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Il suo segreto: Antonello da Messina e l'Annunciata
Il suo segreto: Antonello da Messina e l'Annunciata
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Ebook206 pages3 hours

Il suo segreto: Antonello da Messina e l'Annunciata

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Adottando la struttura cara e fortunata del ritratto, Antonello (Messina, 1430-1479) isola il suo personaggio ed elimina l’Angelo, muove lo sguardo della Vergine, ma abbassandolo là dove anche pittore, committente e spettatore si incontreranno, silenziosi e non visti.
Entrare nella mente del pittore per cogliere il progresso dall’idea al disegno, dalla tavola alla mostra in Palazzo Abatellis (Palermo), è una sfida, una possibilità narrativa.
LanguageItaliano
Release dateOct 21, 2020
ISBN9788866603665
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    Il suo segreto - Angelo Ferrarini

    VERGINE

    PRIMA TAVOLA ● INCIPIT

    SCENA PRIMA ● MESSINA, BOTTEGA, GIUGNO 1475. GIOVANNI E ANTONELLO

    «È venuto Mirulla a chiedere una tavola?»

    Giovanni, affacciato alla soglia interna della bottega, squadra il figlio. Antonello era immobile, occhi fissi e volto deformato dalla sua attività preferita, fermarsi a pensare con la faccia contratta: mascella stretta e sporta in fuori o di lato, in brevi movimenti, sotto quei muscoli asciutti scavati.

    Antonello si gira verso l’ingombro che gli scherma la luce, una mezza tonaca da lavoro grande e impolverata, suo padre.

    «Contratto come al solito?», gli ha appena chiesto, accennando alla tavola. Antonello fissa l’ampia mano destra che stringe uno scalpello.

    "Due domande di mattina presto. È il suo modo di passare a salutarmi, appena aperta putìa". Il figlio risponde alla terza, inespressa: «No, non tengo mal gènio, patri. E voi, come state?» Gli mostra la tavola bloccando altro domandare: «Qui ci andrà il lapislazzuli e il libro con leggio. Niente gioielli».

    Antonello con la sinistra percorre un breve legno gessato, lisciandone bene la superficie bianca.

    «Non hai garzoni stamani? E Jaco?»

    È il più alto di tutti il suo Neddo, bello, nero, rizzuto.

    «Tutti occupati a colle e fondi. È passato Giordano coi suoi».

    Indica con il mento il cortile col fico e le stanze più interne.

    «I legni per i ritratti me li curo io, fin dalla scelta del pezzo. Ecco un bel pioppo. Se ne trovan di buoni dai Lombardi. I nostri son più duri».

    Quanto parli, figlio!, sembra pensare Giovanni, «che centra il lapislazzuli con un ritratto?»

    «Vorrei fare una Madonna vera», Antonello batte qua e là con il pollice destro su tutta la superficie.

    «Allora, prima parti, prima finisci».

    Andrò invece piano. Con la mente, padre.

    «Il bello verrà adesso. Mi sento in partenza per una nuova impresa. I preparativi fan già viaggio».

    «Neddo, che vuoi farne un altro?»

    «Avete capito! Forse a Venezia. Qui Mirulla mi lascia giocar le carte mie. Sto girando attorno all’idea». Se mi tengo questa ossessione buona, la cosa uscirà per forza. Magari mi fa bene. Un parlare tra sé a voce alta. Chissà se il padre ascolta.

    «Sì, continua, e che?»

    «Adesso il ritratto piace a tanti. Dicono che li faccio vivi, più dei nordici».

    «E allora?»

    «Prendo un ritratto e lo converto in Madonna».

    Antonello liscia sempre la tavoletta.

    «Hai fatto molti passi e come sempre non ti fermi. Napoli è più vicina. Una volta andavi spesso. Ricordi il soccorso che ti ho dato, sulle sponde calabresi. A te e famiglia. Francesco da Paola fece allora un miracolo: quella barca c’è sempre».

    «Una volta. I nordici sono fermi alla loro lente di ingrandimento. Una volta mi dicevate: Fai sempre di testa tua, come tutti i mancini, ricordate?»

    «E disdegnavi la scultura, la pietra, la pazienza».

    «Non mi capiste. Volevo scolpire in disegno e pittura, io. E senza tutta quella polvere. Solo con linea e superficie e poi vengono i colori. Le mie sono pietre più morbide senza il bianco che respirate».

    Il padre sorride: «Non esistono linee ma volumi. Almeno questo te l’ho passato. E il bianco del piombo è tutto vostro».

    «Ve lo riconosco. E le vostre sentenze: sempre esercitarsi e lavorare da operaio onesto. E grazie sia ai nostri frati. Questo ve lo devo».

    «La gente corre dai santi e cerca le immagini e noi traffichiamo alla devozione loro, facendo quello che chiedono, compreso lo sfarzo e il sontuoso».

    Padre e figlio si guardano.

    «È una Madonna. Amen».

    «Quante Madonne!»

    «Tante Annunciate».

    «Tradizione è memoria e va rispettata».

    «E con tutte le sante Madonne non mi vai dicendo altro? Ho sentito delle voci».

    «Voci, patri. Le stesse che sentiva mia madre. Diceva: Femminaru era il nonno…», mi sbaglio?

    Le campane del monastero suonano terza.

    I figli ti accoltellano quando non l’aspetti, Hanno ragione, loro possono.

    «Sì, non mi fermo. Vorrei fare di più. Togliere quegli angioli alla foggia greca, togliere le corone e i broccati…», e lasciare la sostanza, intende, perché dirlo?

    «Dipende da cosa chiede e cosa paga il nostro amico».

    «Amicu? Parenti? Mirulla vuole una madonna per la devozione privata. Gli faccio un prezzo buono e non farà storie. È il nuovo modo dei nostri francescani».

    «Di questo non dubitavo. Sul fare a modo tuo, intendo. E salve santo Francesco. Il prezzo non è mai buono, la gente spende per abiti di festa, trapunti e dipinti, non per madonne dimesse. Sarà per casa?»

    «Per una sua nipote».

    «Per il suo anniversario, lo so. Giovanna si è monacata e vuole festeggiare al convento».

    «Non mi disse questo. La circostanza gira bene per me da un po’. Sarà contento del lavoro e non farà problemi sul contratto».

    Antonello s’appoggia al ripiano, e depone la tavola lisciandola ai bordi. Poi guarda l’uomo che ha davanti. Alto, grosso, scarlatto in faccia, vero padre padrone, padrone mazzone.

    «Resta che chi grossamente lavora, grossamente guadagna».

    «Resta che sarà una ’cona di devozione, ma con ritratto sacro a modo mio».

    «Facile per te, difficile per chi guarda i volti addolorati. Ma le suore voglion soffrire».

    «Una monaca non deve mostrarlo o far stupire nessuno. E quindi sto con questa idea. Dopo molti ritratti di uomini in figure e persona, ora un ritratto di donna, ma non in sofferenza».

    «Conosco anch’io i conventi. E conosco bene i tuoi ritratti, ne parlano anche fuori. Per questo ti cercano i Viniziani».

    Il padre rimetteva ora un piede sulla soglia, vera statua appoggiata all’altro stipite per introdurre il nuovo argomento.

    «Così mi ha detto a Pentecoste il console ambasciatore. Vuole una grande ancona per Venezia».

    Antonello posò il legno e stette a braccia tese e con le due mani al piano del tavolo. Diede un lungo sospiro, spostò la mascella in fuori e mise un attimo la mano sul fianco destro.

    «Dormi poco? Stai fuori di notte?»

    «Che dite?», fece dopo un po’ il figlio, ma non era domanda.

    Antonello si avvicina al padre, piano, le braccia ora in disarmo lungo i fianchi. Il padre vede un corpo consumato sotto la camicia scura.

    «Sì, il Console venne da me poc’anzi», disse Giovanni.

    «Immaginavo. Vanno sul sicuro. Han già portato via una figlia».

    Antonello guarda le scarpe di suo padre, di pelle mal concia e grezza, imbiancate.

    «Partirai presto? Tua madre è preoccupata, dice che non stai bene, lei pensa sempre alle storie della nostra famiglia».

    Antonello ricordava un ritornello: Mazza, sgorbia, pennello, tutti uguali gli Antoni.

    «Voglio sentire i Veneziani, ma prima finisco l’opera per il prete Maiuni di Palazzolo, visto che il Laurana ha fatto la sua per gli Alagona».

    Indica con gli occhi un’annunziata, a metà del lungo stanzone, sul cavalletto alto quanto la parete.

    «E questa nuova?»

    «La comincio ora e la consegno quando torno».

    Vai, torni. Ci ha il verme dei viaggi.

    «Ti saluto, figlio. Ogni mare ha un’altra sponda, ricorda».

    Fabbro è mio padre, di sentenze, pensa Antonello.

    «Portatele un bacio alla madre, ditele che non ho più dolori».

    «Vai mai a trovarla».

    Si guardano. Era una domanda? Antonello aspetta.

    «Senza pietre non c’è arco, ricorda».

    «Sono isolàno, patri. Di mare, non di scoglio».

    Antonello abbraccia il padre con lo sguardo.

    Giovanni esce, mentre Antonello si scherma gli occhi con un braccio per vederlo sparire. È giorno fatto. La massa corposa ondeggia e svanisce, lasciando dietro bagliori di polvere.

    La luce definisce le cose, troppa luce le copre. Il figlio entra e si addossa al tavolo grande. Si inchina sulla piccola ‘cona bianca. Poi tenta di coricarsi sul lungo sedile. Le contrazioni lo piegano. Di solito premendo passano, dice il clinico. Si allunga disteso sul banco, afferra la piccola tavoletta e se la schiaccia sull’addome, contro l’addome. Anche san Paolo aveva un malanno del Diavolo. E san Luca per ore stava arriggidito, non per superbia certo come l’altro. Ogni malanno un demonio.

    SCENA SECONDA ● BOTTEGA, INIZIO ESTATE 1475. SALVO E ANTONELLO

    «Come troverete la Madonna?», Salvo gira il dito nella scodella marina sul tavolo, lo ritira tutto bianco e lo avvicina al naso.

    «È un segreto», dice lo zio. È seduto sullo sgabello di fronte a una tavola sul cavalletto piccolo.

    «Come fate?», il bambino si guarda l’indice e soffia via la polvere.

    «Il fatto è che non c’è». Silenzio.

    Il piccolo osserva la terra bianca distribuirsi sui bordi della conchiglia.

    «Non mettere in bocca. Non dovrebbe esserci».

    «Perché?»

    «Perché è la Vergine».

    «Cosa vuol dire?»

    «Hai il naso con una punta di bianco. Non vai mai in chiesa?» Si alza di botto.

    «Arrivo subito».

    Il pittore si sposta nella stanza interna a parlottare con il primo garzone e torna con un vasetto di pennelli puliti.

    «Sì, sempre, alle feste vado».

    «E i vespri?»

    «Qualche volta con zia».

    «Non hai sentito la preghiera della Madonna?»

    «Quale?»

    «Ave Maria».

    Il piccolo  scruta quella faccia seria e aspetta. Lo zio continua.

    «Graziaplena…», gli fa lentamente.

    «Sì, l’ho sentita, e poi dominutecus

    «Eccola, è lei, graziaplena».

    «Glaziaprena graziapena…».

    «Grazia plena dominustecu. Plena, prova».

    «Piena plena».

    «Bravo», lo zio ripete quasi cantando, «plena, plena, piena di grazia, Salvo, o no?»

    «Piena!», esclama il piccolo artefice.

    «Ecco, lei è la Vergine, di quella preghiera che devo fare nel quadro».

    «Grazia plena», ripete lento sottovoce guardandosi e girandosi le mani, ora tutte bianche.

    «Questa tu l’hai mai vista nelle chiese?»

    «Non so».

    «La Madonna che chiamano Annunciazione, Annunciata?»

    «Non sapevo come la chiamano».

    «E Nnunziata

    «Ah, sì, nnunziata sì, c’è anche una cugina», fa un sorriso. Non è biondo questo nipote, ma attento, come un angelo.

    «E non è tua cugina!»

    Salvo fa un sospiro. La terra bianca si alza dalla conchiglia e vola in aria. Antonello arriva vicino e soffia anche lui. Il deschetto è polveroso, soffocato in una nube di bianco. Anche Salvo ride.

    «Sembra di fare il pane».

    La nuvola si sta depositando.

    «Non ha profumo questa farina».

    Il pittore lo guarda, sposta la capasanta: un disco sporco al di sotto, con attorno la farina bianca. Guardano.

    «Sotto il tavolo c’è uno scopetto. Prendilo e pulisci». Antonello fa un cerchio con la sinistra. Il bimbo esegue, si piega e torna su il volto tutto una smorfia.

    «Tanti puzzi lì sotto?»

    «Tenete dell’aceto, zio?»

    «Sì, e non solo. Io faccio lo speziale».

    Il bambino raccoglie un mucchietto: «Ho finito. Speziale dite?»

    «Adesso puoi pulirti davanti, sul camicione, così», Antonello fa su e giù con le mani bianche sul grembiule sporco, quando è dritto gli copre metà persona.

    «Anche voi avete le mani bianche».

    «Ma non sono sporche, sono macchiate».

    «Perché?»

    «Io uso colori e odori, come una cucina».

    «Ma è vero che andate a Venezia?»

    «Sì».

    «E vedete tanta neve bianca?»

    Antonello allarga gli occhi e fa volare larghe e a rilento le mani sulla testa del bambino: «Tanta, tanta, sulla piana ampia, senza fine». Segue pausa, silenzio.  «Allora. La Madonna annunciata è in casa sua. Non c’è nessuno, sta a pregare il libro sacro».

    «Come fate a saperlo?»

    «Perché così sta scritto. Ed ecco che arriva un angelo, si mette di fronte a lei e le dice quella preghiera che ti ho detto: Aviu Maria, graziaplena dominustecu».

    Salvo fa sì con la testa.

    «Bene. E io devo fare una cosa come questa».

    «Su quella tavola? E indica un cavalletto con un’asse nuda, liscia».

    «No, quella è grande. Questa più piccola», si alza e prende la tavoletta verticale, la adagia sul piano del tavolo sporco.

    «È dipinta di nero, non è finita».

    «Sì, una parte diventa colore. Non è nero nero».

    «La posso toccare?»

    Il pittore gliela porge: «Tienla con le mani attorno».

    «Pesante, però!», e la restituisce alle mani dello zio, aperte davanti, che la tengono un attimo e la depongono sul piano.

    «Guarda, hai il pollice nero e anche il naso. Adesso te lo pulisco!», e mentre il bambino si guarda le mani, lo zio gli stringe il naso tra indice e medio e glielo mostra: «Te l’ho preso!»

    «Non è vero!»

    Lo zio apre la mano: «Non c’è più».

    Salvo si tocca e ride, si pulisce sul camice davanti e poi si risiede e gira la faccia al sorriso dello zio: il naso del bambino è nero.

    «Perché nero?»

    «Perché il nero spinge fuori. Guarda questo», Antonello si alza, qualche passo verso la parete, gira il cavicchio di una porta nel muro, la apre lentamente, si rivolge a Salvo e indica con il braccio sinistro il piccolo quadro in primo piano nell’oscurità dell’interno.

    «Non vedo molto».

    Antonello prende dalla parete una lucernetta.

    «Adesso sembra vero!», esclama a voce alta il ragazzino.

    «Ehi, ehi, piano!», bisbiglia il pittore con l’indice sinistro sul naso.

    «Mi fa paura».

    «Perché?»

    «Perché sembra in fuori».

    Salvo è bloccato nella considerazione del piccolo ritratto. Antonello chiude la porta.

    «E la Madonna deve uscire, esce dalla sua notte e improvvisamente…», il piccolo dischiude la bocca, «ecco, arriva per mostrarsi alla luce… e la luce poi la taglia, la abbaglia, ammalia…»

    Ziu nasconde la faccia dietro il quadro che ha alzato con le due mani. Il ritratto si sovrappone alla testa del pittore. Salvo è immobile, a bocca aperta, poi scoppia a ridere.

    «Ma subito si svela!», Salvo fa un altro piccolo sussulto.

    «E la luce… fìaaat!», Salvo fa un balzo. Lo zio ha urlato, abbassa la tavola, svela un bel sorriso.

    «Hai il dito nero anche tu!», Salvo punta l’indice alzandosi dallo sgabello.

    Antonello si guarda: «Lo sapevo!», urla quasi e si mettono a ridere.

    «Se ci apparisse qui avremmo paura. Come ha avuto lei con l’angelo. O è l’angelo che ha avuto paura? Lei si difende e gli dice: Basta così! e l’angelo scappa via».

    Antonello si ferma con il braccio allungato come una spada Il bimbo sorride con un sospiro, uscito da quella specie di gioco. Lo zio alza le braccia e le muove come ali.

    «Ma perché la devi fare?», Salvo non vuol rientrare in quella logica che gli viene imposta.

    «Perché è il mio lavoro, fare le Madonne».

    «Fai solo quello?»

    Antonello si siede.

    «Le facevi anche da piccolo?», Antonello si ritrova nella veste di maestro che aveva smesso da quel po’, con Jacobello ormai grande, allievo lievitato. Guarda il naso nero di Salvo.

    «Le madonne? No, mi piaceva disegnare le facce. Il nonno mi aveva insegnato a farle scolpite, come quella, ma a me non piaceva il rumore di mazzuole e martelli».

    Salvo guarda nella direzione del dito dello zio. In un angolo, nell’ombra di pietre e sassi riuniti, sta una testa ingiallita, mezza rotta, si vedono dei capelli.

    «Io volevo usare colori e pennelli», Antonello avvicina una casseruola con della polvere nera. Prende un vasetto e versa dell’olio nella conchiglia più grande, poi unisce della polvere con un mescolo e gira piano con un pennello corto.

    «Cos’è?»

    «Sto facendo altro nero, basta un poco di olio santo e la polvere diventa pasta e poi colore».

    «Posso toccare l’olio santo?»

    «Non puoi. Santo solo per me. Mescolare gli elementi è una cosa sacra. Tu puoi con me. Gira tu il pennello».

    «E gli altri?», Salvo amalgama e Antonello regge il contenitore ruvido, grande per la sua mano.

    «Gli altri colori?»

    «No, pittori».

    «Il padre di ogni primo pittore lo porta da un maestro che lo tiene con lui imparando, e tutto il tempo che ci vuole».

    «Cosa diceva il nonno?»

    «Di andare a Napoli».

    «No, della pittura tua».

    «Ah. Che la pittura imbroglia. Pittari è falso, la scultura è vera», Antonello ripone la casseruola sul tavolo, «e a te, cosa dice

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