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Farsi spazio: Storie e riflessioni di un astronauta con i piedi per terra
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- ROI Edizioni
- Pubblicato:
- Oct 28, 2020
- ISBN:
- 9788836200351
- Formato:
- Libro
Descrizione
Informazioni sul libro
Farsi spazio: Storie e riflessioni di un astronauta con i piedi per terra
Descrizione
- Editore:
- ROI Edizioni
- Pubblicato:
- Oct 28, 2020
- ISBN:
- 9788836200351
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
Farsi spazio - Paolo Nespoli
CRESCITA PERSONALE
Paolo Nespoli
Farsi spazio
Storie e riflessioni di un astronauta con i piedi per terra
Copyright © 2020 ROI Edizioni srl
Via G. Carducci 67, 62100 Macerata
email: info@roiedizioni.it
sito: www.roiedizioni.it
Design copertina: Margherita La Noce
Foto: © Alessandro Ferranò/AGF
Foto in quarta: © NASA/ESA-P. Nespoli
Prima edizione digitale maggio 2020
ISBN 978-88-3620-035-1
Indice
Prefazione
La vita vista dallo spazio
Parte prima
Le pacate riflessioni di un eterno oltranzista
Capitolo 1
Siamo il risultato delle nostre scelte o c’è di più?
Capitolo 2
Adeguarsi o ribellarsi?
Capitolo 3
Possiamo essere chi non siamo?
Parte seconda
Sfidare se stessi
Capitolo 4
Possiamo volgere la fortuna a nostro favore?
Capitolo 5
Quale esperienza ricaviamo dall’esperienza?
Capitolo 6
Quali sono gli incontri chiave della vita?
Parte terza
È impossibile, quindi ci riusciamo
Capitolo 7
Come si irrobustisce la forza di volontà?
Capitolo 8
Come si trasforma l’impossibile in fattibile?
Capitolo 9
È questione di ottimismo?
Parte quarta
Con me nello spazio
Capitolo 10
Pensieri a gravità zero
È una bella cosa riscoprire la meraviglia
disse il filosofo.
L’astronautica ci ha fatto tornare tutti bambini.
RAY BRADBURY
Cronache marziane, 1950
Prefazione
La vita vista dallo spazio
Nel momento in cui scrivo queste parole ho sessantatré anni e vivo nei pressi di Houston, Texas, Stati Uniti, pianeta Terra, mentre una pandemia globale impazza e apparentemente ridisegna le priorità del mondo intero. Ne usciremo cambiati, diversi? Questa crisi epidemiologica ci indurrà a considerare le cose e il nostro stile di vita da un punto di vista differente? È quello che mi domandano i conduttori radiofonici o televisivi, e gli influencer di Internet. Questo momento storico cambierà il mondo?
Mi interrogo sul perché pongano a me queste domande. Forse perché faccio parte di quella ristretta cerchia di persone che hanno osservato la Terra da un punto di vista eccezionale, ossia dallo spazio. Certo, oggigiorno tutti hanno visto foto del nostro pianeta scattate da lassù, ma un conto è vedere una foto, un conto è essere lì sul posto a scattarla. E provare le sensazioni che quella prospettiva sulla realtà sa donare.
Affacciarsi sull’azzurro marezzato di nuvole e guardare il vento pennellare le sabbie del Sahara sul Mediterraneo stirandole fino al Nord Italia e poi su ancora più a Nord, inarrestabili come lo scorrere del tempo. E l’ombra grigia degli incendi che si propagava per migliaia di chilometri o il pennacchio di un vulcano che autografava il cielo di un continente intero. Che privilegio è stato!
Viaggiavo a una velocità media di 27.600 chilometri orari a un’altitudine compresa fra 330 e 410 chilometri sopra il livello del mare, ossia fino a più di 50 volte l’altezza dell’Everest, protetto dalle paratie relativamente sottili della Stazione Spaziale Internazionale (International Space Station – ISS) e, di fronte allo spettacolo della Terra che galleggia nell’infinito, all’improvviso ho avvertito una vertigine. Non era una sensazione fisica. Si trattava più che altro di un’esperienza interiore. Mentale, psicologica, emotiva… e spirituale. È difficile da spiegare, così tanto che probabilmente occorrerà un libro intero per cominciare ad accostarvisi.
Preciso subito però che non vorrei apparire mistico o predicatorio. Chi mi conosce sa che oltre a essere una persona concreta sono sostanzialmente uno scettico che attende prove scientifiche ineluttabili prima di pronunciarsi, per cui non ho certezze su cui pontificare dall’alto di un pulpito fisico o metafisico, allegorico o letterale, non intendo qui fornire formule su come agire per il meglio in ogni circostanza o condurre una vita di successo spaziale
.
No, siamo pratici, e sul pratico restiamo. Quindi con i piedi per terra.
In fin dei conti, io sono un metalmeccanico dello spazio. Se c’è qualcosa che mi riesce è far funzionare le cose e ripararle se fanno i capricci. Datemi un congegno malfunzionante e probabilmente lo sistemerò senza tanti grattacapi. Descrivetemi una procedura qualsiasi ed è pressoché certo che troverò il modo di renderla più efficiente. Sono un ingegnere, un professionista che le parole crociate definiscono un tecnico laureato
, un progettista, un manutentore. I miei colleghi astronauti mi hanno soprannominato MacGyver come il protagonista dell’omonimo telefilm degli anni Ottanta, che con un pezzo di nastro adesivo, un fiammifero e un paio di occhiali a specchio poteva costruire un congegno esplosivo o un pianoforte a coda.
C’è chi ha l’hobby di costruire modellini di galeoni in bottiglia, io tempo fa ho costruito un elicottero… non era un modellino e nemmeno in bottiglia, era vero. Li vendono in kit di montaggio contenuti in cassapanche delle dimensioni di container. Certo, poi bisogna sapere come si fa e applicarcisi non poco, anche se, alla fine, basta seguire le istruzioni. Prossimamente avrei in programma di assemblare un aereo… ne devo parlare con mia moglie.
Abbiamo tutti dei talenti. I miei mi hanno aiutato a diventare un astronauta ma non è stato un percorso lineare. Non credo che avere partecipato a tre missioni spaziali e soggiornato complessivamente per quasi un anno nella ISS mi abiliti a dichiararmi padrone delle chiavi del successo nella vita e nel lavoro. Non conosco formule definitive per passare dall’avere un sogno al realizzarlo. Però posso rifletterci su con determinazione e con tutta l’onestà intellettuale e apertura mentale di cui sono capace.
In realtà più analizzo il mio percorso e più mi rendo conto che accanto alle plausibili spiegazioni su come io sia riuscito ad arrivare fra le stelle
coesistono elementi che sfuggono a ogni decifrazione. Inoltre, una volta considerati attentamente, questi elementi hanno la caratteristica comune di trasmettere un momentaneo attacco di vertigini, un po’ come il primo arrivo in microgravità, che provoca un cortocircuito delle facoltà razionali e ti fa mancare la terra sotto i piedi.
Vertigine. Ecco che il concetto ritorna ad affacciarsi nella mia mente e nelle mie esperienze da quando nel lontano 1977 da Allievo Paracadutista mi confrontavo con quelle vertigini che per me erano una spia del rischio prima ancora dell’altezza.
Dopotutto una sana vertigine è ciò che ci coglie al cospetto di alcune idee controintuitive eppure sensate che hanno il potenziale di farci considerare le cose da una prospettiva inedita. Il tipo di idee che ci inducono a domandarci perché non ci abbiamo pensato prima.
Questi sono, a grandi linee, i pensieri sui quali intendo indugiare nelle pagine di questo libro nell’intento di condividerli e, perché no, anche suscitarli nel lettore.
Non ricette, ma inviti a interrogarsi e a valutare ogni approccio possibile, anche da altre angolazioni. Piccoli spunti di riflessione nati osservando il fluire della vita da un oblò panoramico sospeso nello spazio.
Imparare a prendere le decisioni giuste nella vita non è come leggere lo Shuttle Crew Operations Manual (SCOM), il gigantesco manuale operativo dello Shuttle che la NASA era solita fornire agli aspiranti astronauti per avviarli all’addestramento, un tomo alto venti centimetri fitto di diagrammi, descrizioni e schede tecniche. Volare nello spazio è complicato, ma volare nella vita, mantenendo i piedi per terra, lo è anche di più: non esiste uno SCOM dell’esistenza umana.
Quando mi precettano per tenere conferenze mi arrovello sempre su che cosa dire. Mi sforzo di essere sincero e concreto e, francamente, non penso di dovermi fare latore di chissà quali rivelazioni. Ammetto tuttavia che provo una grande soddisfazione quando talvolta mi dicono: Ho visto la tua conferenza e la mattina dopo mi sono svegliato pensando: oggi farò qualcosa di diverso!
. Ecco che cosa mi piace davvero: non dare istruzioni, ma suggerire che si può pensare e agire in modo leggermente diverso dal solito, perché l’unica impresa davvero impossibile è quella che non si ha il coraggio di tentare.
Vi narrerò gli episodi di cui sono stato protagonista e testimone diretto. Storie vere, che possono indurre a riflettere. Condividendole ho due ambizioni: la prima è deporre un seme, che con il tempo potrebbe crescere fruttando un grande cambiamento. La seconda è quella di suscitare una sana sensazione di disorientamento, come il primo arrivo in microgravità. Lo stesso che induce a interrogarsi sulla propria rotta e magari a rettificarla.
Parte prima
Le pacate riflessioni di un eterno oltranzista
Si chiamava Gaal Dornick ed era un semplice ragazzo di campagna che non aveva mai visto prima di allora Trantor. Cioè, non l’aveva mai visto di persona. Ne conosceva però il panorama per averlo visto sullo schermo dell’ipervideo e sugli enormi trasmettitori tridimensionali quando diffondevano le notizie dell’Incoronazione imperiale o dell’apertura del Consiglio Galattico.
ISAAC ASIMOV
Fondazione, 1951
Il lavoro delle agenzie spaziali e dei professionisti che vi operano è trasformare la fantascienza in scienza. Infatti, per realizzare l’impossibile bisogna saper sognare in grande e tenere i piedi per terra allo stesso tempo.
Il lato visionario del nostro lavoro confina con la fantascienza. A mio parere non è un caso che alcuni dei più memorabili capolavori della fantascienza letteraria, che tanto spesso ha anticipato la realtà, abbiano visto la luce negli anni Sessanta, quando la corsa allo spazio era al culmine e l’umanità intera alzava il naso vero il cielo sognando viaggi interstellari e la scoperta di nuovi mondi. E non è un caso che io abbia pensato di diventare un astronauta a ridosso di quegli anni memorabili, capaci di catturare la mia immaginazione di ragazzino.
La storia dell’esplorazione spaziale è stata scritta da pionieri e visionari, persone con un atteggiamento mentale singolare, inclini a compiere imprese estreme nelle quali la meta principale era arrivare, e il ritorno non era nemmeno contemplato perché marginale rispetto allo scopo.
Se è vero che per riuscire in questo genere di avventure occorre immaginare l’inimmaginabile e vedere l’invisibile, è altrettanto vero che, come recita il vecchio adagio, prima dell’ora non è l’ora e dopo l’ora non è più ora
. Per tradurre la fantasia in realtà occorre una forma mentis un tantino particolare, plasmatasi in un ambiente anch’esso un tantino particolare. E quello dell’astronautica è senza dubbio un mondo sui generis, popolato di individui che non disdegnano osare, non hanno remore a infrangere le consuetudini e sono disposti senza troppe esitazioni a rinunciare alle aspettative. Un po’ come suggeriva Konrad Lorenz ai suoi allievi, il modo migliore per mantenersi giovani è saper rinunciare senza troppa sofferenza a una teoria che ci aveva affascinato ma che con la sperimentazione si è rivelata fallace. Per giungere alla meta, oltre che open-minded, bisogna essere un po’ fissati e oltranzisti.
Tempo fa diverse agenzie di stampa lanciarono la notizia che la compagnia Mars One, oggi fallita, proponeva un viaggio di sola andata per Marte. Durante una conferenza ebbi modo di conoscere il fondatore e capo della compagnia, Bas Lansdorp, il quale mi chiese di esprimermi pubblicamente a favore dell’impresa. Decisi di non farlo quando capii che i loro piani aziendali, per quanto intriganti, mancavano di solide basi tecniche ed erano lontani dal poter essere realizzati. Comunque, ai giornalisti che mi chiedevano se sarei stato disposto a partire per una missione che imponeva di concludere la propria vita su un altro pianeta, ho sempre risposto che esplorare non significa comprare un biglietto di andata e ritorno, ma imbarcarsi in una missione fitta di incognite, dal risultato niente affatto scontato. E, giocoforza, devi mettere in preventivo di non poter ritornare.
Nel 1962 il presidente John Fitzgerald Kennedy annunciò agli americani: Noi andremo sulla Luna prima della fine del decennio.
Ossia di lì a sette anni. Era una dichiarazione ardita, e un traguardo che travalicava il suo mandato politico. Con quella promessa il presidente Kennedy trascendeva la caratteristica ristrettezza di vedute della politica, che principalmente mira a tutelare i suoi interessi immediati. Sarebbe bello vivere in un mondo capace, come ai tempi di Kennedy, di perdere la testa per la corsa allo spazio (che vedeva impegnate allo spasimo due superpotenze, gli USA e l’URSS, e il cui risultato si è giocato sul filo di lana), ma purtroppo oggi l’atmosfera è completamente diversa. Il sogno è meno partecipato a tutti i livelli, sia dai vertici, sia dall’opinione pubblica.
D’altro canto, quella partecipazione attiva aveva un perché: quella corsa non sarebbe stata tanto rapida e accesa se non si fosse svolta sullo sfondo della guerra fredda. Americani e sovietici si facevano la guerra sul campo di battaglia della ricerca, e questa battaglia condotta con la tecnologia da laboratorio impresse alla corsa allo spazio un’accelerazione straordinaria.
Oggi le cose procedono diversamente, sulla scorta di quello che io definisco il problema della cooperazione
.
Nell’attuale clima di cooperazione internazionale, il ritmo di crescita dello sviluppo scientifico non è solo scandito, come un tempo, dall’ambizione di prevalere gli uni sugli altri con ogni mezzo, ma anche dalla necessità politica di conservare equilibri diplomatici faticosamente conquistati allo scopo di coniugare realtà differenti. In nome dell’intesa internazionale si smussano le asperità prima ancora del loro manifestarsi. Le conseguenze positive non si contano, a cominciare dall’esistenza di una Stazione Spaziale Internazionale, ma ci sono anche degli svantaggi.
Poiché è nella mia natura esaminare minuziosamente i meccanismi per appurare se sia possibile farli funzionare meglio, mi pongo alcune domande. Per esempio, non potrebbe darsi che, persa la ragion d’essere dell’antica rivalità, la politica, che in fondo controlla (se non altro finanziariamente) le varie agenzie spaziali nazionali, abbia smarrito anche la motivazione a sognare in grande, quando si tratta dello spazio? Il dato fattuale è che se il principio guida della competizione è la corsa, quello della cooperazione è l’adeguamento: si cerca di fare media per procedere di pari passo. L’inconveniente di questa logica è che quando fai ricerca non puoi attestarti sulla media, devi arrivare alla punta avanzata, estrema. Devi essere quindi fissato e oltranzista! E questo comporta la sopravvivenza di certe spigolosità che poco si accordano con un mondo scandito da rapporti diplomatici e contrappesi politici.
Nel perseguire la propria visione, da molti considerata strana o quanto meno inusuale, comunque difficile da spiegare anche per quegli aspetti afferenti alla sfera personale, i fissati oltranzisti di cui sopra si fanno la reputazione di individui complicati, spesso ruvidi, scorbutici. Un po’ come il sottoscritto. Nel corso della mia vita e della mia carriera mi è stato imputato svariate volte un carattere spigoloso, ribelle… con le conseguenze che una simile nomea comporta.
Muovendo da queste considerazioni, nella prima parte di Farsi spazio, vorrei proporre spunti di riflessione che la vita mi ha posto dinnanzi in diverse forme nel corso del tempo, tutti inerenti alla capacità di avanzare nella vita pur non essendo quello che si dice un animale politico
, una condizione che accomuna molti.
Capitolo 1
Siamo il risultato delle nostre scelte o c’è di più?
Adoro mia figlia Sofia. Ha undici anni, è dolce, mite e obbediente. E ha un grande talento per l’arte.
E adoro il
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