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Fantascientifico Vol.2
Fantascientifico Vol.2
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Fantascientifico Vol.2

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About this ebook

Una raccolta di racconti che è una sorta di fuga dalla realtà. Tra percorsi onirici, storie di fantasia, sovrannaturale e paesaggi distopici, gli autori vengono a contatto con un genere che resta tra i più affascinanti nel mondo della letteratura
LanguageItaliano
Release dateOct 20, 2020
ISBN9791220209885
Fantascientifico Vol.2

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    Fantascientifico Vol.2 - Aa. Vv.

    AA.VV.

    Fantascientifico

    Vol.2

    Fantascientifico Vol.2

    AA.VV.

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Director: Roberto Alfatti Appetiti

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – ottobre 2020

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    occhi verdi

    di Claudia Falcone

    Corro e mi nascondo. Come sempre. Non faccio altro da quando la follia è diventata normalità.

    È iniziata gradualmente, come succede sempre in questi casi: non ci siamo resi conto che la maggioranza di noi scivolava lentamente verso l’oblio, acquisendo una mentalità che solo poco tempo prima non avremmo esitato a definire disumana. Qualcuno ha aperto gli occhi, questo va riconosciuto. Ma ormai era troppo tardi.

    Abbiamo iniziato a guardarci l’un l’altro con sospetto, mentre parole prima neutre come diverso si tingevano di sfumature negative e sinistre.

    Non ricordo nemmeno in che modo una caratteristica somatica tanto banale come avere gli occhi verdi sia diventata qualcosa da temere ed evitare prima, da sterminare poi. Non saprei dire nemmeno per quale motivo ma siamo diventati il nemico. Indesiderabili e pericolosi. Già alle prime avvisaglie, alcuni avevano capito dove si sarebbe andati a parare e se ne sono andati quando era ancora possibile farlo.

    Chi poteva, chi aveva abbastanza soldi, ha abbandonato la nave prima che affondasse oppure ha utilizzato le sue risorse per garantirsi un futuro in un mondo improvvisamente ostile.

    Cospicue donazioni ai vertici del nuovo sistema sono in grado di garantire lenti a contatto colorate - il cui prezzo, neanche a dirlo, è schizzato alle stelle nel giro di pochissimo - e risolvere magicamente ogni problema. È buffo come l’odio si disgreghi in fretta, messo di fronte al denaro.

    Se ben pagata, una bugia riesce a dimostrarsi preferibile alla più granitica delle verità.

    In ogni caso loro, tutti, sono quelli fortunati. Poi ci siamo noi, tutti gli altri. Quelli che non sono riusciti ad andarsene e non hanno abbastanza soldi da comprarsi un posto in Paradiso. Siamo fantasmi. E, se lo siamo, vuol dire che ci sta andando bene.

    Corro e mi nascondo. Come sempre. È diventata questa la mia vita. Non che me ne lamenti, intendiamoci: almeno sono viva. I rastrellamenti sono diventati quotidiani, le segnalazioni continue. Non so che fine facciano quelli che vengono presi, ma sono sicura che non vanno in un bel posto. E allora corro e mi nascondo, non c’è altra soluzione.

    L’importante è non farsi notare, strisciare di notte, come le ombre. Ancora meglio, spostarsi nelle fognature. Bisogna evitare di farsi vedere da chiunque, se si vuole sopravvivere. Almeno finché le cose non miglioreranno. Chissà se lo faranno mai...

    Non ho idea di quanti di noi siano rimasti, ormai. Conoscevo molte persone con gli occhi verdi come i miei in città, prima di tutto questo. Non ne ho più incontrato nessuno, da quando è iniziato l’estremismo. So che la famiglia di Lorna è scappata, proprio all’inizio. Mi manca molto, ma ha fatto bene. Se avessi potuto l’avrei seguita. È stato poco tempo dopo che, in un giorno qualunque, i miei genitori non sono tornati a casa: devono essere andati a prenderli mentre erano a lavoro. Mi avevano preparata a questa eventualità già da tempo, per cui ho saputo subito cosa fare. Corri e nasconditi, Nadia. Non tornare più qui. Usa le fogne, evita la gente e starai bene. L’ho fatto e devo ammettere che avevano ragione: sto bene, tutto sommato.

    La mia è una vita sempre sul filo del rasoio e, soprattutto, solitaria: raramente mi è capitato di incontrare altri reietti e mai nelle fogne. Eppure oggi qui sotto c’è qualcosa che non c’era mai stato finora: un uomo, poco più avanti nel tunnel che sto percorrendo, posso vederlo distintamente. I suoi abiti logori mi dicono che non è dell’esercito, eppure probabilmente la cosa migliore sarebbe non fidarsi.

    Bisogna essere prudenti, di questi tempi. Forse dovrei correre e nascondermi, prima che si accorga della mia presenza. Sì, dovrei fare così ma è tardi ormai: anche lui ha visto me. Rimango impietrita, incapace di qualunque movimento, mentre lo vedo avvicinarsi. Ora sta passando sotto la luce che filtra dal tombino soprastante, posso vederlo meglio. I suoi occhi sono verdi. È come me. Mi squadra sospettoso, rimanendo a distanza, si sta domandando anche lui se valgo la sua fiducia. Poi decide finalmente di parlare: ha notato i miei abiti logori e i miei occhi verdi, sa che può fidarsi. Mi chiamo Malcolm dice, semplicemente.

    Malcolm è la prima persona con cui scambio qualche parola da due anni a questa parte. È un uomo basso, con la faccia buona. I suoi modi sono gentili e le sue rughe dicono che ha più di una storia da raccontare. Malcolm è come me: anche lui non ha idea di dove sia finita la sua famiglia, anche lui corre e si nasconde per sopravvivere, anche lui si chiede come siamo arrivati a questo punto e non trova una risposta. Lui, però, ha qualcosa che io non ho: ha una speranza. C’è un modo per scappare - mi dice, convinto - Proprio attraverso le fognature. Fuori da questa maledetta città c’è un gruppo di persone che cerca di aiutarci. Malcolm mi racconta degli stranieri fuori dalle mura che sono state erette intorno alla città. Dice che contestano il nostro governo e che una volta al mese aspettano fuori dai cunicoli delle fogne, che salvano tutti quelli che riescono a districarsi in questo labirinto sotterraneo. Li accolgono, offrono loro una vera vita, una come quella che tutti noi avevamo prima. Corrono un rischio enorme, eppure continuano ad aiutare. Io conosco la strada, sto andando proprio lì. Me ne vado da questo schifo, ne ho abbastanza. Vieni con me! Sei solo una ragazzina, hai tutta la vita davanti! Non vorresti uscire da questo incubo?.

    Sono dubbiosa, sembra una di quelle storie che si raccontano ai bambini per scacciare la paura, quelle che sono stupende ma anche irreali. Eppure Malcolm, che ha vissuto abbastanza da non credere alle favole, a questa ci crede fermamente, lo vedo nei suoi occhi verdi. E se avesse ragione lui? Dopotutto, dovrà pur esistere ancora, da qualche parte nel mondo, qualcuno che voglia aiutarci, qualcuno che capisca. E, anche se si trattasse solo di una pietosa illusione, cosa ho da perdere? Ma sì, Malcolm, voglio credere con te!

    Decido di seguirlo, decido di sperare. La strada è lunga e faticosa, i cunicoli sono stretti e maleodoranti ma per fortuna Malcolm è un ottimo conversatore. Mi racconta della sua vita di prima, della sua famiglia e gli si illumina lo sguardo mentre parla. Mi racconta tutti i progetti che ha già preparato per quando sarà finalmente libero: sono così vividi che posso quasi toccarli. Mi piace, Malcolm. È una fortuna averlo incontrato.

    Camminiamo per ore e alla fine ci siamo: dietro la prossima svolta ci aspetta la libertà. Posso vedere negli occhi di Malcolm la stessa euforia che sento crescere nei miei: ce l’abbiamo fatta. Va’ per prima - mi dice - L’esercito potrebbe pattugliare le fogne, se ci saranno problemi preferisco affrontarli io. Che brav’uomo, Malcom. È stata davvero una fortuna averlo incontrato.

    Svolto l’angolo con il cuore che batte all’impazzata: una nuova vita mi aspetta, una che possa definire davvero tale. Non so bene cosa aspettarmi ma nella mia mente mi sono figurata una lunga scala che risale in superficie, verso la luce del giorno. Quello in cui mi imbatto, invece, sono braccia in uniforme che mi afferrano. Un’imboscata! Come hanno fatto a precederci? Devono aver scoperto in qualche modo questo passaggio. Devo avvisare Malcolm, devo permettergli di scappare! Ha creduto troppo in questo sogno per vederlo scivolare via così. Cerco disperatamente di voltarmi e gridare, mentre alle mie orecchie arriva una voce. Sta dicendo: E con questa siamo a 48. Molto bene, Malcolm. Ancora due, come pattuito, e avrai la tua libertà. Con quanto ti paghiamo, il colore dei tuoi occhi sarà solo un brutto ricordo.

    Mentre parla riesco a voltarmi, spaesata: l’ultima cosa che vedo, mentre mi infilano un cappuccio nero in testa, è la faccia buona di Malcolm che sorride all’ufficiale.

    ni-day

    di Luca Falcone

    Giulia Kawabata, tenente della Squadra Anticrimine della Polizia di Napoli, ruotava il cucchiaino nel caffè. Caffè vero… non una riproduzione chimica. Forse l’unico di Napoli. Era ad un tavolo dello "Scarlet Caffè" e, seduto di fronte, aveva il suo caro amico Sam Versaci, ispettore della Squadra Antiblindo, di contrasto ai cyberpsicopatici.

    Sam aveva già portato la misteriosa crema densa e nera alle nari e stava gonfiando avidamente i formidabili polmoni.

    La terza sedia era ancora vuota.

    È in ritardo, mormorò lei.

    Lo è sempre, rispose Versaci, lo sguardo alla bevanda fumante.

    Ma verrà?

    Non salta mai gli incontri. Però ti avviso: è un bell’osso, ma dannatamente duro!

    Qualcuno bussò alla porta del salottino, sede riservata dell’incontro.

    Avanti!, fece lei, riponendo il cucchiaino.

    L’uscio si aprì in un’esplosione di urla sgangherate, azzittite solo quando il battente si richiuse dopo il passaggio del nuovo arrivato: un uomo dai capelli color della neve al sole e gli occhi azzurri come il mare. Alto, largo di spalle, elegante del vestire e nell’incedere, non dimostrava affatto i suoi cinquant’anni e, decisamente, non era la persona attesa.

    Enzo!, lo accolse lei con affetto sincero. Che piacere vederti! È un po’ che al tuo posto non ti si trovava!

    "Ti riferisci al mio tavolo allo ‘Scarlet Club’, Giulia?", rispose Enzo Lopes, proprietario dell’intera struttura d’intrattenimento nota come A Place in Scarlet, composta dal caffè con la sua grande sala ed i suoi salottini privati, dal jazz club e dal caleidoscopico bordello, il più in voga della città.

    Ovvio!

    L’uomo sorrise sornione.

    È vero: sono stato via qualche giorno e mi sono perso alcuni concerti d’eccezione. Spero, però, che Angelo abbia fatto gli onori di casa come si conviene!

    Angelo è una certezza, Enzo. Conosci piuttosto il mio amico Sam Versaci?

    L’uomo avanzò e tese la mano all’ispettore.

    È un piacere.

    Sam, lui è Enzo Lopes. Ogni cosa qui è merito suo. Compreso il caffè.

    Solo per questo le sarò grato a vita, signor Lopes, rispose il poliziotto, stringendogli la mano con energia.

    Siediti con noi, Enzo - continuò lei - L’ospite, qui, è in ritardo. Cosa succede fuori? Litigi?

    Lopes occupò la sedia libera e rispose, il timbro della voce un po’ tirato.

    Un po’ di spazzatura, purtroppo. Ma, se continua così, resterà qui per poco.

    Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo mentre sorseggiava finalmente il caffè.

    "Gentaglia - spiegò lui - Che ha lo stomaco di festeggiare l’anniversario della Grande Strage".

    "Il Ni-Day?", fece Versaci, riponendo sul tavolo la tazza ormai vuota.

    Lopes lo fissò, gelido.

    Quel nome fa ribrezzo, signor Versaci.

    L’ispettore si appoggiò allo schienale e strinse le spalle.

    Un nome è un nome - replicò, pensoso - Rappresenta solo qualcosa. E quel giorno lo chiamammo così ben prima si concludesse come si è concluso.

    Lo chiamammo?, fece lei, stupita.

    Non te l’ho detto?, chiese il poliziotto. Quel giorno io ero lì.

    Racconti!, gli fece Lopes, incuriosito. Naturalmente se le va.

    Anche a me interesserebbe, Sam, aggiunse lei, fissandolo coi propri occhi scuri da orientale. Della Strage non si parla mai, manco fosse avvenuta secoli fa!

    Versaci restò silenzioso per un po’, come preso dai suoi pensieri. Poi rispose.

    "Ventisette anni. Solo ventisette. Eppure da allora è cambiato praticamente tutto.

    All’epoca ero sergente artigliere nei Nuclei Navali. Di fatto eravamo ciò che restava della Marina Militare dopo lo Scioglimento e i decenni successivi, quando già tutto era andato a rotoli.

    All’epoca avevo ventotto anni, molti meno innesti in corpo ma la testa decisamente più pazza: ero giovane. E d’altra parte di innesti ne avevamo tutti di meno: la cibernetica era agli esordi, costava di più ed era meno sicura".

    "Non c’era ancora la Legge Soglia, credo."

    No, Giulia… quella è relativamente recente. Al tempo, se te li potevi permettere e avevi il coraggio di sperimentarli, di innesti te ne installavi quanti ne volevi, anche ben oltre il 47%... ed infatti potevi imbatterti in veri e propri robot fuori di testa, altroché i cyberpsicopatici che affrontiamo oggi! Per fortuna, però, noi della Marina ci occupavamo di altro. Anzi… a dire il vero, di molto poco: le Corporazioni avevano già preso il sopravvento e si erano sostituite agli Stati praticamente in ogni cosa.

    "La Wartech?", chiese Lopes, l’espressione accigliata.

    "Non era l’unica, ma in questa storia fa la parte del leone. Avevano infatti mandato uno dei loro ad affiancare il nostro Ammiraglio: una carogna che lo trattava come un burattino e si divertiva ad umiliare sia lui che noi.

    Comunque… l’ordine era di schierare la flotta innanzi alle coste della Libia e fermare la migrazione. E la cosa ci stupì non poco.

    Di fatto erano mesi che gli Africani facevano su e giù per mare con qualunque bagnarola riuscissero a procurarsi. Era un vero e proprio massacro, visto che ne annegavano molti più di quanti riuscivano a toccar terra, ma di solito questa cosa non interessava a nessuno. Non importava, infatti, né a loro di rischiare, visto che, dopo lo Scioglimento, in Africa potevano solo morire tutti, né a noi che ne morissero, visto che altrimenti avremmo dovuto fermarli. Quella volta, invece, pareva davvero dovessimo occuparci di loro".

    Lopes tornò a fissarlo, sempre più accigliato.

    "Si riferisce dell’Orda?"

    Già, fece Versaci, perso nei suoi ricordi. "Ma all’epoca ignoravamo cosa davvero stesse accadendo: sapevamo solo che dalla costa libica si partiva a flusso continuo e con bagnarole così colme da capovolgersi al primo segno di mare grosso. E sapevamo di dover colare a picco ogni cosa che galleggiasse prima che la usassero come mezzo di trasporto.

    Io ero imbarcato su una fregata e, da artigliere, stavo al cannone della torretta di prua. Un Obix V-Omega… già allora non dei più moderni, ma che con pochi colpi tirava tranquillamente giù una corvetta. Attendevamo tutti, in un silenzio irreale, un ordine che non arrivava mai. E nel frattempo, mentre restavo abbracciato al pezzo, scandagliavo quella costa col mio occhio bion. Niente a che vedere con quello che ho oggi… ma permetteva di guardare lontano, e per allora era già tanto!

    Beh… ve lo assicuro: la vista era impressionante! Molto peggio di una baraccopoli! Era un formicaio fatto di tende, catapecchie, buca scavate nel terreno, bivacchi puzzolenti, corpi sovrapposti a corpi: una vera e propria discarica a cielo aperto, che si estendeva lungo tutta la costa e per tutto il suo entroterra senza soluzione di continuità. Niggerland, la chiamavamo. E lo facevamo tutti perché allora l’ipocrisia antirazzista non c’era ancora e il flusso senza fine di chi fuggiva dall’Africa… dei negri… ci faceva più paura che pena. Per questo quel giorno fu chiamato Ni-Day".

    Giulia lo guardò fisso, quindi scosse il capo.

    Non è ipocrisia. Io credo che sia… vergogna. Per quanto accadde.

    Beh… - replicò Versaci, pacatamente - … all’epoca non provavamo vergogna.

    D’altra parte... - aggiunse Lopes - … la Grande Strage non c’era ancora stata.

    "No - rispose l’ispettore - Però dell’Orda qualcosa avevamo sentito: era la più grande ondata migratoria mai conosciuta. Migliaia e migliaia di persone, forse milioni, sopravvissute al deserto e prossime a riversarsi sulla costa".

    Non era una migrazione - disse lei - Interi popoli si spostavano. Era un esodo.

    E infatti noi eravamo convinti di dover affondare le imbarcazioni proprio per impedir loro di attraversare il mare. E ci domandavamo cosa aspettassimo a procedere, visto che le barchette ci passavano sotto il naso quasi la nostra presenza fosse loro indifferente. Eppure quel dannato Corpman… Laszlo Bradley Molnar si chiamava… temporeggiava.

    Versaci si strinse di nuovo nelle spalle, interrompendosi.

    Ora, però, servirebbe ben altro che questo sia pur meraviglioso caffè!, disse infine.

    Whisky?, chiese Lopes.

    Magari!

    Arriva.

    Giulia sorrise.

    Sei in connessione neurale col bancone, Enzo?

    Connessione radio-neurale. Un ottimo apparecchio - rispose l’uomo - Utile al suo scopo e poco ingombrante, in termini di percentuale.

    "In effetti, Enzo… sei davvero poco credibile come puro".

    Il proprietario del "Place in Scarlet" si concesse un sorriso molto significativo.

    Non pretendo minimamente di esserlo.

    Qualche istante dopo risuonarono due colpetti alla porta e, appena ricevuto l’ok, un uomo dalle fattezze ordinarie, alto e magro, entrò e depose rapidamente tre bicchierini colmi di liquore innanzi ai tre al tavolo.

    Grazie, Angelo, gli fece Enzo, scambiando con l’uomo una rapida occhiata.

    Signor Lopes…!, salutò l’altro, prima di dileguarsi con la stessa velocità con cui era comparso.

    Versaci prese a sorseggiare il suo whisky, riprendendo il racconto.

    "L’attesa fu prima di ore, infine addirittura di giorni. Due, per la precisione. E ormai eravamo tutti certi che anche solo un’ora di più ci avrebbe scaricato addosso l’Orda intera. Eppure Bradley Molnar non batteva ciglio.

    Alla fine, come previsto, l’Orda ci fu addosso davvero.

    All’orizzonte comparve un’immensità brulicante, assordante e dall’odore nauseabondo. Una fiumana che travolse tutta la costa e sommerse ogni cosa, riversandosi su ogni barchetta a disposizione e poi, incurante, su ogni tronco, ogni rifiuto, ogni cosa galleggiasse sull’acqua.

    Ebbene… anche allora l’ordine non arrivò, nonostante sarebbe stato logico affondare quelle imbarcazioni prima che vi salissero sopra in migliaia!

    Infine… tutto avvenne in pochi istanti.

    Solcarono il cielo in formazione serrata. Aerei da guerra con i colori della "Wartech. E l’arcano fu chiaro in un attimo. Quello che bastò perché scaricassero tonnellate di bombe su quell’umanità dolente, disseminandole ben bene lungo la fascia costiera. Prima una volta, poi due, poi tre… finché non ci fu più nulla da bombardare!

    Ingollò quel che restava del whisky tutto d’un fiato.

    Qualcuno… - continuò poi - …di certo era riuscito a fuggire verso l’entroterra, ma molti, invece, avevano trovato rifugio proprio in mare, affollando all’inverosimile quelle barchette che sembravano di cartapesta. Il Corpman, soddisfatto, a quel punto diede l’ordine. Quello, naturalmente, di colarli a picco.

    Versace s’azzittì e il silenzio dominò la saletta per diversi secondi. Poi fu Giulia a romperlo, sommessamente.

    L’hai fatto?

    Certo - rispose Versaci - Ero un soldato. E lo sono ancora.

    In quel momento bussarono alla porta e, in un attimo, al silenzio si sostituì il rumore. Angelo si affacciò sulla soglia per poi lasciar passare una donna bellissima, in abito da sera, la pelle brunita dal sole, i capelli tempestati di fibre cromocangianti e gli occhi come smeraldi.

    Enzo Lopes si alzò e, senza proferir parola, abbandonò il salottino, seguito dal suo braccio destro, mentre la donna appena sopraggiunta guardò sia Giulia che Versaci con aria divertita.

    Hope che cercate, giusto?" chiese.

    Giulia la guardò, gli occhi orientali così socchiusi da sembrare due fessure sottili.

    Esatto.

    E allora sono la vostra donna! Possiamo iniziare la contrattazione. In crediti corporativi, naturalmente… ma non per forza solo quelli. Comunque… siete fortunati, egregi signori: siamo a Napoli, terra di frontiera praticamente da sempre. In posti simili la Speranza non si perde mai.

    jungle theory

    di Davide Farinella

    Uomini-zanzare.

    Facevano parte ormai da tempo, come altri esperimenti da laboratorio, della società, assieme agli altri milioni.

    Questi esseri vennero creati per unire particolari tratti somatici e abilità umane, con quelle di diverse specie animali.

    All’inizio, per lo più, erano solamente test con risvolti bellici.

    Creare uomini capaci di correre velocissimi, come i più feroci felini, acquisendone inoltre, gli affilatissimi artigli e le zanne, ugualmente letali, alleggerendo così anche il peso dell’attrezzatura bellica. I coltelli, e altri vari armamenti ed equipaggiamenti divennero sempre più inutili.

    Questi test permettevano loro di acquisire ogni volta una caratteristica in più.

    Creare uomini capaci di resistere lunghi giorni senza cibo e all’arrivo di qualsiasi intemperia.

    Poi, col tempo, il sapere e la conoscenza scientifica prevalsero.

    Vennero alla luce nuove unioni, di ogni tipo.

    Erano solo test e prove, senza alcun secondo fine, bellico o di lucro che fosse.

    Semplice scienza.

    Semplice e implacabile curiosità.

    Uomini mischiati con ogni sorta di animale: mosca, gatto, pollo, tacchino, pinguino, pappagallo, mantide e tutti gli altri, tra cui la zanzara.

    Così facendo, si salvarono molte specie in via d’estinzione, preservandone e salvandone i genomi.

    Altri, invece, risultarono inutili esperimenti, che crearono diversità naturale. Più unioni di specie, più esigenze diversificate. E piano piano, si cercò un posto opportuno per tutti questi esperimenti, che col tempo si moltiplicarono, sovrappopolando il globo sempre più.

    Alcuni di questi esperimenti rimasero fuori, estranei a ciò che si creava intorno. Non si integrarono appieno, e come un tempo per i negri, gli ebrei, gli zingari, e altre popolazioni ora integrate, si pensò a cosa potesse succedergli.

    Questi uomini-zanzare erano ormai miliardi. Si riproducevano in continuazione, come i peggio funghi del cazzo.

    E mentre altri si adeguarono al loro destino di creazione, loro non ne appresero la lezione. Continuamente immersi nell’ozio. Occupavano spazio, sprecavano cibo e ossigeno. Poveri e inutili esseri.

    Dopo alcuni anni, nel nuovo parlamento mondiale, che radunava quasi tutti i ministri rappresentanti la maggior parte delle specie predominanti, si discuté riguardo l’estinzione di varie specie. Gli uomini-zanzare erano tra queste. Una decisione inequivocabile, anche perché dentro quella stanza, dalla sua creazione, non ci fu mai un loro esponente.

    La decisione definitiva, per il decreto, venne deciso che ci sarebbe stata alla fine del mese.

    Venti giorni per far cambiare idea a tutti, e far risparmiare un’intera specie, minacciata dall’ozio creato da essa stessa.

    La possibilità tanto attesa arrivò qualche giorno dopo, grazie a uno di questi uomini-zanzara, di cui non si può dire il nome, conosciuto come uno dei più loschi trafficanti di ruznon, una nuova droga sintetica che inibisce recettori uditivi, visivi e tattili dopo una quindicina di minuti. Come gli esperimenti sulle specie, anche gli esperimenti sulle droghe non furono da meno, e molte entrarono nella comunità mondiale senza farsi attendere troppo.

    Questo tizio, conosciuto in tutti gli alti ranghi, venne a sapere per vie traverse, di una possibile malattia sanguigna del presidente dell’intero globo. Ovviamente, il suo livello di istruzione era talmente basso che anche se avesse scoperto il nome, non avrebbe saputo che farsene.

    Però, un’idea gli balenò in mente, e il giorno successivo si intrufolò al parlamento. Passò senza troppe difficoltà, corrompendo le guardie con dei bag di ruznon.

    Qui, aspettò la fine di tutto, nascondendosi tra i banchi vuoti, dove aspettò il vice presidente, che lo vide e si avvicinò a lui.

    Gli chiese subito se fosse vera la voce che circolava per le strade sul presidente, ma il vice non poteva rivelare così facilmente certe cose. Un bag di ruznon gratis lo convinse.

    Era vero.

    L’uomo-zanzara poté così, proporgli una possibile soluzione, dato che a quanto a sentì dire

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