In un altro paese
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Fantascienza - romanzo breve (97 pagine) - Una storia di rara sensibilità al confine dell'apocalisse.
“L’estate la trascorsero a Capri, nella villa di Augusto, nel cuore della stagione più fulgida dell’imperatore all’apice del suo regno, mentre in autunno ci fu il pellegrinaggio alla dorata Canterbury. Dopo sarebbero andati a Roma per Natale, per vedere l’incoronazione di Carlo Magno. Ma adesso era primavera nel loro meraviglioso viaggio, era quel glorioso mese di maggio verso la fine del Ventesimo Secolo, destinato a finire con un improvviso ruggito di morte e un cielo rosso fumante.”
Così inizia In Another Country, il magnifico romanzo breve (finora inedito in Italia) che Robert Silverberg scrisse per la collana della Tor che riuniva in un unico volume un classico della fantascienza (in questo caso lo splendido Vintage Season del duo C.L.Moore/H.Kuttner) e un seguito composto da un autore contemporaneo.
Come dice lo stesso Silverberg nell’introduzione, lui preferì riscrivere la stessa storia da un altro punto di vista piuttosto che un seguito, ma cercò (a nostro modesto parere con grande successo) di riproporre lo stile lirico della Moore, riuscendo a ricreare un’atmosfera di pathos che ha pochi eguali nella sua immensa produzione.
Robert Silverberg è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi autori della fantascienza contemporanea. Nato a Brooklyn (New York) il 15 gennaio del 1935, iniziò a scrivere SF d'avventura negli anni '50, diventando ben presto uno degli autori più famosi e prolifici e ottenendo il premio Hugo come autore più promettente del 1956. Durante la metà degli anni sessanta però, spinto dal desiderio di dimostrare a se stesso e agli altri le sue capacità di vero scrittore, e di essere in grado di realizzare anche opere di qualità, Silverberg impresse una svolta decisiva allo stile dei suoi romanzi, iniziando a produrre opere di maggiore impegno umano e letterario. Tra gli scritti più importanti di questo secondo periodo ricordiamo Ali della notte (con cui vinse anche un premio Hugo), Brivido crudele, Torre di cristallo, forse la sua opera più completa e riuscita, Vertice di immortali, Paradosso dei passato, e Mutazione, che si inserisce in quel gruppo di romanzi dedicati da Silverberg alla descrizione e all'esplorazione dell'esperienza mistica della trascendenza.
Robert Silverberg
<p>Robert Silverberg has won five Nebula Awards, four Hugo Awards, and the prestigious <em>Prix Apollo.</em> He is the author of more than one hundred science fiction and fantasy novels -- including the best-selling Lord Valentine trilogy and the classics <em>Dying Inside</em> and <em>A Time of Changes</em> -- and more than sixty nonfiction works. Among the sixty-plus anthologies he has edited are <em>Legends</em> and <em>Far Horizons,</em> which contain original short stories set in the most popular universe of Robert Jordan, Stephen King, Ursula K. Le Guin, Gregory Benford, Greg Bear, Orson Scott Card, and virtually every other bestselling fantasy and SF writer today. Mr. Silverberg's Majipoor Cycle, set on perhaps the grandest and greatest world ever imagined, is considered one of the jewels in the crown of speculative fiction.</p>
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In un altro paese - Robert Silverberg
9788825400014
Introduzione
Robert Silverberg
Scrivere In un altro paese è stata una delle cose più strane e impegnative che abbia fatto nei miei trentacinque anni da scrittore professionista.
L’impulso di farlo mi venne dall’editor Martin H. Greenberg, il quale, in un freddo giorno d’inverno del 1988, mi disse che si stava occupando di una collana di libri per cui ad alcuni scrittori contemporanei di fantascienza sarebbe stato chiesto di produrre dei racconti da accompagnare a certi classici del genere. La nuova storia e la vecchia sarebbero state quindi pubblicate nello stesso volume. Mi invitò a partecipare e io, senza pensarci un secondo, indicai La stagione della vendemmia di C. L. Moore come la storia su cui, più di ogni altra, avrei preferito lavorare.
Di tanto in tanto ho scelto in maniera deliberata di rielaborare qualche classico della letteratura in chiave fantascientifica, una specie di esercizio di tecnica. Il mio romanzo L’uomo nel labirinto, di oltre vent’anni fa, è basato sul Filottete di Sofocle, per esempio, sebbene occorra leggerlo con molta attenzione per trovare il parallelo. Mutazione, più o meno dello stesso periodo, è stato scritto con un occhio a Cuor di Tenebra di Joseph Conrad. Il racconto Il marchio dell’invisibile sviluppa un’idea che Jorge Luis Borges tratteggiò con un’unica frase. Giusto l’anno scorso ho rielaborato la famosa storia di Conrad Il compagno segreto, trasponendola totalmente in un contesto fantascientifico (The Secret Sharer).
Ma in tutti questi casi, anche se attingevo a tematiche e modelli di scrittori del passato più importanti del sottoscritto, le storie in sé, come i mondi in cui erano ambientate, erano esclusivamente frutto della mia inventiva. Essenzialmente inscenavo le mie personali variazioni di temi classici, come Beethoven fece con Mozart o Brahms con Haydn. Stavolta però il mio compito era penetrare in un mondo già creato da un’artista magistrale, quello del classico di C. L. Moore La stagione della vendemmia, del 1946 (Vintage Season), e di lavorare sul suo materiale, per trovare qualcosa di nuovo da dire su una costruzione narrativa che era già stata trionfalmente e, verrebbe da pensare, esaustivamente, esplorata in ogni dettaglio.
La soluzione non era scrivere un seguito de La stagione della vendemmia – non avrebbe avuto senso riprodurre il mero diario di un viaggio nel tempo in qualche altra epoca – ma produrre un’opera strettamente intrecciata alla sua, così come la fodera di un mantello è intrecciata con il mantello stesso. La mia vicenda è ambientata nello stesso arco temporale di alcune settimane in cui si svolge la sua, e si avvia in crescendo verso il medesimo culmine. Ho utilizzato molti dei suoi personaggi, ma non come figure principali; si muovono sullo sfondo, mentre quelli in primo piano sono miei. Lei ha raccontato la storia dal punto di vista di un uomo del ventesimo secolo che si ritrova in mezzo a sconcertanti sconosciuti provenienti dal futuro; io ho fatto il giro dall’altra parte, e ho elaborato il punto di vista di uno dei visitatori. Dove ho potuto, ho inserito dei dettagli che lei non ha fornito sulla società del futuro capace di compiere viaggi nel tempo, e ho chiarito alcuni aspetti della storia che aveva scelto di non sviluppare, realizzando così una sorta di commentario silverberghiano ai concetti della Moore. Ho adattato inoltre il mio stile, perché fosse all’altezza della grazia ed eleganza del suo.
Tutta questa operazione pecca di vera lèse–majeste, o forse la parola che sto cercando è hubris. Chi ha letto la mia antologia autobiografica, Robert Silverberg’s Worlds of Wonder, saprà che C. L. Moore è una delle autrici che ammiro di più nel nostro campo, e come abbia studiato le sue opere con un rispetto che sfiora la soggezione. L’essermi trovato a riprendere l’essenza stessa del suo lavoro più riuscito nella speranza di aggiungervi qualcosa di mio è stata un’esperienza singolare e quasi spaventosa. Sospetto che non avrei osato fare una cosa del genere quindici o vent’anni fa, per quanta fiducia riponessi nelle mie capacità tecniche di allora. Ma oggi che la mia carriera di scrittore di fantascienza di fatto ha superato in lunghezza quella della stessa Moore, ho scoperto di essere disposto a correre il rischio, anche solo per vedere come riesco a cavarmela.
Entrare nel mondo e nelle atmosfere disegnate dalla Moore per me è stata un’esperienza straordinaria, perché nelle settimane in cui ho lavorato sul racconto – mentre stavo effettivamente scrivendo se non La stagione della vendemmia, almeno qualcosa che vi si avvicinasse il più possibile – io ero lì, in quella città, in quel momento, e per me ogni cosa è divenuta molto più vivida delle immagini e sensazioni che anche le mie molte riletture della storia originale nell’arco di 40 anni erano state in grado di restituirmi. Spero che il risultato giustifichi lo sforzo e che mi perdonerete per aver osato rimaneggiare un capolavoro in questa maniera. E più di ogni altra cosa, avrei desiderato che C. L. Moore avesse potuto leggere il mio racconto e magari trovare qualche buona parola da dire sul mio lavoro.
In un altro paese
L’estate la trascorsero a Capri, nella villa di Augusto, nel cuore della stagione più fulgida dell’imperatore all’apice del suo regno, mentre in autunno ci fu il pellegrinaggio alla dorata Canterbury. Dopo sarebbero andati a Roma per Natale, per vedere l’incoronazione di Carlo Magno. Ma adesso era primavera nel loro meraviglioso viaggio, era quel glorioso mese di maggio verso la fine del Ventesimo Secolo, destinato a finire con un improvviso ruggito di morte e un cielo rosso fumante. Con una meraviglia che quasi rasentava l’estasi, Thimiroi osservò le mura di pietra di Canterbury svanire nella nebbia, e questa nuovissima e strana città acquisire sempre più solidità intorno a lui. Assistere a tutto ciò ridestò nella sua mente poesie scritte solo a metà. Si sentì incredibilmente giovane, vivo, aperto… vulnerabile.
– Thimiroi è in trance – disse Denvin con quel suo tono leggero e beffardo, e nel mentre strizzò l’occhio sogghignando. Si appoggiò con noncuranza al parapetto dell’argine, un omino compatto ed elegante, e si voltò a guardare i suoi due compagni.
– Lascialo in pace – disse Laliene seccamente. Con rabbia si passò le mani sulla nuvola cremisi che erano i suoi capelli e poi giù lungo le guance abbronzate. Nei suoi occhi grigi e viola balenò un lampo di fastidio. – Non lo vedi quant’è sopraffatto da ciò che vede là fuori?
– Dalla sua mostruosa bruttezza, vuoi dire?
– Dalla sua bellezza – disse Laliene con una certa ferocia. Toccò il gomito di Thimiroi. – Va tutto bene? – sussurrò. Thimiroi annuì.
Lei indicò la città. – Quant’è meravigliosamente disarmonica! E splendidamente contraddittoria! Non ci sono due edifici uguali. E tutte le superfici sono così piatte. Ma i colori, le forme, le proporzioni, le consistenze, tutte diverse. Persino gli alberi non mostrano alcuna sorta di armonia.
– E il frastuono – disse Denvin. – Non ti scordare di quello, se ti piacciono così tanto le dissonanze. Macchine che stridono e sferragliano e rombano. Oh, è meraviglioso, Laliene! Quelle cose verniciate sono dei veicoli, giusto? Quelle macchine che sembrano delle scatole. Strombazzano e muggiscono come deliranti mucche con le ruote. E quell’affare che se ne va in giro volando lassù, la cosa scintillante con le ali… senti il rumore! Ascolta!
– Piantala – disse Laliene. – Così lo fai agitare.
– No – disse Thimiroi. – Non mi dà fastidio. Ma penso davvero che sia tutto molto bello. Bello nella sua bruttezza. Bello nella sua disarmonia. C’è energia là. Non ho idea di cos’altro possa essere, ma è un posto in cui scorre una smisurata energia. E l’energia è sempre bella. – Sentiva il cuore martellare nel petto. Non gli era capitato quando erano arrivati in uno qualsiasi degli altri posti visitati durante il loro viaggio nell’antichità. Ma il Ventesimo Secolo era speciale: un’era apocalittica, un periodo di oscurità tanto potente da proiettare una luce spettrale e nera su una mezza dozzina di secoli a venire. Ed era questo il momento più intenso, quando il secolo toccava il culmine, con tutto il suo scompiglio precedente ormai alle spalle, il momento in cui lo splendore e la magnificenza in un istante si sarebbero trasformate, per un maligno scherzo della natura, in una sconvolgente catastrofe. – Inoltre – aggiunse – non tutto qui è brutto o disarmonico. Guardate il cielo.
– Sì – disse Laliene. – È un cielo memorabile. È un cielo che ha assolutamente bisogno di un grande artista che lo catturi, non credi? Qualcuno del calibro di Nivander, o persino Sathimon. Quei blu, e il bianco delle nuvole. E le strie d’oro e porpora e rosso.
– Vuoi dire l’inquinamento? – chiese Denvin.
Lo guardò storto. – Basta. Per favore. Se non vuoi stare qui, dillo