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Mondi paralleli
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Mondi paralleli

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Fantascienza - racconti (252 pagine) - Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 - PREMIO ITALIA 2021


La fantascienza ha sempre avuto il coraggio di parlare di argomenti forti e scomodi, che la cosiddetta narrativa mainstream spesso non toccava affatto: uso delle droghe, la condanna della guerra, l’emancipazione delle donne, l’identità sessuale, tanto per citarne alcuni. Tanto tutto si svolge su un altro pianeta, oppure i protagonisti non sono umani, insomma non c’è il pericolo di rendere consapevoli i lettori che la realtà in cui vivono è più complessa di quel che appare.

Ecco, è questa la grandezza della fantascienza: fotografa la realtà, come fa la letteratura mainstream, ma propone anche modi alternativi di guardarla. È come se il lettore si trovasse sulla soglia di una porta aperta: alle sue spalle c’è la realtà in cui vive, davanti un mondo parallelo “disegnato” dallo scrittore di turno. Una realtà alternativa, molto spesso simile alla nostra, ma anche percettibilmente diversa.

La seconda antologia del meglio della fantascienza italiana indipendente offre ai lettori alcuni affascinanti mondi paralleli, che con la lente dell’immaginazione raccontano la realtà in cui viviamo.

Racconti di Paolo Aresi, Serena Maria Barbacetto, Nicola Catellani, Claudio Chillemi, Massimo Citi, Linda De Santi, Carlo Menzinger di Preussenthal, M. Caterina Mortillaro, Luigi Musolino, Alessandro Napolitano, Luca Ortino, Massimiliano Prandini, Monica Serra, Andrea Viscusi


Carmine Treanni (Napoli, 1971), giornalista e saggista, si occupa di studiare la storia e le forme della cultura di massa: dalla letteratura di genere al fumetto, fino alla televisione. Dal 2006 è il curatore della rivista online di fantascienza Delos Science Fiction, sul portale Fantascienza.com.  Ha pubblicato, con Giuseppe Cozzolino, Cult Tv – L'universo dei telefilm (Falsopiano, 2000) e Planet Serial – I telefilm che hanno fatto la storia della TV (Aracne Editrice, 2004). Suoi saggi sono apparsi nei volumi AA.VV., Alieni – Creature di altri mondi (Editrice Nord, Milano, 2000), Viaggi straordinari tra spazio e tempo (a cura di Claudio Gallo, Biblioteca Civica di Verona, 2001), "Albero" di Tolkien (a cura di Gianfranco De Turris, Bompiani, Milano, 2007).

Nel 2018 ha pubblicato il saggio Il futuro è adesso. Il grande libro della fantascienza (Homo Scrivens), nel 2019 il volume Sulla Luna. A 50 dallo sbarco, un viaggio tra scienza e fantascienza per Cento Autori, casa editrice di cui è il direttore editoriale dal 2012, e nel 2020 un suo breve saggio su distopia e letteratura è apparso in appendice all’antologia Distòpia a cura di Franco Forte (Urania Millemondi 87, Mondadori, Luglio 2020).

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateNov 10, 2020
ISBN9788825413618
Mondi paralleli

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    Mondi paralleli - Carmine Treanni

    Introduzione

    Carmine Treanni

    Il 2019 è stato l’anno delle antologie di fantascienza. Ne sono state pubblicate in gran numero, per quasi tutti gli editori specializzati, sia quelle con un argomento circostanziato e formata da racconti di vari autori sia quelle personali. Insomma, un anno in cui la narrativa breve ha avuto un piccolo boom. Un caso? Forse, ma anche il segno di una grande maturità da parte di autori, editor e case editrici, che hanno avuto il coraggio di proporre tante storie brevi, una forma letteraria che spesso la grande editoria snobba completamente, convinta che il lettore non ami leggere il racconto.

    Se c’è un dato che ho potuto toccare con mano leggendo i 206 racconti pubblicati nel 2019 è la grande varietà delle prove narrative offerte dalle autrici e dagli autori italiani. Una varietà che si è espressa sia nella qualità e nello stile della scrittura sia nello scegliere temi forti, molto spesso trattati in modo originale.

    Nel discorso che ha tenuto nel 2014 nel corso della cerimonia in cui le è stato assegnato il prestigioso National Book Award, Ursula K Le Guin ha detto: Sono in arrivo tempi duri, e avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo ora, capaci di vedere, al di là di una società stretta dalla paura e dall’ossessione tecnologica, altri modi di essere, e immaginare persino nuove basi per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori che si ricordino la libertà. Poeti, visionari, realisti di una realtà più grande.

    Di questo sono capaci gli scrittori di fantascienza: guardare il mondo in modo alternativo, per regalarci la loro visione del futuro che spesso non è altro che il loro sguardo sul mondo in cui vivono. La fantascienza è in grado di fornirci interpretazioni di una realtà sociale e tecnologica sempre più complessa e instabile, mettendo in discussione il ruolo, la rilevanza, i costi e i benefici delle tecnologie attuali e future e presentando idee che possono influenzare la nostra vita. In tal senso, la science fiction è un potente agente di cambiamento: è una fonte di visioni alternative della società e può essere d’ispirazione per immaginarne una più giusta o all’opposto, nella sua versione più pessimistica e apocalittica, ci offre anche visioni di futuri da evitare. La grande fantascienza non solo immagina modelli alternativi alla nostra società, ma tenta anche di ammonirci su quei modelli che possono trascinarci tutti verso una catastrofe sociale.

    E pur nella diversità e nella varietà dei racconti proposti, in questa seconda antologia del meglio della fantascienza italiana indipendente emerge proprio la volontà di offrire una visione altra della nostra realtà, di gettare lo sguardo su un mondo parallelo, non per semplice voglia di stupire, ma con la consapevolezza di parlare al lettore, di invitarlo a riflettere sulla sua vita e su ciò che ci aspetta domani come genere umano, per immaginare, come dice la grande scrittrice americana, nuove basi per la speranza, in un periodo come quello in cui viviamo in cui le certezze vengono meno e siamo sopraffatti dalla paura.

    Non posso non ringraziare tutti gli scrittori, gli editor, gli editori e i responsabili dei premi letterari che hanno collaborato fattivamente alla realizzazione di questa seconda antologia dedicata al meglio della fantascienza italiana, i cui nomi trovate nelle varie introduzioni ai 14 racconti che compongono l’antologia. Mi correggo: in realtà i racconti sono 15. Il primo che i vostri occhi leggeranno è quello di Franco Brambilla. Un racconto formato da una sola illustrazione, ma che possiede in sé tutta la bellezza che solo un grande artista può esprimere e per questo lo ringrazio di cuore.

    A Delos Digital e a Silvio Sosio va, invece, il mio ringraziamento più sentito per l’aver voluto continuare il progetto di queste antologie che, pur nella parzialità della selezione operata dal sottoscritto, hanno l’intenzione di aprire una finestra su un mondo parallelo che è sempre più bello e interessante: la fantascienza italiana.

    Cornucopia

    Linda De Santi

    Ho la netta sensazione, ma la mia è in realtà una piacevole certezza, che Linda De Santi sarà sempre presente in queste antologie sul meglio della fantascienza italiana. Un po’ perché l’autrice per il momento scrive solo racconti e soprattutto perché le sue storie sono maledettamente belle, evocative e con tematiche sempre forti e attuali.

    Ha vinto il Premio Fantasticamente 2016, il Premio Urania Short 2017, il Premio Italia 2018 con il racconto Saltare avanti e il Premio Robot 2019 con il racconto Cornucopia, che riproponiamo in quest’antologia, dopo la sua prima apparizione nel numero 86 della rivista Robot diretta da Silvio Sosio, edita da Delos Books. Mi sembra quasi di sciupare la bellezza di questa storia dicendo qualcosa che sarà sicuramente inutile. Vi invito, dunque, a leggerla e basta. Vi segnalo solo che l’ho scelta per aprire l’antologia e questa decisione per me significa molto.

    Elettra posizionò i rettangoli di carne in cerchio, secondo le loro sfumature: dal rosso intenso, quasi viola, fino al rosa chiaro. Formò sul piatto una cartina tornasole con i colori sbagliati.

    Mise dell’insalata al centro, prese il corno e lo sistemò tra le foglie. Era lucido e aguzzo, lungo quasi venti centimetri, avvolto su sé stesso come il guscio di un gasteropode marino. Quell’unicorno doveva essere stato più grande della media, una bestia maestosa e imponente.

    Una cameriera entrò in cucina.

    – È pronto il sashimi di unicorno?

    Elettra le indicò il piatto che aveva preparato, la ragazza lo prese e tornò fuori.

    Si asciugò le mani e controllò la lista. Il prossimo ordine era una tagliata di viverna. La carne, cotta alla perfezione, era già arrivata. Prese il coltello e lo affondò nella carne burrosa, color rosa scuro, ricavandone strisce sottili.

    Guardò l’orologio: le lancette segnavano le sette e mezza, Noemi sarebbe dovuta arrivare da un momento all’altro.

    Sentì sbattere la porta di servizio della cucina. Noemi entrò portando con sé una cesta chiusa.

    – Eccomi – si annunciò. – Stasera abbiamo sbancato, eh?

    – Di venerdì è normale – rispose Elettra.

    – Davvero? Non lo so, di solito ho il turno di sabato.

    Noemi poggiò la cesta sul piano di lavoro.

    Elettra la indicò. – Sono tranquille?

    – Ovvio. Gli ho spruzzato addosso il sedativo.

    Elettra aprì la cesta. Dieci teste si sollevarono verso l’alto. Avevano gli occhi dilatati, Noemi doveva esserci andata giù pesante con il sedativo.

    Ammirò quelle creature: fate di montagna, una specie rara. Erano più grandi delle normali fate di bosco ed emanavano un bagliore blu potente, che nell’oscurità brillava come plancton.

    – Non vuoi sapere quanto sono costate – disse Noemi.

    – Lo posso immaginare. L’hai visto di là in sala? Cosa fa?

    – È già ubriaco come una spugna. Probabilmente neanche lo sentirà, il sapore di quelle fate. È un peccato.

    All’interno della cesta le creature si muovevano lentamente, intorpidite dal sedativo. Di lì a poco sarebbero tutte morte. Non le piaceva uccidere gli animali subito prima di cucinarli, la considerava la parte più sgradevole del proprio lavoro. A Noemi, invece, la cosa piaceva.

    Quel piatto prelibato era destinato all’amministratore delegato Mupresi – o santo patrono di Cornucopia, come amava farsi chiamare – che in quel momento si stava godendo l’aperitivo nella Sala delle Primizie.

    – Te ne occupi tu?

    – Ho le mani piene di muco di fata. – Noemi si girò verso il bagno, strofinandosi i palmi sui pantaloni. – Ci metto un secondo.

    Elettra fece per rimettere il tappo sulla cesta, ma si bloccò. Guardò le creature al suo interno: nel groviglio di ali spuntavano musi piatti, con occhi dotati di sclera e pupilla scura, due fenditure per respirare e una bocca dotata di labbra sottili. Facce quasi umane. Strizzò gli occhi, soffermandosi su un punto del contenitore.

    Sentì il cuore perdere un battito.

    Allungò una mano verso le fate; la ritrasse subito. Si guardò alle spalle: Noemi era ancora in bagno, la sentiva canticchiare una canzone pop di moda in quei giorni.

    Mise di nuovo la mano nella cesta, prese una fata e se la infilò nella tasca del grembiule. La creatura, intorpidita, non oppose resistenza. Elettra sentì il peso di quel mucchietto d’ossa sgusciare lungo il tessuto.

    Raggiunse il suo armadietto, aprì lo sportello ed estrasse la fata dalla tasca. La mise dentro alla borsa, poi strofinò la mano sul grembiule per ripulirsi dal muco.

    – Eccomi – disse Noemi, uscendo dal bagno.

    – Che diavolo hai combinato con quel sedativo? Una fata è appena scappata! – Esclamò, indicando la finestra aperta.

    Noemi sgranò gli occhi. – Sul serio? – Si precipitò alla finestra e sporse la testa fuori. – Dio, Elettra, mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Ho usato una quantità di sedativo enorme.

    – Ormai è andata.

    Noemi si passò una mano sulla fronte. – Sul serio, non so davvero come sia successo. Io…

    – Non importa. Hai detto che Mupresi è ubriaco, non si accorgerà se la tartara è fatta con nove fate anziché dieci – tagliò corto. – Adesso sbrigati, siamo già in ritardo.

    Noemi ubbidì.

    Nel dedalo di vie i locali iniziavano a mettere dentro le sedie. Ogni tanto Elettra incontrava qualcuno: coppiette, turisti ubriachi, gruppi poco numerosi di adolescenti. Persone che, per qualche motivo, non erano rifluite verso l’area delle discoteche per passare la notte.

    Nella vetrina di un night club ragazze in stivali di pelle, mutandine e corsetto sorridevano da dentro vasche colme del più potente afrodisiaco scoperto negli ultimi anni, il latte di manticora.

    Sull’insegna del locale, come su tutte le altre, era stato stampato il logo di Cornucopia: un’amazzone stilizzata che offriva un corno pieno di hamburger.

    Elettra portò la mano alla borsa. Resistette alla tentazione di aprirla per controllare che la fata fosse lì.

    Uno sciame di farfallumi le passò vicino. Elettra ne osservò le sfumature rosa, gialle, verdi e blu sulle ali, che nell’oscurità brillavano come insegne al neon. Erano splendidi.

    Una volta Sissel glieli aveva portati a casa per farle una sorpresa. Li aveva messi dentro a una scatola – Elettra ignorava come ci fosse riuscita – e liberati in soggiorno, riempiendo l’appartamento di decine di piccoli bagliori colorati.

    Sbarazzarsene era stato meno divertente: Elettra aveva continuato a trovare farfallumi morti in ogni angolo per settimane. Per di più, avevano lasciato in giro una specie di muco appiccicoso impossibile da pulire: in alcuni punti di casa sua c’era ancora attaccata quella maledetta sostanza, nonostante i suoi sforzi per lavarla via. Non era raro che le idee di Sissel finissero in quel modo, ma d’altronde lei era fatta così.

    I farfallumi erano tra le poche creature appartenenti alla fauna della Frattura a non essere utilizzate a scopi alimentari. Qualcuno diceva che fosse perché erano troppo belli, ma la verità era che avevano semplicemente un pessimo sapore.

    Sissel adorava tutte le creature della Frattura, diceva che erano lo specchio in cui l’umanità avrebbe dovuto vedersi riflessa. I classici discorsi alla Sissel.

    Elettra si lasciò alle spalle il quartiere dei ristoranti e proseguì fino all’area residenziale. Raggiunse il terzo blocco, salì al quarto piano ed entrò nel suo appartamento. Si spogliò con il solito rituale: scarpe davanti all’ingresso, cappello su una sedia, chiavi dove capitava.

    La borsa invece l’appoggiò con delicatezza sul mobile che un tempo aveva ospitato le fotografie delle vacanze, che adesso era il posto in cui si accumulava la posta che non aveva voglia di leggere.

    Andò in cucina, stappò una birra e si spostò sul terrazzo. Si sedette sulla sdraio da spiaggia che Sissel aveva comprato a un mercatino dell’usato. Un pezzo d’arredamento del tutto fuori luogo, ma piuttosto comodo.

    La serata era andata bene. Mupresi era rimasto estasiato dalla tartara di fata e aveva fatto i complimenti a Sandra, il suo capo. Lei era entrata in cucina con una bottiglia di Bolgheri e aveva preteso che tutto lo staff ne bevesse un bicchiere. – Ha detto che farà all’Arcadia una pubblicità grandiosa.

    Elettra aveva guardato Noemi: sorrideva, ma qualcosa nel suo sguardo tradiva nervosismo. Di sicuro temeva che lei raccontasse a Sandra il guaio che aveva combinato.

    Elettra si sporse dal cornicione. Sotto di lei si estendeva la zona est di Cornucopia: i blocchi dell’area residenziale, le strade trafficate a ogni ora, l’enorme quartiere dei ristoranti e dei fast food, l’area delle discoteche e, all’orizzonte, il Monte Deucalione, che un tempo si chiamava Monte Serra.

    Sulla montagna, quando non c’era foschia, poteva vedere le formazioni di resina biancorosa che circondavano la Frattura. Erano alte come un edificio a tre piani e avevano i bordi frastagliati. Alcune compagnie ci organizzavano delle gite.

    Sospirò e si distese sulla sdraio. Se qualcuno, quand’era piccola, le avesse detto che a trentacinque anni avrebbe vissuto in una città dei divertimenti come Cornucopia, non gli avrebbe creduto.

    Soprattutto perché lì, vent’anni prima, non c’era una città dei divertimenti. Un tempo quello era stato il cuore di una località turistica: le persone venivano da tutto il mondo per vedere città artistiche e paesaggi di campagna. Ora ci venivano per ingozzarsi di sashimi di unicorno, sniffare polvere di ali di fata e partecipare a battute di caccia ai draghi.

    La costruzione di Cornucopia aveva spazzato via il suo paese d’origine. La sua famiglia si era trasferita altrove da tempo, lei era rimasta perché era stata assunta in un fast food che vendeva hamburger di drago. Era stato lì che aveva iniziato a farsi le ossa sulla nuova arte culinaria che aveva fatto impazzire il mondo.

    Finì di bere, si alzò dalla sdraio e si diresse verso il bagno.

    Non le piaceva quello che la Frattura aveva fatto ai luoghi in cui era cresciuta, eppure era stato proprio grazie a quel fenomeno che aveva conosciuto Sissel.

    Era arrivata a Cornucopia grazie a una specie di progetto di etologia per studiare le nuove specie uscite dalla Frattura, meglio conosciute come bestiario. Lei e il suo team passavano le giornate ad analizzare come i comportamenti degli animali influenzavano quelli umani e viceversa.

    – Te lo dico io come s’influenzano: il bestiario arriva e gli umani ci fanno gli hamburger. Finish – le diceva Elettra.

    Sissel agitava il dito in aria. – Ti stupirebbe scoprire quanto di noi si riflette in quegli animali. Saprei dirti se un uomo soffre di ansia solo guardando come si comporta l’unicorno che gli sta vicino.

    Elettra non capiva bene quale fosse il fine di questi studi, ma non s’intrometteva nel lavoro della sua compagna.

    Tirò lo sciacquone, uscì dal bagno e si diresse verso la borsa che aveva lasciato vicino all’entrata. Anche quella era un regalo di Sissel.

    All’inizio aveva cercato di liberarsi delle cose che gliela ricordavano, ma poi non c’era riuscita. I segni del suo passaggio in quella casa le sembravano l’unica prova del fatto che lei fosse esistita.

    L’aveva adorata troppo. Aveva adorato il fatto di non riuscire a smettere di desiderarla nemmeno dopo anni di convivenza. Nemmeno quando Sissel era diventata magra da far paura, aveva perso il colorito e i capelli le erano caduti.

    Elettra se n’era un po’ vergognata. Perfino tra le lenzuola dell’ospedale non aveva smesso di volerla. Vedere le forze che la abbandonavano poco a poco, con i suoi occhi chiari che perdevano la luce, era stato ciò che l’aveva straziata di più.

    Gli stessi occhi che, quando aprì la borsa, la fissarono attoniti.

    Elettra esitò un istante, poi infilò una mano nella borsa e tirò fuori la fata. Le tolse, forzandolo con un paio di pinze, l’anello con il chip identificativo che portava al polso.

    La rinchiuse dentro alla gabbietta dei pappagalli che pendeva dal soffitto. C’erano ancora gli escrementi di Coco e Mimì, che aveva liberato mesi prima.

    Staccò la gabbia dalla catena e la portò sulla scrivania. Le puntò contro il fascio di luce della lampada da tavolo e la guardò.

    Assomigliava tremendamente a Sissel.

    Rimase a fissarla ancora per qualche minuto, poi si voltò e tornò sul terrazzo.

    Quando si sedette sulla sdraio, le piovve addosso la consapevolezza della gravità di ciò che aveva fatto. Cosa le era saltato in testa? Rubare una fata destinata a Mupresi solo perché assomigliava alla sua ex compagna! Per fortuna nessuno se n’era accorto, ma se invece qualcuno del ristorante lo avesse notato, cosa avrebbe fatto?

    Era tutta colpa di Sissel, anche da morta continuava a farle fare cose stupide.

    In ogni caso, c’era qualcosa di scioccante nei lineamenti della fata. Gli occhi, in particolare: erano una riproduzione perfetta del suo sguardo.

    Sospirò. E adesso? Poteva tenerla e addomesticarla, o magari liberarla, sperando che non venisse ricatturata e cucinata.

    Si alzò. Era sfinita, avrebbe rimandato la decisione al giorno dopo. La fata, nel frattempo, si era addormentata. Elettra riempì il contenitore dell’acqua e fece scivolare un biscotto tra le sbarre, poi si allontanò.

    Quando spense la luce, un bagliore azzurro rischiarò la stanza. Si stupì di quanto fosse forte, nonostante la fata fosse debilitata e ancora stordita.

    Blu, pensò, mentre esausta s’infilava sotto le lenzuola. La chiamerò Blu.

    Ovviamente il colore preferito di Sissel.

    – Eccoti qua! – Esclamò Sandra, entrando in cucina.

    Elettra smise di affettare la carne di unicorno e alzò la testa. Sorrise al suo capo, ignorando la fitta che le attraversò le tempie. Il mal di testa non le dava tregua da quella mattina.

    Sandra le diede un buffetto sulla guancia.

    – Te l’ho già detto che sei la mia chef preferita? Bel lavoro, ieri sera.

    – Grazie, Sandra.

    – Senti, non è ancora ufficiale, ma nei prossimi giorni potremmo avere altri ospiti importanti – con le labbra Sandra scandì le parole: – Il capitano Franchi.

    Elettra sollevò le sopracciglia. L’amministratore delegato e il capitano della guardia di Cornucopia a cena a distanza di pochi giorni. L’Arcadia aveva decisamente fatto il salto di qualità.

    – Posso pensare a un menù speciale – propose Elettra.

    – Non serve, sa già cosa vuole mangiare. Ti farò sapere nei prossimi giorni.

    Le strizzò l’occhio e si allontanò.

    Elettra riprese il coltello, ma l’ennesima fitta di dolore glielo fece appoggiare con rabbia sul tavolo.

    Raggiunse il suo armadietto per prendere la confezione di aspirine. Sentì avvicinarsi il passo strascicato di Noemi. Era da tutta la mattina che la ragazza le lanciava occhiate nella speranza di incrociare il suo sguardo.

    – Ciao Elettra – le disse. – Senti, riguardo a ieri, volevo dirti che mi dispiace. Davvero. È tutto il giorno che ci penso e non capisco come ho fatto a sbagliare. Le avevo sedate tutte, te lo giuro.

    – Tranquilla, Noemi – la rassicurò. – Di certo il gas sedativo era difettoso. Può capitare. Non ci pensare più.

    – Sul serio, io…

    – Non lo dirò a Sandra – tagliò corto Elettra. – Anzi, me ne ero già dimenticata.

    Noemi abbassò la testa, poco convinta. – Grazie.

    Elettra la guardò allontanarsi. Le dispiaceva per quella ragazza. Sandra le teneva gli occhi addosso da un po’, più di una volta aveva detto a Elettra di volerla mandare via: troppo lenta e poco precisa. Noemi aveva difficoltà economiche ed era terrorizzata all’idea di perdere il lavoro.

    Capiva come doveva sentirsi: fino a qualche anno prima anche lei aveva vissuto nella paura di fare un errore ed essere messa alla porta. Era lieta di essersi lasciata alle spalle i tempi della gavetta.

    Innumerevoli volte aveva considerato l’idea di mollare tutto e trasferirsi nel paese dei suoi genitori, lontano da Cornucopia. Avrebbe potuto trovarsi un lavoro lì, qualcosa di meno stressante. Non l’aveva mai fatto. Il futuro era lì. Tutto ciò che era al di fuori delle leggi commerciali di Cornucopia non sarebbe sopravvissuto a lungo: presto in tutto il paese sarebbero nate altre città dei divertimenti come quella, piene di intrattenimenti e ristoranti in cui si sarebbero riversati turisti da ogni parte del mondo. Al centro di tutto, le nuove, incredibili specie animali. D’altronde, se eri la nazione in cui era apparsa la Frattura, te lo potevi anche aspettare.

    Il solo business dei ristoranti di bestiario stava vivendo un’espansione enorme: soltanto a Cornucopia ce n’erano più di trecento.

    Elettra chiuse l’armadietto e tornò in cucina. La vista della carne di unicorno le fece venire il voltastomaco. Prese il coltello e cercò di concentrarsi sul lavoro. L’assalì una nausea tremenda, mentre alle tempie le arrivava un’altra violenta sferzata di dolore.

    Dovette arrendersi. Si tolse il grembiule.

    – Noemi, vado a casa. Non mi sento bene.

    La ragazza si girò verso di lei. – Cos’hai?

    – Ho la nausea. Avverto Sandra che vado via.

    – Glielo dico io, tranquilla.

    – Grazie.

    Noemi esitò un istante, poi disse: – Riguardati.

    Elettra annuì e uscì dalla cucina.

    Blu si era posata sull’altalena di Coco e Mimì.

    Elettra vide che non aveva toccato il biscotto, ma aveva bevuto molta acqua.

    Riempì di nuovo il contenitore e le diede una foglia d’insalata e uno spicchio di mela. La fata volò giù e annusò il cibo. Affondò il muso nella mela, mangiò avidamente e svolazzò di nuovo sull’altalena.

    Elettra si sentiva bene, adesso. Provava un po’ di rimorso per aver lasciato il lavoro a metà, ma era meglio così: ne avrebbe approfittato per riposarsi e riflettere su cosa fare con Blu.

    Non era abituata a trovarsi a casa a quell’ora del giorno. Si sedette alla scrivania e osservò la fata di montagna. La pelle del corpo era scura e ricoperto da un sottile strato di muco argentato, che ricordava quello delle lumache. Le zampe posteriori erano robuste e dotate di artigli, mentre le zampe anteriori assomigliavano a delle braccia umane, con all’estremità una mano con tre dita. Le ali, grandi quasi il doppio di lei, avevano una trama fitta di nervature ramificate.

    La sua espressione era così simile a quella di Sissel che Elettra dovette distogliere lo sguardo, le faceva troppa impressione.

    Non poteva più rimandare la decisione.

    Avrebbe potuto portarla in un luogo sicuro, magari fuori da Cornucopia, in modo da darle una possibilità di sopravvivere. Oppure poteva tenerla con sé, ma sarebbe stato come tenere Sissel in gabbia.

    Sbuffò, spazientita.

    – Forse avrei dovuto infilarti nella tartara.

    Prese una birra dal frigo. Sissel l’avrebbe liberata. Non doveva neppure sforzarsi di immaginare cos’avrebbe risposto se glielo avesse domandato. Le aveva già detto la sua in maniera molto chiara.

    Ricordava perfino quand’era successo: era stato durante la loro gita alle formazioni di resina. Uno dei peggiori giorni che ricordasse, visto che era stato in quell’occasione che aveva saputo della malattia di Sissel.

    Le immagini di quella domenica iniziarono a scorrerle nella mente. Scosse la testa e bevve la birra tutta d’un fiato. Ci mancava solo che quei momenti tristi tornassero a tormentarla.

    Si sedette sulla sdraio in terrazza e cercò di pensare a tutt’altro.

    Non voleva ricordare.

    Invece lo fece.

    Andiamo e torniamo. Ci vorrà mezza giornata. Al ritorno potremmo fermarci a mangiare da Marcello.

    La gita era stata un’idea di Sissel. Elettra aveva il giorno libero e avrebbe preferito restare a casa e riposare, ma lei doveva assolutamente farle vedere il nido di grifoni che stava studiando, così alla fine aveva accettato.

    Le formazioni di resina iniziarono a farle impressione già mentre si avvicinavano in macchina. Le aveva viste da vicino solo una volta, tanti anni prima, poco dopo che era comparsa la Frattura. Allora non erano così sviluppate, mentre adesso ricoprivano la sommità e tutto il fianco del Monte Deucalione.

    Aggirarono le zone di caccia, superando i dungeon, e parcheggiarono l’auto dove la strada iniziava a salire.

    Sissel la guidò per sentieri di montagna seminascosti, fino a raggiungere un’area in cui la resina non si era solidificata del tutto ed era color

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