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Sul filo del desiderio
Sul filo del desiderio
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Sul filo del desiderio

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About this ebook

Abigail Montgomery è una giovane insegnante che vive a Baltimora, Stati Uniti, e alla quale l'amore ha portato solo delusioni. Nonostante le ferite del passato, Abby non ha perso né spirito combattivo né coraggio. Un coraggio che deve esibire, quando incontra un tipo irascibile, ma sicuramente molto sexy, che la scambia per una sequestratrice di bambini. Lei non è disposta a tollerare questo ridicolo malinteso, anche perché ha appena perso il lavoro e ha una persona che dipende dalle sue cure.

 

Cole Shermann è un uomo d'affari di circa trent'anni, vedovo e dal carattere forte, che si è fatto da sé e si dedica alla creazione di software per la sua grande società. Quando incontra una sequestratrice di bambini, che sua figlia di cinque anni considera un "angelo", il suo mondo ordinato viene stravolto. Per questo non si spiega come sia possibile che, nonostante il suo buon senso, abbia assunto Abigail Montgomery come insegnante privata di Hannah.

LanguageItaliano
Release dateNov 6, 2020
ISBN9781393105572
Sul filo del desiderio

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    Sul filo del desiderio - Kristel Ralston

    Kristel Ralston

    Sul filo del desiderio

    Tutti i diritti sono riservati.

    ©Kristel Ralston 2018

    Traduzione:——

    Disegno di copertina: Karolina García Rojo.

    ––––––––

    Proibita la vendita, così come la riproduzione totale o parziale del lavoro, sia per stampa che per via digitale, su qualunque delle piattaforme senza previa autorizzazione dell’autrice. 

    Tutti i personaggi e le circostanze di questo romanzo sono fittizi, qualunque somiglianza con la realtà è una pura coincidenza.

    INDICE

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    CAPITOLO 24

    CAPITOLO 25

    EPILOGO

    SULL’AUTRICE

    Questo romanzo è dedicato alle donne coraggiose che osano amare e anche perdonare il passato, per abbracciare il presente con determinazione ed entusiasmo.

    CAPITOLO 1

    ––––––––

    —Mi dispiace veramente, signorina Montgomery— disse il direttore della Scuola Elementare di Baltimora, guardandola con un’espressione malinconica che non sembrava assolutamente sincera. —L’istituzione le è molto grata per i suoi servigi degli ultimi tre anni, ma la crisi ci impone di ridurre il gruppo dei professori del trenta per cento. Lei è compresa in questo gruppo...

    Le mani piccole e morbide di Abigail si reggevano saldamente alla sedia. Non poteva credere che la stessero licenziando. Quando aveva saputo che stavano per avviare un processo di riduzione del personale accademico, aveva conservato la speranza di non essere inclusa nell’elenco. 

    I suoi occhi azzurri trattennero le lacrime che lottavano per uscire. Il sangue le scorreva lentamente, come se si trovasse in una scena al rallentatore. Sentiva che la camicetta, senza maniche e a girocollo, la soffocava. Avrebbe voluto fuggire, ma mantenne la schiena dritta e pregò in silenzioperché la sua faccia non mostrasse quanto si sentiva disperata.

    —Per favore, signor Yukosvky, ci ripensi. Io...— respirò profondamente per mantenere la calma prima di continuare: —Ho un programma di insegnamento innovativo e vorrei metterlo in pratica— sorrise cercando di non far sentire come le tremava la voce, —e anche lei lo ha approvato. Ho bisogno di questo lavoro... tanto— affermò con uno sguardo sincero, assicurandosi che l’uomo capisse quanto fosse importante per lei continuare a ricevere puntualmente uno stipendio.

    Yukovsky assunse un’espressione di rammarico che evidenziò il suo naso leggermente storto, poi si passò la mano sulla testa calva e strinse le labbra come se stesse trattenendo una risposta troppo pungente. L’uomo era conosciuto tra il personale accademico della scuola per la sua mancanza di tatto nel trattare gli altri, ma in quel momento Abby notò che, con lei, cercava di controllarsi. 

    Il direttore, prima di tornare ad affrontare la professoressa di matematica e geografia, contemplò i diplomi che erano collocati sulla parete destra del suo pomposo ufficio. Sembrava che stesse tentando di decidere cosa dire. Non si rendeva conto di come Abigail si torceva le mani e stringeva la mascella per evitare di tremare. Lei non era incline alla mancanza di controllo, ma non si trattava solo della sua vita. Da lei dipendeva qualcuno che amava.

    —Capisco che questa circostanza ci ha colti tutti di sorpresa e mi dispiace che sia nella lista dei licenziamenti—disse in tono fermo, ma anche comprensivo. —Molti dei suoi colleghi hanno famiglia e questa non è una notizia facile da dare. È stata una decisione degli azionisti. Mi piacerebbe poterle evitare questo amaro calice, signorina Montgomery, ma eseguo solo gli ordini... per quanto duri essi siano—. Abigail sentì che l’ansia era in procinto di soggiogarla. —L’assegno per il suo ultimo mese di lavoro, una lettera di raccomandazione eccellente e una somma addizionale per il licenziamento le verranno recapitati nelle prossime ventiquattro ore. Ci auguriamo che questo compenso aggiuntivo possa compensare gli inconvenienti. La ringraziamo per i suoi eccellenti servizi all’istituzione.

    Il dito grassoccio del russo sistemò delle carte sulla scrivania, per Abigail. Lei lesse e firmò senza protestare la sua lettera di dimissioni. A niente le sarebbe servito protestare per il licenziamento, poiché la decisione dei capi della scuola era stata presa e lei doveva trovare altri mezzi di sostentamento. Intentare una causa non era nemmeno lontanamente un’opzione e, ad ogni modo, le stavano dando del denaro extra per la situazione. Denaro che le serviva moltissimo.

    —Va bene...— riuscì a dire mettendosi in piedi, anche se più per inerzia che per educazione. I suoi capelli biondi si mossero, quando si piegò in avanti per stringere la mano del direttore. —È stato un piacere lavorare per questa scuola, signor Yukovsky. 

    —Mi dispiace veramente. Spero che trovi presto un nuovo impiego.

    «Io più di lei».

    Cinque ore più tardi, Abigail parcheggiava a due isolati dalla clinica privata. Lasciò in folle la sua Honda del 2002. Esausta, fece cadere la testa tra le mani, che reggevano ancora il volante, e si permise di far uscire le lacrime che aveva represso da quando aveva ricevuto la notizia del licenziamento.

    Stava per perdere i suoi alunni di terza elementare: non avrebbe più ascoltato le loro domande curiose, non avrebbe più ricevuto in dono i disegni che le dimostravano il loro affetto. La cosa più dura sarebbe stata dover rinunciare all’insegnamento. Quando aveva dovuto raccogliere le sue cose dall’armadietto, si era fermata a guardare le seggioline e i contenitori pieni di disegni, la mappa dei paesi colorati e le matite dimenticate sulle scrivanie. Prima di andarsene da quella che era stata la sua classe per tre anni, si era presa un piccolo fiore di carta che gli aveva dato quella mattina uno dei suoi bambini, chiedendole di sposarsi con lui. Era stato un gesto così tenero che, al solo ricordo, il volto le si rigava di altre lacrime.

    Gli addii non erano affatto facili, ma aveva imparato a trattarci molto tempo prima. Perdere l’impiego non aveva nulla a che vedere con le sue necessità personali, e per quello doveva essere forte. Suo nonno dipendeva da lei.

    Si asciugò le lacrime e attese che i singhiozzi si placassero. Aveva bisogno di essere calma prima di entrare in clinica. 

    Prese il piccolo specchio che aveva nel portaoggetti dell’auto e si ritoccò l’eyeliner nero che delineava la forma dei suoi occhi azzurri a mandorla. Si applicò un po’ di fard sugli zigomi alti, e il lucidalabbra sulle labbra carnose. 

    Suo nonno era solito dirle che aveva la bellezza classica di Grace Kelly e l’eleganza nel vestire di Audrey Hepburn. Lei si metteva a ridere rispondendogli che almeno loro non indossavano abiti di seconda mano, cosa alla quale Horace Montgomery replicava dandole una pacca affettuosa sulla mano e abbracciandola. Poi, con voce calma, le diceva che la purezza del suo cuore valeva per mille Grace e mille Audrey messe insieme. Come poteva, lei, non adorarlo, quando la faceva sentire la ragazza più speciale del mondo?

    Sarebbe stata coraggiosa, per lui.

    Se per caso avesse dovuto lavorare pulendo pavimenti o come cameriera in un hotel per coprire i costi della malattia di suo nonno, lo avrebbe fatto. La leucemia richiedeva cure, e la clinica privata aveva un costo elevato. Avrebbe potuto lasciare che lo assistesse la previdenza sociale, ma per lei era essenziale fornirgli cure più specializzate possibile: non poteva fare a meno dell’uomo che le aveva fatto da padre, da madre e da guida per tanti anni. 

    Inoltre, potevano contare solo l’uno sull’altro. Margaret, sua nonna, era morta anni prima per un’insufficienza respiratoria; e i suoi genitori, Peter e Anabella, erano annegati in un incidente mentre erano in crociera nel Mediterraneo. Il nonno aveva avuto la sua custodia.

    Da allora erano passati quasi vent’anni.

    Anche se suo nonno era un uomo ricco, aveva fatto un paio di investimenti sbagliati che, come conseguenza, avevano determinato un calo considerevole della sua fortuna. Per quel motivo per Abigail era importante la quantità di denaro che portava in casa col suo stipendio, poiché, aggiunto all’importo della pensione e ai risparmi di suo nonno, serviva a completare il gruzzolo che copriva le spese mensili della casa e della malattia. Se apprezzava qualcosa era che la casa a due piani, situata in uno dei quartieri più belli di Baltimora, Fell’s Point, le apparteneva; non c’erano creditori che aspettavano il pagamento di un’ipoteca. 

    Con un sospiro si aggiustò i capelli. Quando fu sicura che il suo aspetto era accettabile, uscì dall’automobile e iniziò a camminare con rapidità verso il centro medico. 

    Era molto coperta. Febbraio non era il mese dell’anno che preferiva. Le piaceva guardare la neve cadere, senza dubbio, ma il freddo a volte era insopportabile e la bolletta del riscaldamento di solito era molto elevata. Ora più che mai doveva iniziare a risparmiare ogni centesimo perché suo nonno potesse star comodo in casa.

    MentreAbigail si avvicinava all’ingresso, le porte automatiche si aprirono. L’odore del costoso disinfettante e del deodorante alla mela, caratteristici della Clinica Privata Potomello, le entrarono nelle narici del nasino all’insù. Mentre camminava si tolse la sciarpa blu e la mise nella grande borsa acquistata da Marshalls. Si avvicinò al banco della reception e salutò Grace, l’infermiera che aveva il turno delle sei del pomeriggio. 

    —Abby!— le dedicò un sorriso. —Sei pronta per andare a vedere tuo nonno?

    —Certo. Si sono comportati bene i ragazzi?

    Grace rise. La dentatura perfetta e la pelle scura si combinavano con un carattere dolce e amichevole.

    —Oggi i figli di Joe hanno portato cioccolata di contrabbando— disse, fingendo di essere contrariata.

    Abigail non potè fare a meno di ridere. 

    Suo nonno aveva conosciuto tre anziani che ugualmente facevano chemioterapia ed erano diventati molto amici. Joe Hustle aveva un cancro allo stomaco; Palton Marrick e Oscar Farmeld la leucemia, come suo nonno. Si erano autonominati Il Club. I loro giorni di trattamento solitamente coincidevano e i dottori, che li conoscevano tutti, avevano accettato di sistemare una stanza affinché stessero insieme durante il procedimento. Abby era cosciente del fatto che era un capriccio e un privilegio, quello di stare in una clinica privata, per quello era preoccupata che suo nonno potesse restare senza l’incoraggiamento che l’amicizia e la solidarietà di quegli anziani meravigliosi gli offrivano.

    —Un incentivo per quel gruppo di furfanti— disse Abby, sorridente. —A che ora inizia la chemio, oggi? 

    Grace guardò l’orologio.

    —Tra dieci minuti. Appena in tempo, Abby.

    Quando stava per andarsene, Grace la fermò mettendole la mano sul braccio. Lo sguardo dell’infermiera era triste. 

    —Abby...— si schiarì la gola. Abbassò la voce prima di continuare: —Oscar è stato dichiarato incurabile. 

    —Oh—. Si portò una mano alla bocca. Oscar era un ex combattente della guerra del Vietnam. Scherzoso e bonaccione. Il suo grande senso dell’umorismo era contagioso e aveva cinque figli che lo amavano e lo accompagnavano sempre alla chemioterapia. — I ragazzi del Club lo sanno?— chiese tristemente.

    Grace negò.

    —No. Tantomeno Oscar. Lo hanno comunicato questa mattina alla sua famiglia e loro hanno deciso di non dirglielo. Non vale la pena di farlo soffrire con questa informazione. René, sua figlia, mi ha chiesto di darti la notizia, se ti avessi visto, specialmente per tuo nonno—. René Farmeld aveva la stessa età di Abby, ventisette anni, ma a differenza di lei, la figlia di Oscar aveva già famiglia. —Non c’è nulla da fare per lui, Abigail— le si incrinò la voce. Nonostante Grace Robinson fosse abituata a vedere la morte da vicino, lei, come gli altri medici della clinica, voleva bene ai ragazzi del Club. —Cerca di incoraggiarli, ragazza. Oggi il dottor Lughan gli ha portato un nuovo mazzo per giocare a blackjack. Un modo per sollevargli l’umore, immagino.

    Abigail ricordava sempre con un sorriso come Oscar le avesse teso una trappola per fare in modo che Spencer Lughan la portasse a cena fuori. Lei non voleva saperne degli uomini, dopo la sua tormentata relazione con Rylan Carmichael, ma aveva accettato di andare con Spencer perché lui era un grande amico. Erano stati molto bene e avevano passato gran parte della notte a ridere dei commenti coloriti degli amici di suo nonno. 

    Oscar era determinato a farle fare coppia con tutto il personale medico che si trovava in turno. Diceva che era ora di avere figli e di inserire altri membri non ufficiali nel Club. Lei sapeva che l’amico di suo nonno commentava e faceva quei gesti per l’affetto che provava per lei, e perché non conosceva i suoi personali fantasmi per cui da tanto tempo non aveva voglia di avere una relazione. 

    Riprendersi dal suo ex fidanzato era stato molto faticoso e non era ancora pronta per una nuova relazione. Rylan era il principe azzurro di ogni donna, fino a quando un giorno non si era trasformato nel peggior mostro che lei potesse conoscere. Un’esperienza troppo amara, le cui conseguenze avevano brutalmente distrutto le sue illusioni.

    —È stata una giornata dura, Grace— sospirò. —Povero Oscar—. Si avvolse nel suo cappotto beige. Intorno, gli infermieri e i medici andavano da una parte all’altra, e i familiari dei pazienti brontolavano incessantemente, così come le chiamate dallo speaker—. Andrò a vedere mio nonno e a salutare i ragazzi. 

    Grace annuì.

    —A proposito, non dimenticarti di compilare il modulo di pagamento per il prossimo lunedì, tesoro, così la banca può effettuare l’addebito automatico dal tuo conto.

    Abigail trattenne il nodo che le si era formato in gola. Lei viveva di mese in mese, e il pagamento della clinica era soltanto il primo delle tante fatture che ancora aveva da saldare sul comodino della sua camera. Ma, in quel momento, ciò che proprio non poteva perdere era la calma, perché suo nonno si sarebbe reso subito conto della situazione e non voleva preoccuparlo.

    —Lo farò, grazie per avermelo ricordato, Grace—. Le fece un cenno con la mano e si allontanò dal banco con un sorriso. Com’era difficile sorridere nei momenti difficili!

    Con un sorriso per riprendere le forze camminò con decisione fino alla stanza 147. 

    Horace Marcus Montgomery sorrideva, mentre ascoltava il suo amico Joe. Lei si fermò sulla soglia, perché nessuno si era accorto della sua presenza nonostante la porta aperta. Guardò suo nonno con tenerezza: a settantotto anni, si manteneva abbastanza bene. Aveva perso peso per la malattia, ma gli occhi azzurri illuminavano quel volto spigoloso e dalle grandi orecchie; quando sorrideva gli si formavano delle rughe marcate sulla fronte e sotto gli occhi; la sua risata era contagiosa, e anche il suo ottimismo per la vita. Non lo sentiva mai lamentarsi, nemmeno quando gli avevano detto la diagnosi della malattia. L’aveva accettata con coraggio. Suo nonno era la persona più coraggiosa che conosceva, e se lui era determinato a vincere la battaglia contro la leucemia, lei non aveva dubbi sul fatto che sarebbe riuscito a farlo.

    Abigail notò Oscar. La calvizie accentuava i suoi occhi verde oliva e il corpo così sottile lo faceva sembrare fragile, ma aveva un carattere che non andava d’accordo col suo aspetto fisico. Era energico e a volte dittatoriale. Lei provò una gran pena, sapendo che, presto, la voce profonda, le storie della guerra e i commenti acidi contro il sistema giudiziario americano non sarebbero più stati ascoltati. 

    Strinse le labbra per contenere un singhiozzo. 

    Dovette fare qualche rumore, perché la conversazione del Club si interruppe. Quattro paia di occhi si posarono su di lei, e subito iniziarono a parlare contemporaneamente, salutandola.

    —Abby!— esclamò suo nonno, sorridendo e stendendo le mani per chiamarla. —Vieni vieni, tesoro! 

    Restituendo il sorriso a suo nonno, si avvicinò e lo abbracciò. Trattenne le lacrime nel sentirlo così sottile attraverso il tessuto del pigiama. Lui era tutta la famiglia che le restava. A volte, mentre suo nonno era costretto a letto sotto gli effetti delle sostanze chimiche, lei gli leggeva dei classici della letteratura francese. Il suo preferito era Il rosso e il nero di Stendhal, e poteva ben dire di conoscere più che a memoria quel meraviglioso romanzo. 

    —Ciao, nonno— salutò con dolcezza, poi si girò verso gli altri e fece loro l’occhiolino. —Vi state comportando bene?

    —Non dovresti nemmeno chiederlo, ragazza— disse Joe fingendo di sentirsi offeso. —Qui è sempre tutto perfetto. Sai, quelle iniezioni terribili che dicono di farci perché il nostro fisico migliori non ci piacciono, ma questi muscoli— tirò su il braccio facendo forza e se lo indicò con la mano libera— sono resistenti e molto forti. Non ho bisogno di alcun farmaco. Èvero, Palton?

    —Chiaro, Joe— disse l’interpellato con voce dolce, mentre si sistemava la coperta per riscaldarsi meglio. Guardò la nipote di Horace: —Come stai, Abby? —Lui era il più tranquillo del gruppo, con un carattere che ben gli si addiceva.

    —Stupendamente—. Afferrò la mano di Horace e l’accarezzò con affetto. —Come si è comportato mio nonno, signori? Ha preso per caso parte a un certo contrabbando di cioccolatini? No, vero?

    Joe la guardò con studiata incredulità e indicò Oscar con la testa.

    —La colpa è sua. Ha ricattato i miei figli e i poveri ragazzi non hanno avuto altra scelta che portare quei cioccolatini. 

    Tutti si misero a ridere.

    Abby si chinò verso suo nonno e lo abbracciò. Quando lo faceva sentiva che tutto andava bene.

    Le braccia fragili la circondarono e la strinsero appena con forza. 

    —Come ti senti, nonno?— chiese con voce ferma, ma la verità era che aveva più voglia di piangere che altro, nel vederlo a letto invece che a casa come sempre, mettendo insieme dei puzzle o pulendo la sua collezione di vecchie monete, o sistemando un armadio con i suoi strumenti, anche quando non c’era alcuna necessità. —Oggi hai un bell’aspetto.

    —Molto bene, bambina mia. Come si sono comportati quei diavoletti a scuola, eh?

    Le toccò forzare un sorriso, perché non poteva dirglielo.

    —Meravigliosi. Hanno alcune difficoltà, però gli piace molto la geografia e mi godo il tempo che passo con loro—. Questa non era una bugia.

    —Sono contento, Abby. Passi troppo tempo qui preoccupandoti per questo vecchio.

    —Non dire questo! Mi piace passare del tempo con te. Sarebbe fantastico poterti portare a casa, però già sai che dopo la chemio preferisco che tu resti qui, e che abbia attenzioni speciali per almeno due giorni. Così, quando si va a casa, la signora Igorson e io possiamo assisterti senza nessun timore che qualcosa possa succederti e che noi non possiamo aiutarti.

    Lui fece un grugnito.

    —A ventisette anni, ancora non hai un appuntamento come si deve. Voglio conoscere i miei pronipoti. Per caso in quest’epoca gli uomini non hanno un po’ di cervello per rendersi conto di quando appare una ragazza unica e speciale come te? Cos’è successo con quel ragazzo, quel Rylan, per esempio?

    Un tremore impercettibile la attraversò. Ricordarlo non contribuiva a farle mantenere uno stato d’animo tranquillo, ma questo suo nonno non poteva saperlo. 

    La sua relazione con Rylan era finita due anni prima. Lui era stato il suo secondo fidanzato, ma il primo a cui si era legata e del quale aveva creduto di essere profondamente innamorata. E forse lo era. Solo che non era stata preparata a vedere come, davanti ai suoi occhi e sotto gli effetti dell’alcol, Rylan le si era avvicinato arrabbiato perché non aveva risposto a una delle sue chiamate, e poi l’aveva picchiava fino a mandarla in ospedale. 

    In quei giorni suo nonno stava visitando degli amici fuori Baltimora, e quando era tornato a casa, lei si era fisicamente ripresa. Il suo volto non era rovinato, perché la maggior parte degli attacchi era stato alle costole, alle gambe e all’addome. Il prezzo di quel presunto amore era stato troppo alto. E anche Rylan, ricordando ciò che aveva fatto, una volta passato l’effetto dell’alcol si era prostrato ai suoi piedi per chiederle perdono in mille modi. Ma il danno era irreparabile. Non solo fisicamente. 

    —In realtà...

    —Buonasera, signori—. Il dottor Spencer Lughan fece la sua entrata nella stanza con quei capelli biondi perfettamente pettinati, interrompendo la conversazione, cosa che Abigail apprezzò in silenzio. Spencer era l’amico al quale era ricorsa il giorno dell’aggressione di Ryan, e che aveva accettato di mantenere segreta la situazione. Grazie a lui aveva potuto superare la sua avversione per gli ospedali. Il ricordo del sangue, della disperazione, del dolore e della delusione per quell’esperienza col suo ex fidanzato l’avevano segnata per sempre. Spencer si girò verso Abigail: —Abby— salutò con un gran sorriso, e poi ripose l’attenzione su ciascuno dei suoi pazienti: —È ora di prepararsi per il trattamento—. Strizzò l’occhio a tutti.

    Tutti finsero di protestare, ma era solo un modo per calmare i nervi.

    —Ehi, ragazzo, se non fossi così tiranno forse Abby avrebbe accettato un secondo appuntamento con te— disse Oscar ridendo. —Andiamo ragazzi! 

    I membri del Club annuirono. Erano tesi, come era normale prima di ogni chemioterapia, anche se cercavano di mantenersi animati con la conversazione e gli scherzi che si facevano gli uni con gli altri. Il prodimento a cui si sottoponevano non era facile da affrontare.

    Il team di medici aveva deciso di metterli insieme perché aveva notato che l’umore dei pazienti, quando ricevevano i trattamenti in gruppo, era diverso da quando lo facevano separati. Se quel metodo contribuiva in qualche modo a migliorare la situazione medica dei pazienti, i dottori non pensavano di opporsi.

    —Che dici! È sposato, Oscar— rimproverò Abby dolcemente.

    Spencer si era sposato un anno prima, ma i suoi pazienti della 147 non smettevano di tormentarlo con l’unico appuntamento che aveva avuto con Abigail. Lui accettava i commenti con umorismo.

    Per Abby, il fatto di sapere che Spencer era il medico specializzato che assisteva suo nonno era risultato una benedizione. Si sentiva più in confidenza per indagare in profondità, e tutte le volte che serviva, sulla leucemia. 

    Entrambi sapevano che l’aspetto romantico non esisteva tra loro, ma siccome avevano tanto affetto per i membri del Club, in passato avevano deciso di accettare di uscire insieme, in una sola occasione, assicurandosi di portare loro una foto di entrambi nel ristorante, affinché ci credessero e smettessero di cercare di fargli fare coppia.

    —Perché è stato uno sciocco— protestò Oscar.

    Spencer si mise a ridere. Non gli era mai capitato un gruppo di pazienti così particolare.

    —È sposato con una delle mie migliori amiche— rispose Abby con una risata. —Sei impossibile, Oscar.

    —Oh... Bene questo non ce lo avevi raccontato— mormorò, deluso.

    Lei non poteva dirgli che la memoria lo stava abbandonando e doveva ripetergli il racconto del matrimonio di Spencer ogni volta che commentava che il suo amico aveva commesso un errore a sposarsi con Monica  Friedmann.

    Si alzò dal letto di suo nonno per avvicinarsi a Spencer, mentre Horace si lamentava delle notizie su ObamaCare e dell’ultimo disastro ambientale in Asia, che alimentò un dibattito con punti di vista che iniziarono a essere difesi con ardore.

    —Come sta reagendo mio nonno?— domandò a voce bassa. Spencer era due teste più alto di lei, aveva gli occhi più verdi che avesse mai visto e un sorriso che riusciva a tranquillizzare le famiglie in difficoltà dei suoi pazienti. —Mi preoccupa, anche se ho visto che oggi ha un buon aspetto.

    —La sua condizione è stabile. La leucemia mieloide acuta ha le sue fasi, già lo sai, ma per ora la previsione rimane invariata. Tuo nonno ha la miglior diagnosi del gruppo—. Lei si sentì che il peso sulle sue spallo si alleggeriva. —Monica  è un po’ preoccupata, non ha avuto notizie di te per settimane. Mi ha detto che prima la chiamavi più spesso. Come stai tu?

    Monica  e Abigail si conoscevano dall’università. E quando Abby aveva pensato che Spencer sarebbe stato l’uomo perfetto per una delle sue migliori amiche, non si era sbagliata. La chimica che esisteva tra i due era invidiabile e lui era passato dal vivere per la clinica a farlo tutto in favore della sua nuova famiglia. Anche se rispetto a sua moglie e ad Abby aveva dieci anni in più, quella decade non era che un numero, perché lui e Monica si integravano perfettamente. 

    Le spalle di Abby si abbassarono.

    —Mi sono ritrovata senza lavoro— gli confessò in un susurro, mentre le infermiere entravano per sistemare tutti i dispositivi medici dei pazienti. —Troverò altro, ma per ora dirò a mio nonno che ho preso una vacanza di un paio di giorni. Non vorrei preoccuparlo.

    Spencer fece di no con la testa e i capelli biondi si mossero leggermente.

    —Mi dispiace. Cercherò di indagare se per caso si sa qualcosa per poterti impiegare—. Le diede una stretta affettuosa alla spalla. —Non voglio farti pressione, ma già sai che Monica sta aspettando che tu vada a conoscere i due gemelli. Credo che poco a poco tu possa superare l’episodio con quel verme di Rylan. Non so perché tu non lo abbia denunciato, Abby—. Scosse la testa con rassegnazione davanti alla sua espressione inquieta. In ogni caso, l’invito perché tu venga a trovarci è valido, ci piacerebbe molto averti a casa.

    Lei sorrise. Era felice per la sua amica che aveva avuto dei gemelli. 

    Inoltre, ogni volta che Spencer la chiedeva perché non aveva denunciato Rylan, lei aveva una risposta semplice. Non voleva fare dichiarazioni su quell’orribile episodio e che degli sconosciuti indagassero e giudicassero qualcosa che non avevano vissuto. Il suo ex fidanzato non aveva cercato di contattarla di nuovo, e si era trasferito in un altro stato. Ora era tranquilla ed era tutto quello che le interessava.

    —Grazie, Spencer— abbassò la voce ancora di più, —grazie per tutto quello che hai fatto per me. Andrò a vedere i gemelli appena potrò—. «O meglio appena sarò capace di vedere un bebé senza ricordare il mio passato e iniziare a tremare». Decise di cambiare discorso: —Grace mi ha detto che Oscar non ha più tempo...— guardò l’amico di suo nonno, che gesticolava con un gran sorriso. —È sicuro?

    Spencer annuì con rassegnazione. Nonostante trattasse pazienti col cancro tutti i giorni, non era meno triste sapere che alcuni di loro non superavano i test e i trattamenti. Alla fine non era solo la sofferenza di un paziente, ma di tutta una famiglia.

    —Ha combattuto con determinazione. È stato un grande paziente. Questo fa parte della mia frustrazione professionale, Abby. Non c’è niente che possiamo fare per la sua salute. Non vogliamo forzare il suo organismo.

    —Gli stanno facendo la chemio per vena come a tutti gli altri?—domandò afflitta.

    Dietro di loro, le infermiere terminarono di farli sedere tutti nelle sedie a rotelle nelle quali li sistemavano per la chemioterapia. Loro pretendevano di sistemarsi tutti in un semicerchio, così, mentre il trattamento gli passava nelle vene, chiacchieravano e guardavano qualche programma televisivo che gli piaceva. Quello era il modo di dimenticare il motivo per cui avevano gli aghi nel corpo, uno staff medico intorno e i loro corpi pativano drastiche devastazioni alla fine di ogni sessione.

    —No. Lui crede che sia così, ma adesso è solo siero. Abbiamo sospeso i prodotti chimici. La sua famiglia vuole che facciamo così.

    —Capisco. Pensa di curarsi, quindi...?— Il suo sguardo azzurro Si intristì. —Avrà speranza, finché un giorno semplicemente si spegnerà, vero?

    Spencer le accarezzò i capelli con affetto. Non rispose.

    —Abigail, non è giusto che tu beva tutto quel calice amaro da sola. Non potrò mai ricompensarti del tutto per avermi fatto conoscere la donna della mia vita, ma almeno dai retta a mia moglie. Accetta uno dei suoi appuntamenti al buio.

    Questo le fece fare una risata.

    —Spencer, di’ a Monica che per ora non sono interessata agli appuntamenti al buio. Solo a ricordare tutti quelli che mi organizzava all’università mi vengono i brividi—. Entrambi risero, dimenticando per un momento il motivo che li riuniva in quella stanza della clinica. —Inoltre, se io non vi avessi presentati, di sicuro il destino si sarebbe incaricato di farlo in un altro momento. 

    Spencer la guardò con affetto fraterno.

    —Tra un paio di settimane organizzeremo un barbecue. Verranno alcuni amici, che ne pensi di unirti a noi?

    —Ci penserò, grazie.

    —Bene, sai dove stiamo—. Si girò verso i quattro pazienti ritornando al suo tono professionale: —Ora devo assistere questi signori— disse a voce alta, —forza con l’ottimismo, signori. 

    Quella notte, Abby riuscì a malapena a dormire. Suo nonno aveva sopportato bene il trattamento, ma la fatica nei suoi occhi contrastava con il perenne sorriso, ogni volta che la guardava. Dopo essere uscita dalla clinica era passata da un McDonald´s. Si sentiva troppo stanca per cucinare qualcosa di sufficientemente sano.

    «Domani sarà un giorno migliore», pensò quando si trovò nella sua stanza, prima di accomodarsi tra i cuscini sul suo comodo materasso. Chiuse gli occhi e decise che, solo per quella notte, avrebbe riposto le preoccupazioni in fondo alla mente.

    CAPITOLO 2

    ––––––––

    Un batuffolo piccolo e morbido gli saltò addosso svegliandolo all’istante. Con un sorriso, Cole Sherman aprì gli occhi e prese sua figlia di cinque anni in braccio. Le scompigliò i capelli neri e lisci, mentre la piccola rideva.

    —Mi hai preso! Mi hai preso, papà!— gridò euforica, cercando di liberarsi dalle mani abbronzate e forti che la lanciavano in aria giocosamente. —Mettimi giù! Mettimi giù!— esclamò ridendo.

    —Come sta la mia bimba cattiva oggi, eh?— chiese con voce piena d’affetto. Tenere sua figlia in braccio era la sensazione più bella del mondo. La amava con tutto il cuore. Quella mattina ripetevano il gioco di ogni fine settimana. Quando lo svegliava, la domenica, lui fingeva di essere colto di sorpresa, e, in cambio, lei scoppiava a ridere quando la lanciava in aria e dopo le faceva il solletico. —Hai dormito bene, Hannah?

    —Sì—sorrise con tutti i suoi dentini. —Voglio la marmellata di fragole. Ho fame, molta fame—. Il pancino brontolò dimostrando che era vero.

    Lui affondò il naso nel collo di sua figlia e respirò l’odore di bambina, di innocenza e amore. Essere un padre single non era per niente facile, e, anche se sua madre a volte lo guidava nella cura di Hannah, lottare con i capricci, le malattie infantili e i compiti di scuola, gli faceva venire i capelli grigi. Ma adorava sua figlia, e qualunque sforzo valeva la pena per vederla sorridere. 

    In qualità di specialista della programmazione di computer doveva anche gestire il suo negozio e concentrarsi il più possibile perché i software uscissero convertiti in progetti di perfetta esecuzione. Era così che si guadagnava da vivere. Creava programmi di sviluppo per multinazionali. Era il migliore nel suo campo e aveva alle spalle innumerevoli premi e riconoscimenti. Aveva fondato la sua società, la Zaga Corporation, quando aveva venticinque anni, cioè undici anni prima. Aveva ottenuto il finanziamento grazie a Matheo Ripollini, un professore della sua università, la Loyola University del Maryland, che casualmente era il padre di Celeste.

    Ricordava come si era sentito, il giorno che aveva conosciuto la madre di Hannah. 

    Era stato durante una fiera accademica di cui Matheo era l’organizzatore. Celeste era apparsa vicino al suo stand e lo aveva lasciato a bocca aperta. Era alta quasi come lui, un metro e ottantacinque, aveva i capelli neri e ondulati fino alle spalle e gli occhi verdi più impressionanti che avesse mai visto. Erano diventati amici facilmente. Lei aveva un gran senso dell’umorismo ed era una donna energica e decisa in tutti i sensi. Aveva anche un master in letteratura inglese, e lui aveva appena preso il suo dottorato in informatica a un’età molto precoce; non per niente lo consideravano praticamente un genio degli algoritmi e del linguaggio informatico. Lui e Celeste stavano insieme da due anni quando lei era rimasta incinta di Hannah, e si erano sposati. 

    La Zaga Corporation aveva iniziato a prosperare rapidamente, e questo aveva ridotto il tempo che poteva trascorrere in casa con sua moglie o per andare alle feste. Quindi erano arrivate le discussioni, i risentimenti, e piano piano aveva avvertito come lei si stesse allontanando senza cercare di capire che lui si sforzava di darle una vita migliore. 

    Il loro era stato un matrimonio carico di irascibilità e litigi che terminavano con un sesso allucinante. Ma, per Cole, la passione non era sufficiente. Dopo la nascita di Hannah, sua moglie era diventata più esigente e impegnativa nel corso del tempo, ma lui era nel mezzo dei progetti di espansione e non poteva soddisfare tutte le sue esigenze. La Celeste dolce e comprensiva di quei due anni di fidanzamento non c’era più.

    Un giorno, non sapeva perché, forse per la solitudine, era tornato a casa inaspettatamente e gli era preso

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