eppur, felice te che al vento
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Anteprima del libro
eppur, felice te che al vento - Bruno Bartoletti
info@youcanprint.it
Non resta che aspettare
Tutti coloro che perdiamo qualcosa ci tolgono;
resta ancora uno spicchio sottile,
che, come luna, qualche torbida notte
obbedirà al richiamo delle maree.
(Emily Dickinson, 1605))
Se la morte è così, non è un bel lavoro
(Federico Fellini, Amarcord)
La mia prima automobile
Non ho mai dimenticato la mia prima automobile
una Giulia milletre ti, verde, targata FO 159648,
quando ancora si usavano le targhe, quando
prima di cadere in questo anonimato ognuno
aveva la sua identità, cognome e nome,
quando si sapeva che quella era la mia automobile
e come la guardavo bella, lucente, pulita,
pulita tutti i giorni, la guardavo dalla finestra,
una dolce fresca carezza serale.
Poi venne il tempo della dimenticanza, il tempo
dell’abitudine, il tempo usurato dalle solite cose,
il tempo che non ti ammazza ma non ti serve,
il tempo che consuma ogni resistenza.
Così mi sono ritrovato a non guardare più.
Dalla finestra un vuoto, panorama piatto,
inconcludente, nemmeno l’ombra di una resistenza.
Abitudini, abiti dismessi, io che vestivo sempre
elegante, giacca e cravatta, ora che l’età
avanza, una maglietta, dei jeans, di quelli
da supermercato, io che li avevo sempre odiati.
Si cambia, mi dissero, si accetta quello che viene,
non c’è speranza, ogni giorno sempre.
Così mi annodo anche l’ultimo respiro,
guardo sempre dalla finestra che un giorno,
chissà, come un miracolo, non ricompaia
la mia automobile verde coi miei venticinque anni.
Anche tu ci sei salita, e come ci salivi sulla mia automobile,
gonna stretta così che nel sederti la gonna
saliva oltre il ginocchio,
un movimento elastico, con grazia, affondavi la testa,
la mano dolcemente in abbandono sulla portiera
e il profilo che tagliava ogni visione, un profilo
di lontananze, uno sguardo veloce oltre la campagna.
E si correva, ma non tanto veloci, per assaporare
ogni momento, si correva e basta, si parlava,
radio bassa, poi ancora uno sguardo veloce
e una sosta. Il nostro fiume era solo un torrente
pieno di sassi, alla curva il solito piazzale,
qualche ginestra, il profumo negli occhi.
Ma ora… ora è tutto da inventare, una piccola
utilitaria, quanto basta per entrarci, e accanto
nemmeno il tuo profumo, gonna lunga,
un salirvi di fretta, sguardo attento e poi
la solita frase: Metti la cintura prima di partire.
Non poteva finire male
Non poteva finire male quell’anno
iniziato martedì 6 ottobre - S. Bruno -
ne ero sicuro e guardavo lontano…
ma un’ombra correva lungo il fiume,
quel sonetto che dovevo commentare
nella prova finale.
Poi la mano tremò, gli occhi si