Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il principio di causalità: Antonio Rosmini e la metafisica agapica
Il principio di causalità: Antonio Rosmini e la metafisica agapica
Il principio di causalità: Antonio Rosmini e la metafisica agapica
Ebook879 pages13 hours

Il principio di causalità: Antonio Rosmini e la metafisica agapica

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

«Dio non gioca a dadi con l’universo» (A. Einstein). Chi è responsabile del dolore innocente? Esiste una provvidenza? La libertà umana è effettiva oppure tutto dipende da Dio in modo necessario? Che Dio è quello cristiano? Il volume ricostruisce l’immagine di Dio e dell’uomo attraverso l’analisi dei testi di Antonio Rosmini. Anche se ogni possibile risposta, per quanto articolata e riflessa, non può che dirsi un frammento della verità, il Roveretano non si esime dall’indagare i nessi profondi che legano la creatura al Creatore. Si delinea un’antropologia “completa”. Autonoma al punto da aprirsi alla ricerca del “tutto”, in cui la ragione è capace di fondare la sua azione sia nella morale derivata dall’essere ideale, sia nella realtà percepita dal sentimento fondamentale. Allo stesso tempo, l’antropologia non può non aprirsi alla teologia, anelando ad un oltre “soprannaturale” diretto dalla divina Rivelazione e dall’efficacia della grazia. L’ “Ente Infinito” è cosi inizialmente compreso come sommamente sapiente, usando la “legge del minimo mezzo” per la “distribuzione” dei beni e dei mali nel mondo. Ma la riflessione su di Lui si dispiega in profondità attraverso la figura agapica del Cristo sofferente, fino al coronamento teosofico della catena ontologica. Alla fine del volume l’autore, sulla scorta dei risultati ottenuti nel percorso, propone una lettura della “causalità tecnica” che caratterizza i tempi odierni.

Prefazione di Giuseppe Lorizio
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2020
ISBN9788838250064
Il principio di causalità: Antonio Rosmini e la metafisica agapica

Related to Il principio di causalità

Related ebooks

Philosophy For You

View More

Related articles

Reviews for Il principio di causalità

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il principio di causalità - Marco Staffolani

    Marco Staffolani

    Il principio di causalità

    Antonio Rosmini e la metafisica agapica

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-5006-4

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838250064

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    ABBREVIAZIONI E SIGLE

    PREFAZIONE

    I. INTRODUZIONE

    1. La scelta dei testi

    2. La metodologia

    3. Il sapere rosminiano: tra frammento e sistema

    II. LA CAUSALITÀ IN PROSPETTIVA ANTROPOLOGICO MORALE

    1. L’uomo tra facoltà attive e passive

    2. L’essere misto

    3. La volontà

    4. La dimensione morale

    5. La libertà

    6. La persona come causa

    7. Conclusioni e lettura agapica: le caratteristiche della libertà umana

    III. LA CAUSALITÀ IN PROSPETTIVA APOLOGETICA

    1. La ragione umana e le sue possibilità di indagine

    2. Dalle tre leggi dell’attività dell’essere agli sviluppi della ragione sufficiente

    3 Dalla ragione sufficiente alla legge del minimo mezzo

    4. Dio causa dell’universo

    5. Conclusioni e lettura agapica: la preziosità del limite finito agli occhi dell’Infinito

    IV. LA CAUSALITÀ IN PROSPETTIVA TEOLOGICA

    1. L’azione reale della grazia

    2. Il sentimento del tutto

    3. La causalità formale oggettiva

    4. La grazia specifica delle Persone divine

    5. L’atto di fede

    6. Conclusioni e lettura agapica: vivere nell’altro da sé

    V. LA CAUSALITÀ IN PROSPETTIVA TEO-ONTOLOGICA

    1. La via ideologica e la via ontologica

    2. La causa dedotta per via ideologica nell’astrazione comune

    3. La causa dedotta per via ontologica nell’astrazione teosofica

    4. La catena ontologica

    5. Conclusioni e lettura agapica: trasferimenti d’amore tra il Finito e l’infinito

    VI. LA CAUSALITÀ NELLA METAFISICA AGAPICA ALLA LUCE DEI SAPERI

    1. Storia della dignità della persona e suo culmine nella libertà

    2. I paradossi della libertà e della causalità

    3. Un confronto tra causalità rosminiana e causalità nel tempo attuale

    4. Mancante in Rosmini, oltre Rosmini

    5. Conclusioni

    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA

    Studium

    219.

    Questo ebook è protetto da Watermark e contiene i dati di acquisto del lettore: Nome, Cognome, Id dell'utente, Nome dell'Editore, Nome del Content Supplier che ha inserito l'articolo, Data di vendita dell'articolo, Identificativo univoco dell'articolo. Identificativo univoco della riga d'ordine.

    È vietata e perseguibile a norma di legge l'utilizzazione non prevista dalle norme sui diritti d'autore, in particolare concernente la duplicazione, traduzioni, microfilm, la registrazione e l’elaborazione attraverso sistemi elettronici.

    ABBREVIAZIONI E SIGLE

    Le opere di Rosmini che vengono prese in considerazione sono in edizione critica (ancora in corso di completamento) attraverso la casa editrice Città Nuova di Roma ed il Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa CISR. Tale edizione critica sarà indicata con l’abbreviazione EC. Di seguito le sigle che indicheranno i vari libri. La sigla sarà sempre seguita dal numero della pagina, o dove applicabile, dal numero del paragrafo secondo la numerazione di Rosmini stesso o degli editori successivi.

    AM = Antropologia in servizio della scienza morale. Libri quattro, a cura di F. Evain, Roma-Stresa (VB) 1981 (EC 24) AS = Antropologia soprannaturale, a cura di U. Muratore, Roma-Stresa (VB) 1983 I, II (EC 39-40)

    CE = Compendio di Etica. E breve storia di essa, a cura di M. manganelli, Roma-Stresa (VB) 1998 (EC 29)

    FE = Sulla felicità. Saggi su Foscolo, Gioia, Romagnosi, a cura di P. P. Ottonello, Roma-Stresa (VB) 2011 (EC 54)

    IF = Introduzione alla filosofia, a cura di P.P. Ottonello, Roma-Stresa (VB) 1979 (EC 2)

    IVG= L’introduzione del vangelo secondo Giovanni commentata. Libri tre, a cura di S.F. Tadini, Roma-Stresa (VB) 2009 (EC 41)

    L = Logica, a cura di V. Sala, Città Nuova - CISR, Roma-Stresa (VB) 1984 (EC 8)

    NS = Nuovo saggio sull’origine delle idee, a cura di G. Messina, Roma-Stresa (VB) 2003 I-III (EC 3-5)

    P = Psicologia. Libri dieci, a cura di V. Sala, Città Nuova - CISR, Roma-Stresa (VB) 1988-89 I-IV (EC 9,9/A,10,10/A) TCM = Trattato della coscienza morale, a cura di U. Muratore - S.F. Tadini, Roma-Stresa (VB) 2012 (EC 25)

    PSM = Principi della scienza morale, a cura di U. Muratore, Roma-Stresa (VB) 1990 (EC 23)

    T = Teosofia, a cura di M. A. Raschini, P.P. Ottonello, Roma-Stresa (VB) 1998-2002 I-VI (EC 12-17)

    TD = Teodicea. Libri tre, a cura di U. Muratore, Roma-Stresa (VB) 1977 (EC 22)

    Le citazioni dell’Epistolario Rosminiano sono prese da: A. Rosmini, Epistolario completo di Antonio Rosmini-Serbati, Tipografia Giovanni Pane, Casale Monferrato (AL) 1887, (numerazione pagine dalla versione elettronica a cura di G. Picenardi, Stresa 2016). La citazione prevede il numero del volume, il numero della lettera, il destinatario, la data e le pagine di riferimento (alla versione elettronica).

    Infine con la sigla STh sarà indicata la Summa Theologiae di S. Tommaso, seguita dal numero della pars, della quaestio e dell’articulus.

    PREFAZIONE

    GIUSEPPE LORIZIO

    Nonostante sia rivolto ad un autore dell’Ottocento, come Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), il lavoro di Marco Staffolani risulta di sorprendente attualità e continuerà ad esserlo soprattutto in occasione di momenti tragici quale quello che il villaggio globale sta vivendo in questi mesi. E ciò soprattutto per la tematica che affronta e a partire dalla quale interroga il pensiero rosminiano, mettendone in luce la suggestiva prismaticità. La ricerca della causa (o delle cause) ci affligge spesso sia nella nostra esistenza quotidiana che quando ci troviamo di fronte ad eventi eccezionali. Finché non possediamo o dominiamo la causalità dei fenomeni, avvertiamo angoscia e senso di impotenza, allorché la intravediamo, ci apriamo alla speranza e alla possibilità di sconfiggere i mali. Ma arrivare alla comprensione perfetta della prima causa è pura utopia, per cui dobbiamo accontentarci di ipotesi provvisorie e di spiegazioni frammentarie, a meno che - come suggerisce il divino Platone (così lo chiamava il Roveretano) - non ci affidiamo a una divina rivelazione, ovvero a un logos divino, dal quale attingere risposte agli interrogativi che albergano nel nostro cuore e nella nostra mente. Dunque, non sarà fuori luogo interpellare un maestro del pensiero quale è stato il Roveretano, per rinvenire nelle sue opere tracciati di risposta alle nostre domande di senso, ma al tempo stesso evitando di ripeterne pedissequamente le formule (come accade ogni volta che da un geniale autore si genera una scolastica), ma per cercare di salire sulle sue spalle (come nani) onde pensare in grande e guardare più lontano.

    Fedele alle indicazioni del suo Doktorvater, Staffolani ha opportunamente evitato di arrampicarsi sugli specchi per tentare attualizzazioni frettolose della tematica. Così si fa la ricerca anche in teologia: non si può saltare la storia e l’analisi dei testi e della relativa storiografia per affrontare le problematiche del presente, quando si decide di studiare un autore del passato. Tuttavia il lavoro certosino e puntuale dell’autore di questo prezioso volume consente di cogliere alcune perle, che non possono non interpellare l’oggi della storia. Spunti di notevole interesse a questo riguardo, vengono messi in campo allorché si affronta la tematica della tecnologia e del rapporto uomo/macchina (cf. par. VI.3).

    In primo luogo si tratta del carattere trasversale del principio di causalità, che interpella non solo la teologia e la filosofia, bensì anche scienze come la fisica e la biologia. In questo senso Staffolani è molto sensibile al fatto che Rosmini dedica attenzione alle diverse forme del sapere, sebbene nelle espressioni che attengono al proprio contesto culturale. Così il lavoro che abbiamo fra le mani, costituisce un autentico saggio di teologia fondamentale, proprio in quanto questa regione del pensiero teologico si struttura come disciplina di frontiera epistemologica e contestuale, aprendosi e attuando la raccomandazione della Veritatis gaudium di attuare una teologia che sappia essere insieme interdisciplinare e transdisciplinare, laddove il passaggio dal primo al secondo livello si coglie nella prospettiva della metafisica agapica, cui conduce l’itinerario del Roveretano, attentamente analizzato dall’autore.

    In secondo luogo risulterà molto istruttiva per il presente la lettura delle pagine dedicate al rapporto fra sistema e frammento (cf. par. I.3). Non aiuta, infatti, né la comprensione del pensiero rosminiano, né il tentativo di innestarlo nel presente, pensarlo e descriverlo come un sistema compiuto. Molte delle opere propriamente teologiche del Rosmini sono infatti incompiute, compresa la monumentale Teosofia, attraverso la quale si può leggere retrospettivamente, come in una sorta di flashback tutto l’itinerario percorso dal pensatore. Quella che si percepisce nello studio dei diversi momenti del lavoro intellettuale del Roveretano è infatti una costante tensione sistematica, per cui la sua, come del resto la riflessione di tutti i grandi intellettuali di ogni tempo e di ogni latitudine è una vera e propria filosofia in divenire e come tale va interpretata, anche nella sua genesi.

    Il principio di causalità, inteso e interpretato nella logica della filosofia cristiana, evoca il rapporto fra necessità e libertà e in tal senso viene decisamente superato il determinismo scientista, che gran parte del pensiero scientifico dell’Ottocento ha fatto proprio e di cui, al contrario, le scienze fisiche e matematiche contemporanee si sono definitivamente liberate, anche se tale prospettiva resta dominante nella percezione della cultura diffusa mediaticamente, che nulla ha a che fare con l’autentica scientificità.

    Nell’ambito di un’antropologia teologica, che si innesti nella metafisica agapica, risultano di grande suggestione le riflessioni dedicate al tema della solitudine elettiva (cf. par. III.5.1). «Dall’analisi dell’agire divino - scrive Staffolani - di fronte al sì o al no dell’uomo, si riscontra una solitudine della creatura. Dio lascia l’uomo a sé stesso nel momento della elezione. Come specificato nella legge della permissione del male, la libertà della creatura è assicurata dal fatto che l’Onnipotente non interviene né positivamente né negativamente nel contenuto della decisione della creatura. Questo significa che la decisione umana non viene influenzata in alcun modo, e che l’intervento divino, dopo la scelta libera, si limita a dare continuità agli avvenimenti secondo l’elezione/causazione decisa/attuata dall’uomo. Naturalmente sullo sfondo rimane l’azione generale e positiva di Dio che è volta a portare a sé la creatura con tutti gli aiuti possibili e necessari senza toglierle nessuna responsabilità e conquista propria». Qui, molto opportunamente, siamo messi di fronte alle due immagini prevalenti del Dio della Rivelazione, che risultano difficilmente conciliabili: il Dio lontano, giudice e amministratore e il Dio vicino e misericordioso, addirittura sofferente con l’umanità.

    Da queste puntuali riflessioni si ricava la necessità di pensare la causalità in maniera asimmetrica. E qui potrebbe venirci incontro la figura della causalità errante, evocata da Platone nel Timeo (48b), come tentativo di superare gli orizzonti esclusivi dell’intelligenza e della necessità nella ricerca sulle origini del tutto. Come spesso accade, in questo contesto, Platone non sviluppa il sintagma e forse per questa sua reticenza dovremmo ricorrere alla dimensione esoterica o non scritta della sua filosofia. Come altrove ho avuto modo di rilevare e come si può percepire dopo una lettura non superficiale di questo saggio, Rosmini fa propria questa modalità, per la quale non si può immediatamente dire o scrivere tutto per tutti. Chiunque intenda approcciare adeguatamente il pensiero del Roveretano non può trascurare le tappe del suo cammino intellettuale e spirituale, così come lui stesso le descrive, non per il grande pubblico, ma per chi ritiene possa comprenderne la portata, nella lettera all’amico Giulio Padulli del 1 marzo 1828.

    Al primo grado o livello si pone la questione gnoseologica ed ideologica, che ha come punto di partenza l’«idealismo dei corpi», che conduce all’«idealismo dello spazio e del tempo» e quindi all’«idealismo dei principi della ragione» per giungere all’«idealismo della verità», raggiunto il quale si scopre l’«unica forma della ragione, ossia la verità». Fino a questo punto siamo ancora nella metafisica comune, ma da questo punto si ha in mano la chiave per procedere avanti verso «la terribile questione dell’essenza delle cose», ossia verso la metafisica sublime, dove «la scienza prende un corso nuovo, e non è un viaggio per tutti».

    Approdiamo così al secondo grado o livello del sapere, dove si affronta la questione dei «due modi di esistere delle cose», «nella quale quando si è venuti si prova una meraviglia, un gaudio intellettuale incredibile». Attenzione però, aggiunge il Roveretano, non bisogna confondere questo momento, in cui si tratta delle essenze, con quello in cui si è parlato delle idee astratte, esse non vanno identificate con le essenze, ma costituiscono una via verso la loro conoscenza. La questione dei due modi di esistere delle cose ci porta al terzo grado del sapere, dove si incontra la questione della natura di Dio, «nella quale come in una luce inaccessibile la mente umana si immerge, e si smarrisce».

    Il terzo grado del sapere metafisico è per Rosmini la dotta ignoranza, un sapere congetturale, che, in quanto tale, non ha alcuna pretesa di esaurire il mistero che contempla e adora. Viene in mente a questo proposito un famoso luogo della Teosofia, dove si parla del rapporto fra le tre forme dell’essere e le tre persone della SS. Trinità. Anche qui la dotta ignoranza cusaniana viene richiamata per dire in che senso questa misteriosa dottrina possa entrare nel campo della filosofia, «intendendo noi sotto questa voce tutto ciò che per filo di raziocinio ci conduce all’invenzione e al conoscimento delle ultime ragioni delle cose». La filosofia, infatti, è chiamata a ricevere il mistero trinitario e a trarne tutte le possibili conseguenze.

    La metafisica sublime (titolo di un’opera di Marco Mastrofini, che Rosmini conosceva bene), terzo grado del sapere metafisico, riservata soltanto ai veri adepti, fa sì che, verso la fine della lettera, egli, quasi si identifichi con Platone, rilevando delle forti affinità fra il pensiero del grande filosofo greco e il proprio modo di intendere la conoscenza metafisica: «anch’egli - scrive il Roveretano - riserba la questione delle essenze ai suoi adepti, ai suoi più secreti discepoli, come quella che appartiene ad una scienza più sublime. Io ho fatto osservazione che quando Platone passa dal discorso delle idee astratte a parlare delle essenze delle cose muta anche tuono e stile. Fino che parla delle idee astratte ragiona come un uomo che ricerca la verità. Ma quando tocca delle essenze, allora narra come un sacerdote, parla una scienza tradizionale, che dice d’aver imparata da degli uomini sacri, e da delle donne inspirate». Lo stesso Roveretano in un altro luogo dell’epistolario, confiderà ad un suo carissimo amico (Paolo Barola, lettera del 21 marzo 1841) di avere chiara coscienza dell’origine divina del suo sapere, esprimendosi con queste parole: «[...] sono persuaso che la mia dottrina sia da Dio, e che egli solo me la comunichi, e vi dirò anche, senza adoperare gran fatto mezzi umani, e mediante il lume della sua grazia: questa persuasione non mi fa credere già di essere infallibile, Dio me ne guardi, e so troppo bene che anche alle dottrine che mi manifesta il Signore posso mescolarvi della mia farina, e ve ne mescolo certamente poca o molta, la quale potrà ben essere da chicchessia vagliata e sceverata da quelli che hanno il dono del Signore. Tutto ciò presso di noi soli».

    Siamo di fronte alla dimensione mistica del pensiero rosminiano, cui Staffolani opportunamente accenna nel momento in cui mette in luce il carattere di inoggettivazione del mistero di Dio, che si riflette nell’identificazione del principio di causalità, in un suggestivo riferimento al canto IX del Paradiso di Dante (di cui il prossimo anno ricorderemo i 700 anni dalla morte). Mi piace, differentemente da quanto fa Staffolani, interpretare il verso 81 della Cantica nell’orizzonte dell’intuizione (intellettuale). Infatti il poeta usa il termine intuassi, decisamente assonante con l’intuito, interpretabile certamente come leggere dentro: «s’io m’intuassi come tu m’inmii». E, poiché la Teodicea è il testo chiave da interpellare nel tempo della tragedia, mi permetto di ricordare quanto ho recentemente espresso a proposito del tragico: «Il tragico è l’organo supremo dell’intuizione intellettuale e nel nefas della tragedia, nella lontananza massima del dio dall’uomo, traspare, quasi per absentiam l’unità dell’essere e la presenza del divino e della totalità della vita nell’uomo» [Remo Bodei, Hölderlin: la filosofia e il tragico, in F. Hölderlin, Sul tragico, Feltrinelli, Milano 2017 ²]. Pensando ad Edipo ed Antigone, il poeta filosofo tedesco ebbe a scrivere: «Una intuizione intellettuale che non può essere altro che l’unione con tutto ciò che vive; questa non può essere certo sentita da un animo ( Gemüt) angusto, può solo essere presentita nelle sue più alte aspirazioni, ma può essere riconosciuta dallo spirito ( Geist) e deriva dall’impossibilità di una scissione e di un isolamento ( Vereinzelung) assoluto» (Werke IV). «Solo l’intuizione intellettuale al culmine della scissione lascia trasparire l’unità dell’io con la natura infinita» (R. Bodei), ma siamo anche avvertiti del fatto che non è l’eroe tragico il soggetto di tale intuizione, bensì lo spettatore o, se si vuole, il lettore, di tragedie. La catarsi passa attraverso questa conoscenza intuitiva, che segue l’immaginazione e precede la riflessione. E il tutto nella prospettiva di quel quartetto delle dissonanze, che mozartianamente (K 465) le risolve in armoniche sequenze (Hölderlin suonatore di violino e di flauto conosceva bene questi termini musicali). Questo orizzonte mistico consente, nonostante le differenze e le critiche che il Roveretano rivolge al filosofo francese, di accostare la metafisica rosminiana a quella di Nicolas Malebranche, declinando proprio il principio di causalità in una prospettiva teologica e filosofica, ovvero teosofica, di grande impatto anche sul momento presente.

    Rosmini, come mostra Staffolani nella sua descrizione della catena ontologica (cf par. V.4), supera la visione aristotelica della causalità (la dottrina delle quattro cause, che Malebranche denominava filosofia del serpente), onde situarla all’interno della sua prospettiva trinitaria e della sua logica triadica. E questa ermeneutica rosminiana ci apre almeno a una duplice possibilità di attualizzazione.

    In primo luogo la triplice forma della causa (efficiente, esemplare e finale) ci può opportunamente orientare nel labirinto degli interrogativi che ci raggiungono in queste tristi circostanze. La ricerca della causa efficiente della pandemia, ci disorienta e ci trova ancora senza risposte, anche perché la si può individuare in senso naturale, ritenendo il virus prodotto da una natura che nel suo dinamismo prevede anche la legge dell’antagonismo. Ma in questo contesto naturalistico, si inserisce la trasgressione, ovvero il peccato, che rende ancor più tragico il mistero del male. La figura della causa esemplare ci conduce a pensare e vivere la tragedia presente sotto il segno della croce, elaborando così una teodicea staurologica, quale quella del Rosmini, ma non solo. L’esemplarismo in questa direzione va quindi pensato non all’inizio o nelle origini dell’universo e nell’uomo, ma nella storia, che è insieme dramma e salvezza. La causa finale ci suggerisce di riflettere sul senso degli avvenimenti alla luce della loro fine, per coglierne il fine. Poiché questo a noi non è dato immediatamente, ecco l’opportunità di leggere la storia alla luce dell’Apocalisse, come appunto fa il Roveretano nella sua Teodicea.

    La necessità di imparare il pensiero intuitivo e insieme del superamento della logica e metafisica aristoteliche è stata recentemente espressa nell’ultimo libro di James Lovelock (scritto nel suo centesimo anno di vita), intitolato Novacene. L’età dell’iperintelligenza (Bollati Boringhieri, Torino 2020). Qui ho avuto modo di rinvenire pagine particolarmente interessanti per la nostra tematica. L’ideatore dell’ipotesi Gaia, così scrive: «Quando ero molto più giovane accettai la classica prospettiva oer cui il cosmo sarebbe un sistema lineare basato su cause ed effetti. B è causato da A e a sua volta è causa di C». Ora, dopo Gaia, l’eccentrico e geniale scienziato-filosofo avverte che un sistema monodimensionale non può spiegare una realtà multidimensionale (diremmo poliedrica) e quindi la logica «concisa e pura che facciamo risalire ad Aristotele» per quanto utile non riesce a spiegare il reale nella sua complessità. Di qui la necessità di tornare all’intuizione intellettuale perché «la civiltà umana ha preso una brutta piega quando ha cominciato a denigrare l’intuizione. Senza di essa moriremmo. Come ha detto Einstein: La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Noi viviamo in una società che rende onore al servo e ha dimenticato il dono».

    Fra le tante qualità del saggio di Staffolani vi è senz’altro quella di aver messo in luce il carattere originariamente intuitivo del pensiero rosminiano, attraverso il quale possiamo aprirci ad una comprensione/interpretazione del presente che può riservarci incredibili sorprese e sostenerci nel tempo della prova. Siamo pertanto grati al giovane autore e alla sua acribia per averci offerto un libro che va ben oltre le interpretazioni scolastiche del genio roveretano e al quale auguriamo tutto il successo che merita.

    5 settembre 2020

    memoria di madre Teresa di Calcutta

    I. INTRODUZIONE

    Il tema del principio di causalità [1] in Rosmini è un tema trasversale. Troviamo la sua trattazione sia negli scritti giovanili (ad esempio nel Nuovo Saggio con la fondazione dei principi primi nell’idea dell’essere), sia negli scritti della maturità (nella Teosofia con la trattazione del rapporto causale tra Creatore e creatura).

    L’originalità del nostro lavoro è il tentativo di un bilancio complessivo: pochissimi titoli hanno a che fare con la causa, altri trattano dell’orizzonte agapico, ma l’intreccio delle due prospettive, se vogliamo brevemente di una causa agapica, non ci risulta ancora preso in considerazione.

    Lo scopo del lavoro è quello di leggere la causalità da diversi fronti, per svelare una strutturazione causale di tutto l’essere, in particolare nel rapporto creatura Creatore.


    [1] Rosmini utilizza diverse espressioni per riferirsi alla riflessione sulla causa: principio di causalità, principio di causa, causalità, causazione. L’utilizzo delle formule non è sempre omogeneo. Nel titolo dell’opera si è preferito parlare di principio di causalità ad indicare un valore universale, che potesse allo stesso tempo contenere sia il principio filosofico, sia la comprensione del rapporto causale che si viene a creare tra le varie forme dell’essere, sia l’indicazione del legame vitale creatore creatura, sia l’agire della grazia nella creatura.

    1. La scelta dei testi

    I testi rosminiani scelti per inferire tale dimensione causale saranno brevemente elencati di seguito e presentati per i loro argomenti inerenti al tema del nostro lavoro.

    Nell’ Antropologia in servizio della scienza morale Rosmini, partendo dalla fondazione sensitiva e intellettiva dell’uomo, fino al suo coronamento come soggetto libero capace di scegliere tra bene soggettivo e bene oggettivo, espone il legame tra libertà e causalità personale intesa come attribuzione di merito o demerito (responsabilità dell’azione) di fronte alla morale.

    Nella Teodicea viene presentata una lettura della logica creativa/amministratrice di Dio nei confronti dell’universo: non più il semplice principio di ragione sufficiente di Leibniz ma la sua estensione alla legge del minimo mezzo. Alla somma sapienza di Dio si addice la realizzazione di un massimo di bene creato (nonostante il male che è sempre permesso) con il minimo dispendio di azione creatrice.

    Tale legge è così densa e generale che da essa si evincono (tra le altre) due leggi (la legge del germe e il principio d’una creatura autrice della propria perfezione) che in modo complementare permettono di descrivere la perfezione che Dio pensa per le sue creature. Gli enti non vengono creati immutabili e compiuti, ma costituiti perfettibili, cioè dotati della capacità di costituirsi e perfezionarsi da sé, come spazio di libertà per il loro essere cause seconde.

    Il testo di Antropologia soprannaturale presenta in dettaglio l’azione della grazia che lega i due ordini naturale e soprannaturale, elevando il primo al secondo come suo compimento. Quest’elevazione considerata principalmente in versione personale (ma accennata anche in versione cosmica nella sua trattazione dell’uomo redento dal peccato) dice la realizzazione del gran disegno dell’universo. Dio desidera imprimere la sua forma nelle creature e portarle ad una conoscenza di Lui, non più solo negativa o analogica, ma piena.

    In questo l’operare di Dio come causa formale oggettiva permette a Rosmini di tenere separata l’opera di Dio da Sé stesso, e che il causato (l’uomo a cui perviene la grazia) assuma tale forma divina senza per questo mischiarsi con l’identità divina. In questo dinamismo si svelano le innumerevoli sfaccettature dell’azione della grazia, che come principio causale ha lo scopo di realizzare l’unione tra Dio e l’uomo

    Nel Nuovo saggio sull’origine delle idee viene presentato il fondamento del sistema rosminiano che è l’idea dell’essere. Relativamente al nostro tema, avendo sullo sfondo la critica ai diversi sistemi filosofici che hanno peccato per poche o troppe basi a fondamento del pensiero umano, ci interesserà il confronto di Rosmini con Kant. Il concetto di causalità per la metafisica non può essere pericolosamente legato ad un modo soggettivo di essere percepito e compreso, pena la relatività, o peggio il dissolvimento dell’oggettività della realtà come prodotto della psiche umana.

    Il testo di Teosofia infine è il capolavoro (incompiuto e edito postumo) di tutta l’opera rosminiana. In esso il Roveretano tratta della catena ontologica, un tentativo di descrizione metafisica per ricapitolare nell’unica Causa/Principio l’opera del Causato (creato), attraverso il passaggio per «12 anelli d’oro» che leghino insieme la produzione del finito e dell’Infinito.

    Il testo presenta il grande progetto che giustifica il Causato, chiamato il gran fine dell’universo che è quello di fare in modo che Dio possa amare non solo sé stesso nella sua triplice dimensione divina (le tre persone della Trinità) ma che possa ritrovare sé stesso nelle sue creature una volta che queste abbiano, in qualche modo, assunto la Sua stessa forma, di modo che la dignità ontologica del finito sia così elevata al cospetto di quella divina, e dunque degna di essere amata anche da Dio.

    2. La metodologia

    Avendo come scopo la lettura complessiva di diverse opere ed inferire da queste una visione quanto più completa del principio di causalità, si procederà prima alla presentazione di alcuni snodi principali della teoresi rosminiana, già da questo capitolo, come strumenti introduttivi al pensiero del Roveretano: idea dell’essere, forme categoriche, sintesismo e insessione e rapporto fede/ragione. Si tratterà poi di specificare i termini in gioco, in particolare il termine metafisica come inteso da Rosmini e la locuzione metafisica della carità/metafisica agapica come inteso odiernamente.

    Nello svolgimento dei vari capitoli si presenterà la dottrina della causa per come essa viene declinata dai vari testi che abbiamo preso in considerazione, valutando che ogni testo ha uno scopo differente e non centrato esclusivamente sulla problematica indagata. Si passerà in rassegna un vasto numero di argomenti, dalla strutturazione dell’uomo, con il suo conoscere, il suo leggere la storia, le sue limitazioni, fino a indagare la figura di Dio, sia nella relazione Creatura creatore, sia nella più intima conoscenza personale che Egli può dare di sé stesso tramite un’inabitazione spirituale.

    Ogni testo verrà analizzato con lo scopo di ricavare delle conclusioni parziali sulla figura dell’uomo, su Dio, e sulla storia che li lega. In particolare, alla fine di ogni capitolo si cercherà di leggere quanto acquisito nell’ottica della metafisica agapica, per costruire quei mattoni che di volta in volta confluiranno come materiale per il capitolo finale di sintesi.

    In questo ultimo passaggio del nostro lavoro troverà posto anche un confronto tra la causalità agapica rosminiana (riflettuta alla luce del percorso fatto) e la causalità tecnica dei nostri giorni (riflettuta alla luce di una comprensione neomoderna).

    3. Il sapere rosminiano: tra frammento e sistema

    Tutto il sapere che Rosmini cerca di descrivere è la ricerca, e la sistematizzazione allo stesso tempo, di quanto filosofia, teologia, antropologia [1] ecc. possono far conoscere all’uomo riguardo a sé stesso e al tutto che lo circonda. Questo anelito al sistema nella teoria rosminiana non è soltanto un ridurre il tutto ad unità, scoprire ed elevarsi ai principi primi che stanno al fondo delle cose, così che quello che appare molteplice e multiforme possa essere ricondotto alla spiegazione della sua essenza. Rosmini desidera che il singolo ente scoperto nella potenza della sua idea sia relazionato e visto nell’insieme di tutte le altre cose [2] .

    Se da una parte può sembrare che Rosmini sia un autore volto essenzialmente alla sistematicità, con il suo rigore logico e dimostrativo e omnicomprensivo, è anche vero che dal punto di vista storico, la sua opera più importante, che cerca di compendiare tutta la sua riflessione avvenuta dagli anni ‘20 fino agli ‘50 del 1800, la Teosofia, può essere vista come un grande frammento (opera incompiuta) derivato dalla sua dotta ignoranza [3] . Rosmini è consapevole che ogni sforzo speculativo non può riassumere ed esaurire il mistero del tutto [4] , ma che allo stesso tempo, per quanto piccolo, ogni passo è un progredire dell’uomo e un compiersi del mistero della sua esistenza caratterizzata dal dono del suo intelletto, immerso nell’Essere [5] .

    Rosmini svela che l’aporia del conoscere umano, nel suo desiderare il tutto senza badare troppo alle sue forze esplorative finite (per cui ogni sforzo rischia il fallimento), è in qualche modo relazionata all’altro mistero dell’unità dell’essere nelle sue tre forme, la cui comprensione più profonda può essere solo intravista dalla ragione, e che per essere afferrata necessita della rivelazione storica che Dio fa di sé stesso.

    La tensione dunque è prima di tutto teo-ontologica e successivamente gnoseologica: se il sistema infatti può mostrare l’unitarietà di varie parti che vengono ricondotte ad un’unità comune per l’astrazione che la mente riesce a fare dalle cose finite che le vengono confermate per i sensi, è pur vero che ogni speculazione filosofica è costretta a fermarsi ad indagare le ragioni ultime [6] che sfociano nella metafisica. Qui la conoscenza che indaga capisce che ogni sistema è inevitabilmente frammento, che l’uomo ha necessità di farsi dire da Dio, che la caratterizzazione umana d’essere un misto di finito e infinito non è giustapposizione casuale, ma una causazione sensatissima nell’orizzonte di una metafisica agapica che a lui si disvela per volere dell’Amore stesso.

    3.1 L’idea dell’essere

    Nel Nuovo saggio sull’origine delle idee Rosmini tratta della sua intuizione fondamentale che sta alla base di tutto il suo edificio speculativo: l’ idea dell’essere [7] . Partendo dalla premessa generale che noi esseri umani possiamo pensare l’essere in modo universale, l’intuizione dell’idea dell’essere non può essere ricavata in modo sensibile (non è qualcosa che perviene dai nostri sensi corporei, interni o esterni) [8] , piuttosto essa si configura come un’idea primitiva, presente nella nostra mente anteriormente a qualsiasi altro atto di pensiero.

    Tale precedenza si manifesta col fatto che pensare l’essere è pensarlo come semplice possibilità, e che tale possibilità di esistenza soltanto mentale è comune ad ogni cosa, prima ancora che essa sia reale. In questo senso l’idea dell’essere rappresenta quella prima idea attraverso cui ogni altra cosa pensata deve passare, il principio stesso di pensabilità degli enti. Per questo Rosmini ricava per essa diversi caratteri: oggettiva, ideale, possibile, semplice, unitaria, universale, necessaria, immutabile, eterna ed indeterminata [9] .

    Questo assicura che la conoscenza abbia un fondamento comune, indipendente dal conoscente, e che dunque ogni uomo abbia la possibilità di indagare la verità alla stessa maniera. Tale idea infatti, non derivando altro che dall’ontologia dell’uomo, risulta per questo innata, precedendo non solo tutte le conoscenze che si possono acquisire durante una vita umana, ma anche la stessa e basilare conoscenza che il soggetto ha di sé stesso. Come a dire che noi possiamo sapere chi siamo perché prima di tutto possiamo pensare l’essere (in modo innato) e che dunque noi siamo esistenti come determinazione reale e sensibile di esso.

    Lo stesso principio di causalità viene visto come una delle primissime applicazioni dell’idea dell’essere, costituendosi in principio primo. Rosmini non nega la difficoltà di individuare questi semplici mattoni primi del ragionamento in quanto così tanto usati, così tanto difficili da essere separati dalle loro applicazioni [10] .

    Nel seguito mostreremo, infatti, come a livello antropologico la conoscenza è data dalla sintesi della generalissima idea dell’essere (che risulta indeterminata nella sua potenzialità di essere applicata ad ogni cosa che può essere) e le sensazioni, che forniscono la sussistenza e la realità, e dunque anche l’ultima determinazione della percezione intellettiva.

    3.2 Le tre forme categoriche

    Le tre forme dell’essere sono la base filosofica su cui Rosmini costruisce tutto il suo edificio speculativo [11] .

    La prima forma dell’essere chiamata forma ideale inerisce alla caratteristica dell’essere di poter essere conosciuto, indagato, sondato, compreso dall’uomo in quanto l’essere è prima di tutto almeno possibile, teorico, pensabile. Per sua costituzione, l’essere non è contraddittorio ma appunto confacente alla verità e alla conoscenza. È questa la dimensione che corrisponde alla primissima idea dell’essere che è innata nell’uomo.

    La seconda forma che Rosmini individua è la forma reale che permette di riscontrare come non solo l’essere abiti il pensiero come idea e possibilità, ma che l’essere ha anche una dimensione fattiva, una sua «sussistenza» che vince il nulla, una sussistenza che permette ai sensi di toccare e affermare l’esistenza (di un oggetto) come reale e non solo come possibilità [12] .

    Da una parte dunque, la forma ideale è quella illuminativa dell’essere, cioè quella a cui attinge il pensare umano per arrivare alla conoscenza attraverso la formazione delle idee, pur rimanendo l’essere al tutto trasparente (ed immodificato) da questo operare dell’intelligenza umana; dall’altra abbiamo la forma reale, che indica la consistenza (lo spessore) che l’essere assume, anzi, per così dire, la consistenza stessa a cui le idee in qualche modo aspirano e che effettivamente possono essere sentite con il corpo e con i sensi.

    Si può notare come in Rosmini tutto ciò che esiste, ed in particolare ciò che gode della proprietà della vita, è legato alla forma reale, sussistente dell’essere. Ritorneremo in seguito sulla definizione di uomo, e vedremo come queste due forme dell’essere contraddistinguano in modo unico la natura umana [13] .

    La terza forma, che conclude la triade, chiamata forma morale, rappresenta per Rosmini la finalità [14] , il senso dell’essere stesso: essa viene anche chiamata (nella Teosofia) santità o amabilità [15] ed indica la destinazione dell’essere al bene, il fatto che esso tenda (intrinsecamente) a donarsi, a comunicarsi e, in qualche modo, a moltiplicarsi per via amativa.

    Come terza forma essa esprime l’esigenza di finalità e di congiunzione a cui le idee e il reale aspirano [16] , quando queste siano realizzate attraverso il sì della volontà di un ente intelligente, capace cioè di porsi un fine nel suo agire.

    3.3 Il sintesismo ontologico e l’insessione delle forme

    Nel sistema rosminiano non è possibile considerare le tre forme categoriche dell’essere come a sé stanti, isolate le une dalle altre. Vi è una circolarità originaria tra esse. Non solo infatti le prime sono collegate in una congiunzione e finalizzazione nel morale, ma ognuna presuppone le altre due [17] . Tale intima connessione interna delle tre forme è espressa da quella che va sotto il nome di «legge del sintesismo» ontologico. Rosmini la espone all’inizio del Libro VI della Teosofia dedicato al Reale dopo che aver compiuto la lunga trattazione dell’ideale:

    La legge ontologica del sintesismo […] dichiara che "l’essere ha un cotale organismo ontologico, e che la mente divellendo [togliendo] un organo dall’intero organismo ne ha un tal ente che, se si prende come ente completo, nasconde in sé un assurdo, di cui quando la mente s’accorge conchiude che quell’organo divelto non può stare così solo, è nulla, e neppure si può pensare quando vi s’abbia vista dentro la contraddizione, ma si pensa finattanto che questa vi giace nascosa in istato, come abbiamo altrove detto, virtuale [18] .

    Questa visione al tempo stesso sinergicamente tripartita e unitaria dell’essere viene espressa anche nella dicitura «insessione delle forme» [19] . Nessuna può essere considerata maggiore delle altre ma ognuna rimanda all’altra contenendola (in quanto sarebbe assurdo un’esistenza esterna e separata). Dunque, ognuna ha l’altra in sé stessa [20] .

    Questo dinamismo categoriale rende ragione (come fondamento) dell’ontologia della natura umana. Vedremo, infatti, nel capitolo antropologico come le due dimensioni fondanti dell’umano, senso ed intelletto, affondino le loro radici rispettivamente nella forma ideale e reale, mentre il morale (che le congiunge e le invera) sarà il pronunciamento di esse come un sì della volontà [21] .

    3.4 Il primato dell’essere morale

    Continuando la riflessione sulle tre forme categoriche, Rosmini sottolinea l’uguale dignità ed importanza che esse hanno nell’intrinseca costituzione dell’essere. Si può però ravvisare un primato dell’essere morale che, in quanto fine di tutte e tre le forme e dell’essere unitariamente considerato, ha un ruolo speciale. Esso si declina come attuazione del fine dell’universo, voluto nel disegno di Dio come perfezione degli enti personali (intelligenti e liberi). In via iniziale è sufficiente comprendere che tale primato si può attuare solo attraverso la facoltà umana più elevata che è la libertà.

    3.5 Il rapporto tra fede e ragione

    Il rapporto tra fede e ragione in Rosmini è quello di una sinergia tra modi differenti ed autonomi di conoscere, che però non possono che giungere alla medesima (ed unica verità) perché Colui che li provvede è il medesimo ed unico Dio.

    Già dai tempi giovanili di Rovereto (anni 1820), il giovane filosofo progetta un’Enciclopedia del sapere, una sintesi di tutta la conoscenza umana vista sotto la lente unificante del messaggio cristiano. Fede e ragione non sono possono mai opporsi fra loro. Se anche ognuna ha il suo specifico, tra esse deve sussistere un rapporto di amicizia, così che venga garantita l’unità di tutto il sapere, come della sua Origine. Tra le due quella che ha il primato, giungendo alla verità più alta, è la fede.

    La ragione con le sue sole forze (nella misura di una natura finita) mostra l’intenzionalità dell’umano d’elevarsi a conoscere l’Infinito. Indaga le diverse realtà create e raggiungendo anche l’idea di un creatore del tutto, non riesce però a giungere al fondo del disegno. Questo viene dispiegato solo nella dimensione della fede, che mostra il mistero non solo a livello nozionale, ma anche performativo.

    La filosofia è dunque un approccio iniziale (che mai arriva alla completezza ma che comunque è propedeutico) alla verità. La fede presenta poi quest’ultima non sotto le spoglie di un’idea che possa essere compresa (circondata e ridotta a delle categorie del pensiero umano), ma come una Persona davanti a cui anche la ragione (finita) si deve arrendere.

    Questo rapporto virtuoso tra ragione e fede verrà ulteriormente approfondito da Rosmini nella Teodicea dove l’amicizia filosofia e Rivelazione sarà ancora più urgente per via della scottante problematica sull’origine del male e del suo rapporto con il Creatore.

    Mentre la filosofia avrà il compito di mostrare i limiti della ragione umana che non può da sé stessa indagare fin nelle motivazioni ultime una possibile permissione dei mali piuttosto che un’altra (in quanto incapace di affrontare l’improbo compito del gran calcolo della permissione migliore una volta che ci si sia prefissi l’obiettivo di garantire un bene comune massimo), la rivelazione teologica avrà il compito di mostrare nella figura del Cristo, morto e Risorto, l’unica e universale risposta al male, non nella forma di una ragione sufficiente che tenga isolato il conoscente nelle sicurezza delle risposte raggiunte, ma nella più enigmatica (ed esperienziale) forma di una risposta narrata con la vicenda storica del Figlio di Dio, che incarnandosi nell’umano viene e risponde con l’obbedienza/ascolto alle richieste del Padre, fino a quella somma del sacrificio e della morte. In questa imprevista dinamica di risposta il conoscente non può più mettersi in disparte in quanto nel momento stesso in cui avrà compreso i frutti di salvezza che per Lui vengono conseguiti da quella vicenda, egli sarà chiamato, in modo performativo, a coinvolgersi personalmente con la sua libertà nell’adesione alla persona del Cristo.

    Escluse dunque al contempo sia la possibilità di un cieco salto nella fede che quella di una rassicurante stasi nelle certezze della ragione, Rosmini prospetta un processo graduale di crescita e perfezionamento dell’umano sostenuto dalla grazia (che viene vista come azione di salvezza cristica che si prolunga nella storia sia nella dimensione sacramentale sia nella dimensione mistica spirituale). La ragione umana, che nel suo massimo sforzo di comprensione della realtà si era riconosciuta incapace di risolvere il problema del male e anche allo stesso tempo di perseguire un’azione morale coerente alle sue aspirazioni di perfezione (già naturali), può attingere nella grazia un aiuto nuovo (non dovuto ma fornito in modo gratuito da Dio) per poter conseguire il suo incontro ultimo con il Creatore di ogni perfezione.

    3.6 Metafisica e Filosofia

    È importante chiarire il significato della parola metafisica per come viene intesa da Rosmini. Questo può essere fatto partendo dal termine più generale che è filosofia. Nella Prefazione alle opere metafisiche, con cui si apre il trattato di Psicologia, troviamo, infatti, ampio spazio dedicato alla spiegazione di questi due termini. La parola filosofia, usata a partire già da Pitagora e da Aristotele, è letta da Rosmini come la «scienza delle ragioni ultime» [22] , in quanto studio e amore della sapienza.

    Più articolata invece è la storia del termine metafisica. Se una volta esso era sinonimo di filosofia e di ontologia, successivamente l’ideologia venne distinta dalla metafisica, entrando a far parte delle scienze delle idee, avendo poi la logica come suo corollario [23] .

    In accordo con questa distinzione, Rosmini vede sia l’ideologia che la logica come «scienza dell’essere ideale» [24] , mentre la metafisica comprende «quel gruppo di scienze, le quali trattano filosoficamente della dottrina degli enti reali» [25] .

    La metafisica analizza, dunque, gli enti reali nella loro universalità, comprendendo sia le loro ragioni ultime che le loro cause prime; perciò viene definita ancora più propriamente come «dottrina filosofica dell’ente reale e completo» [26] . La filosofia, a questo punto, indaga le ragioni ultime dei reali per sé stesse, indaga cioè le idee; non prende in considerazione i reali intesi come termine del sentimento, non studia cioè i reali in quanto tali, ma in quanto possibili.

    3.7 Metafisica della carità e metafisica dell’essere

    Per il nostro studio occorre comprendere la nuova visione che la metafisica della carità può donare di Dio, proprio in riferimento alla prospettiva di Ente causante l’universo:

    rispetto alla prospettiva aitiologica, ossia alla metafisica pensata come scienza del principio di causalità (rapporto fra le cause e la causa prima), l’orizzonte agapico consente di pensare la causa prima non in termini deterministici, ma secondo la dimensione della gratuità che fonda e al tempo stesso consente di relativizzare ogni determinismo. In tal senso la creazione va pensata come un atto di amore del Dio Unitrino [27] .

    Tale dimensione, delle intenzioni divine nel porre in esistenza la creazione, verranno indagate nella prima parte del capitolo teosofico.

    Altra caratteristica che rinveniamo della metafisica agapica è quella di essere un’ontologia della dedizione. La vicenda storica di Gesù Cristo (compreso il finale della morte), uomo come gli altri uomini in questa terra, e la vicenda metastorica del suo ritorno a Dio (compresa l’iniziale risurrezione), nella comunione delle altre due Persone, il Padre e lo Spirito, dice di un interesse profondo (di una dedizione, o anche dedicazione, donazione) di Dio nei confronti della creazione, ed in particolare della creatura prediletta di cui Egli assume la natura.

    L’essere non è anonimamente posto e lasciato a sé stesso. Dio vi entra di modo che siano colmati gli interrogativi sulla storia in cui Lui sembra assente. Come vedremo nel capitolo dedicato alla Teodicea, l’uomo ha le sue ragioni da indagare, ma non può trovare risposte più eloquenti che quelle date dalla Rivelazione, cioè una risposta reale, Dio stesso in Gesù Cristo in mezzo agli uomini.

    La Causa Prima si abbassa al ruolo di causa seconda, si mette al posto della sua creatura. Ma questo, nella prospettiva della dedizione non significa una perdita di causalità, all’opposto permette ad ogni creatura, che aveva perso la finalità della sua causazione perché non più comunicante/ relazionantesi con Dio, di ritornare al ruolo pregnante di causa seconda inserita nel progetto/volontà divina.

    I segni della dedizione arrivano al perdono, cioè alla capacità di rimediare anche alle cattive causazioni che sono subentrare nell’allontanamento dal progetto di Dio. Le cattive causazioni rimangono comunque nell’essere in quanto il principio di causalità non viene violato. Ma la relazione tra Dio e uomo è unilateralmente ricostituita da Dio, nella persona del Figlio obbediente. Viene cancellata la colpa perché possa essere avviata una nuova dimensione causale.

    Dunque, la dedizione reale di Dio può essere pensata come dedicazione dell’essere a Sé stesso, attraverso la dimensione morale (scelta da Dio) di essere dono con la propria persona ad ogni persona creata.


    [1] Rosmini riesce a ben miscelare argomentazioni monodisciplinari e interdisciplinari. Il suo argomentare è lineare e procede solitamente per tesi. Ognuna delle tesi però può trovare diversi contributi dal filosofico, al teologico, al sapere delle scienze umane.

    [2] Franck utilizza l’immagine dell’albero e della foresta per sottolineare la visione contemplativa dell’essere caratteristica di Rosmini: «Contemporary philosophy is to a great extent conditioned by the selection of a given methodology. This leads not only to a very particular kind of specialization, but also to a more or less admitted impossibility to reach certain theses and to deal with certain problems. Thought is therefore often held back, and legitimate conclusions risk being rejected on methodological or epistemological grounds. In such a context, detailed and restricted argumentation is preferred to insight and contemplation, thus quenching the source of reaching further truths. We might be frequently shown many of the trees in the forest, although seldom the most beautiful ones. Undoubtedly, in any case, a minimum acquaintance with the forest itself, and its unity, is often missing. Rosmini offers a remarkable example of how this can be done. It is more important to see the whole, instead of each part in its individual complexity. Certainly not because the philosopher [Rosmini…] had not also busied himself with careful and detailed analysis of each of his theses; he did so, and in such a way that has remained without parallel to our days» J. F. Franck, From the Nature of the Mind to Personal Dignity. The Significance of Rosmini’s Philosophy, CUA Press, Washington D.C. 2006, p. 186.

    [3] Cfr. G. Lorizio, Antonio Rosmini Serbati 1797-1855. Un profilo storico-teologico, LUP, Roma 2005 ², p. 375. Al proposito, nel suo libro Lorizio mette in esergo una citazione presa dalla Introduzione alla filosofia: «Ma quello che si contiene ne’ libri, ne’ quali non si può trovare altro che scienza, non è né il tutto, né il meglio dell’uomo» in IF p. 109, n. 57. E ancora: «Al di là dunque della scienza vi ha un mondo reale, che sfugge non di rado agli occhi degli scienziati e de’ filosofi; e in questo mondo vive in gran parte l’uomo, il quale non vive di sola scienza». Trovo molto utile continuare la lettura della citazione perché se nei primi due passaggi riportati è stato svelato l’ideale e annunciato il reale, è nella successiva terza parte che si parla della dimensione morale e dell’inveramento in essa di quella reale: «Se si cerca quello che è perfetto nell’uomo, e che acconciamente può esser denominato sapienza, non convien fermarsi al primo elemento cioè alla scienza, o più generalmente alla cognizione, ma a questa è necessario unire il secondo, che è l’azione reale, in cui la bontà morale consiste» in IF p. 117, n. 62. In generale la dinamica dell’essere è quella del mistero che quando sembra svelarsi pienamente, quasi per riposarsi, subito, nuovamente, si vela per nascondersi nell’ideale e finalizzarsi ancora in altro di più grande.

    [4] La parola tutto è utilizzata principalmente da Rosmini nell’ Antropologia soprannaturale per indicare la ricerca dell’uomo di un oggetto che lo finalizzi, che sazi la sua sete di conoscenza, che appaghi ogni suo desiderio. Piuttosto che essere interpretata in senso esteriore ed estensivo (dunque una conoscenza puntigliosa e dettagliata di ogni cosa) il termine tutto deve essere interpretato come l’espressione dell’amante che dice all’amato tu sei il mio tutto. Dunque, la sola presenza dell’amato è quella conta e che colma. Nella prospettiva teologica dell ’Antropologia Soprannaturale l’oggetto che appaga tale amore è Dio stesso, che facendosi percepire nell’interiore, colma tutto l’uomo e lo riempie con le sue Persone Divine.

    [5] «Il nostro ragionare dunque nell’esposizione della Teosofia sarà simile al procedere di quelli che navigano in uno stagno i quali quantunque solchino lo stagno colla loro navicella in una sola linea, tuttavia, o vadano o vengano o si movano per una retta o per linee curve serpeggiando, non escono mai dallo stagno, e se non ci fosse tutto lo stagno non potrebbero punto solcarlo per lungo e per lato nelle diverse direzioni, benché traccino sempre delle strisce angustissime in quell’acqua. Così noi qualunque cosa veniam ragionando per le diverse parti di quest’opera, non potremo uscire giammai dal mare dell’essere che esploriamo, e quantunque ristretto sia il sentiero che ci apriamo in esso colla nostra carena ci converrà aver sempre tutto l’essere presente non alla lingua, ma alla mente, ché ogni nostra parola, ogni parziale trattazione lo domanda necessariamente come un presupposto, acciocché o possa essere da noi detta, o dagli altri intesa» in T I, p. 117, n. 96. Citazione messa in esergo dell’opera S. Spiri, La sapienza dell’essere. Ontologia triadica e trinitaria, metafisica della creazione e dialettica nella Teosofia di Antonio Rosmini, Aracne , Roma 2013. È significativa questa immagine rosminiana dell’essere visto come uno stagno piuttosto che la più classica figura dantesca della Divina Commedia del «gran mar de l’essere» ( Paradiso, Canto I, 113) solitamente usata da Rosmini. La restrizione della figura, dal mare allo stagno, non vuole essere una riduzione dell’ampiezza infinita dell’oggetto dello studio che rimane comunque infinita, quanto piuttosto la consapevolezza che tale infinità si vuole far conoscere, non è nemica al sapere che in essa si sente tranquillo come chi naviga semplicemente in un piccolo stagno, per cui vale la pena navigare!

    [6] «Altrove noi abbiamo definita la Filosofia: la dottrina delle ragioni ultime secondo la qual definizione non è malagevole determinare con precisione quale porzione della nominata piramide ella costituisca. Perocchè in primo luogo è manifesto, che quel tetraedro nel quale la piramide finisce [la sommità] e che rappresenta Iddio, o la scienza di Dio, deve essere il principale argomento, e formare la precipua parte della filosofia, giacchè Iddio è la ragione ultima e piena di tutte le cose che esistono nell’universo o possono cadere nelle menti. A quel divino e finale tetraedro poi si congiunge immediatamente l’ordine primo di quei veri, che riguardano il creato, e nè anche questi possono essere dimenticati dalla Filosofia, quantunque non costituiscano la ragione assolutamente ultima, la quale non è altra che Dio medesimo; ma essi sono gli ultimi veri, le ultime ragioni fra quelle che all’universo appartengono, facendone in qualche modo parte. Perocchè l’universo ha in sé stesso le sue ragioni relativamente ultime, e sono le prime cause create o concreate, dalle quali dipendono, secondo natura, tutti gli enti, e tutte le leggi, al cui tenore gli enti si muovono alle loro operazioni, ed operando) pervengono alla loro perfezione, o al parziale decadimento, che pur contribuisce poi anch’esso alla perfezione del tutto, la quale non può essere frustrata giammai. Le ragioni ultime dunque al di là del mondo, e le ragioni ultime nello stesso mondo; ecco l’oggetto della filosofica disciplina, che così prende i due ultimi, e più elevati gradini della immensa piramide scientifica, che noi abbiamo descritta. Di che la Filosofia si rimane chiaramente separata dall’altre scienze e sopra esse innalzata, siccome la madre e la guida comune di tutte, formando queste i gradi inferiori della piramide, che da que’ due supremi dipendono, e ne ricevono il lume e la vita» in IF pp. 28-29, n. 9.

    [7] Una descrizione della storia relativa all’ispirazione fondamentale con cui Rosmini arriva a formulare il principio dell’idea dell’essere si trova in G.B. Pagani – G. Rossi, Vita di Antonio Rosmini, Vol I, Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1959, pp. 111-112. Si descrive come il giovane Rosmini, in una passeggiata con Francesco Paoli nel 1854, raccontasse di aver avuto l’intuizione dell’idea dell’essere quando era ancora diciottenne.

    [8] Al proposito nel capitolo antropologico si distingueranno nei vari momenti della conoscenza idea e sensazione, percezione intellettuale e semplice percezione sensitiva.

    [9] Cfr. NS II, pp. 29-41.

    [10] Maggiore è la vicinanza dell’oggetto del pensiero ai primi principi, maggiore è la fatica che il pensiero compie nel pensare/contemplarlo singolarmente isolato dal resto del pensiero. Così, maggiore è l’applicazione di un principio alle varie altre idee da esso derivate, tanto più difficile diventa accorgersi del principio e del suo funzionamento. Al contrario le idee più prossime e superficiali, che costituiscono in noi una novità, sono le prime ad essere raggiungibili. Nel presente testo, avendo l’accortezza di leggere nella parola sentimento tutto quello che costituisce l’interiore dell’umano (sia il senso che l’intelletto) Rosmini dichiara questa difficoltà di riflettere sulle fondamenta del pensiero: «E certo v’hanno de’ sentimenti che passano in noi senza che noi punto ci riflettiamo, e a coglierli coll’atto dell’attenzion nostra ci bisogna una somma diligenza. Ma egli è ancor più difficile il cogliere in noi que’ sentimenti che sono e che non passano, di quello che afferrar quelli che passano: perciocché i primi a noi connaturali ed intimi, formano la nostra natura, ci costituiscono. E quello che è in noi più naturale, cioè più prossimo o più attenente alla natura nostra, meno è facile ad osservarsi; ché non isveglia la nostra attenzione se non la novità, l’insolito, non quanto è consueto, nativo e uniforme. Or le idee sono quasi tutte acquisite, e però sono qualche cosa che s’aggiunge di nuovo alla nostra natura, onde si prestano più facili oggetti alla nostra riflessione. Ma se si cerca fra le idee stesse quali riescano più facili a venir raggiunte dalla riflessione e quali più difficili, si troverà agevolmente, che i gradi di maggior facilità formano una progressione che va appunto in ragione opposta della distanza che le idee hanno dal loro primo e natural fonte. Di guisa che i primi principj della ragione, i quali sono più prossimi al fonte comune delle idee, sono anco i più ritrosi a lasciarsi vedere in faccia dalla riflessione; e all’incontro torna assai leggeri il far cadere la riflession nostra sulle percezioni e sulle idee specifiche che sono più lontane dal fonte nativo, e che hanno più in noi di novità e di straniero a ciò che costituisce la natura nostra. Nella qual legge si trova pure la ragione della somma difficoltà di riflettere sull’idea dell’essere fonte dell’altre, e perché noi portiamo la nostra riflessione su di essa dopo averla astratta dalle idee parziali, invece di considerarla in noi stessi immediatamente» in TCM p. 51, nn. 13-14.

    [11] Così Daros sintetizza la conoscenza filosofica delle tre forme, e anche la sua intrinseca limitazione: «L’ontologo arriva dunque a vedere che l’essere iniziale come tale è identico, ma ha tre forme o modi diversi a lui essenziali: la forma subiettiva (che contiene la sussistenza, la realtà), la forma obbiettiva (che contiene la intelligibilità in cui si manifesta l’essenza, quello che è), e la forma morale (l’amore, il riconoscimento di ciò che è). In queste forme c’è tutto l’essere (di modo che non ci sono tre esseri), ma in forme diverse: essendo l’una nell’altra reciprocamente inesistenti. Ciascuna delle tre supreme forme, nel generarsi dell’Essere assoluto, contiene (e come contenente prende il proprio nome) le altre due come contenute essenzialmente e personalmente, e però come natura identica. Queste forme dell’essere infinito reciprocamente si compenetrano e reciprocamente inesistono in forma personale, intelligenti e liberi, senza confondersi. Rimane tuttavia il mistero, nel fatto che non abbiamo naturalmente alcuna esperienza positiva della Trinità dell’essere assoluto, essendo noi enti finiti (benché pensiamo, per ragionamento deontologico, che ci deva essere)» W. R. Daros, Il Dio della Teosofia rosminiana , in Aa.Vv., Rosmini e la domanda di Dio tra ragione e religione. Atti del Congresso Internazionale della «cattedra Rosmini» nel secondo centenario della nascita di A. Rosmini (1797-1997), Edizioni Rosminiane Soliditas, Stresa (VB) 1997, p. 161.

    [12] Una sintesi di come Rosmini derivi l’essere ideale e l’essere reale è data da Beschin: «Ognuno di noi che rifletta avverte una differenza tra la cosa che egli pensa come possibile e una cosa reale. Un essere solo possibile non agisce sui nostri sensi e può sviluppare un’azione reale su di noi soltanto un ente reale, perché non agisce realmente se non ciò che è realmente. Ma non si può affermare che ciò che non è reale, ma solo possibile, sia un nulla, perché se fosse nulla non potrebbe esercitare, come egli fa, l’attività della nostra mente. Il Rosmini ne conclude che l’essere ha due modi quello ideale e quello reale, ossia comunica con noi per due vie, quella della mente e quella del senso. Questi due modi dell’essere non si possono ridurre ad uno, perché le caratteristiche dell’uno sono interamente opposte a quelle dell’altro. Il senso percepisce solo il reale, ma nulla di possibile; la mente invece non percepisce nulla di reale, perché in essa entrano solo idee, mai delle cose». Beschin riporta appresso anche l’esempio stesso che Rosmini fa nell’ Antropologia Soprannaturale (cfr. AS I, p. 35): «tanto dee esser diverso il modo reale dell’essere dal modo ideale […] quanto è diversa la potenza del sentire dalla potenza del puro conoscere; e quanto il pensare la squisitezza di un liquore s’allontana e diparte dal sentirsene innaffiare il palato e le fauci trangugiandone una colma tazza» G.Beschin, Rosmini filosofo del cuore, in Id. (a cura di), Antonio Rosmini filosofo del cuore?, Philosophia e Theologia cordis nella cultura occidentale, Atti del Convegno tenuto a Rovereto il 6-7-8 ottobre 1993, Morcelliana, Brescia 1993, p. 294.

    [13] La definizione di uomo verrà presa in esame sia nel capitolo antropologico, in cui essa aiuterà a comprendere le basi naturali che costituiscono l’uomo, sia nel capitolo teologico dove sopra tali basi naturali verrà fatta agire la grazia per creare un nuovo principio personale (soprannaturale).

    [14] Pur essendo ampiamente mostrato da Rosmini come le tre forme sono egualmente importanti, e come esplicitato più avanti nella spiegazione dell’insessione delle forme, vi è un particolare primato che può essere desunto riguardo all’essere morale, per il quale si rimanda a G. Lorizio, Antonio Rosmini Serbati 17971855. Un profilo storico-teologico, cit., p. 228, e anche a C. Bergamaschi, L’essere morale nel pensiero filosofico di Antonio Rosmini, Centro Internazionale di Studi Rosminiani (CISR)- La Quercia, Stresa (VB)-Genova 1982, pp. 69-72.

    [15] «Né di questo vero morale assoluto è facile acquistare un sufficiente concetto se non si considera che l’essere è buono ed amabile sotto le tre abitudini di conoscente, di conosciuto o manifesto e di amante o fruente, onde l’amante ossia il fruente che ama e fruisce l’ente amabile, ama e fruisce conseguentemente anche sé stesso conosciuto come amabile nell’idea; di che l’atto morale ha quasi direi un riflesso sopra di sé medesimo» in T V, p. 457, n. 2566.

    [16] Continuando la sua sintesi descrittiva delle tre forme, Beschin argomenta riguardo all’essere morale: «I concetti hanno la loro scaturigine dalla luce dell’essere, dall’idea. Ma non vi può essere idea che non sia intuita da una mente, da un soggetto conoscente. C’è dunque l’idea ed il soggetto, che non è idea, ma è reale. Ma reale e ideale non sono due esseri diversi, bensì due forme diverse dell’essere, tanto è vero [ad esempio] che noi chiamiamo con uno stesso nome la casa reale e l’idea di casa». Dunque prosegue con le parole di Rosmini: «L’essere sotto questi due modi [ideale e reale] tende necessariamente a completarsi e congiungersi seco stesso, facendone risultare […] la moralità […] consistendo nel compiacersi che fa un intelligente dell’essere conosciuto in quanto essere: nel quale compiacimento consiste l’ordine compiuto tra il reale e l’ideale [...] questo compiacersi è l’ordine morale dell’anima, è il bene» in P II, pp. 224-225, nn. 953-955. Il testo si trova in G. Beschin, Rosmini filosofo del cuore, cit., pp. 294-295.

    [17] «Dopo che noi abbiamo considerato l’essere sotto la forma ideale, e trattato della Dialettica che ne discende, dobbiamo farci a meditar l’essere sotto la forma reale. Già il savio lettore da sé medesimo si accorge che non si può trattare d’una forma dell’essere così esclusivamente che il discorso non trascorra nell’altra o non supponga di continuo qualche cognizione dell’altra. La necessità di ciò è manifesta per chi intende che ciascuna delle tre forme è una relazione essenziale all’altre due, né si può favellare di una relazione ossia abitudine senza riguardare in qualche modo ai termini correlativi; e quando lo si fa, allora il pensiero divien difettoso e inadeguato al subietto» in T V, p. 11, n. 2045.

    [18] T V, p. 12, n. 2046. La stessa legge espressa in riferimento ad un singolo ente è espressa nella Introduzione alla filosofia in questo modo: «quando si considera

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1