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Città nascoste. Trieste Livorno Taranto
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Città nascoste. Trieste Livorno Taranto

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Con la prefazione di Alessandro LeograndeUna discesa verticale dentro tre città, una sorta di immersione profonda in tre luoghi di mare: Trieste, Livorno e Taranto. Città distanti tra loro ma che sembrano scritte dallo stesso sceneggiatore, con un passato che ha non poche similitudini e la necessità di inventarsi un futuro. Un reportage narrativo a due voci, quelle di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, viaggiatori che utilizzano per i loro spostamenti unicamente mezzi pubblici.C’è stato un momento in cui Trieste, Livorno e Taranto non erano Città nascoste, oggi però questi luoghi si lasciano alle spalle una notorietà e una prosperità economica legate a un’industria fiorente o alle fortune commerciali di un porto; e ora, esaurito il filone buono, hanno un futuro tutto da inventare per uscire dal cono d’ombra in cui sono finite. Un futuro questa volta più vicino alle proprie radici, un’identità legata alla loro bellezza, ai luoghi, alla tradizione e anche, perché no, alla cultura del cibo e del vino.Il libro conduce alla scoperta delle tre città; ma è soprattutto un viaggio “altro”, che rivela le ragioni che dovrebbero spingere il viaggiatore a farvi tappa, a scoprirle o riscoprirle.TRIESTE, in balìa dei suoi venti fin dentro le librerie e i caffè carichi di storie, il tram di Opicina, il Carso e i suoi vini austeri, i profumi d’Oriente.LIVORNO, la sua identità multiculturale, la città dei “5 e 5” al mercato vecchio, del “popolo del Basaglia” con il suo Atelier Blu Cammello, del cacciucco davanti al mare, degli chansonnier maledetti.La luce sconvolgente di TARANTO, la città vecchia, le battaglie per la Riserva Naturale, per un teatro nel cuore del rione Tamburi, la ripresa dell’allevamento delle cozze, cibo identitario della città.
LanguageItaliano
Release dateSep 11, 2020
ISBN9788898848867
Città nascoste. Trieste Livorno Taranto

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    Città nascoste. Trieste Livorno Taranto - Poalo Merlini

    Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

    Prefazione di Alessandro Leogrande

    CITTÀ NASCOSTE

    Trieste Livorno Taranto

    di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

    © 2016 - Edizioni Exòrma

    Via Fabrizio Luscino 73 - Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Fotografie di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

    Impaginazione omgrafica, roma

    ISBN 978-88-98848-86-7

    ©Exòrma, omgrafica srl

    Questo è un libro di viaggio scritto a quattro mani.

    Perché sia chiara e immediata l’attribuzione dei vari brani all’uno o all’altro abbiamo impiegato due caratteri tipografici distinti.

    Paolo Merlini scrive in carattere graziato

    Maurizio Silvestri scrive in carattere lineare

    a Mario Dondero e Francesco Silvestri

    Non c’è vento favorevole per il marinaio

    che non sa dove andare.

    Seneca

    Chi parte rischia di arrivare.

    Giorgio Manganelli

    All’Hotel Akropolis chiedo di salire sulla terrazza panoramica, mi hanno detto che da lì si gode la vista più bella sull’isola […]. Eccomi nell’ostrica di Pasolini. Taranto vecchia, la gemma, e intorno i due mari come due conchiglie.

    Foto di Maurizio Silvestri

    PREFAZIONE

    di Alessandro Leogrande

    Trieste, Livorno, Taranto sono tre città-mondo. Diversissime tra loro, sono allo stesso modo intimamente diverse dalle parti d’Italia che cingono i loro confini. Talmente diverse da apparire al viaggiatore o al forestiero, specie se alle prime armi, delle sorte di enclave semindipendenti. Sono città-mondo, innanzitutto, perché sono città capaci di racchiudere all’interno delle proprie mura secoli di Storia, di lingue e di sogni, violenza e rapina, conflitti e nuovi inizi, minoranze e dissidenze. Il fatto che non siano metropoli non esclude che siano il prodotto di un lungo sedimentarsi di molteplici stratificazioni, e che questi strati siano in grado, tutti insieme, di offrire allo sguardo un universo compiuto.

    Sono città-mondo perché costituiscono tuttora – ognuna a modo suo – un singolare crogiolo mediterraneo aperto verso un altrove costantemente rielaborato. Sono città-mondo, inoltre, perché sono città di mare, e del mare hanno assorbito – accanto a poche altre città adriatiche, ioniche, tirreniche – la fluidità, l’instabilità, l’intima tolleranza, gli odori, la brezza, la luce. Sono città-mondo, soprattutto, perché sono città orgogliose della propria unicità e del fatto che – a pochi chilometri di distanza – sembra sistematicamente aprirsi un’altra dimensione spazio-temporale.

    Trieste, Livorno, Taranto sono i tre mondi attraversati da Paolo Merlini e Maurizio Silvestri. Il loro è un diario di viaggio, più che un reportage. È il resoconto di due viaggiatori che, pure in un’epoca fondata sulla convinzione di conoscere e aver esperito già tutto, non rinunciano al desiderio di mettersi in treno, in traghetto o in corriera e raggiungere i luoghi che intendono raccontare. Non rinunciano, da flâneur post-moderni, a indugiare nei posti più del necessario, più di quanto in genere consenta l’abituale conteggio-del-tempo in uno scritto giornalistico, pur di afferrare dettagli, considerazioni, odori, parole.

    Perché lo fanno?

    Perché è proprio attraverso gli scarti, i dettagli marginali, gli scampoli di vita, che è possibile offrire ancora oggi dei ritratti di città. Dei ritratti che siano un fondale in cui confluiscono gli elementi di quelle tre specifiche città-mondo e, allo stesso tempo, uno specchio dell’Italia, di ciò che il paese-Italia è diventato in questi anni.

    Sono molte le costanti che legano tra loro Trieste, Livorno, Taranto, al di là del fortissimo, viscerale rapporto con il mare e la cultura del mare, e quindi con i lavori del mare e con la cucina del mare. Sono molte, anche quando meno percettibili. Innanzitutto vi è il rapporto, spesso irrisolto, con un Novecento ingombrante, sia esso inteso come somma di ferite storiche e microesplosioni geopolitiche, oppure come scelte improprie dei governi nazionali. E poi il rapporto con le produzioni industriali inquinanti presenti nel proprio territorio, e con il modello di sviluppo – pensato nel passato, esperito ancora nel presente – a cui esse rimandano. E poi, ancora, la presenza di quartieri popolari irriducibili, nell’urbanistica e nell’esistenza degli uomini e delle donne che abitano le loro strade o i loro vicoli, a quella sorta di plastificazione che è divenuta quasi sempre la norma del nostro vivere associato.

    Merlini e Silvestri guardano questi mondi di sbieco. Provano a decifrare le loro fratture, i salti nascosti, le contorsioni, i non detti, i cambiamenti, siano essi positivi o negativi. Provano a capire di che pasta sia fatta, ancora oggi, l’anima di città come Trieste, Livorno o Taranto, e se sia ancora possibile afferrarla. E anche quando, come nel caso della città jonica, il loro racconto non può fare a meno di incrociare la cronaca surriscaldata di questi anni, non si lanciano mai in giudizi frettolosi. Piuttosto raccolgono voci, punti di vista, riflessioni, non avendo mai la pretesa di sostituirsi a chi la città la conosce fin nelle sue viscere perché magari ci è nato o ha deciso di farne il luogo della propria residenza.

    In posti come questi, spesso ci sono vite che appassiscono lentamente nella speranza che arrivi Godot, o che accada qualcosa di diverso. Ma poi ci sono anche altre vite, che cercano di attraversare i medesimi luoghi e le medesime fratture in maniera diversa. Queste persone, alle volte, diventano voci da sentire, sguardi da interrogare, cumuli di esperienze nascoste ai più che è bello rivelare… La loro mera esistenza è esattamente ciò che permette ai viaggiatori di entrare in contatto con una città, i suoi sogni e le sue ferite. Sono loro le vere porte di accesso alle città. Ed è compito di chiunque voglia raccontarle saper individuare dove si situano tali fessure.

    Poi ci sono gli eretici.

    E alcuni di essi – quasi come fantasmi – appaiono anche in questo libro. Come il grande Piero Ciampi, poeta e livornese. Una volta disse che la morte gli faceva rabbia, moltissima rabbia, perché non la poteva fregare.

    Ora penso che in quella rabbia, pura e benedetta, sia racchiuso lo spirito più profondo non solo di una città come Livorno, ma anche delle altre due città, Trieste e Taranto, allo stesso tempo così vicine e lontane. È lo spirito mediterraneo, dissacrante, indolente, irregolare, innamorato della vita, dei suoi limiti e dei suoi eccessi, che si sprigiona come una nuvola dagli anfratti più reconditi. Tutto ciò emerge, al riparo della Storia e dei suoi contorcimenti, anche in pieno XXI secolo. Emerge anche laddove tutto sembrava mutato e uniformato.

    I pescherecci ordinatamente ormeggiati sembrano moscerini al cospetto della Fortezza Vecchia e dei grandi traghetti pronti per raggiungere la Corsica […]. Questa gita a pelo d’acqua ha un che di felliniano ma è già ora di entrare nel cuore storico di Livorno, il suggestivo quartiere La Venezia.

    Foto di Paolo Merlini

    TRIESTE

    Ursus, il pontone-gru, si staglia austero come la Torre Eiffel con le sue maglie scure contro il cielo di un azzurro perfetto.

    Foto di Maurizio Silvestri

    Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma di quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite.

    Mark Twain

    TRIESTE È UNA DONNA

    Trieste è una donna capace di sedurre in tutte le stagioni, ma di mattina, in primavera, dopo una giornata di bora, è irresistibile. La luce rende i profili di cose e persone netti e puliti.

    Acciambellato su una bitta guardo il mare: è un panno teso strisciato dai canoisti in allenamento.

    Ursus si staglia austero come la Torre Eiffel con le sue maglie scure contro il cielo di un azzurro perfetto. E da lassù chissà che panorama si vedrebbe oggi: tutta l’Istria, il Quarnero, Grado, Venezia e chissà, anche la Dalmazia. Tutto è vicino, l’Adriatico assume le sembianze materne di mare dell’intimità, come dice Matvejević.

    Il Castello di Miramare immacolato torreggia a portata di mano, le falesie di Duino appena dietro; gli alberi delle barche a vela prendono fiato.

    Gente passeggia blandamente sulle Rive.

    Un vecchio senza cappello a occhi chiusi si riempie di luce sotto il pennone alabardato di piazza Unità, i tavolini esterni dei caffè affollati per il sacro rito del nero, il ciacolare delle bancarelle del mercato di Ponterosso sotto le cupole turchese di San Spiridione, i profumi di cucinato che serpeggiano per il ghetto ebraico. Giacomino Joyce solo solo sul ponte del Canal Grande non sembra curarsene troppo; presto arriveranno scolaresche che lo abbracceranno e si metteranno in posa con lui e magari gli scapperà anche un sorriso.

    Mi addentro per la città vecchia, cara a Umberto Saba. Gli echi della strada arrivano sempre più deboli. Ai tempi del poeta era un viavai di gente, oggi è un’oasi di silenzio. Qui la toponomastica è senza tempo: via della Chiauchiara, delle Candele, della Piccola Fornace, di Donota, Piazzetta Tor Cucherna, un angolo di quiete. Mi fermo ad ascoltare le note di un pianoforte, mi pare di riconoscere la musica di Satie. Una graziella con i parafanghi arrugginiti, riverniciata di rosso fiammante come le maglie della gloriosa Triestina, è incatenata a una ringhiera.

    Nella storia di Trieste non mancano i superlativi: la città è passata da "urbs fedelissima, la più fedele, riconoscimento di Francesco Giuseppe per la lealtà dimostrata durante i moti rivoluzionari degli anni Quaranta dell’Ottocento, fino a sventuratissima posta come la definì Salvatore Satta ai tempi della spartizione tra alleati e Jugoslavia, passando per città musicalissima" del grande violinista Cesare Barison, maestro di Italo Svevo. Oggi mi sembra semplicemente bellissima.

    LES AMANTS DÉSUNIS, ERODOTO E RUMIZ

    Un martedì pomeriggio di fine aprile, vago svogliatamente per la stazione di Bologna. Gli impegni di lavoro sono finiti e aspetto il Frecciabianca delle 17.30 con nessuna voglia di tornare a casa. Sul binario numero 1, manager giacca e cravatta attendono che la metropolitana d’Italia li riporti a Milano o a Roma.

    Guardo l’ora, in questo momento Maurizio, il Mau, dovrebbe essere arrivato a Fiume e un bus croato lo porterà per cena a Trieste. Domani lui sarà in giro per il capoluogo giuliano mentre io sarò al lavoro.

    Qualche giorno fa ti butta lì un: «Ma andare a Trieste risalendo la sponda orientale dell’Adriatico?». E allora tu, che oltre a essergli amico sei anche quello che viaggia con i mezzi pubblici, l’esperto di vie traverse, smanetti un po’ in rete e prepari l’itinerario che lo ha visto imbarcarsi ieri sera sul traghetto Jadrolijna salpato alle 19.00 da Ancona. Questa mattina all’alba, il nostro eroe ha visto il nuovo sole scalare le vette aguzze del Velebit prima di sbarcare a Spalato. Un caffè e poi, alle 8, col bus della Čazmatrans Dalmacija, via Sebenico e Zara è arrivato a Fiume.

    Sto qui con la mia ventiquattrore, in procinto di tornare a casa anche se avrei tanta voglia di marinare, bigiare, darmi malato e raggiungere la città in cima all’Adriatico.

    Ma sai quanto è lontana Trieste? In borsa ho il bellissimo reportage di Aldo Cazzullo apparso sul «Corriere della Sera» del 5 aprile, dal quale apprendo che da Venezia si viaggia a passo d’uomo su vagoni che sanno di stalla. Mica vero! Alle 18.55, l’orario propone il Frecciargento 9440 che per una modica cifra, alle 21.46 promette di scaricarmi nella città della bora. Che fare? Tornare a casa con la coda tra le gambe oppure raggiungere il mio Lucignolo nel paese dei balocchi?

    Salito a bordo, neanche fossimo "les amants désunis", mando un sms al Mau convocandolo per le 22 alla panetteria e pasticceria Romi al 30 di via Torino, a Trieste.

    A dar retta a Erodoto, pare che in questo locale bazzichi il triestino Paolo Rumiz. Quando dico Erodoto, non intendo quell’Erodoto, storico e geografo di Alicarnasso: mi riferisco alla rivista «Erodoto 108», capitanata dall’inossidabile fotografo, scrittore neocittadino di Matera e amico nostro Andrea Semplici.

    Ebbene, per una serie di combinazioni, io c’ho il cellulare di Rumiz… che faccio? Non lo chiamo, ma con lo spirito di quello che dal tabaccaio compra un gratta e vinci, gli mando uno speranzoso e poco invasivo sms: «Ciao, sto arrivando a Trst. Alle 22 mi incontro col Mau da Romi. Se ti va una birra in compagnia…».

    Nessuna risposta. Ma si sa, nell’olimpo degli scrittori il cellulare non prende.

    Mi consolo leggendo Trieste è un’altra, la non guida scritta dal diversamente triestino Pietro Spirito. Avevo fatto pensiero di prestarla al Mau ma è rimasta provvidenzialmente nella mia borsa. Pietro Spirito, nato a Caserta, giornalista e scrittore, da anni si occupa delle pagine culturali del quotidiano cittadino «Il Piccolo» e da quando l’ho scoperto, non posso più fare a meno dei suoi scritti. In particolar modo le pagine di questo prezioso reportage narrativo sono come le ciliegie che una tira l’altra e capitolo dopo capitolo mi conducono per mano a conoscere le storie che stanno dentro la storia del capoluogo giuliano. È così che, cullato dagli ergonomici sedili di questo missile grigio su rotaie, ancora una volta faccio l’elenco dei motivi per i quali questa città mi piace così tanto.

    Di sicuro Trieste mi piace perché, come dice Spirito, ama tantissimo i suoi fantasmi, ma un po’ è anche perché quando sto qui, io c’ho sempre vent’anni.

    Questa città mi conosce benissimo e mi appare ogni volta più bella. Come Sherazad mi incanta mille e una notte con le sue storie.

    Molti anni fa, proveniente da non so dove, arrivai in città alle prime luci del giorno, su uno di quei bus che, oggi come ieri, lasciano Monfalcone scivolando dolcemente lungo gli 11 chilometri della Strada Costiera Triestina, la spettacolare panoramica Sistiana-Grignano appesa sul ciglione carsico col mare sulla destra. Miramare, Barcola, Roiano, la stazione centrale e poi piazza Unità d’Italia; non sapevo neanche dove ero capitato. Come tanti italiani, anch’io non localizzavo bene la città sulla carta geografica e nulla o quasi sapevo della sua storia. Ero molto giovane: confondevo Saba con Montale, ignoravo chi fossero Ettore Schmitz e Joyce. Sapevo della risiera di San Sabba e delle foibe, ma me ne tenevo ben lontano. Avevo sentito parlare dell’esodo istriano dalmata ma non ne conoscevo le dimensioni.

    Quella prima volta non ci fu il tempo di capire un granché ma di certo inoculai quello che iniziai a chiamare il morbo giuliano e che mi ha portato a voler sapere di più. Seguirono anni di frenetiche letture e di ripetuti soggiorni in città. Scoprii la cattedrale di San Giusto, piazza Oberdan e il tram di Opicina, l’Obelisco e la passeggiata napoleonica, il Carso, le Osmizze, il Museo Ferroviario e tutte quelle cose che giustamente incantano il turista. Strada facendo, Trieste è diventata per me un posto dell’anima e così, quando sogno, sogno di stare a Trieste.

    Ci siamo quasi, anche al buio le cave di Aurisina risplendono e mi annunciano l’arrivo nella città periferica, nella città dell’altra sponda, nella città dell’altra riva; Saba la definiva anche così.

    Sono le 21.46 e il mio treno, in perfetto orario, entra nella stazione centrale, un tempo capolinea della Südliche Staatsbahn, le Ferrovie di Stato meridionali austriache.

    TI RICORDI TRIESTE?

    Mi intrufolo tra i pontili dello yacht club Adriaco alla ricerca di Antal. È una vecchia brazzera in legno, l’imbarcazione più tipica di Trieste. L’ultima volta è stata segnalata qui, donata al club da un vecchio marinaio istriano. Non la trovo, in segreteria mi dicono che è stata portata via qualche tempo fa, ma non sanno dove. Approfitto per fare un giro per le stanze profumate di legno della più antica società velica dell’Adriatico. A Trieste c’è una naturale familiarità con mare e vento. Arrivo sulla terrazza panoramica, il sole esplode in scintille che danzano su note silenziose. Capisco che Trieste si sta preparando a un tramonto memorabile e non c’è luogo più affascinante delle Rive per godersi lo spettacolo. Allora decido di farmele tutte, le Rive, a cominciare dal Pedocin. Nel secolo scorso in Europa è successo di tutto, è crollato il muro di Berlino, si è disgregata al Jugoslavia, disciolta la cortina di ferro. Resiste invece il muro del Pedocin, questo storico bagno di fine Ottocento: il muro di tre metri che divide la spiaggia delle donne da quella degli uomini. Non si transige, si entra insieme, si paga un euro e poi bagno e tintarella separati. Nella laica Trieste un luogo singolare.

    Il Salone degli Incanti era la vecchia pescheria, una

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