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Colophon
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Colophon

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About this ebook

All’indomani della liberazione di Terezin, il tragico ghetto modello dove i nazisti hanno radunato artisti e intellettuali ebrei, il giovane Tsvi giunge a Praga. Ha con sé un segno del suo recente passato, un tetro carro funebre, e uno di ciò che sarà il suo futuro, un carico di volumi dal grande pregio.
Sarà nella passione per i libri, ispirata nello splendido monastero di Strahov, che fonderà se stesso diventando uomo.
Alla fine degli anni Sessanta è Parigi, il Colophon, un elegante negozio di libri antichi nei pressi della Senna dolce dei bouquiniste, a dare rifugio al suo desiderio di normalità. Il mondo sta cambiando, un fermento veemente di idee per una società nuova, solidale e corretta, attraversa la Francia e l’Europa.
A scuotere l’esistenza di Tsvi, fatta di lavoro meticoloso, tranquille abitudini ripetute, poche amicizie raffinate e sensibili, è la visione sfuggente di una ragazza tedesca che indossa con disinvoltura dei pendenti preziosi, gli orecchini inconfondibili appartenuti a sua madre. Una traccia si apre sul passato e sulle risposte che a Tsvi mancano.
Il ricordo per lui è un mostro oscuro, pronto sempre a trascinarlo nel dolore: i genitori, gli amici, il primo amore fragile, ogni cosa distrutta da un irriducibile orrore. Ma ora che ha imparato a viverci accanto, non mancando mai di sondarne il profondo, Tsvi deve fare un passo in più per colmare gli interrogativi che da esso ancora affiorano, e trovare la pace.
Appassionante romanzo giocato su atmosfere intriganti e toccanti dettagli, sfumato da forti suggestioni e impostato su uno stile preciso e potente.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2020
ISBN9788832927238
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    Book preview

    Colophon - Iacopo Maccioni

    Fattoria.

    Prefazione

    Dopo il realismo tragico e drammatico di Occhi di marrone , icastica rappresentazione letteraria dell’allucinante tragedia di Terezín-Theresienstadt, Iacopo Maccioni approda a un realismo più leggero, ma non meno tormentato e complesso, trasportando il lettore in un differente universo cartaceo, del quale riesce a far percepire, con una tecnica alternante primi piani e grandangolo, la dimensione tattile, sonora e perfino olfattiva, in una sorta di apoteosi della carta stampata, arra di civiltà e di cultura, unico efficace antidoto contro la barbarie dell’ignoranza e dell’abiezione.

    Colophon è solo in apparenza il sequel di Occhi di marrone, perché i due romanzi costituiscono uno straordinario dittico dove due esperienze di vita abissalmente lontane nel tempo, nello spazio e nella sostanza, sono continuamente presenti in un tempo simbolico nel quale l’Erlebnis dell’esperienza precedente condiziona nel profondo la successiva.

    Il riferimento a Dilthey viene naturale perché il vissuto di Tsvi riemerge come pervasivo rumore di fondo nello Tsvi che ora ha creduto di trovare nel suo negozio parigino e nella routine di una vita dove l’unica emozione è data dalla scoperta di un testo raro, un ubi consistam e la pace dello spirito.

    Tsvi vive un difficile equilibrio fra la presenza rassicurante di libri preziosi e l’assenza opprimente di persone vere, inghiottite dal nulla: i fantasmi dei genitori, dei maestri, dei compagni di sventura, di Otto, di Zeev e, soprattutto, di Dvora, il primo impossibile amore.

    Un equilibrio che la giovane Colette, figura entrata in scena per capriccio del destino al momento giusto, mette in discussione, turbandolo, ma al tempo stesso stabilizzandolo. Poi di nuovo il destino si interpone: un misterioso personaggio, che si presenta come Mathias Weber di Berlino, e un paio di orecchini molto particolari, pezzo unico per disegno e fattura, rimescolano le carte e riaprono il misterioso wormhole che collega gli universi paralleli di Parigi e di Terezín-Theresienstadt.

    Il romanzo è un raffinato esercizio di stile che non disdegna agudezas lessicali, con un costante ricamo psicologico di grande finezza nel dosaggio dei passaggi narrativi, anche per l’impiego di un particolare registro diafasico, cioè di efficaci marcature espressive.

    Ogni capitolo sviluppa una precisa situazione psicologica, incentrandosi su un personaggio e sul suo itinerario interiore, con vere e proprie zoomate pirandelliane che non fanno mai, tuttavia, perdere di vista la sostanza dell’insieme. C’è una sottile attenzione nel tenere sempre congiunte la dimensione reale e quella della ricordanza: il vero succo dell’intreccio.

    E c’è di più: una straordinaria capacità di scavare nei personaggi, anche con dettagli minimi, tutti però con colori e sapori di effetto, molto meditati. Il tutto nel contesto ambientale, elevato esso pure concretamente al rango di protagonista, tanto nelle cupe pennellate che descrivono l’allucinante ghetto di Terezín-Theresienstadt, quanto nei luminosi pastelli che descrivono la bouquinerie del lungosenna.

    Il romanzo si regge, in ultima analisi, su due coup de théâtre che solo uno scrittore di razza poteva sapientemente preparare e realizzare: la rivelazione dell’identità e del ruolo del misterioso Weber e l’evento inaspettato che giusto nelle ultime tre righe, secondo le migliori tradizioni del raccontare, scioglie definitivamente col suo calore vitale i gelidi spettri di un incubo incancellabile, ma alla fine non più opprimente.

    Claudio Santori

    1

    La mano sinistra sosteneva da sotto la copertina, accarezzandola, e insieme avvolgeva, col pollice, anche il dorso. Quella destra sosteneva, ad angolo retto, il verso e le pagine da cui procede generalmente la lettura.

    Gli occhi sfioravano i fogli resi color crema dal tempo, senza indugiare sulle parole. Sedotti dall’ultimo acquisto portato in negozio, sorvolavano sui particolari per armonizzare l’insieme al pensiero. Spesso, le pagine neppure venivano spostate.

    Questo procedimento non durava mai meno di due ore e precedeva quello sistematico di analisi minuziosa, finalizzata alla redazione della scheda descrittiva.

    La luce soffusa della piantana creava intorno a lui quell’alone necessario per isolarlo da tutto il resto. I suoi pensieri si bloccavano e i sensi, divenuti dipendenti esclusivamente da tatto e vista, gli restituivano l’idea della solitudine, dell’isolamento, dell’unicità. L’olfatto interveniva solo a tratti, per situazioni speciali.

    Non era esagerato affermare che, in quei momenti, il mondo scompariva. La realtà si annullava. Lo spazio assumeva la dimensione di un chicco di grano. Era simile, molto simile, a ciò che succedeva nell’attimo in cui la meditazione cessa e l’estasi comincia.

    Non percepiva perciò neppure i movimenti accuratamente ovattati della sua assistente. Quella di commessa non era certo una definizione che avrebbe potuto essere calzante per Marie.

    Non aveva progetti per il pomeriggio. Lo studio era l’unico impegno previsto, così anche il tempo si era fermato, nonostante la pendola ne ricordasse il trascorrere inesorabile, battendo ogni quindici minuti.

    All’interno del negozio, tutto era predisposto perché quelle azioni avessero l’atmosfera necessaria. Le scaffalature nascondevano completamente le pareti delle tre stanze e di quella sinistra del corridoio. Il mogano, scelto per durare nel tempo, lavorato semplicemente al fine di esaltare ciò che avesse contenuto, incorniciava migliaia di volumi stipati uno accanto all’altro, a impedire alla polvere e alla luce di penetrare le pagine. Le vetrine a tavolo, dello stesso legno, erano tre, una per ciascuna stanza, e ospitavano, di volta in volta, le scoperte più recenti: libri, aperti o chiusi, secondo le sottolineature che intendeva precisare lui.

    A Marie, nonostante gli anni avessero fatto assumere gli stessi gusti, le stesse competenze, addirittura gli stessi gesti del proprietario, e nonostante la fiducia che egli riponeva in lei, queste scelte non competevano.

    Già fatta anche la pausa consueta che tutti i giorni, alla stessa ora, celebrava recandosi a piedi sino a pont des Arts, dove attraversava la Senna per costeggiarla poi dall’altra parte, transitando per quai des Tuileries fino a sedersi sempre sulla stessa panchina.

    Spalle al Louvre e occhi all’Arc de Triomphe du Carrousel. Sempre. Senza una ragione. Era così ormai da anni. Una pausa pranzo che consumava quindi rapidamente al café Marly, poco distante. Novanta minuti. In tutte le stagioni, con ogni condizione atmosferica. E se la pioggia accorciava la permanenza nella panchina, allora prolungava la sosta al café.

    Novanta minuti il tempo del suo riposo.

    La luce delle vetrine, accesa da Marie, rimbalzò nel cristallo della teca posta al centro della stanza principale, obbligandolo ad alzare la testa. E sul prisma di vetro trasparente, lui appoggiò lo sguardo prima di rivolgerlo a Marie e sorridere.

    Credo di aver trovato il libro più interessante di quest’anno. Non ha bisogno neppure dell’intervento di Amelie. È perfetto, disse smorzando la luce della piantana e appoggiando la copertina verdolina sopra il tavolinetto Luigi XVI.

    A Amelie il Colophon faceva ricorso per alcuni lavori di pulizia o di rilegatura dei volumi che ne avevano necessità.

    Stai parlando della scoperta di ieri mattina?

    Sì. L’ho visto nella cesta di Bertolt, quella che tiene a fianco della bancarella dove appoggia, in attesa di valutazione più accurata di quella fatta per concordare il prezzo, quello che gli portano gli svuotacantine. Ne ha diversi che lo riforniscono settimanalmente. Sa fare buoni affari: in pochi minuti, senza far nulla, ha realizzato un guadagno importante. Ha intascato ottomila franchi per un libro che avrà certamente comprato per non più di duecento, e per di più con altri.

    Lo abbiamo già avuto in negozio però, me lo ricordo bene.

    Certo. Ma l’altro non aveva la copertina originale. Questo sì. E nonostante sia soltanto la seconda edizione, è comunque un libro molto ricercato.

    Nelle vetrine che attiravano i passanti, erano collocati anche minuti oggetti antichi. Prezioso contorno in oro, argento, peltro, alle sofisticate specificità del negozio.

    Uscì, dopo aver accarezzato lievemente il braccio sinistro di Marie a mo’ di saluto, spingendo la porta di vetro.

    Colophon era scritto sull’insegna a bandiera posta sull’angolo del negozio, e sopra la vetrata principale dov’era stata ricavata la porta d’ingresso. Lo leggeva sempre con soddisfazione, quel nome. Lo aveva scelto senza dubbi e ripensamenti. Un pensiero immediatamente successivo alla decisione dell’impresa.

    Colophon. Nessuno a Parigi si era accaparrato quel nome. E non sapeva se altri negozi nel mondo se ne fossero insigniti. La scelta era stata proprio felice se gli aveva addirittura fatto meritare i complimenti del concorrente più qualificato della città, il proprietario della libreria antiquaria in Galerie Vivienne.

    Spesso aveva avuto a che fare con quella parte del libro sconosciuta ai più. Le nozioni basilari, prima che riuscisse ad apprezzare le sfumature con l’esperienza personale, le aveva ricevute nella biblioteca di Terezín e poi nel monastero di Strahov. Da allora, era la prima cosa che cercava nei volumi di pregio. Quasi un’ossessione individuarne la collocazione, che seppur generalmente posta tra le ultime pagine non era, per ragioni di stampa, sempre la stessa. Aveva scoperto che negli incunabuli si trovava dopo l’explicit, spesso generando confusione per la coincidenza di informazioni. Possedeva cinquecentine acquistate solo per la bellezza dell’emblema dello stampatore o per la raffinatezza della cornice attorno alle scritte. In fondo, le informazioni che il colophon gli forniva erano fondamentali per il suo lavoro. Dati semplici, ma di enorme valore.

    La stessa chiarezza, linearità, inequivocabilità di un colophon l’avrebbe voluta per la sua vita. Forse anche per questo la scelta.

    Nonostante abitasse tra due fermate della metropolitana, Saint-Michel - Notre-Dame e Odéon, come d’abitudine, decise di andare a piedi.

    Per raggiungere l’appartamento di rue Suger sarebbe stato molto più breve percorrere rue Mazarine. Preferiva però apprezzare le atmosfere che restituivano i platani e la Senna in ogni stagione percorrendo quai des Grands Augustins. Spesso raggiungeva la Shakespeare & Company per continuare a curiosare tra la carta stampata.

    Il nitore dell’autunno plasmava coi suoi bagliori la notte, generando sfumature che attingevano insieme all’inverno ancora lontano e a un’estate che non era più. Ibridazione: mancavano sia il caldo che il freddo deciso. L’aria rendeva ancora invitante trattenersi all’aperto, seppure obbligando a mettersi al riparo di uno spesso maglione o di una giacca pesante.

    Fuori dai bar, i tavolini ospitavano chiacchiere e bicchieri di vino, i ristoranti proponevano coperte di lana ai clienti vogliosi di stelle, e una fisarmonica respirava ansimante prima di offrire i suoi suoni tristi.

    Per questo il suo passo non era veloce.

    I verdi banchini dei bouquinistes avevano già chiuso i loro sportelli. Solo in un punto, le tele di un vecchio pittore appoggiate al muretto aspettavano, forse, che il tabacco della pipa finisse. E mentre l’artista cercava di restituire i riflessi dei lampioni nell’acqua del fiume, lui si fermò a osservare. Senza proferire parola, accostando i risvolti della giacca a proteggere il petto, scantonò poi per la strada di casa.

    Mentre saliva le scale, gli odori della cucina di madame Rosa gli ricordarono che nel suo appartamento non avrebbe trovato nulla per fermare la fame. Allora tornò sui suoi passi e scelse il primo bistrot che incontrò per passare la sera.

    C’era stato altre volte, poiché non troppo distante da casa, anche se non gradiva l’acre sentore della cucina. Per questo accompagnava col vino, spesso, solo formaggi. Freschi, non stagionati. Oppure insalata. Mai nulla di cotto.

    Giunto al suo pianerottolo ripetendo il rito delle scale, il trillo insistente del telefono lo obbligò ad aprire veloce la porta.

    All’altro capo del filo che partiva dal suo apparecchio a muro, una voce dai suoni duri lo doveva informare che la sua richiesta, avanzata tempo prima, era stata evasa: i dati erano disponibili, anche se solo di tre delle cinque persone che erano state indicate. Di quelle mancanti, nessuna registrazione tra quelle sino al momento esaminate ne indicava la sorte.

    Chiunque avesse potuto vederlo, non avrebbe saputo

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