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Una sposa da domare
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Una sposa da domare

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Seduzione milionaria 3/3
Per ereditare i beni di famiglia Daniele Pellegrini è costretto a sposarsi, ed Eva Bergen è la candidata perfetta per quel ruolo per ben tre motivi:
1. Ha un corpo che induce in tentazione.
2. La sua è un'offerta che lei non può permettersi di rifiutare.
3. Di sicuro non corrono il rischio di innamorarsi.
Dopo l'esperienza devastante del primo matrimonio, Eva ha rinunciato per sempre alla speranza di poter amare di nuovo. È per questo che, accettando la proposta di Daniele, è sicura di riuscire a mantenere il loro rapporto su un piano strettamente professionale. Almeno fino a quando la lenta ed esperta seduzione di suo marito le farà mettere in dubbio ogni cosa.
LanguageItaliano
Release dateNov 20, 2020
ISBN9788830521834
Una sposa da domare

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    Una sposa da domare - Michelle Smart

    successivo.

    1

    «Vuole stare fermo?» sbottò Eva Bergen rivolgendosi all'uomo che era seduto sullo sgabello di fronte a lei. Gli aveva appena tamponato il naso sanguinante e ora stava per applicargli una garza sterile. Quella che avrebbe dovuto essere una procedura semplice era stata intralciata dal battere nervoso del suo piede destro sul pavimento, un movimento che si ripercuoteva in tutto il corpo.

    Lui la fissò con occhi socchiusi, il destro gonfio e ormai violaceo. «Si sbrighi.»

    «Vuole che glielo disinfetti o no? Non sono un'infermiera e devo concentrarmi. Quindi stia fermo.»

    L'uomo trasse un profondo respiro serrando la mascella, lo sguardo fisso oltre la spalla della giovane, che da parte sua stava pensando che, oltre alla mascella, avrebbe dovuto serrare tutti i muscoli delle gambe in modo che il piede la smettesse di battere sul pavimento.

    Anche lei trasse un profondo respiro e si sporse in avanti, poi esitò. «È sicuro di non volere che la veda un medico? Ho l'impressione che sia fratturato.»

    «Finisca il suo lavoro» borbottò di nuovo lui.

    Respirando con la bocca in modo da non inalare il suo aroma e facendo attenzione a non toccarlo se non sul naso, Eva applicò la garza sulla ferita.

    Era incredibile che pur con un naso ridotto in quello stato, Daniele Pellegrini riuscisse ad avere un aspetto impeccabile. I capelli erano perfettamente in ordine, l'abito confezionato a mano immacolato.

    Era un uomo affascinante. Non credeva che al campo ci fosse una sola giovane che non gli avesse rivolto una seconda occhiata quando era venuto in visita per la prima volta il mese precedente. Questa era la sua seconda visita. L'aveva chiamata mezz'ora prima chiedendole, senza una parola di saluto, se fosse ancora al campo. Se si fosse preso la briga di informarsi su di lei avrebbe saputo che, come tutti i colleghi, lo era ancora. Le aveva semplicemente detto che sarebbe arrivato e l'avrebbe aspettata alla tenda che fungeva da piccolo ambulatorio. Aveva interrotto la comunicazione prima che lei potesse chiedergli cosa volesse. La risposta l'aveva avuta allorché lo aveva raggiunto.

    Quando l'uragano si era scatenato su Caballeros, una piccola isola dei Caraibi, la Blue Train Aid Agency era stata il primo aiuto umanitario a essere presente sul territorio con un campo attrezzato. Adesso, due mesi dopo quella tragedia che aveva colpito il paese causando la perdita di migliaia di persone, il campo era diventato il rifugio di circa trentamila persone, per le quali erano state apprestate tende e quant'altro fosse possibile. In seguito erano giunti altri aiuti umanitari che avevano allestito campi simili, accogliendo altre migliaia di persone. L'uragano era stato un disastro di proporzioni inimmaginabili.

    Daniele era il fratello del benefattore Pietro Pellegrini. Appena saputo del disastro, Pietro aveva deciso che la propria fondazione avrebbe costruito un ospedale nella capitale dell'isola, San Pedro. Una settimana dopo era rimasto ucciso in un incidente con l'elicottero.

    Eva aveva pianto la sua perdita. L'aveva visto poche volte, ma era noto per il suo grande spirito filantropico.

    Lei e tutto lo staff della Blue Train Aid Agency erano stati entusiasti quando avevano saputo che la famiglia di Pietro era intenzionata a realizzare comunque il suo progetto. La gente dell'isola aveva un estremo bisogno di strutture sanitarie. La Blue Train Aid Agency e le altre organizzazioni presenti sull'isola facevano del proprio meglio, ma non era sufficiente.

    La sorella di Pietro, Francesca, era diventata la forza trainante del progetto. A Eva era piaciuta molto la sua determinazione. Aveva immaginato che avrebbe apprezzato anche suo fratello. Come Pietro, Daniele era famoso, sebbene la sua ottima reputazione fosse dovuta ai progetti e alle costruzioni che avevano vinto diversi premi negli ultimi anni.

    Be', non aveva scorto niente che le piacesse in lui. Benché noto per il suo spirito e per l'intelletto acuto, l'aveva giudicato arrogante e presuntuoso. Aveva notato che aveva storto il naso, adesso incerottato, quando era venuto a prenderla al campo per uscire insieme a cena, invito che lei aveva accettato esclusivamente perché le aveva assicurato che non si trattava di un appuntamento, e che voleva solo il suo parere su come sarebbe dovuto essere l'ospedale che avrebbe costruito. L'aveva condotta in aereo ad Aguadilla, nell'albergo esclusivo a cinque stelle in cui risiedeva, e in cinque minuti le aveva posto le domande pertinenti all'argomento, ma per il resto della serata non aveva fatto altro che bere e flirtare vergognosamente con lei.

    A quel punto Eva si era ormai convinta che i suoi unici lati positivi fossero l'aspetto notevole e la consistenza del conto in banca. Dal momento che lei era immune al fascino maschile e non le importava niente del denaro, quelle doti su di lei erano del tutto sprecate.

    La sua espressione, quando aveva rifiutato il bicchiere della staffa nella sua camera d'albergo, era stata impagabile, tanto che aveva avuto l'impressione che Daniele Pellegrini non fosse abituato a sentirsi dire di no dalle appartenenti all'altro sesso.

    L'aveva fatta riaccompagnare al campo senza una parola di congedo. E questa era stata l'ultima volta che l'aveva visto prima che entrasse nella tenda dove lui la stava aspettando. Era evidente che qualcuno gli avesse sferrato un pugno in faccia. Si domandò chi potesse essere stato e, se possibile, desiderò rintracciarlo e offrirgli da bere.

    «Non sono un'infermiera» gli aveva detto quando le aveva chiesto di sistemargli il naso.

    Lui aveva alzato le spalle, ma senza quel sorriso pronto che lei ricordava dal loro non appuntamento. «Ho solo bisogno che smetta di sanguinare. Sono convinto che abbia una vaga idea di ciò che si debba fare.»

    Lei aveva ben più di una vaga idea. Inizialmente assunta come coordinatrice e traduttrice, come tutti gli altri non appartenenti allo staff medico, quando necessario si era data da fare per prestare aiuto ai feriti. Questo tuttavia non comportava che si sentisse a proprio agio nel medicare un naso fratturato, soprattutto quando quel naso apparteneva a un arrogante multimilionario il cui abito costava sicuramente più del salario annuo di un abitante di Caballeros fortunato a sufficienza da avere un lavoro.

    «Chiamo una delle infermiere o...»

    «No, sono impegnate» l'aveva interrotta brusco. «Blocchi l'emorragia e me ne vado.»

    Era stata sul punto di fargli presente che anche lei era impegnata, ma c'era stato qualcosa nel suo comportamento che glielo aveva impedito. Adesso, mentre gli applicava il cerotto, lo paragonava a una molla trattenuta a stento. Prendendo l'ultimo cerotto non poté fare a meno di notare quanto fossero folti e lucidi i suoi capelli. Se non avesse saputo che era una fantastica caratteristica dei membri della famiglia che aveva conosciuto, avrebbe detto che ovunque andasse portasse con sé un parrucchiere personale. E un sarto.

    Se avesse avuto un minimo di spirito caritatevole avrebbe capito il suo disgusto per il campo. Daniele viveva nel lusso e lì c'erano solo squallore e sporcizia che anche con la buona volontà non si riuscivano a eliminare. Trovarsi di fronte a lui la rendeva consapevole dei propri jeans sbiaditi, della maglietta fuori moda e della coda di cavallo approssimativa in cui aveva raccolto i capelli.

    Ma cosa gliene importava del proprio aspetto?, si chiese seccata. Quello era un campo per rifugiati. Tutto lo staff era disponibile a darsi da fare per quanto serviva. Vestirsi come per una foto di moda non solo non sarebbe stato appropriato ma anche del tutto poco pratico.

    Era solo quell'individuo odioso che la faceva sentire sporca e inferiore.

    «Stia fermo» lo rimproverò quando il piede ricominciò a battere sul pavimento. «Ho quasi finito. Devo solo ripulirla un poco, poi può andare. Deve tenere questi cerotti per almeno una settimana.»

    Prese l'antisettico e asciugò le gocce di sangue che erano scivolate sulle guance quando gli aveva disinfettato la ferita.

    All'improvviso fu avvolta da un'ondata del suo aroma. Si era dimenticata di trattenere il respiro.

    Era forse il profumo più delizioso ed esotico che avesse mai inalato, che le portò la mente a foreste e a frutti maturi, una reazione e un pensiero che l'avrebbero fatta ridere se qualcuno le avesse suggerito un tale accostamento romantico.

    Come poteva un individuo tanto odioso e arrogante essere così dotato? Aveva più talento nel dito mignolo di quanto lei avesse potuto sperare di avere in una vita.

    E aveva anche degli occhi bellissimi, che al momento erano focalizzati su di lei.

    Lei gli restituì quello sguardo penetrante, intrappolata, prima di riuscire a sbattere le palpebre, a spingere indietro lo sgabello e ad alzarsi.

    «Le procuro del ghiaccio da mettere sull'occhio» mormorò, ancora scossa ma ben decisa a non mostrarlo.

    «Non ce n'è bisogno» rifiutò lui. «Non sprechi le sue risorse per me.» Frugò nella tasca della giacca ed estrasse il portafoglio, dal quale tolse delle banconote e gliele mise in mano. «Per le bende, i cerotti e il disinfettante che ha usato.»

    Quindi uscì dalla tenda senza una parola di ringraziamento o di saluto.

    Solo quando aprì la mano che ancora le pizzicava dove lui l'aveva sfiorata, Eva si rese conto che le aveva dato banconote per il valore di mille dollari.

    «Ci deve pur essere un'alternativa» affermò Daniele versandosi un altro bicchiere di vino rosso, la presa sulla bottiglia talmente ferrea da avere le nocche bianche. «Tu potresti ereditare la proprietà.»

    Sua sorella Francesca, alla quale si era rivolto, scosse il capo. «Non posso e lo sai bene. Appartengo al sesso sbagliato.»

    «E io non posso sposarmi.» Il matrimonio era un anatema per lui. Non ne voleva sapere. Non ne aveva bisogno. Aveva trascorso la vita adulta evitandolo.

    «O ti sposi e ottieni la proprietà oppure sarà Matteo ad averla.»

    Sentendo il nome del cugino traditore, Daniele perse l'ultimo brandello di controllo e fece volare il bicchiere contro la parete.

    Francesca bloccò Felipe, il suo fidanzato, che aveva fatto parte delle Special Forces, pronto a intervenire. La voce era ferma quando proseguì.

    «È lui l'unico maschio dopo di te. Se non ti sposi e accetti l'eredità, l'avrà Matteo.»

    Daniele respirò a fondo cercando di riprendere il controllo. Il liquido rosso colava dalla parete. Guardandolo dalla giusta angolazione era scuro come il sangue che gli era uscito dal naso quando aveva ceduto alla collera e aveva assalito Matteo colpendolo e ricevendo a sua volta un pugno, e il tutto sarebbe degenerato se non fosse intervenuto Felipe. Da quel momento sentiva in sé la rabbia come se fosse qualcosa di vivo, un serpente che si agitava in lui pronto a scattare alla minima provocazione.

    Matteo li aveva traditi.

    «Dev'esserci un modo legale per annullare questa clausola» riprese mentre il vino, obbedendo alla legge di gravità, colava fino al pavimento. Avrebbe dovuto far ridipingere la parete prima di trovare un nuovo inquilino, pensò distratto. Possedeva quell'appartamento a Pisa ma per sei anni vi aveva vissuto sua sorella. Adesso si sarebbe sposata con Felipe e sarebbe andata a vivere a Roma, e a meno che non riuscisse a trovare un'alternativa, anche lui sarebbe stato costretto a sposarsi. «Tutto ciò è assurdo!»

    «Sì» convenne sua sorella. «Ne siamo tutti convinti. Pietro ha provato ad aggirare questa clausola da un punto di vista legale, ma ha capito subito che non era semplice. Ci sarebbero voluti mesi, forse anche anni per eliminarla. Nel frattempo Matteo potrebbe sposare Natasha e mettere le mani sull'eredità.»

    Quella dannata eredità! I beni di famiglia che includevano un castello e vigneti erano appartenuti alla famiglia Pellegrini e ai suoi discendenti dal momento in cui era stata posata la prima pietra dal Principe Carlo Filiberto I, un tipo del tutto

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