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Le 4 vite di Steve Jobs
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Ebook366 pages5 hours

Le 4 vite di Steve Jobs

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Le 4 vite di Steve Jobs

Daniel Ichbiah
N°1 nelle hit-parade di vendite nell’agosto del 2011.

Nuova edizione 2016 aggiornata

 «A trent’anni mi sono ritrovato sul lastrico. Licenziato brutalmente. La mia ragion d’essere non esisteva più. Ero a pezzi.

Non me ne resi conto subito, ma la mia partenza forzata da Apple fu salutare…»

Questa è la confessione di Steve Jobs fatta questa mattina di giugno del 2005 agli studenti dell’Università di Stanford. Riassumeva la maturazione che è lentamente avvenuta in lui. Cacciato da Apple come un sudicio nel 1985, Jobs ha effettuato un ritorno clamoroso dieci anni dopo producendo opere che hanno marcato la loro epoca come l’iPod, l’iPhone e l’iPad.


 

Il CEO più ammirato del mondo, Steve Jobs ha spesso navigato controcorrente, spinto da una propria visione geniale e da una forza di convinzione fuori dal comune. Eppure, poteva anche sbagliarsi: è stato lui stesso ad aver quasi fatto fallire Apple nel 1984 dopo aver lanciato il Macintosh, imponendo delle scelte tecniche incoerenti!

Le 4 vite di Steve Jobs racconta dell’infanzia turbolenta di Jobs, l’ascesa alla gloria dopo la fondazione di Apple, la sua disgrazia e il tentativo vano di vendetta seguito a un ritorno in apoteosi. Rivela anche mille sfaccettature inattese dell’artista fuori dalla norma che dirige Apple.

* La sua ricerca di illuminazione in India 

* Il suo iniziale rifiuto di riconoscere la paternità a sua figlia Lisa 

* La sua storia con la cantante folk Joan Baez 

* La ricerca di sua madre che lo abbandonò alla nascita

* Il tentativo di curare il suo cancro con una dieta vegetariana…

A modo suo, Steve Jobs non ha smesso di voler cambiare il mondo, cambiare la vita…

Un libro best-seller

Pubblicato da Leduc Editions nell’aprile del 2011, Le 4 vite di Steve Jobs si è classificato n°1 di vendite nell’agosto del 2011. 

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateOct 21, 2020
ISBN9781071572269
Le 4 vite di Steve Jobs
Author

Daniel Ichbiah

Ecrivain, auteur-compositeur et musicien, Daniel Ichbiah est l'auteur de plusieurs livres à succès.* Les 4 vies de Steve Jobs (plus de 20 000 exemplaires* La saga des jeux vidéo (5 éditions : 14 000 ex.)* Bill Gates et la saga de Microsoft (1995 - 200 000 ex.),* Solfège (2003 - environ 100 000 ex.). Très régulièrement dans le Top 100 de Amazon.* Dictionnaire des instruments de musique (2004 - environ 25 000 ex.),* Enigma (2005 - 10 000 ex.)* Des biographies de Madonna, les Beatles, Téléphone (Jean-Louis Aubert), les Rolling Stones, Coldplay, Georges Brassens...)En version ebook, mes best-sellers sont :. Rock Vibrations, la saga des hits du rock. Téléphone, au coeur de la vie. 50 ans de chansons française. Bill Gates et la saga de Microsoft. Elvis Presley, histoires & légendes. La musique des années hippiesJ'offre aussi gratuitement à tous un livre que j'ai écrit afin de répandre la bonne humeur : le Livre de la Bonne Humeur.

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    Le 4 vite di Steve Jobs - Daniel Ichbiah

    Le quattro vite

    di

    Steve Jobs

    Daniel Ichbiah

    © 2011 LEDUC.S Edizione

    © 2014 Daniel Ichbiah

    © 2016 Edizione Delpierre

    @2017 Daniel Ichbiah – Edizione DanicArt

    Le 4 vite di Steve Jobs è stato il nr. 1 delle vendite sull’Apple Store a fine agosto del 2011.

    La copertina è stata realizzata da David Glière

    I diritti fotografici sono stati acquistati dalla casa  editrice éditions Leduc S per la prima edizione o dall’autore nell’ambito della presente edizione. La quarta fotografia è stata acquistata il 16 novembre 2014 presso Dreamstime.com:

    dreamstime_xl_34828854

    CEO and founder of Apple Computers & Pixar boss, STEVE JOBS, at the world premiere of Disney/Pixar's Monsters, Inc., at the El Capitan Theatre, Hollywood. 28OCT2001. Paul Smith/Featureflash.

    Prefazione di Michel Serres

    Arrivai nella Silicon Valley nel 1982. Allora professore della storia delle scienze alla Sorbona, arrivai per tenere una conferenza a Stanford, in California, e questa università mi chiese se volessi ricoprire la posizione di professore, offerta che accettai.

    Essendo stato conferenziere a Stanford dall’inizio degli anni 80, vidi presto Steve Jobs. Mi ricordo perfettamente del momento in cui è stato ringraziato da Apple, per il suo ritorno e altri momenti forti della sua vita.

    Ho conosciuto molto bene quelli che lo frequentarono, quelli che fecero affari con lui, gente straordinaria come Jean-Louis Gassée, che è mio amico da trent’anni – è arrivato da Apple Francia alla Silicon Valley tre anni dopo di me – oppure Eric Benhamou [nota dell’autore: Benhamou è una delle più grandi figure del settore rete].

    Non posso dire di più su Steve Jobs, solo quello che l’autore scrive in questo libro. Ha effettuato un buon lavoro su questa storia. Posso tuttavia aggiungere i punti seguenti.

    Innanzitutto, Steve Jobs era un vero statunitense. Quello che intendo con questo, è che non era statunitense! È qualcosa che condivido con lui: in un certo senso, c’è dello statunitense solo nella gente non statunitense. La maggior parte dei Premi Nobel che si dicono statunitensi, sono giapponesi, ungheresi, indiani o anche francesi. Pertanto, fa parte dell’idea che si può riscontrare stranieri naturalizzati statunitensi.

    Inoltre, Steve Jobs era un buon simbolo per ciò che si chiama «resilienza» [note dell’autore: la resilienza è la resistenza di un metallo agli shock]. Era un individuo che ha dovuto affrontare due o tre problemi importanti. Per primo, fu licenziato dalla sua azienda. Una volta tornato, resistette alle pressioni interne. Combatté anche la malattia. Quando lo si incontrava verso la fine della sua vita, era triste da vedere. Ha resistito e lo stimo per questo.

    D’altronde, penso che ci sia sempre, nelle aziende industriali, una lotta larvata ma mortale tra il tecnico e il finanziere. Ci sono quindi due specie di culture. I tedeschi mettono in avanti il tecnico e in secondo piano il finanziere. Gli statunitensi fanno passare il finanziere davanti al tecnico. Eppure, Steve Jobs, anche se non era un tecnico di alto livello – non era un informatico di prima borsa, non era il suo ruolo – era comunque tecnico dell’abbigliamento, del rapporto uomo-macchina. In questo campo era molto bravo. Era riuscito a imporre ai finanzieri la sua idea. Il successo di Apple è comunque questo. Steve Jobs invertì le abitudini statunitensi.

    In genere, negli USA, vi dicono: ah, avete un’invenzione geniale? Non m’interessa. Qual è il vostro business plan? Gli statunitensi sono così. L’invenzione tecnica non li appassiona. L’essenziale per loro è il business plan. Eppure, Steve Jobs evidenziava le sue idee in modo tecnico, ma le faceva accettare dal Consiglio di Amministrazione.

    Tra l’altro, quando si parla della deindustrializzazione della Francia, è semplicemente perché la HEC prevale sugli allievi della scuola centrale o di un laureato al Politecnico. È una vera catastrofe poiché il profitto non è l’unica cosa che conta. La ragione per la quale compriamo delle gomme di una certa marca, è perché sono delle buone gomme, non perché il bilancio dell’impresa è buono.

    È qui che Steve Jobs impose le sue idee contro il bilancio, e questo è fantastico. Mi sembra notevole.

    Ci sono altri aspetti che vorrei sottolineare. Steve Jobs era un tipo che viveva in modo assolutamente semplice. Lo si incrociava per strada, lo si incontrava nei bar... Non andava in giro con una Jaguar.

    Quando Steve Jobs ci lasciò, sono stato testimone di scene rare. Sull’University Avenue, che è la strada principale di Palo Alto, si trova un grande negozio Apple – tra l’altro, il primo che Steve installò. Un individuo arrivò e incollò un foglietto. Un altro fece la stessa cosa, poi ancora un altro. Dopo un’ora o due, tutta la facciata era costellata di testimonianze in inglese, francese, giapponese, cinese, spagnolo... Era straordinario. La sua scomparsa colpì la Silicon Valley.

    Era come se avessimo perso il campione della Valley, quello che ne riassumeva lo spirito, il simbolo stesso della Valley...

    Michel Serres

    Filosofo, membro dell’Accademia Francese

    Lo specchio frantumato dell’innocenza

    «Sono passato dalla miseria alla fortuna nella tristezza della notte,

    Nella violenza di un sogno d’estate, nella freddezza di una luce d’inverno,

    Nella danza amara della solitudine inghiottita dallo spazio,

    Nello specchio frantumato dell’innocenza percepibile su ogni viso dimenticato.»

    (I have gone from rags to riches in the sorrow of the night

    In the violence of a summer’s dream, in the chill of a wintry light,

    In the bitter dance of loneliness fading into space,

    In the broken mirror of innocence on each forgotten face.)

    Senza dubbio, Steve Jobs si riconosceva in questi versi scritti da un poeta che adulava: Bob Dylan...

    Qualcosa d’indescrivibile univa questi due personaggi. Dylan poteva entrare in uno studio di registrazione la mattina a malapena sveglio, un po’ esausto, sedersi davanti al microfono, dando alla luce una registrazione, una sola, e lasciare ingegnare i tecnici del suono. Poteva dare la sua verità allo stato brusco, senza compromesso, con una forza tale che non c’è nulla da aggiungere.

    Una caratteristica univa queste due personalità. Proprio come Dylan, a Jobs non importava piacere o meno. Autentico fino al midollo, non doveva dare spiegazioni a nessuno. Si esprimeva senza problemi, enunciava quello che aveva da dire come voleva.

    Ovviamente, qualche volta la pagò cara, molto cara...

    In una fresca mattinata di gennaio del 1997, Steve Jobs viaggiava in direzione di Apple, a malincuore. Per un decennio e passa, non tornò più in questo impero che un tempo fu suo e dal quale fu esiliato. Tanti ricordi romantici sono legati a questa epopea personale. Nel suo rancore, aveva dimenticato quanto amasse Apple. Aveva un tempo creato questa cittadella del sapere, come si costruisce una cattedrale, pietra dopo pietra, animato da un senso di perfezione senza compromesso...

    Alla guida della sua Porsche, Steve Jobs cercava di trattenere le sue emozioni. Nel settembre del 1985, disse addio ad Apple, spiegando qua e là che una parte della sua anima sarebbe restata per sempre in questo luogo.

    Apple, diceva, era stato come il primo amore e non si dimentica mai quello che ha suscitato le prime emozioni sentimentali. Mai avrebbe potuto immaginare che chi lo rinnegò potesse ritornare un giorno a fargli gli occhi dolci. Dal momento del suo addio sul prato, all’inizio dell’autunno del 1985, era probabile che la sua fidanzata fosse molto cambiata... La sua storia con Apple aveva un profumo romantico, imbevuto di sfide, di vittorie, di colpi di scena...

    La prima vita di Steve Jobs fu movimentata, ma commovente. Allo stesso tempo idealista e tormentato, cercava a tastoni la via da seguire. Steve si sentiva inadeguato, ma durante questi vivaci anni Sessanta, non erano in milioni a condividere questo sentimento?

    Per la grazia di un’epoca benedetta, Bob Dylan, i Beatles e i Doors scrissero la favolosa colonna sonora del film della sua gioventù. Vide emergere la controcultura, gli hippy, le sperimentazioni di ogni genere... Aderì spontaneamente a certe tendenze della sua epoca, pur rimanendo sull’aspettativa.

    I paradisi artificiali – le droghe -, li assaggiò solo a fior di labbra. Il suo oppiaceo era l’elettronica, per la quale nutriva una passione degna dei genitori di Pinocchio o di Frankenstein: la paziente creazione di una macchina, di un oggetto che prenda vita.

    La fortuna vuole che un emulo di da Vinci abitasse non lontano della sua casa d’infanzia: il beatnik barbuto Steve Wozniak, il cui genio fu determinante in seguito.

    Poi, all’università, la sua anima subì gli assalti di un’altra seduttrice, altrettanto sensuale ed esclusiva: la ricerca di un’illuminazione spirituale. Steve si rivede, percorrendo le strade dell’India in compagnia di un altro studente, Dan Kottke. In questo film del passato, assiste incredulo alla processione di decine di migliaia di uomini nudi arrivati dalle alte montagne in direzione del Gange, come se l’acqua del fiume potesse pulire la loro anima...

    A partire dal 1977, Jobs attraversò una metamorfosi sorprendente. Una volta scoperta la sua via, un’energia inattesa si liberò. Si dimenò come un diavolo per creare Apple, lanciare l’Apple II, poi il Macintosh.

    L’avventura Apple rappresentò l’essenziale della sua seconda vita, quella di un’ascensione caotica verso le stelle.

    Successe tutto così in fretta. Con il suo amico d’infanzia Wozniak, campione assoluto di tecnologia, costruì un primo computer. Dopodiché, intrapresero il loro primo capolavoro, l’Apple II.

    Flashback. Noncurante del suo aspetto da hippy, che assumeva senza vergogna, Jobs flirtava con i finanzieri in completo e li avvicinava alla sua causa, con l’attrazione verso i biglietti verdi che superava il disgusto iniziale per questi giovani trasandati. L’Apple II rese Jobs e Wozniak ricchi e famosi.

    Diventato il più giovane milionario americano a venticinque anni, Jobs conobbe la gloria, gli applausi, i media che si battevano per raccogliere le sue dichiarazioni. Ci prese gusto. Eppure, un altro obiettivo s’impadronì della sua anima.

    Durante una visita nei laboratori di ricerca presso Xerox, fu colpito dalla grazia. In un baleno, intravide un futuro magnifico: la fusione dell’artistico e dell’informatica. Il computer riprogettato da le Beau. Avviò quindi una conquista di un’altra portata. Con il Macintosh, cambierà il mondo! Fine della storia.

    Jobs non si accontentò a mirare a una bella qualità: maturò un’eccellenza degna di un Michelangelo. Il suo desiderio di perfezionismo non era superficiale. Questa tendenza era ancorata nella sua anima e non tollerava i circa. Più di un ingegnere si strappò i capelli di fronte alle sue pretese. Già nel 1977, voleva che le linee della scheda madre dell’Apple II fossero disegnate in modo rettilineo, poco importava se questo rendesse la sua progettazione incredibilmente più ardua. E allora? Non si costruisce la cappella Sistina allo stesso modo dei mortali. Il minimo dettaglio doveva rientrare nella perfezione.

    Per creare il Macintosh, Jobs si circondò di una squadra di menti estremamente rare, selezionate con una spietata arte della selezione. Un anno e mezzo prima, durante una lezione allo Smithsonian Institute, rivisitò la questione... «È doloroso non avere al proprio fianco le persone migliori del mondo. Il mio lavoro fu proprio questo: sbarazzarmi di alcune persone che non erano all'altezza.»

    Steve si rivede piantare una bandiera pirata nel covo degli artisti della squadra Macintosh, una banda di sublimi disadattati che cercava di prolungare artificialmente la fiesta del Flower Power degli anni Sessanta. Si rifugiarono in un edificio separato dal resto della Apple per prepararsi meglio a una rivoluzione dall'interno.

    L'epopea Macintosh si svolse in condizioni omeriche, in spregio all'opinione comune e nonostante gli ostacoli che altri considererebbero insormontabili. Ricordava le peripezie di Francis Ford Coppola su Apocalypse Now. Individui che erano piuttosto ribelli per natura, come Andy Hertzfeld o Randy Wigginton, diedero il meglio di sé mentre non ci si sarebbe potuto aspettare la stessa devozione in altre circostanze. Con i suoi colleghi della squadra Macintosh, Hertzfeld realizzò l'interfaccia Macintosh con grande abilità e creatività, accettando volentieri le regolari prepotenze del capitano sul lungo andare...

    Impetuoso e orgoglioso, Steve fece tutto quello che voleva, lavorando su ogni dettaglio della sua Gioconda. Si rivede entrare nell'ufficio di Andy Hertzfeld, l'anticonformista la cui zattera si era in qualche modo arenata sulle rive della Mela. Si presentò, senza preavviso, per rivendicare:

    «Andy, ti annuncio che d’ora in poi farai parte della squadra di Macintosh!

    ― Fantastico, replicò Hertzfeld. Dammi solo qualche giorno, giusto il tempo di finire il programma per Apple II.

    ― Niente è più importante del Macintosh!», predicò Jobs.

    Coordinando le parole ai fatti, staccò la presa dell’Apple II di Hertzfeld, raccolse lo schermo e la tastiera e si diresse al parcheggio. Andy corse come meglio potette dietro di lui, protestando contro l’assolutismo del suo nuovo capo.

    Jobs era così: dedicava corpo e anima alla causa che intraprese. Il termine compromesso non faceva parte del suo vocabolario.

    Il Mac apparve nel gennaio del 1984, sotto una pioggia di acclamazioni. Jobs fece realizzare un clip fantastico e molto audace dal Signore Blade Runner, pseudonimo di Ridley Scott, nonostante l’opposizione dei membri del Consiglio di Amministrazione, e questo film pugno-di-ferro invase a sorpresa gli schermi di milioni di case statunitensi. Il mondo entrò nell'era Macintosh.

    Eppure, mentre Jobs attendeva il suo sacro Graal, prova della sua gloria, il suolo si sradicò... Un traditore gli levò il tappeto da sotto i piedi. Mai e poi mai lo perdonerà. John Sculley, colui che lui stesso aveva reclutato per prendere le redini di Apple, progettò la sua distruzione.

    Da allora, Sculley mise le sue emozioni sulla carta e cercò di spiegarsi, argomento a sostegno, che non aveva altra scelta: secondo lui, Jobs stava facendo crollare Apple. Cosa ne sapeva a proposito?

    Il risentimento verso chi lo fece espellere da Apple come dell’immondizia rimase intatto!

    Tuttavia, questa seconda vita fu un’epopea indimenticabile.  I nostri anni migliori, avrebbe detto Robert Redford.

    E poi, il sole che sfiorò gli bruciò le ali...

    La sua terza vita, dunque, cominciò...

    Non ne era ancora consapevole, ma aveva iniziato una crociata degna di Don Chisciotte che combatte i suoi mulini, nel tentativo di salvare una Gerusalemme già liberata. Formò la società NeXT, una piramide più imponente della precedente, ma dovette abbandonare la sua triste sorte sotto il sole del deserto. Nessuno andò a vederla. Tentò il meglio di sé, di sorpassare l’ordinario, spronato in realtà da un desiderio di vendetta di fondo, che mascherava la visione della realtà.

    Con il senno di poi, Jobs può riconoscerlo: il suo stile fino alla fine gli è talvolta servito. Nel 1988 incontrò i rappresentati di numerose università, al fine di presentargli il suo dispositivo NeXT. Migliaia di ordini di acquisto dipendevano dalla svolta di quella serata. Poco prima di cena, Jobs scoprì che il personale aveva dimenticato di preparargli un piatto vegetariano. Furioso, dichiarò l’annullamento del piatto principale per tutti gli invitati! Malgrado i tentavi di rappacificazione da parte dei suoi collaboratori prossimi, preferì lasciare i suoi clienti affamati piuttosto che cambiare d’attitudine.

    All’inizio del 1993, la desolazione era la sua sorte, mentre contemplava il suo sogno infranto in un’insopportabile giornata di febbraio, nel quale i beni di NeXT furono messi all’asta, come della volgare ferramenta.

    Mentre gli anni passavano, vedeva delinearsi la terribile possibilità di diventare un has been...

    Almeno, poteva vantare di aver lasciato la sua traccia nella Storia. Durante un servizio televisivo su NeXT, mostrò di aver compreso in modo profondo quello che aveva compiuto. Steve Jobs disse di essere rimasto stupefatto, entrando in una classe, di vedere bambini con un Apple II sui loro banchi, di constatare come esso modificasse il loro approccio all’apprendimento. Tutto questo era stato scatenato da una semplice idea, quella di un personal computer.

    «È un’emozione incredibile appurare che è possibile piantare qualcosa e vederlo crescere, contribuire, anche solo un po’, a cambiare il mondo.»

    Nel frattempo, alcuni cronisti spregevoli stavano cominciando a scrivere la parola FINE. Ma poi, le vendite presero una svolta.

    In extremis, Jobs fu salvato da una passione secondaria, incrociata durante il cammino. L’animazione 3D causò una navigazione tempestosa degli oceani, ma, come Cristoforo Colombo, Jobs sbarcò su una nuova terra che dominò. Una resurrezione prese forma.

    Sbarcò con l’animazione digitale, là dove non era atteso: il trionfo di Pixar lo rimise sotto la luce dei riflettori.

    Toy Story arrivava per salvargli la posta in gioco...

    Poi, con una svolta incredibile, Apple chiamò in soccorso il bambino prodigio una volta escluso.

    A 42 anni, Steve Jobs non era più lo stesso. Dopo un percorso di alti e bassi, fece una rinascita personale. La sua folle gioventù non era altro che un fotoromanzo color seppia. I capelli da Vichingo, che portava con brio, erano diventati radi.

    Una mutazione profonda si produsse. Incontrò la donna della sua vita, tanto bella quanto saggia, vegetariana e buddista come lui, che gli donò dei bei figli. Aver conosciuto gli onori, mangiato la polvere e riutilizzato nuovamente il successo gli permise di crescere. Se era sempre motivato dal desiderio di migliorare la vita, imparò a fare le cose per bene...

    Steve Jobs apparve sul canale PBS nell’emissione Wall Street Week. La domanda che gli posero: come percepisce l’impresa che ha fondato e che sta per ricontrare?

    «Per me, la ragione di esistenza della Apple era l’innovazione. Al momento del mio abbandono, avevamo dieci anni di avanzo sugli altri – ci sono voluti dieci anni a Microsoft per raggiungere i nostri livelli con Windows.  Il problema, è che Apple fece dell’inattività. Sebbene milioni di dollari siano stati investiti in Ricerca e Sviluppo, il risultato non è stato all’altezza. Altri l’hanno raggiunta. La differenza che esisteva stava diminuendo, in particolare paragonandola a Microsoft.

    Eppure, Apple ha sempre avuto un futuro. Ci sono delle persone straordinarie che ci lavorano e perdura un enorme sentimento di lealtà verso il marchio.

    E dunque, il modo per uscirne è innovare...».

    Gli anni a venire furono fiammeggianti, illuminati di gioia effimera che servì nondimeno a farsi un piccolo spazio nella Storia umana: iMac, iPod, iPhone... non ne era ancora a conoscenza ma, da qualche parte, una good vibration si installava nell’aria, annunciando dei nuovi festeggiamenti.

    Steve Jobs stava per scrivere il quarto volume della sua vita...

    Prima vita: la ricerca

    Capitolo 1 – L’infanzia

    Falsa partenza... i dadi sono atterrati sul tavolo e uno di loro è rimasto in equilibrio su uno spigolo, impedendo di fare il conteggio dei punti. Un altro è andato così lontano che non si ritrova più. Per quanto concerne quelli che mostrano la loro facciata superiore, si tratta dell’1, del 3, del 2.

    Steve Jobs fallisce la sua entrata nel mondo. Il 24 febbraio 1955, nessuno l’attendeva, e chi doveva accoglierlo scappava, girando le spalle ai propri doveri. Ma non tutto è perduto. Una coppia senza pretese gli darà la sua occasione. Volevano così fortemente un bambino...

    Questo non impedisce alla madre biologica di imporre le sue condizioni per il bebè di cui ha intenzione di liberarsene. Prima di abbandonarlo alla sua sorte, allo stesso modo in cui Mosè è stato posato sul Nilo in un cesto, augura che quel bambino, di cui non condividerà le emozioni, possa crescere al di sopra della mischia. Non accorderà l’autorità definitiva senza la garanzia che il ragazzo possa studiare. Con il senno di poi, questa esigenza pareva molto meschina. Perché non si occupò personalmente degli studi di suo figlio?

    Jobs affronta l’esistenza nel modo più duro, bastardo sbadato. Lasciamolo battersi a colpi di gomito e si farà strada nella mischia.

    Molti decenni dopo, quanto la successione degli eventi permetterà una saggia retrospettiva, Jobs porrà uno sguardo diverso su questo debutto di vita.

    Nel 2005, ritornerà su questo inizio di vita e ricorderà, a chi vuole ascoltarlo, che a volte bisogna attendere per molto tempo, prima di ottenere una retrospettiva adeguata degli eventi: 

    «Non è possibile prevedere l’impatto di certi eventi nel futuro; è solo dopo che accadono che si intravedono i legami. Potete solo sperare che giochino un ruolo nel vostro futuro. L’essenziale è credere in qualcosa – il vostro destino, la vostra vita, il vostro karma, poco importa. Quest’attitudine ha sempre funzionato con me, e ha governato la mia vita.»

    Eh sì... il 25 febbraio 1955, la fortuna gli sorride ma lo ignora ancora. Lo conduce in California, una terra baciata dal sole, costeggiata da un oceano che sembra invitare all’avventura. Per sfruttare al meglio i momenti a venire, questa zona è sotto ogni punto di vista privilegiata. Da qui a una dozzina d’anni, il movimento hippie installerà il suo dominio nella villa distrutta di San Francisco. Poco dopo, la Silicon Valley vedrà la nascita di un geyser chiamato microinformatica...

    Jobs è arrivato un po’ troppo tardi per partecipare alla rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Andrà tuttavia a interessarsene naturalmente, sposando intensamente i sogni di un mondo migliore, il desiderio di cambiare le cose. Andrà ugualmente a sviluppare un amore senza frontiere per questa fata recentemente eletta al capitolo degli angelici: la tecnologia. Lei gli darà le prime gioie, la prima sensazione di confidenza. Che sia rassicurata: lui le restituirà cento volte quello che gli ha portato...

    Nel 1955, i residenti della regione di San Francisco hanno altre preoccupazioni. Gli Stati Uniti stanno vivendo un periodo d’oro, globalmente sereno, con l’avvento di uno stile di vita contrassegnato dai benefici del progresso. Un vento di ribellione soffia all’orizzonte con gli ancheggiamenti del giovane Elvis Presley che hanno il dono di riaccendere gli adolescenti del Sud-Est degli Stati Uniti. Tuttavia, l’onda tocca solo una popolazione isolata per ora.

    Prima di tutto, Jobs andrà a beneficiare d’un ambiente familiare privilegiato, senza alcun dubbio migliore rispetto a quello che la sua madre biologica avrebbe potuto offrirgli. I Jobs sono dei genitori modello, come lo possono essere delle persone normali; hanno difficoltà a far quadrare i conti ma si preoccupano di offrire il loro amore e il loro sapere alla prole che hanno adottato. Da un’estremità all’altra della sua infanzia e fino alla creazione di Apple, troverà dai suoi genitori adottivi un sostegno costante e cordiale. Potevamo mai sognare uno scrigno migliore per quest’anima scombussolata, in eterna interrogazione, ultrasensibile e scomoda nella sua pelle?

    «Ho avuto fortuna, dirà Steve Jobs nel 1995. Mio padre, Paul, era un uomo veramente straordinario. Non ha mai ottenuto un diploma. Si è unito alla guardia costiera durante la Seconda Guerra mondiale e ha trasportato delle truppe da tutto il mondo per il Generale Patton. Era sempre nei guai e si trovava regolarmente un semplice soldato.»

    Due anni più tardi, Steve Jobs avrà queste parole commoventi nel ricordo di Paul[i]: «Spero solo di poter essere un buon padre per i miei figli, come lo era il mio. Ci penso ogni giorno della mia vita.»

    Se la sua storia comincia con un inconveniente, la porterà verso l’apoteosi. Come annuncia un proverbio cinese che apprezza: The journey is the reward – il viaggio è la ricompensa, la soddisfazione...

    Senza che nessuno ne venga a conoscenza, Arianna ha teso un filo che permette l’uscita dal labirinto.

    Che Steve Jobs sia...

    In questa metà degli anni Cinquanta, dove Steve Jobs vede la luce del giorno, gli Stati Uniti conservatori non hanno ancora subito gli assalti catodici del fragile Elvis Presley e del rock’n’roll, e ancor meno le scosse della futura contro-cultura. Gli uomini guadagnano la sussistenza, le loro spose mantengono la casa proprio come uno specchio, i bambini sono ben educati, le domeniche puliscono l’auto e mantengono un prato tagliato al quadrato. Nulla sembrerebbe allontanarsi da quello che è il bon ton. Ciò che dirà la gente servirà come punto di riferimento per il comportamento sociale. La popolazione non sembra lamentarsi e, d’altronde, molti cineasti alla Spielberg o Lucas dipingeranno con nostalgia questa tranquilla atmosfera degli anni Cinquanta.

    Nel frattempo, Joanne Carole Schieble ha solo ventitré anni e porta un bebè concepito fuori dal matrimonio, ciò che la norma disapprova. Peggio, il padre non è per niente uno statunitense di buona famiglia, cosa che avrebbe potuto diminuirne la colpa. È di origini siriane!

    È all’università di Wisconsin che la disfatta viene commessa. La studentessa Joanne si innamora del professore di scienze politiche Abdulfattah Jandali. Il signor Schieble, il padre, si oppone al loro matrimonio e minaccia di diseredarla in caso di non obbedienza. Confessargli di essere incinta è al disopra delle sue forze. Per nascondere la gravidanza, Schieble partorisce in California e si mette alla ricerca di genitori adottivi.

    Il 24 febbraio, dà alla luce questo bambino che concepisce per errore. È un maschietto. Solo che ecco... la famiglia di adozione prevista, una famiglia di avvocati, fa la schizzinosa. Sperava in una figlia e non aveva la volontà di cambiare i loro piani. Spiacenti, non desiderano crescere un ragazzo.

    Joanne passa quindi alla seconda coppia nella lista d’attesa: il cinquantenne Paul Jobs e la sua sposa Clara.

    Nel pieno della notta, Paul Jobs riceve una chiamata:

    «Abbiamo un bebè, è un piccolo maschietto. Lo volete?

    - Certamente!», risposero i Jobs.

    Paul e Clara Jobs sono pronti a adottare il bambino illegittimo. Ma è il turno di Joanne a fare la complicata. I Jobs fanno parte della classe media, sono lontani dall’avere lo status di una famiglia di avvocati. Steve Jobs stesso ne parlerà in seguito: «Quando la mia madre biologica scoprì che la mia madre adottiva non ottenne nessun titolo accademico, e che mio padre non terminò mai gli studi secondari, rifiutò di firmare il contratto definitivo dell’adozione. Cambiò idea quando, qualche mese dopo, i miei genitori le promisero che avrei frequentato l’università.»

    Il destino prenderà una strana svolta per Joanne Carole Schieble. All’avvicinarsi del Natale, si sposa con il siriano Jandali a Green Bay, nel Wisconsin. Nel giugno del 1957, mentre Steve Jobs cresce in California, i Jandali concepiscono un secondo figlio, una bambina di nome Mona. La loro unione durerà solo sette anni. Nel frattempo, Stephen Paul Jobs ha una sorella ma ancora non ne è al corrente.

    Di condizioni modeste, i Jobs abitano in una casa di periferia senza nulla di particolare Clara è contabile, mentre Paul Jobs lavora come operatore di macchinari in un’industria che fabbrica laser. Quando Stephen ha cinque anni, sua madre è costretta a fare sessioni di baby-sitting per pagargli le lezioni di nuoto. I Jobs adotteranno più tardi un secondo figlio, una bambina che chiameranno Patty.

    Nel 1960, la

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