimasi remoto.

    Jean, stai tremando. Mi spaventi.

    Sembrava sbagliato. La ragazza con quella voce fredda non aveva paura di nulla, o così ricordavo.

    Prendi la mia mano, disse.

    Più dolce di qualsiasi angelo, le sue parole si confusero con i venti pungenti che spazzavano la camera. Con un vuoto di gentilezza, cercò di ripulire la mia mente. Ma la mia mente, come sempre, restava al di là di ogni aiuto.

    Jean. Guardami, Jean! un ordine, non una richiesta.

    Aprii occhi pesanti per vedere la lettera stretta nella mano sinistra e il pugno chiuso della mano destra. Le dita sottili e delicate di una mano d’alabastro si intrecciarono e aprirono le mie, offrendo una forza che, da solo, non avevo. Un’altra mi sollevò il mento, un’ascensione delicatissima, e lì rimase. Aurora mi prese con quegli occhi di zaffiro. Quanto volevo che fossero verdi.

    Col tuo permesso? porse una mano.

    Perdonami?.

    Posso?

    Puoi cosa?

    La lettera, Jean.

    Guardai il foglio accartocciato, incapace di riconoscere in quella cosa un documento significativo, l’informazione contenuta in due parole sembrava tuttavia il romanzo del mio destino.

    Quando Aurora si sporse in avanti e mi baciò la guancia, le dita gentili che mi toglievano di mano la lettera, acconsentii.

    Hm, disse, appiattendo la lettera e la busta, e rimettendo il foglio in quest’ultima. Poi se le infilò nella camicia, l’incantesimo infranto.

    Grazie, dissi.

    La troveremo, bisbigliò. Te lo prometto, Jean, la troveremo. Il Marchese non ci sfuggirà.

    Aurora sembrava adamantina, così risoluta. Io non ero nessuna delle due cose.

    Merryweather rimase da parte, in un tormento triste. Una marionetta, i fili tagliati e rotti, un guscio, sembrava distrutto dagli eventi. Il suo corpo floscio ondeggiava come un giunco in una laguna ventosa, ogni movimento debole una provocazione.

    Lascialo stare, ordinò Aurora. Jean, lascialo stare.

    Ma non potevo. Anche nelle profondità della disperazione, Merryweather mi infastidiva. In un attimo, ebbi le mani intorno alla sua gola. Dopo un altro attimo, mi ritrovai collassato a terra, dal lato opposto della camera gargantuesca.

    Per un secondo, pensai fosse intervenuta Aurora; non era così. La principessa Nordica era dove l’avevo lasciata, un’espressione scioccata sul volto pallido. Nessuna persona, uomo o donna, nemmeno Grella, il più forte ad avermi messo le mani addosso, mi aveva colpito così forte. Lo choc mi lasciò così confuso che mi guardai intorno, in cerca di un esercito non visto, quando non c’era nessuno. E, lentamente, lentissimamente, scossi la testa e fermai le stelle che mi giravano intorno. Mentre il mio mondo smetteva di girare e si fermava come una foglia autunnale, riportai gli occhi sul Britannico.

    Merryweather restava impassibile, il viso sollevato verso il soffitto distrutto e la neve che cadeva. L’Artico lo ricopriva in un lento accumularsi bianco, nemmeno i fiocchi di neve che gli cadevano negli occhi fissi gli facevano battere le palpebre. Rimase lì, catatonico, ondeggiando alla brezza del mondo; non avrei mai visto nessuno così disperato, finché fossi vissuto. Un uomo a pezzi, le labbra di Merryweather mormoravano parole che non riuscivo a sentire, i suoi occhi ancora di più, ma non mostrava nemmeno un accenno di animosità nei miei confronti. La situazione richiedeva un approccio diverso.

    Walter, dissi, riducendo lentamente la distanza fra noi. Dove l’hanno portata? Era una scommessa, ma dovevo provare qualcosa.

    Se ne è andata.

    Sì, se ne è andata, e devo sapere dove.

    Non so dove, sospirò.

    Per una volta, gli credetti. L’angoscia nei suoi occhi non poteva essere finta, perché l’angoscia è la più basilare delle emozioni umane. Ma poi, eravamo ancora umani?

    Sai chi è con lei? provai.

    .

    Attesi quello che sembrava il tempo opportuno, ma non aveva intenzione di proseguire.

    Chi? insistei, mentre Aurora gli si avvicinava. Fece scivolare la mano in quella di Merryweather e gli mise un braccio intorno alle spalle. Persino proveniente da qualcuno freddo come lei, l’azione scaldava il cuore.

    Chi, Walter? Devi dircelo, se puoi.

    Lo scricchiolio avvenne con incrementi così graduali, che non mi resi conto di cosa stava succedendo. Pensai di aver pestato qualcosa, un vaso rotto, del vetro, o un oggetto del genere, e feci un passo indietro. Non ero stato io. Il pavimento della camera restava immacolato, ghiaccio liscio. Ma il suono, quello scricchiolio lento, restava nell’aria come ghiaia schiacciata dalle ruote di una carrozza.

    I miei occhi indagarono la stanza, ma tutto sembrava indisturbato, la neve era troppo leggera per smuovere qualcosa. Guardai il cielo, ma un inverno cadente è un oblio silenzioso nei momenti migliori. Completato il mio esame, riportai l’attenzione su Merryweather, che fissava impassibile l’oscurità. Aurora, però, lo era meno. Nella più completa incredulità, guardai i suoi occhi stringersi, le labbra serrarsi, il volto contorcersi. Lo scricchiolio si fece più forte, sempre più forte, mentre la principessa Nordica arretrava in ovvio dolore, anche se ancora non sapevo perché. Tuttavia, persino in agonia, Aurora restava composta.

    Merryweather, disse lei.

    Non ci fu risposta.

    Walter, insisté.

    Niente.

    Walter, mi fai male, sussultò.

    Non diede cenno di aver sentito.

    Ti prego, carissimo Walter, devi lasciarmi andare.

    E, improvvisamente come era cominciato, lo scricchiolio si fermò. La mano liberata di Aurora le ricadde lungo il fianco, non più bianca come il latte, ma blu. La ragazza si piegò in due in chiaro dolore, mentre Walter si voltava e sussurrava, Mi dispiace.

    Per cosa?

    Tutto.

    Non capisco!

    Non credo potresti.

    Questo mi infastidì, anche se non aveva cattive intenzioni.

    Dimmi con chi è e potrei perdonarti, mentii, ovviamente, ma dato che non avevo indizi riguardo a cosa si riferisse, avevo poca scelta se non fingere indulgenza. Con chi se ne è andata, Walter?

    Con il Marchese, Raphael Santini, due principesse Nordiche, i gemelli e ovviamente Linka. Potrebbe esserci qualcun altro, ma ho visto soltanto loro.

    Ci volle un attimo perché la lista mi entrasse nel cranio. C’era qualcosa che non andava. Mi grattai il mento e ripensai alle sue parole, nome per nome. Guardai Aurora, che si sfregava ancora la mano che aveva cambiato colore. La ragazza alzò le spalle, come risposta silenziosa.

    Quindi, è con quelli che hai menzionato? cercai conferma.

    .

    Quindi è viva?

    .

    Le hanno fatto del male?

    Non le si può fare del male.

    Questa mi è nuova! esclamai, alzando un sopracciglio verso Aurora.

    È immortale, sussurrò Merryweather.

    Non lo siamo tutti?

    Ci sono diversi stadi di immortalità.

    Quindi Linka è al sicuro, ne sei certo?

    Linka?

    Sì, Linka, sbottai, incapace di controllare la rabbia crescente.

    Non lo so.

    Allora perché hai detto quello che hai detto?

    Non stavo parlando di Linka.

    Allora di chi diavolo stavi parlando? fumai di rabbia.

    Merryweather strinse gli occhi, spostando il viso dalla notte Artica. Di chi credi stessi parlando? chiese.

    Linka, risposi, chiedendomi in quale follia mi fossi invischiato.

    Ti riferivi a mia madre, vero? disse Aurora.

    Certo, rispose. Chi altri?

    Fissai il damerino e poi la principessa e viceversa, totalmente confuso.

    Perché? chiese Aurora.

    Perché la amo. L’ho sempre amata. L’amerò sempre. E lei mi amerà sempre.

    Che cosa! esclamai, il fuoco della mia rabbia era quasi infernale.

    Pensavo lo sapessi, affermò, per niente colpito dalla mia rabbia.

    Perché diavolo avrei dovuto pensarlo? Mi importa solo di Linka.

    Come se non lo sapessi, sbuffò, tornando ad essere se stesso.

    Avrei sfogato la mia furia su di lui, ma Aurora si mise fra noi, le braccia tese per placarmi.

    Perché è sempre così? le chiese Merryweather.

    Jean tiene a Linka quanto a tu tieni a mia madre.

    Ne sei sicura? mi guardò perplesso, prima di riportare l’attenzione su Aurora. Non credevo che fosse capace di tenere a qualcuno.

    Ne sono sicura, sorrise. Dimmi, allora, il Marchese dove ha portato mia madre e gli altri?

    Non lo so.

    Pensaci, Walter, insisté. Sei molto più saggio di me e Jean. Hai visto così tanto, rispetto a noi giovani.

    Be’, siete delle piantine, disse, ma l’intonazione della sua voce mi fece ribollire il sangue.

    Lo siamo, concordò Aurora. per questo abbiamo bisogno che ci pensi.

    Mi adirai, ma tenni la bocca chiusa per fare prima.

    Dove li porteresti, per tenerli al sicuro da Jean?

    Hmm? Walter si batté le dita sulla fronte in modo molto irritante. Dove li porterei? si chiese.

    Quest’anno, aggiunsi.

    È così impaziente, disse ad Aurora da dietro la mano.

    Proprio tanto, rispose lei.

    Be’, o nel Baltico da Gorgon. Vecchie alleanze e cose del genere, ammiccò. O, se non lì, a casa.

    Questa è casa, idiota, dissi, scuotendo la testa frustrato.

    Non la casa dei Nordici, meine dummkopf. A casa sua.

    Allora dobbiamo correre al castello, dissi.

    Quella era casa di Portia, non la sua.

    Ma non troveremo mai Shangri-La.

    È sempre così stupido, mia cara?

    Aurora scosse appena la testa, il che sembrò placarlo. Finsi di non vedere e rimasi in silenzio.

    Dov’è casa sua? chiese Aurora, in modo così educato da essere servile.

    Venezia, ovviamente.

    Venezia è scomparsa! sbottai.

    Ma non dimenticata, canticchiò, con voce cantilenante.

    Ha perso la testa, dissi ad Aurora. Tanto vale rinunciare a lui.

    Davvero, Jean? Ho perso la testa? Davvero? si scagliò contro di me. Dove ti nasconderesti da te, dimmi? Andiamo, su, su.

    Adesso ti stacco la testa, ringhiai.

    Non se sono sott’acqua, non lo faresti.

    E, come se fossi in equilibrio sul limitare di una cascata, pronto a schiantarmi sulle rocce sotto la furia liquida, la rivelazione mi colpì.

    Ah, ci è arrivato. Dove ci si nasconde da un idrofobico? Pensiamoci. Duh! Sotto il mare, forse? Anche se, nel tuo caso, basterebbe anche in mezzo ad una pozzanghera.

    Nonostante il fatto che volessi farlo a pezzi, la sua logica era impeccabile. Venezia era sprofondata nell’Egeo molto prima che nascessi in un mondo sull’orlo della morte. Il posto aveva lo stesso status leggendario che aveva Atlantide per l’umanità, se si poteva credere ai libri. Non avrei mai pensato che una città sotto il mare fosse abitabile, ma perché no? Non faceva differenza, per un Eterno, che non respirava e nemmeno voleva farlo, se la sua casa era sotto le onde. Il Marchese, come tutta la Gerarchia, sapeva del mio disprezzo per l’acqua. Se qualcuno desiderava starmi lontano, non ci sarebbe stato posto migliore. Anche se questo sollevava la questione del perché qualcuno volesse nascondersi da me. Fino ad ora, quando avevano tutte le ragioni per farlo.

    Ci vorrà un sacco di tempo, per arrivare fin lì, sai, continuò, cianciando verso nessuno in particolare. Tuttavia, è sempre meglio di questo spettacolo tremendo. Tutta questa neve e ghiaccio mi hanno annoiato. È così banale, così banale, disse ad Aurora, a parte. Ma qualcun altro deve fare da navigatore, sono piuttosto perso. E non ho intenzione di correre come un pazzo attraverso un paesaggio monotono ed eterno, senza sapere in che direzione andare.

    Possiamo prendere uno Zeppelin, mi inserì.

    Be’, è un’idea meravigliosa. Che Zeppelin?

    Ne hanno affondato uno e ne avevano un altro qui, c’è la possibilità che ce ne sia un altro da qualche parte.

    Fai il bravo, allora, e va’ a cercarlo, mentre io resto qui a crogiolarmi nella mia autocommiserazione.

    In quello sei bravo, ritorsi.

    Senti chi parla.

    Signori, ci interruppe Aurora, sospetto che abbiamo preoccupazioni più immediate.

    Tipo? sbottai.

    Sì, tipo? Merryweather fece il pappagallo.

    Aurora si voltò con la calma sicurezza a cui mi ero abituato e indicò l’ingresso stretto da cui eravamo arrivati.

    Hai avuto l’impressione che non c’era intenzione di farci andare via? ragionò Merryweather.

    Avrei risposto in modo superficiale, ma non c’era motivo. Una lieve spruzzata di ghiaccio cadde dal tunnel di ingresso, come una clessidra rotta. Non era niente, in realtà, ma in quel suo essere niente mi disturbava profondamente. Scivolai in quella direzione e misi una mano sul ghiaccio: vibrava. Quando il pavimento cominciò a tremare, cosa che si aggiunse alla mia preoccupazione iniziale, e poi una crepa si aprì su entrambi i lati del corridoio, immaginai il peggio.

    La stai prendendo piuttosto bene, ridacchiò Merryweather.

    Cosa, essere schiacciati?

    Non schiacciati, ragazzo mio. Se stiamo al centro di questo immenso pugno in un occhio, sospetto che il soffitto scomparso non ci farà del male. È l’oceano che presto consumerà lo spazio in cui ci troviamo di cui mi preoccuperei. Se fossi in te, ovviamente.

    La mia espressione si sgretolò, con sommo divertimento di Merryweather, mentre percorse tutta la stanza; non mi scomodai a inseguirlo.

    Un’esplosione di proporzioni sufficienti a farci cadere tutti e tre scosse la camera. Pezzi di ghiaccio grandi come bare caddero dai bordi del soffitto e dubitai che le prime affermazioni di Merryweather sul non farci male fossero corrette. Un secondo colpo, e le prime gocce di acqua Artica finirono nella stanza.

    Suggerimenti, Aura? chiesi, con più speranze che aspettative.

    Non mi sono mai avventurata qui, è tutto nuovo per me, come per voi. Il mio unico suggerimento sarebbe di restare centrali, come suggeriva Walter, e aspettare di poter uscire nuotando.

    Sì, facciamo così, rise Merryweather. Teniamoci per mano. Penso che sarebbe un bel tocco, non credi, Jean?

    Non aspetterò di finire sommerso, ritorsi. O mangiato, se per questo.

    Di cosa parla?

    Le orche, Walter, rispose Aurora, con uno sguardo di orripilata comprensione sul viso scolpito.

    Dannazione, me ne ero dimenticato. Ho la sensazione che gli piacerà un sandwich di principessa.

    Te la cavi proprio bene con le parole, sibilai.

    Sono la mia specialità, ragazzo mio. Senza parole, non siamo altro che bestie.

    Una terza forza più distruttiva scosse la struttura di Hvit. Cascate di frammenti di ghiaccio caddero dall’alto, mentre le mura della città sommersa esplodevano verso l’interno. Merryweather fu rapido a schivare la traiettoria omicida del ghiaccio; Aurora no. Un pezzo di ghiaccio di mezzo metro quadrato la colpì alla tempia, e lei cadde sul pavimento come una rosa bianca recisa.

    Merryweather fu al suo fianco più velocemente di me, cullando la testa della ragazza fra le braccia, guardandosi intorno nel panico. Hai idee? chiese, sollevando le sopracciglia.

    Non risposi. Invece, mi guardai intorno nell’arena cavernosa, sperando di trovare qualcosa che ci aiutasse a fuggire dal destino di Hvit.

    Tavole di cianfrusaglie accumulate si ribaltarono dinanzi alle mie ricerche disperate, componenti di rame e ottone di esperimenti sconosciuti volarono dalle mani che si agitavano, ma non si mostrò niente di utile. Mi avventai su pile di spazzatura, mi lanciai dietro cumuli di questo e quello, ma non trovai nulla. Poi, quando mi ero già rassegnato ad una tomba di acqua, feci una scoperta.

    Una corda, Walter. Ho una corda.

    Bravo, signore! Ora, a cosa diavolo la legherai? Merryweather scosse la testa e roteò gli occhi.

    Potrei legarla a te e gettarti fuori di qui, ringhiai.

    Le mie unghie non sono quello che erano un tempo, disse, masticandone una per dimostrarlo. Sospetto che sarei utile quanto un pompiere di cioccolato.

    Come sempre, mormorai.

    Scusami? Hm? Cosa?

    Se riesco a fare un gancio, potrei lanciarlo oltre il soffitto, nel ghiaccio compatto.

    Ooh, sei un vero boy scout.

    Un che?

    Non ci pensare, non è il momento di scherzare.

    Lo è mai? ringhiai, e lo guardai con tale disprezzo da far cagliare il latte.

    Be’...

    Be’ cosa? ritorsi.

    Fallo e basta.

    Capitolo Due

    -

    Bagnato

    Sepolta fra i detriti c’era una scheggia di acciaio lunga quasi quanto una spada. La piegai, ed offrì una certa resistenza, così spinsi con tutta la mia forza per curvare un’estremità sull’altra. Il metallo mi incise la pelle, ma la mia forza veniva dalla disperazione e non avrei fallito. Una volta contento di aver realizzato l’uncino migliore che un uomo inesperto potesse realizzare, mi resi conto che era inutile senza un buco in cui far passare la corda. Questo fu più difficile da realizzare. Mi agitai come un fiammifero acceso, cercando di restare asciutto mentre l’acqua si riversava da ogni angolo. Il nome del Marchese non era mai lontano dalle mie labbra mentre imprecavano, e io scivolavo e cadevo, solo per vedere un’unità con un rivetto cadere dal muro, collassando sul mio uncino. Tuttavia, con mio sommo stupore, la lama/uncino si ritrovò con uno squarcio in un lato che mi permise di infilarci la corda. Ce la avvolsi tre volte, poi un’altra per sicurezza, la legai sotto l’uncino e, avvisando Merryweather, che decise di ignorarmi, lanciai l’oggetto in aria.

    Ouch! gridai, quando mi colpì in testa.

    Oh, bravo genio, questa volta hai coperto un quarto della distanza.

    Anche se volevo strappare le corde vocali a Merryweather, aveva ragione, avevo calcolato male la distanza e non di poco. Potresti sempre aiutarmi, suggerii.

    Potrei, disse, schizzando acqua dalla camera verso i miei pantaloni.

    Provaci, tuttavia, si era già allontanato.

    E così iniziai a frugare di nuovo in cerca di qualcosa che potessi usare per formare una estensione del mio ancorotto inziale. Non trovai niente.

    Usa le tende, disse la voce del Britannico.

    Perché non l’hai detto prima? ringhiai, schizzando lungo la superficie sempre più profonda per strappare due tende lunghe dieci metri dalle pareti del tunnel di ingresso.

    L’avrei fatto, ma le trovavo di buon gusto, e non volevo rovinarle.

    Rovinerò te fra un minuto!

    Che caratteraccio. Comunque, sto facendo io tutto il lavoro duro.

    Tenere la testa di Aura sollevata dal pavimento non è la mia definizione di lavoro duro.

    È pesante, e preferirei che la chiamassi col suo nome completo, non con un abominevole abbreviazione.

    Aura, Aura, Aura, ripetei, annodando insieme le tende, e poi attaccandole all’estremità della corda. Tirai con forza e si legarono. Era il meglio che potessi fare; non ero bravo con i lavori manuali.

    Che cosa raffazzonata, si lagnò Merryweather. Un bambino avrebbe fatto di meglio. Se solo tuo padre potesse vederti ora.

    Quello bruciò, ma lo ignorai, feci un passo indietro e lanciai l’uncino in aria e fuori dalla camera: tenne.

    Credo che rischierò l’acqua, affermò Merryweather. Non è un commento alle tue abilità, ma non voglio cadere da una tale altezza. Resterò qui in acqua e leviterò come un genio Arabo in silenzioso splendore.

    Walter, dissi, prendendogli Aurora dalle braccia e gettandomela sopra la spalla. Non potrebbe importarmene meno.

    La sua espressione era buffissima, valeva quasi la pena di morire affogati. Quasi. Il damerino sembrava così perplesso che pensai di mettermi a ridere. Ma, come sempre, Merryweather fu rapido ad adattare i suoi piani alla situazione. Balzò in piedi schizzando acqua, balzò sopra la mia testa, e si arrampicò sulla corda.

    Aspettaci, idiota Britannico, lo chiamai, mentre salivo con difficoltà seguendo la sua sagoma rapida.

    Merryweather si arrampicava ad una velocità tale che la corda ballonzolava e si muoveva nella mia stretta, e pensai che l’uncino potesse staccarsi in qualsiasi momento. Comunque, la fortuna ci assisté, perché non si staccò. Il problema più grande era che non riuscivo ad arrampicarmi abbastanza in fretta da sfuggire all’oceano. L’acqua entrava dalle pareti crepate con una velocità tale che, ad ogni secondo, la camera veniva inondata sempre di più. Mi guardai indietro una volta, e fu abbastanza.

    Lottai con la rassegnata aspettativa di diventare cibo per orche o peggio. Aurora ondeggiava avanti e indietro sulla mia spalla, come un’altalena; una salita pericolosa resa ancora peggiore, perché l’estremità della corda si agitava nel vortice dell’oceano racchiuso nella stanza.

    Merryweather, codardo! gridai, nell’oscurità Artica. Dannazione, aiutaci! imprecazioni inutili, il Britannico se ne era andato da tempo. L’uscita mia e di Aurora sarebbe stata molto più lenta.

    Feci un respiro profondo e inutile, mi concentrai su quello che avevo davanti, e quasi lasciai andare la corda; un occhio mi osservava da quelle pareti traslucide. All’inizio, pensai che fosse un trucco della luce blu rimasta. Ma non era qualcosa di blu, un semplice riflesso in cobalto di un oggetto circolare, ma un occhio nerissimo. Una enorme stella scura, molto più grande di qualsiasi orca avessi mai visto, galleggiava nelle profondità nere come la mezzanotte, come se fosse sospesa nel tempo. Una cosa gentile, non completamente simile ai freddi calcoli dell’occhio di un’orca, che progettava una fine dolorosa, era l’orbita di un pacifista, un pensatore, e non voleva farmi del male. Lo seppi con una rara sicurezza, perché lo sentivo nel cuore. La creatura ammiccò; una palpebra di cirripedi scivolò sulla sua orbita gigantesca per salutarmi, prima di allontanarsi. E, per qualche ignota ragione, mi fermai.

    Nonostante il crescendo che saliva dalle acque tumultuose che si riversavano nella grande camera delle invenzioni, una calma serena mi invase. Io e quel leviatano ci eravamo collegati in profondità, due creature fuori posto. Condividemmo il nostro dolore per il passato, il presente e il breve futuro e, per una effimera frazione di esistenza, sentii un’anima affine. Fummo una sola cosa, ma non a lungo. E anche se sarebbe stato impossibile dire solo da un occhio che cosa provava la creatura, sapevo che temeva per la sua vita. Qualcosa passò fra di noi, mentre si allontanava dalle pareti quasi di vetro di Hvit, le enormi pinne che spingevano la creatura nelle profondità dell’Artico. La balena, perché non avrebbe potuto essere nient’altro, veniva inseguita; un’altra esperienza che condividevamo. Se ne era appena andata, quando tre cacciatori di ossidiana schizzarono davanti a me nell’oscurità liquida. Un’altra vita non aveva molto da vivere nel nostro mondo morente, una che avevo pensato fosse estinta da molto. Un quarto predatore affusolato non proseguì nelle profondità, ma si fermò a metà strada. La cosa aleggiò dove il suo compatriota più grande si era fermato, e fece un sorriso con denti come pugnali. In quindici centimetri di denti, trovò divertente la mia possibile fine.

    C’era stato un tempo in cui sarei andato in panico, l’assassino davanti a me che aspettava che le pareti di Hvit si infrangessero, l’acqua che saliva sempre di più, ma non sarei morto in quel dannato posto. Non avrei ceduto alla paura di una fine sommersa, né sarei perito fra le mascelle di un pesce assassino come Grella e chi sa quanti altri Nordici. Io ero Jean, un Eterno, e non avrei permesso che la ragazza che trasportavo morisse mentre era affidata a me.

    Così, mi arrampicai. Sollevai me e il mio carico, le acque gelide che salivano ad ogni secondo. L’orca salì con noi. La bestia guardava attraverso la parete, osservava la sua preda; questo mi infiammò ancora di più. Infatti, la paura nei confronti della creatura evaporò quando scomparve e poi tornò dopo aver preso una boccata di ossigeno. Respirava aria, ed ebbi pietà della sua patetica esistenza, sempre ad un respiro dalla morte. Quasi desiderai che le pareti si infrangessero, così da poter infilare gli artigli nei suoi grandi occhi sporchi e strapparglieli. Avrei portato la bestia con me all’Inferno, anche se fosse stata l’ultima cosa che avrei fatto. Anche Merryweather, se ne avessi avuta la possibilità. Il Britannico poteva tornare in cima alla mia lista, se avessi avuto più tempo, ma, di nuovo, lo avevo valutato male.

    Avevo fatto un errore di calcolo, con Walter. Avevo pensato che fosse scappato appena arrivato in superficie, ma mi sbagliavo. Perché, appena sentii l’acqua contro le dita dei piedi, mi ritrovai sollevato a grande velocità in aria. Io e il mio carico salimmo sempre più su. Ci muovemmo ad una velocità tale che potevo solo cercare di mantenere la presa. Conficcai gli artigli nella corda e strinsi Aurora tra collo e spalla. Walter ci tirò come se ne dipendesse la sua vita, figurarsi la nostra, tale fu la nostra velocità. Guardando in basso, vidi l’oceano lontano. In alto, l’aria pulita che si avvicinava rapidamente.

    Per quando io e Aurora volammo fuori dalla stanza e poi per un’altra decina di metri, prima di finire a terra, ero troppo scioccato per parlare.

    Rimasi steso sulla neve compatta, felice di essere vivo, per così dire, il mio non-cuore che quasi batteva per il sollievo. Grattai lo spesso strato bianco per assicurarmi che non fosse liquido e sospirai di sollievo alla resistenza.

    Infatti, ero così sollevato che, quando mi alzai per ringraziare Walter dell’aiuto, vederlo annaspare nella neve a breve distanza fu quasi una sorpresa. La profonda voce baritonale di qualcuno che richiedeva maggior rispetto di lui fu uno choc.

    Buonasera, Jean. Grazie per aver salvato mia sorella.

    Prego, Principe Grella. Non c’è di che.

    Capitolo Tre

    -

    Fratello

    Quanto sono gravi le sue ferite?

    È solo svenuta, rispose una voce Britannica. Merryweather sollevò di nuovo Aurora.

    E lui chi è? chiese Grella. Il cenno vago che fece con la testa suggeriva che non gliene importasse molto.

    Posso presentarti la creatura più fastidiosa al mondo? Sir Walter Merryweather.

    Merryweather. Grella fece rotolare la parola sul palato come se assaggiasse un sogno.

    Incantato, sbuffò Merryweather. Non dovevo salvarla, sai.

    Non lo hai fatto, protestai.

    Ma lo avrei fatto, ero pronto a partire. Lo ero, sai. Il fatto è, che tu sei così grande e forte, aveva più senso se tu ti fossi occupato del caricare e io del pensare.

    E a cosa hai pensato?

    "A niente ancora, ma ci sto lavorando. Mi sto, dopotutto, occupando della nostra cara principessa, per cui sono ovviamente occupato. La

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