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Rapa Nui, l’isola dell’amore
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- Edizioni del Loggione
- Pubblicato:
- Nov 17, 2020
- ISBN:
- 9788893471930
- Formato:
- Libro
Descrizione
Informazioni sul libro
Rapa Nui, l’isola dell’amore
Descrizione
- Editore:
- Edizioni del Loggione
- Pubblicato:
- Nov 17, 2020
- ISBN:
- 9788893471930
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
Rapa Nui, l’isola dell’amore - Rosa Maria Colangelo
Rosa Maria Colangelo
RAPA NUI, l’isola dell’amore
Prima Edizione Ebook 2020 © R come Romance
ISBN: 9788893471930
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Rosa Maria Colangelo
RAPA NUI
L’ISOLA DELL’AMORE
Romanzo
Indice
Primo capitolo 7
Secondo capitolo 13
Terzo capitolo 22
Quarto capitolo 30
Quinto capitolo 38
Sesto capitolo 43
Settimo capitolo 52
Ottavo capitolo 60
Nono capitolo 65
L’autrice 72
Catalogo 73
Primo capitolo
L’arrivo.
L’aereo era partito da Santiago a mezzogiorno, minuto più, minuto meno, e aveva iniziato a sorvolare le acque del Pacifico; il monitor indicava un’altitudine di 12.000 mt. e una velocità di 800 km. orari; secondo i calcoli saremmo atterrare a Mataveri entro cinque ore.
La stanchezza era diventata insopportabile: avvertivo nelle gambe un fastidioso formicolio e una voglia pazza di camminare, correre, saltare; avevo perso il conto delle ore di viaggio, e neanche su questo aereo si poteva fumare! In più anche qui mi era toccato uno dei posti più sfigati: versante corridoio, addossato alla toilette, con un incredibile andirivieni di persone e rumori di scarichi a tutta birra. Erano più di venti ore che sentivo scarichi di cessi! Un viaggio incominciato male, chissà come sarebbe finito?
Se non fosse stato che questo era il mio
viaggio e andavo verso la mia
isola forse non sarei mai salita su quest’ altro aereo, limitandomi semplicemente a fare un giro in Cile.
Invece ero qui, a sorvolare le acque di questo oceano così distante; a scrutarle attentamente nella speranza di essere la prima ad avvistarla, a provare l’emozione di intravederla dall’alto e di avvicinarmi pian piano verso quello che era stato per trent’anni il mio sogno: volare fino a Rapa Nui, minuscola isola sperduta nell’oceano Pacifico, con uno dei viaggi più lunghi che si potessero immaginare. Vederla e soffocare un grido: Rapa Nui, Rapa Nui! Proprio come coloro che avevano gridato nei lontani anni venti: America, America, alla vista della tanto sospirata statua. Solo che io avrei dovuto intravedere non una ma tante, tantissime statue, gigantesche, almeno così mi era stato assicurato dal tour operator.
In cinque mesi avevo girato una decina di agenzie turistiche prima di trovare quella che organizzasse viaggi fino all’isola di Pasqua, un’isola in culo al mondo era stato il commento unanime.
«L’isola di Pasqua? Ma è così lontana, e poi non c’è nulla da vedere tranne quelle grosse statue, così strane...»
«Perché non va alle Maldive? oppure, non so… c’è il Madagascar, è un’isola affascinante le assicuro…»
«Se vuole abbiamo degli ottimi pacchetti per le Seychelles…»
«Se proprio le piacciono le isole ci sarebbero…»
«A me non piacciono le isole, a me piace quell’isola, e io voglio andare là!
Io pensavo a un luogo incantato e loro mi proponevano posti comuni
; io parlavo di fascino, mistero, scoperta e loro pensavano a pacchetti standardizzati.
Avevo sperato fino all’ultimo di convincere Andrea ad accompagnarmi in quest’avventura, ma non c’era stato verso.
«Io fin lì? In quel posto del cazzo? Non ci vengo, te lo scordi" ripeteva ostinato, «ci sono tanti posti nel mondo più vicini e sicuramente più belli.»
«Dai, ti prego, è l’ultima cosa che ti chiedo, poi ti giuro che andremo solo dove vuoi tu.»
Volevo quel viaggio, lo volevo con tutta me stessa, e me lo regalai in occasione del mio quarantesimo compleanno. Incominciai a mettere da parte tutti i soldi che potevo: oltre che lungo era anche costoso andare così lontano.
«Guarda che parto da sola, ho già trovato l’agenzia che l’organizza, allora vieni?»
«Ti ho già detto di no, io fin lì non ci vengo, e tu sei pazza! Non hai paura di fare un simile viaggio da sola? E non conosci nemmeno la lingua.»
«No che non ho paura, me la sento eccome, e poi non sono sola, c’è la guida sempre con noi e ci sono altre persone di Milano; c’è un viaggio che parte fra sei mesi, ci sono già dodici prenotazioni. Dai, ti prego, non farmi partire da sola; non ti chiederò più nulla dopo, te lo giuro. Ho imparato anche un po’ di inglese, sai?» Che forse sarebbe stato meglio lo spagnolo, riflettei. Ma non ero portata per le lingue, e già aver imparato qualche parola in inglese era per me una grande conquista, e poi lo spagnolo bene o male lo si capisce facilmente.
Discutemmo a lungo io e Andrea, alzammo i toni, litigammo, sbattemmo porte.
Non ci fu verso di convincerlo a partire, e non ci fu verso di convincermi a rinunciare. Per me quel viaggio era diventato una sorta di prova: di coraggio, di forza, di emancipazione, mi dicevo. Una questione di principio, insomma!
Partii da sola. Verso la ‘mia’ isola.
Volutamente non mi ero documentata prima di partire; mi buttai in quell’avventura con le poche notizie in mio possesso, che avevo apprese nel documentario visto in televisione tanti anni prima; al contrario di mio marito, al quale piaceva pianificare sempre tutto, io avevo uno spirito avventuriero: amavo la sorpresa, l’incognito, la scoperta. Era una modalità che riservavo ad ogni luogo che visitavo, vicino o lontano che fosse. Non avevo mai utilizzato i pacchetti preconfezionati delle agenzie, ma in questa occasione non avevo potuto esimermi: non avrei mai potuto e saputo organizzare da sola un simile viaggio.
L’aereo fece una brusca virata e per un attimo intravidi lo scintillio delle acque sottostanti; non riuscivo più a rimanere seduta al mio posto, presi il coraggio a due mani e mi rivolsi al signore seduto al mio fianco, vicino al finestrino:
«mi scusi, le spiace se mi siedo per qualche minuto al posto suo? Solo qualche minuto, poi glie lo ridò, è tutto il viaggio che non riesco a guardare un po’ fuori.»
«Prego signora, se vuole può rimanerci, poteva chiedermelo prima, io non ci tengo particolarmente a guardare li giù; detto tra noi ho sempre un po’ paura quando sono su questi trabiccoli, ma temo che per l’atterraggio dovremo riprendere i nostri posti.»
«D’accordo, solo qualche minuto.»
Ringraziai, scambiammo di posto, mi sedetti e appoggiai la fronte al vetro del finestrino: che stupida ero stata, avrei potuto farmi coraggio prima; il reverbero dell’acqua arrivava fin lassù. Chiusi gli occhi.
«Mamma, mamma, andiamo all’isola di Pasqua?»
«Si amore mio, un giorno ci andremo, ma dove si trova?»
Avevo otto anni quando vidi per la prima volta il documentario in televisione: parlava di strani, misteriosi, enormi blocchi di pietra alti fino a dieci metri, scolpiti con strani volti allungati e issati, nessuno sapeva dire come, lungo le coste di quella minuscola isola che era Rapa Nui. Da allora i volti di quei Moai
mi avevano seguita ovunque.
«Babbo, babbo mi porti all’isola di Pasqua?»
Oh, sì, lui l’avrebbe fatto se non fosse stato per il terrore che aveva di volare; per me faceva tutto, ma non facemmo mai quel viaggio.
«Arianna, vieni a leggere il tuo tema.»
«Perché devo leggerlo?»
«Perché è buffo.»
Mi sentii morire, avrei voluto sprofondare mentre i compagni di classe mi guardavano tra l’incuriosito e il divertito; si incominciò a sentire qualche risatina soffocata qui e là.
«Io non voglio…»
«Bene, allora lo leggerò io: il mio sogno nel cassetto. La sig.na Morandi, insegnante di italiano delle medie, si schiarì la voce e lesse:
il mio sogno nel cassetto è fare un viaggio, ma non un viaggio qualsiasi, bensì un viaggio verso un’isola che forse non conoscete e non potete immaginarne la bellezza, la maestosità, la pace, anche se il nome vuol dire isola rocciosa. È l’isola di Pasqua e si trova molto lontano da qui, nell’oceano Pacifico, ma so che un giorno ci andrò. Ho visto in televisione i suoi ‘Moai’, le gigantesche statue di pietra che sono sparse ovunque sull’isola, e ho avvertito la loro maestosità, la loro bellezza, ne ho potuto sentire perfino il profumo, cioè, quello me lo sono immaginato, di ginestra, credo. Narra la leggenda che queste statue sono abitate dagli spiriti guida che custodiscono l’isola. Da grande andrò a sposarmi lì, giuro. L’isola si chiama così perché è stata scoperta nel giorno di Pasqua e i suoi Moai pare che siano almeno settecento e anche se sono di pietra sono molto belli. Ma non tutti sono sparsi sull’isola, parecchi di loro si trovano a giacere ancora nelle cave dove venivano scolpiti perché sono così pesanti che difficilmente si possono trasportare. Comunque quando ci andrò ve lo farò sapere e vi manderò una cartolina.»
A quel punto le risate erano diventate incontenibili; scoppiai a piangere e corsi a chiudermi in bagno, piena di rabbia e vergogna: quegli idioti non capivano che quello per me non significava solo un viaggio, ma una fuga, una fuga da tutto ciò che ormai mi era diventato insopportabile. Da adolescente irascibile e ribelle non progettavo
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