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Viaggio nel ventre umano
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Viaggio nel ventre umano

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Qualche volta, quando siamo alla ricerca di una rotta, avviene un silenzioso quanto auspicabile braccio di ferro tra la bussola e il sogno…nel viaggio da compiere, la bussola indica il Nord, eppure il sogno fa di tutto per metterle (giustamente) i bastoni tra le ruote, naturalmentein nome del bene più prezioso, la scoperta, l’imprevisto, una certa rivelazione…

Nonostante il nostro eroe sia assolutamente ordinario, ha vissuto l’esperienza di questo viaggio iniziatico; ha intrapreso la via degli studiosi alla ricerca di una sorta di utopistico guru e, in seguito, ha fatto numerosi incontri, alcuni più proficui di altri.

Ecco cos’ha di speciale il suo viaggio: non si compie né sulla luna, né su un’isola misteriosa, né in una mongolfiera alla deriva, in balìa del mondo, e nemmeno al centro della terra…No! La destinazione sarà il ventre umano, questo ventre umano che pretendiamo di conoscere così bene, ma che rimane così estraneo a noi stessi, luogo paradossale in cui si nascondono entità discrete  che mettono in funzione il meccanismo dei nostri travestimenti ontologici…

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateFeb 19, 2021
ISBN9781071577424
Viaggio nel ventre umano

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    Viaggio nel ventre umano - Patrick LOISEAU

    Viaggio nel ventre umano

    RACCONTO FILOSOFICO DI

    Patrick Michel LOISEAU

    TRADUCTION: ILARIA PARETI

    (illustrazione di J.B. Monge)

    ©Copyright Patrick Loiseau – La maison du lérot (2018)

    Qualche volta, quando siamo alla ricerca di una rotta, avviene un silenzioso quanto auspicabile braccio di ferro tra la bussola e il sogno...nel viaggio da compiere, la bussola indica il Nord, eppure il sogno fa di tutto per metterle (giustamente) i bastoni tra le ruote, naturalmente per il bene più grande della scoperta, dell’imprevisto e di una certa rivelazione...

    Nonostante il nostro eroe sia assolutamente ordinario, ha vissuto l’esperienza di questo viaggio iniziatico; ha intrapreso la via degli studiosi alla ricerca di una sorta di utopistico guru e, in seguito, ha fatto numerosi incontri, alcuni più proficui di altri.

    Ecco cos’ha di speciale il suo viaggio: non si compie né sulla luna, né su un’isola misteriosa, né in una mongolfiera alla deriva, in balìa del mondo, e nemmeno al centro della terra...No! La destinazione sarà il ventre umano, questo ventre umano che pretendiamo di conoscere così bene, ma che rimane così estraneo a noi stessi, luogo paradossale in cui si nascondono entità discrete  che mettono in funzione il meccanismo dei nostri travestimenti ontologici...

    P. Loiseau

    Avvertenza-

    ––––––––

    Questa storia è nata da un lampo, un’illuminazione improvvisa, una frazione di tempo inerte o da un irresistibile slancio alla sopravvivenza. Avrebbe potuto essere irrimediabilmente inghiottita dalla frazione di tempo successiva, condannata dalle urgenze o dalle necessità. Ma le storie sono fiamme che non si spengono mai del tutto. Questo racconto è iniziato nel 1990, nel desiderio improvviso di consacrare la mia penna nell’eternità. Ha sonnecchiato qua e là, per poi svegliarsi di quando in quando, e infine concludersi...28 anni dopo, nel 2018, vale a dire in un ciclo di Saturno

    Probabilmente Giove  che forse si trovava in Mercurio  o nella Terza casa, mi sorvegliava per aiutarmi, giusto per rendere la mia penna qualcosa in più che un congegno gratta-orecchie..

    - PARTE 1 – Il ventre umano

    ––––––––

    Pelo d’Orso

    Pelo d’Orso era un vecchio balordo, ridicolo e pieno di manie. Si dice che portasse sempre con sé un sacchetto pieno di chiavi dalla non ben nota utilità. Si racconta che alcune di queste chiavi fossero in metallo, altre in legno. Quale potesse essere l’uso di queste chiavi in legno è sempre stato un segreto ben custodito. In effetti, a che può servire una chiave di legno? Sono state fatte molte ipotesi, ma fino ad ora nessuno lo sa...

    .....Quel che è sicuro, è che Pelo d’Orso si serviva di diversi espedienti e stratagemmi per condurre la propria vita. Aveva già percorso campagne e città, montagne e vallate, corsi d’acqua e deserti senza mai pentirsi delle proprie scelte. Secondo la leggenda che circolava su di lui, nessuna lacrima sarebbe mai sgorgata dai suoi occhi, e nessuna ruga avrebbe mai solcato la sua fronte.

    Sarà anche vero, ma nessuno lo ha mai appurato. Io stesso, che l’ho incontrato diverse volte, non posso garantire di aver notato un minimo segnale in questo senso. Era sempre presente e assente contemporaneamente, chiacchierava con me come se non fosse stato altro che un simpatico riflesso delle mie stesse risposte. Organizzava il proprio tempo in modo da esserci quando era necessario, né prima, né dopo. D’altro canto, è per questo che la mia risposta era lui.

    Un giorno, non appena gli posi una domanda importante, lo vidi scomparire. Gli avevo appena chiesto consiglio sul senso esatto della mia vita, avrei voluto che mi spiegasse le regole dell’esistenza, che mi desse uno strumento o un manuale di istruzioni, qualcosa per sopravvivere.

    Probabilmente, in quel periodo ero nelle mie condizioni peggiori e lo credevo l’unico in grado di aiutarmi. Purtroppo, fu in quel momento, l’unico a sembrare importante nella mia ormai fragile esistenza, che decise di svanire.

    Ho sofferto molto a causa della sua scomparsa...forse all’inizio, perché questo comportamento mi aveva deluso. Lui, da sempre presenza magica e salutare, si era dissolto nel momento più critico! Ma il tempo e la riflessione fecero il loro corso, e gradualmente, fu la sua assenza a farmi sentire addolorato e disorientato. Mi ero appena reso conto che gli volevo bene e che rappresentava un prezioso alleato, un legame vitale e una fonte inesauribile, un testimone della mia coscienza.

    Perciò, mi misi io stesso in viaggio per ritrovarlo.

    La grande avventura ebbe inizio.

    Ripercorsi il suo stesso cammino, attraversai le stesse città e gli stessi pericoli, mi capitò di seguirlo, precederlo, sfiorarlo e addirittura di incontrarlo, sicuramente, ma senza vederlo, non una volta da quella grande separazione alla quale mi aveva abituato e che, probabilmente sbagliando, consideravo essere definitiva.

    .....Così ho percorso e ripercorso la mappa del mondo, riscoperto la geografia e la storia dei popoli, partendo semplicemente dal suo percorso. Quando mi incamminai in quei deserti, dove i suoi passi si erano già aperti una strada, L’Africa della mia infanzia diventò un’altra Africa. I mari non avevano lo stesso aroma che immaginavo prima che prendesse lui stesso un’imbarcazione. Seguendolo, scoprii che per ogni aspetto della mia memoria esisteva un rovescio, una realtà diversa. Passo dopo passo, facevo una scoperta dopo l’altra: Poi, scoperta dopo scoperta, mi lasciavo andare al dolce apprendimento delle rivelazioni. Grazie alla sua assenza, che mi è ora più cara della sua ormai virtuale esistenza, scoprii il piacere di aprirmi al mondo.

    Come un bambino, ho imparato nuovamente i gesti, le emozioni, gli interrogativi delle mie prime esperienze. E ho imparato a crescere.

    Come dicevo, ho percorso il mondo alla sua ricerca, senza trovarlo, o almeno non in carne e ossa, perché nel corso dei miei viaggi fisici e mentali diventava sempre più vicino, sempre più presente, finché non giunsi a sentire una parte di lui – il suo respiro – continuare a chiamarmi, sotto ogni pietra, dietro ogni foglia, in ogni tazza di caffè o nel profondo dei miei interrogativi mentali. E in effetti, lui era lì! Mi ero identificato con lui o piuttosto mi aveva inconsapevolmente trasmesso un metodo per esistere?

    Nonostante non fosse più «utile» continuare a cercarlo, visto che riuscivo a riportarlo in vita malgrado la sua assenza, la mia ossessione per la sua persona diventava paradossalmente più forte, più esigente. Avevo bisogno di rivederlo, almeno per dirgli come la ricerca di lui si fosse trasformata in un viaggio meraviglioso, intrapreso come una ricerca del Graal e proseguito come una conquista del Vello d’oro.

    ...

    ...Non ho avuto quest’opportunità perché, dopo cinque anni di cammino, di treno, di strada, di nave e di volo, una prova dolorosa mi attendeva in cima alla più alta montagna del paesaggio messicano: un vecchio pastore  senza pecore mi comunicò che il vecchio balordo era morto!

    ––––––––

    La notizia della sua morte, in un primo momento, mi lasciò stupefatto.

    Poi, passato lo shock, cercai di saperne di più: dove, quando, come, perché? Posi questa valanga di domande al mio anfitrione della montagna.

    Il vecchio non rispose subito. Lasciò che il silenzio si instaurasse tra noi, come se volesse permettere alle parole di risuonare in me, lasciando rispondere l’eco. Credetti addirittura di riconoscere in questo modo di fare ciò che avevo visto con Pelo d’Orso.

    E poi, come se le mie domande non avessero importanza, mi rispose:

    «L’uomo venuto da molto lontano mi ha lasciato qualcosa per te».

    E mi tese la mano, nella quale scorsi una delle chiavi del vecchio balordo. La chiave non era né di legno né di metallo, ma di foglie secche intrecciate, probabilmente solidificate con un trattamento speciale, per impedire che si tramutassero in polvere.

    In quel momento, provai un’emozione particolare, che ancora oggi non riesco a descrivere appieno. Era un misto tra la felicità e una crisi intestinale. Mi faceva bene e male allo stesso tempo, e il mio corpo, più che la mia testa, lo sentì per primo. In ogni caso era un regalo meraviglioso.

    Il vecchio proseguì :

    «Gli strani discorsi di quell’uomo sembravano rivolti a te».

    Rifletteva, come per mettere insieme i pezzi di un puzzle, sparpagliati nella sua mente. Prese il bastone e iniziò a disegnare sul suolo una serie di linee e di curve.

    «Mi ha detto che la curiosità ti avrebbe portato fino a lui...mi ha detto esattamente «Verrà là dove la mia strada sarà terminata».

    E poi ha fatto quello che sto facendo io ora, ha disegnato delle strade sulla sabbia e ha aggiunto: «Dovrà andare fino in fondo alle dodici notti che ancora lo separano dalla frontiera dell’Est».»

    In quel preciso momento, il mio spirito fu inondato dalle domande. Mi sembrava di precipitare già in un mondo fiabesco, cerebrale, in cui i valori umani e le regole sociali non avevano più valore.

    Qual era dunque il potere di Pelo d’Orso, che lo rendeva in grado di convincermi improvvisamente dell’esistenza di un’altra vita, fatta di tesori da scoprire o di pianeti da esplorare?

    Ero là, su una montagna messicana, ad accettare il delirio di tre matti, il vecchio balordo, il vecchio pastore  ed io. Non ero tipo da aggrapparmi ostinatamente alla realtà umana, per cui presi di petto la volontà del vecchio scomparso. Ero pronto a camminare, e a camminare ancora, fino al punto indicatomi da Pelo d’Orso. Mi aveva fatto dire di andare a est, per cui avanti tutta verso Est. Mi aveva fatto avvertire che il cammino sarebbe durato dodici notti, per cui avrei camminato di notte, fino alla dodicesima alba.

    Quando il vecchio pastore  capì che avrei raccolto la sfida, i suoi occhi brillarono. Gli anni trascorsi fra le montagne gli avevano fatto dimenticare le scommesse degli uomini e le strane corse che la gente «di giù» intraprendeva di quando in quando, per dare un senso alla propria vita. Fra le montagne aveva appreso la quiete e il silenzio, condividendo con i suoi animali soltanto una lunga, muta, rispettosa carezza. Delle scommesse umane non conservava che un vago ricordo, quello dello sguardo che riservava agli adulti ormai mezzo secolo prima.

    Eppure fremeva già di piacer immaginando me, quest’ometto, andare alla ricerca di una chimera.

    Mi aiutò a prepararmi per il viaggio, mi diede una pelle di pecora per il freddo notturno e una serie di viveri, alcuni più speziati di altri. Era uno stratagemma, diceva, per impedire alle idee di prendere il posto dello stomaco.

    Mi augurò buona fortuna e mi fece promettere di fargli visita, un giorno o l’altro.

    Dunque, il mio viaggio ebbe inizio.

    Le prime giornate del mio lungo cammino furono tanto aride e afose quanto gelide furono le notti. Una ad una, oltrepassai le frontiere che separano il giorno dalla notte. Attraversai foreste, deserti, paesini, montagne e fiumi, e iniziai a misurare il tempo secondo il numero dei miei passi.

    Il contrasto tra il giorno e la notte mi suscitava pensieri che rendevano delizioso tale contrasto. In effetti, la notte mi insegnò a distinguere le sue ombre, a dare loro un nome e persino a cogliere i loro dialoghi. La notte divenne una complice assoluta, e tutto il mio essere cambiò, a contatto con lei. Paragonandola con il giorno, questo mi sembrava insulso e privo di ogni messaggio essenziale. I giorni non erano altro che immobili tappe, modesti trampolini di cui mi servivo per lanciarmi avidamente nelle sere, che attendevo con impazienza. Ogni crepuscolo si annunciava per me come una nuova porta che non vedevo l’ora di aprire. Il mio spirito si risvegliava dunque a sensazioni, emozioni che il giorno non era in grado di suscitare.

    Per prima cosa scoprii che il nero è un colore, malgrado ciò che dicono i libri di scuola. Il nero è un colore, perché brilla e la notte non è mai silenziosa.

    In seguito, scoprii che il passaggio dal giorno alla notte era un cambiamento di tempo e di spazio, che i terreni, così come le sensazioni e i pensieri, non sono né immobili né fissi: al pari di sensazioni e pensieri, appartengono pienamente alla luce e all’ombra.

    La luna stessa, che vi intagliava l’ombra della sua lucentezza, in quel luogo si dileguò, lasciandomi dialogare con altre forme, altre sensazioni, altre luminosità. L’oscurità accendeva in me così tante candele mentali da non essere mai totale.

    Quel momento, probabilmente, non fu che un’esperienza in più da aggiungere alla mia esistenza, ma fino ad allora non avevo prestato molta attenzione al mio modo di avanzare e di cogliere gli insegnamenti della vita. La mia scoperta del contrasto, la mia scoperta del giorno e della notte si spinse molto più lontano di un semplice viaggio da un punto di osservazione all’altro.

    A ogni mormorio, ogni leggero fruscio, avvertivo venti leggeri portatori di parole che abitano la notte, come una sorta di anima nascosta, in cammino con me. I venti bisbigliavano anche suggerimenti, un mistero da risolvere, un interrogativo da porre, una risposta da inventare...

    Discreti e invisibili, questi venti soffiavano sul mio «io-pelle», come direbbe Anzieu, inscrivendolo nell’oscurità e nell’avventura in una forma di dipendenza simbiotica verso un’appropriazione totale dei miei passi futuri.... Un velo scostato, un’impronta del futuro...

    E le mie dodici notti passarono così, senza che avessi veramente contato i chilometri che mi separavano ora dal vecchio pastore . Lo intuivo, era già lontano, accanto alle sue pecore, sicuramente stava suonando un’aria al flauto

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