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Dead Nation: New Hope
Dead Nation: New Hope
Dead Nation: New Hope
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Dead Nation: New Hope

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About this ebook

Zombie - romanzo (155 pagine) - Il mondo è in mano ai “morenti”, e per sopravvivere l’umanità è costretta a barricarsi all’interno di cittadelle fortificate. È quello che succede a New Hope, in quella che un tempo veniva chiamata America. Ma forse non tutto è perduto, perché sempre più spesso alcuni viandanti parlano di un luogo diverso, libero dalla maledizione dei morti. Un luogo chiamato Utopia.


Il giovane Tim è l’unico bambino di New Hope, la città governata con pugno di ferro da suo padre Axel. Ma nonostante viva come un recluso privilegiato, Tim è ancora capace di sognare un luogo diverso, dove essere veramente libero. I viandanti che passano per la sua città raccontano di un posto così, Utopia, ma nessuno può sapere se si tratti di una semplice leggenda o se invece esista realmente. Forse il suo nuovo amico Virgil sa qualcosa, ma il bambino può fidarsi di qualcuno che vive spostandosi da un paese all’altro, sfidando ogni giorno le legioni dei morenti?

Dead Nation – New Hope è l’inizio di un’odissea nel cuore dell’apocalisse, in un mondo dove i morti si sono risvegliati dalle tombe e la violenza è l’unica regola per assicurarsi la sopravvivenza; un mondo in cui la crudeltà e l’egoismo dell’uomo sono forse nemici peggiori delle creature che camminano là fuori, sostenute solo dalla necessità di nutrirsi di carne umana.


Pietro Gandolfi si alimenta di orrori, poi li digerisce fino a espellerli ricoperti da una patina di puro disagio. Ha pubblicato l’antologia personale Dead of Night, i romanzi La ragazza di Greenville, William Killed the Radio Star, Clayton Creed, Nel nome del padre, House of Dead Dolls, Il veleno dell’anima e The Road to Her e alcune novelle fra cui Who’s Dead Girl?, Devil Inside, Ben & Howard e Avventura alla stazione di servizio; suoi racconti compaiono in varie antologie.

Con Mauro Corradini fonda la sua etichetta personale, Midian Comics, con la quale pubblica – oltre a romanzi e racconti – i fumetti The Noise, The Fiend, Warbringer e The Idol, spaziando dall’horror allo sword & sorcery e vantando la collaborazione con disegnatori del calibro di Nicola Genzianella, Luca Panciroli, Christian Ferrero, Alberto Locatelli e tanti altri.

Per lui l’orrore non ha frontiere, è sufficiente che si dimostri abbastanza viscerale e diretto da tenere alto l’interesse del suo pubblico. Senza filtri, senza censure. Perché l’orrore è tutto attorno a noi, basta avere il coraggio di non voltare la testa dall’altra part

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateOct 6, 2020
ISBN9788825413236
Dead Nation: New Hope

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    Dead Nation - Pietro Gandolfi

    part

    1

    Nonostante un pallido sole illuminasse New Hope, la giornata era piuttosto fresca. Una brezza che minacciava di farsi più aggressiva portava con sé il sapore dell’inverno ormai imminente. Al solo pensiero di dover trascorrere interminabili giornate in casa ad annoiarsi, Tim accelerò il passo, come se bastasse per sfuggire al freddo e a ciò che il freddo avrebbe portato con sé.

    Per le strade non c’era nessuno, segno che forse gli altri erano già pronti ad arrendersi all’arrivo della nuova stagione, ma a lui non importava: Tim aveva undici anni e nessuna idea di come passare il pomeriggio, ma era guidato dall’inequivocabile desiderio di stare all’aria aperta. Avrebbe voluto fuggire, scappare lontano da un paese troppo piccolo e da genitori oppressivi, ma sapeva che i suoi erano desideri destinati a non realizzarsi mai. New Hope era più simile a una prigione che a una qualsiasi altra cittadina vista con gli occhi di un bambino o di un adolescente con troppa voglia di vivere.

    Tim si chiuse per bene il giubbino e cercò di scacciare i brutti pensieri.

    Si fermò dopo poco, alla vista di un piccolo oggetto che spuntava da un vicolo.

    Un piccolo oggetto che si muoveva.

    Si avvicinò con cautela fino a quando non capì di cosa si trattava: era un gatto, forse un cucciolo, ma comunque dalle dimensioni ridotte. Era riverso su un fianco e attraversato da spasmi che lo scuotevano violentemente a intervalli regolari. Tim lo osservò a lungo, senza trovare il coraggio di fare nulla se non guardarsi attorno per constatare se arrivasse qualcuno. Era solo, lui con la sua piccola scoperta.

    Si chinò in modo da poter studiare meglio l’animale. Era da tanto che non vedeva un gatto, ma non gli risultava una figura poi così aliena.

    I lamenti del felino smossero qualcosa al suo interno, un sentimento di compassione che aveva un sapore amaro, che faceva male. Lo accarezzò sulla testa e sulla schiena; era molto caldo e uno strano liquido usciva a rivoli dagli occhi socchiusi e dal naso arrossato. Al suo tocco smise però di lamentarsi, come se trovasse un qualche tipo di sollievo al dolore che lo attraversava.

    Dopo aver controllato per l’ennesima volta che nessuno lo vedesse, Tim raccolse il gattino e lo portò all’interno del vicolo. Lo posò su di un cartone e lo ricoprì con un grosso foglio, curandosi di lasciargli fuori la testa. Lo coccolò un’ultima volta, lo salutò e se ne andò: di più non poteva fare, ma pensava che anche solo concedergli di affrontare una morte naturale non fosse cosa da poco, di quei tempi.

    Tornò sulla strada principale, combattendo contro il desiderio di voltarsi a guardarlo ancora. Avrebbe voluto portarlo via con sé, ma sapeva che non gli avrebbero permesso di tenerlo o anche solo di curarlo fino a quando non si fosse sentito meglio. Si chiese solo come avesse fatto ad arrivare fino lì: con ogni probabilità quello era l’unico animale di tutto il paese a non essere diventato una bistecca.

    Esattamente come lui era l’unico bambino presente a New Hope.

    Accelerò il passo, mettendosi a correre.

    Joseph sistemò l’ultima scatola di piselli sullo scaffale, dopodiché distese la schiena con un movimento lento e collaudato e si diresse verso il bancone. Armeggiò per qualche secondo con una pila di vecchi cd e alla fine ne scelse uno di Meat Loaf. Lo infilò nel lettore e mentre la voce melodica e vibrante si diffondeva per l’emporio, si ritrovò a pensare a quanto apparisse vecchia quella musica. Non erano passati poi così tanti anni, in realtà, ma le parole cantate con passione dal corpulento rocker avevano il sapore di una vita e un mondo che non esistevano più. E non era solo un modo di dire.

    Joseph si passò una mano sulla faccia e sulla fronte sempre più ampia e cercò di pensare ad altro: continuare a rimuginare riguardo ai vecchi tempi, a giorni ormai lontani, non gli faceva bene. Glielo aveva detto persino il dottore e anche se Sullivan non faceva nulla per risultare simpatico, si sbagliava di rado.

    Quando vide Tim entrare tirò un sospiro di sollievo: sembrava che Dio gli avesse inviato un messaggero di giovinezza e voglia di vivere proprio quando ne aveva più bisogno.

    – Buongiorno Jo! Come va? – fece il ragazzino.

    – Non male, non male… a parte il mal di schiena!

    I due rimasero in silenzio per qualche attimo, una pausa carica di attesa che rendeva trepidante Tim e divertiva Joseph. Ogni volta.

    – Là in fondo – indicò l’uomo con un gesto della mano. – Non c’è molto, però.

    Come illuminato da una invisibile luce, il bambino corse dall’altra parte del negozio, affrettando ringraziamenti appena comprensibili. Passò accanto a mucchi di vecchi abiti, elettrodomestici probabilmente inservibili e mobili malmessi. Giunto più o meno dove gli era stato detto, Tim si guardò attorno spaesato, incapace di individuare l’oggetto del desiderio. Quando infine lo vide, non poté fare a meno di provare una leggera delusione: sapeva che era sbagliato, ma ogni volta si illudeva di trovare qualcosa di più.

    C’erano solo due fumetti: un vecchissimo numero di Action Comics e un altro più recente di un personaggio che non conosceva, Blackwulf. Perlomeno avevano tutte le pagine e persino le copertine. Afferrò il magro bottino e tornò al bancone.

    – Mi spiace non avere altro, ma sai anche tu che con il freddo le uscite si diradano – disse Joseph con un filo di tristezza.

    – Lo so, non importa. Ho ancora un libro che devo finire di leggere… solo che l’inverno è così lungo.

    Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio.

    – Io vado – bofonchiò Tim, alla fine. – Ehm, dirò a papà di passare per pagare.

    Joseph assunse un’aria severa. – Come, non hai proprio niente? Un uovo, una mela?

    L’altro scosse la testa, pieno di vergogna. L’uomo gli sorrise e gli rivolse un drammatico rimprovero. – Fuori dal mio negozio, ladruncolo, e non osare farti vedere prima di una settimana: chi lo sa, magari alla prossima uscita il gruppo di Nick avrà più fortuna!

    Tim sembrò felice: con ogni probabilità le sue speranze sarebbero state appagate solo in parte, o magari per niente, ma fantasticare non costava nulla.

    Dopo aver ringraziato ancora e aver ricevuto la consueta spettinata di capelli dal vecchio Jo, il ragazzo se ne andò, comunque impaziente di esaminare a fondo i fumetti che stringeva al petto come se fossero un immenso tesoro. Avrebbe trovato un luogo appartato e avrebbe divorato le storie di fantasia racchiuse fra quelle pagine, sognando insieme agli eroi di carta e meravigliandosi davanti a inserti pubblicitari che reclamavano prodotti ormai inghiottiti dal tempo.

    Ci pensò su per un po’ e infine decise di andare in un posto che sapeva essergli precluso, ma che in realtà non riteneva per niente pericoloso: l’importante era non farsi beccare e anche in quel caso non gli sarebbe importato poi molto di ricevere una punizione o un rimprovero.

    Giunse fino alla fine della via centrale, deviò leggermente fino a incontrare un muro, alto più di cinque metri. Camminò costeggiando il limite invalicabile per qualche minuto e si fermò solo quando giunse in un punto preciso, dal quale poteva vedere una porzione di montagne. Erano lontane e più che mai irraggiungibili, ma c’erano giorni, come quello, in cui gli sembravano una visione divina, quasi si trattasse del suo personale Monte Olimpo. Ne aveva letto in un libro, era un posto che si trovava in Grecia e sulla cui cima vivevano degli dei bizzarri e capricciosi. Forse non erano il massimo, ma sempre meglio della divinità che vegliava su di lui e su New Hope, un dio in cui gli insegnavano a credere, ma che dal suo punto di vista non aveva fatto altro che portare sofferenza e disgrazie.

    Si sedette, la schiena appoggiata al muro, cominciando a leggere e lanciando di tanto in tanto un’occhiata alle sue adorate montagne. La lettura rappresentava l’unico momento in cui riuscisse a distrarsi un po’, durante il quale sentirsi davvero felice. L’aria fresca gli accarezzava il volto. Per ora i lamenti provenienti dall’altra parte del muro erano appena udibili, un fastidioso sottofondo, ma che non gli impedivano di godersi la storia di Superman. Presto sarebbero aumentati fino a divenire insopportabili, ma fino ad allora Tim se ne sarebbe rimasto lì a godere del suo attimo di magia.

    E nulla avrebbe potuto rovinarglielo.

    – Ciao.

    Totalmente immerso nella lettura, Tim non si era reso conto di avere compagnia. Il freddo cominciava a penetrargli nelle ossa, rendendogli i piedi quasi insensibili: non gli importava, tempo di finire di leggere la storia e se ne sarebbe tornato a casa. Il nuovo arrivato scombussolò almeno in parte i suoi piani. Osservò la figura che lo osservava dall’alto, sovrastandolo nonostante fosse tutt’altro che imponente. Si trattava di un uomo dall’età indefinibile, col volto nascosto da una folta barba e incorniciato da capelli incolti e trascurati. Nonostante fosse vestito pesantemente, la sua magrezza era lampante; dava l’impressione di essere un fascio di nervi racchiuso in una pelle abbronzata e segnata da mille cicatrici, ognuna delle quali recava con sé certamente una storia, forse anche più interessante di quella contenuta nell’albo a fumetti.

    L’uomo si piegò sulle ginocchia, chinandosi fino alla sua altezza. Facendo ciò, lasciò cadere il pesante zaino che portava con sé.

    Tim lo osservò meglio: lo sconosciuto indossava pantaloni mimetici e un giubbotto disseminato di tasche. Incrociando il suo sguardo perse parte del timore provato in un primo momento, perché al di là dell’aria vissuta e della stanchezza tradita dai suoi movimenti lenti, gli sembrava chiaro di trovarsi di fronte a una brava persona. Fu qualcos’altro ad attirare la sua attenzione e a rimettere in gioco la sua sommaria analisi dell’uomo, cioè degli oggetti che vide spuntare dallo zaino: riconobbe una canna da pesca – e fin qui nulla di strano – una mazza da baseball e il calcio di un fucile. Tim non era ingenuo e sapeva che ogni volta in cui Nick e il suo gruppo di ricerca uscivano in missione, portavano con sé un vero e proprio arsenale, ma era la disinvoltura con cui lo sconosciuto se ne andava in giro armato a lasciarlo sbigottito. Portava persino un cinturone con agganciata a un fianco una fondina con relativa pistola, anche se a causa della posizione assunta dall’uomo, Tim non riusciva a vederla bene.

    – Cosa leggi di bello? – volle sapere il nuovo arrivato, con voce roca ma stranamente gentile.

    Tim si limitò a mostrargli la copertina dell’albo, senza però proferire una sola parola.

    – Ah, Superman… non è mai stato fra i miei preferiti. Molto meglio Batman, di certo più realistico.

    – È carica quella? – chiese in un solo fiato Tim, incapace di staccare lo sguardo dalla fondina dell’altro.

    – Certo che lo è – ribatté lo sconosciuto, il sorriso appena distinguibile sotto la barba. – Altrimenti a cosa mi servirebbe? Non dirmi che non ne hai mai vista una.

    – Certo che ne ho viste! – reagì indispettito il bambino. – Solo che a New Hope nessuno se le porta appresso.

    L’uomo si guardò attorno, come se si fosse reso conto solo in quell’attimo di dove si trovasse.

    – Capisco. Vi siete sistemati bene. Questa muraglia sembra proprio solida e le strade sono pulite. I tizi all’ingresso mi hanno lasciato entrare, ma scommetto che mi terranno d’occhio per un bel pezzo.

    Come a confermare le parole dell’uomo, in quel momento giunse un ragazzo sui venticinque anni, il viso allungato e corti capelli neri.

    – Tutto ok, Tim? – disse nervoso, rivolgendosi al bambino, ma senza staccare gli occhi di dosso dall’uomo con la barba.

    – Sì, Nick. Stavo solo leggendo un po’. Lui è… come ti chiami?

    Rialzandosi con la chiara intenzione di fronteggiare il tizio appena sopraggiunto, lo sconosciuto disse: – Virgil, scusa se non mi sono presentato prima, ma a forza di andarsene in giro da soli, si arriva a dimenticare le buone maniere.

    – Mi chiamo Nick Mars – fece l’altro tendendo una mano verso l’uomo. – A New Hope mi occupo delle uscite di esplorazione e di mantenere l’ordine. Lui è Tim, la mascotte del paese.

    Il sorriso che rivolse in parte al bambino e in parte a Virgil stava a indicare il fatto che si stesse rilassando almeno un po’.

    – A proposito, i miei colleghi all’ingresso ti avranno detto di certo che non puoi portare un’arma al fianco, almeno fino a quando ti trovi in paese.

    Virgil accennò una risata, come se si fosse aspettato quello sviluppo: – Certo, è legittimo, il paese è vostro e voi fate le regole. Spero non sia un problema possedere un’arma di questi tempi.

    – Per niente, solo preferiamo che non siano così a portata di mano – puntualizzò Nick, dando l’impressione di stare tornando sulla difensiva.

    Virgil mostrò i palmi in segno di resa. Con gesti fluidi e tranquilli slacciò il cinturone e lo ripose nello zaino. Se anche Nick in quel momento vide la mazza e il calcio del fucile, non diede segno di preoccuparsene.

    – Sono lieto che da queste parti diate tanta importanza alla sicurezza, ma allora perché permettete a un bambino di rimanere da solo e così in prossimità del confine del paese? Mi sembra di capire che là fuori si stia riunendo un bel gruppetto – e detto ciò Virgil rivolse un vago gesto in direzione del muro. I lamenti provenienti dall’altro lato si stavano facendo sempre più chiassosi.

    – Infatti Tim sa bene che non può venire qua a leggere. Non è vero? – borbottò Nick con aria di rimprovero. Il bambino non osò contraddirlo, anzi, raccolse i fumetti e si alzò senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.

    – Non lo dirai ai miei, vero? – fece poi, mentre muoveva i primi passi verso casa.

    Nick fece saettare lo sguardo verso la strada. – Troppo tardi…

    Tim vide una familiare figura in rapido avvicinamento. Una donna, non troppo alta e dai fluenti ricci castani, lo stava puntando con aria severa.

    – Timothy Campbell, che diavolo fai qui? – ringhiò la donna con tono infuriato, ma che comunque non riusciva a nascondere la preoccupazione. – Quante volte te lo devo ripetere che stare qui è pericoloso?

    Virgil intercettò lo sguardo rassegnato di Tim e forse si sentì in dovere di scusarsi. – Credo che ti abbiano beccato per colpa mia.

    Il bambino ridacchiò con fare complice. La donna, che fino a quel momento non aveva

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