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Colei che dà la vita, colei che dà la forma
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Ebook308 pages9 hours

Colei che dà la vita, colei che dà la forma

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About this ebook

Una raccolta di straordinari miti di creazione che spaziano dall’Asia all’Oceania, dall’Africa all’America, dal Mediterraneo all’India, da cui emerge come le antiche civiltà abbiano tutte immaginato al femminile l’origine del cosmo. La Madre o la Dea era Colei che dava non solo la Vita ma anche la Forma, ossia le regole e gli insegnamenti indispensabili per continuare la creazione. Prima del Patriarcato, nelle Età dell’oro e dei Paradisi terrestri, le figlie e i figli della Madre sono vissuti seguendo la Via che cerca l’armonia e l’equilibrio tra la natura e le società umane.
 
LanguageItaliano
PublisherVenexia
Release dateSep 4, 2020
ISBN9788899863500
Colei che dà la vita, colei che dà la forma

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    Colei che dà la vita, colei che dà la forma - Luciana Percovich

    LUCIANA PERCOVICH

    Colei che dà la vita,

    Colei che dà la forma

    Venexia

    Immagine di copertina:

    La Dea Shakti nella forma di triangolo, Rajasthan, XVII secolo.

    ©2009 Copyright by Venexia

    Via Erodoto,36

    00124 Roma

    www.venexia.it

    Il passato non va mai via, vive in mezzo a noi, è parte del presente.

    Dobbiamo riconoscerlo.

    Antjie Krog, poetessa e giornalista sudafricana

    Commissione per la Verità e la Riconciliazione, 1995-1998

    NOTA INTRODUTTIVA

    Durante la lunga prima fase della storia dell’umanità, l’energia femminile – ponte tra il non manifesto e il manifesto – e le donne, attraverso il cui corpo veniamo alla vita, sono state osservate, narrate e raffigurate come espressione della forza creatrice in migliaia di storie di creazione e di statuette femminili, tornate ora alla luce in abbondanza.

    Questo libro è su questo immaginario e sulle sue prime trasformazioni.

    È un tema antico come il pensiero dell’umanità, che fin da subito ha cominciato a interrogarsi sull’irrimediabile asimmetria tra i due sessi (maschi e femmine nascono da corpi di donna), sull’ordine che governa il trascorrere del tempo, sulle trasformazioni che le forme della vita attraversano e sulle leggi dell’armonia e del cambiamento che separano e ricongiungono polarità ed energie di segno opposto, per portare avanti la creazione. 

    Di questo femminile, percepito come primario agente di movimento e di trasformazione, e fonte della conoscenza necessaria alla continuazione della vita, i corpi di donna sono stati per lungo tempo potenti metafore; nei miti cosmogonici, hanno assunto le sembianze di una madre divina o di una Grande Madre, da cui si dispiega la forma del cosmo e di tutte le sue creature, animate e non, visibili e non, fino a confondersi, a volte, con la prima antenata di un popolo o di un gruppo.

    Nelle pagine che seguono ho riprodotto alcuni, pochi rispetto alle migliaia di varianti che ancora oggi è possibile rintracciare, di questi racconti molto speciali che sono i miti dell’inizio del tempo umano: nati dallo stupore di essere vive/i e coscienti di esserlo, generati dalle menti e dai cuori delle nostre antenate/i alla ricerca di una cornice di contenimento allo sgomento dell’esistere, attinti dal limbo della memoria in cui si depositano tutte le fasi e gli strati della vita sulla terra. Le storie di creazione e/o di fondazione culturale che ho qui raccolto possono essere paragonate alle carote di assaggio usate dai geologi, che entrano con le sonde negli strati profondi della memoria della terra. 

    Spesso, nel rinarrarle, pur consapevole di non avere nessuna certezza di conoscerle nelle loro forme originali, mi sono immaginata nel gesto di spargere una manciata di preziosi semi: perché comunque è grande la sapienza che conservano, anche dopo essere state dimenticate al buio per un tempo molto lungo. A chi le leggerà, il compito di lasciarle agire nel cuore e nella memoria, e di intrecciarle con il già noto, per allargare e approfondire le radici con cui ci teniamo al mondo.

    Alcune esperienze che ci attraversano ed entrano in risonanza contemporaneamente con piani diversi del nostro essere ci parlano con modalità così complesse che non sappiamo che collocarle nel campo dell’intuizione o in quello alquanto appannato del sacro.

    Raccontarle rende conto del coinvolgimento, del desiderio e del turbamento suscitato in noi da eventi di cui cogliamo la natura sganciata dal tempo ordinario, e della grande emozione che portano con sé, insieme all’impossibilità di dirne di più. Da simili stati d’animo nascono i miti in genere; quelli cosmogonici, che si interrogano sulle origini della vita, forniscono anche le regole e le forme attraverso cui conservarla, ponendosi come narrazioni che sono insieme fantastiche e precise, espresse nel linguaggio atemporale dei simboli, resistendo ai cambiamenti che si sono via via incrostati sul loro nocciolo originario senza intaccarne la sorgente, o spinta propulsiva, che rimane presente anche se nascosta.

    Religione, scienza e misurazione del tempo non erano separate dal corpo e dal mistero dei ritmi biologici della sessualità e della fertilità; erano un unico corpo di conoscenza. Noi siamo caduti fuori da questo antico orizzonte olistico, che adesso stiamo appena cominciando a riscoprire. Questa affermazione di Vicki Noble, riferita alla grande arte del Paleolitico, conduce fuori dal pensiero dominante degli ultimi secoli. E tuttavia è proprio da un simile orizzonte olistico che parlano le antiche cosmogonie, rivelando complessità di visioni e conoscenze che solo gli ultimi sviluppi delle discipline scientifiche e filosofiche della cultura occidentale hanno rimesso al centro dell’attenzione. La forza trainante che ha guidato il progressivo dipanarsi della creazione e della storia negli ultimi 5000 anni ha seguito una direzione di fuga da quell’orizzonte, contrassegnata dalla differenziazione, dalla separazione, dalla frantumazione; per certi aspetti ci ha portato guadagni collettivi, ma contemporaneamente ha potenziato lo sminuzzarsi particolaristico agito da forze centrifughe che, sempre più miopi e rapaci, hanno man mano prodotto il grande smarrimento del presente.

    In questo orizzonte più antico di quello comunemente ricordato, i miti cosmogonici e le storie di fondazione dei popoli che abitarono i vari continenti raccontano di un principio femminile: non in una glorificazione del ruolo delle madri in quanto riproduttrici della vita dei corpi fisici (immaginario dominante solo nelle culture patriarcali), ma attraverso un’attribuzione di competenza regolatrice sia del cosmo che delle vicende umane, che si è manifestata nel fondare e tenere insieme un gruppo sociale, nell’invenzione di strumenti, di tecniche manipolative e di riti sacri.

    Queste grandi Madri e antenate mitiche stavano alle origini e guardavano con molta attenzione e cura al futuro; i ritmi dei loro corpi mostravano e garantivano l’armonia dell’universo; averne preso il posto e rubato i simboli è stato il primo gesto politico del patriarcato, oltre che un vero e proprio furto di anima. Ed è di questo aspetto, della ribellione, del conflitto e della perdita che da un certo punto in poi molti miti finiscono quasi ossessivamente per parlare.

    In un simile contesto, i termini Grande Madre e Dea usati  per indicare i principi cosmici e regolatori non coincidono con il loro significato attuale, che si è venuto formando in una fase molto più tarda, su un registro decisamente antropomorfizzato e con tutto il peso delle attribuzioni definitorie dei regimi patriarcali. Le Madri che agiscono nelle cosmogonie, come le più antiche statuette steatopigie, sono piuttosto icone dell’attesa carica di emozione che caratterizza il manifestarsi della pienezza creativa in uno dei luoghi ben visibili in cui si compie il prendere forma di ciò che viene al mondo: i corpi femminili gravidi, metafore di vita e di nutrimento. Mentre, nel nostro linguaggio, la madre è piuttosto colei che già si è separata dalla sua creatura, entrando nella sua finitezza umana: le prime raffigurazioni di dea con figlio/a cominciano ad apparire solo a partire dal tardo Neolitico. Nemmeno l’aggettivo grande, aggiunto per superare l’afasia che queste immagini femminili pre-patriarcali provocano in chi si è irrimediabilmente staccato da quel modo di sentire e rappresentare l’esistente, riesce a rendere del tutto il loro valore semantico. Sono dunque termini che, anche se continueremo a usare, impareremo a riconoscere come stereotipi inadeguati. E ciò sarà particolarmente evidente leggendo le storie dove Dea, Antenata, Madre esprimono stati di fuoco, di desiderio, di risveglio, di eccitazione, di spinta, di amore.

    Comincerò questo lavoro di recupero di piccoli pezzi di memorie sulle origini dalla Cina, dal Giappone e dalla Corea, passando poi attraverso l’oceano Pacifico, fino in Africa e in America del Nord. Per tornare, attraverso il Mediterraneo e la Mesopotamia, ancora in Asia, in India.

    Le tracce delle culture matrifocali/matrilineari sono presenti ovunque, e forse ci sorprenderà la quantità dei motivi ricorrenti nel substrato che precedette le culture storiche patriarcali. Che hanno filtrato e tramandato attraverso la scrittura, e spesso in epoche sorprendentemente vicine a noi se paragonate ai lunghissimi tempi della tradizione orale, narrazioni di cui già chi scriveva aveva da tempo smarrito il senso, nei casi migliori, o voleva di proposito renderle insensate e innocue travisando, correggendo, tagliando, introducendo nuovi elementi e trascurando sullo sfondo proprio quelli che potevano essere stati il fulcro della narrazione.

    All’inizio, tanto tempo fa, in tanti luoghi diversi, queste narrazioni sono state dette e tramandate per infinite generazioni, per poi sparire quasi senza quasi lasciare traccia. La perdita della memoria collettiva di miriadi di storie sul passato ha massicciamente contribuito alla progressiva subordinazione delle donne. Ricostruire ad ampio raggio, per accumulazione, tutte le storie che mano a mano riusciamo a riportare alla luce, inclusa la nostra storia recente del femminismo, è un lavoro cruciale di resistenza e di cambiamento, scrive la storica americana Susan Stanford Friedman.

    Anche per questo libro sono debitrice a molte donne: a tutte quelle che hanno ricercato, scritto e tramandato queste storie (una parte è presente nella bibliografia finale); alle corsiste della Libera Università delle Donne di Milano, con cui nel 2000 iniziai un corso intitolato Storie di creazione. Immagini del sacro femminile; a Mary Daly che mi ha dato la spinta iniziale; a Helen Hye Sook, teologa femminista coreana, il cui dottorato di laurea mi ha svelato l’esistenza di Mago (Capitolo 3); a Giti Thadani, che ha aperto nuove prospettive sull’interpretazione dei testi sanscriti; a Chiara Orlandini, che rende possibile e cura il venire alla luce di questo e di tutti gli altri libri della collana Le Civette-Saggi; a tutte quelle e quelli che hanno letto e  commentato con me Oscure Madri Splendenti, dandomi il coraggio di andare avanti.

    CAPITOLO 1

    CINA: DALL’ETÀ DELLA GRANDE PUREZZA ALL’ETÀ DELLA GRANDE LOTTA COSMICA

    MADRE NATURA

    La Natura, dal momento che ha messo al mondo ogni cosa, può essere chiamata Madre. 

    Solo chi comprende Madre Natura comprende i suoi molti figli. Se scegliamo di evitare gli errori e desideriamo avere una guida saggia nella vita, dobbiamo studiare la sapienza della Via di Madre Natura.

    Non c’è modo di descrivere la Natura, perché per descriverla completamente dovremmo creare un duplicato perfetto che usi tutti i suoi infiniti linguaggi – e ciò non può farlo nessun altro se non la Natura stessa. Possiamo cercare di spiegare la Natura, dicendo che è la sorgente prima di ciò che esiste, di tutto ciò che viene e va, di tutto ciò che inizia e finisce, di tutto ciò che è e di tutto ciò che non è, ma descrivere Madre Natura come sorgente prima e ultima equivale a capirne semplicemente una piccola parte. Madre Natura comprende tutte le nature, indifferentemente da quante arrivano all’essere, e il suo nutrimento non ha fine.

    Dobbiamo imparare da Madre Natura, seguire la via che ci indica attraverso i suoi semplici insegnamenti: chi cerca di arrivare oltre le sue possibilità drizzandosi sulle punte dei piedi presto perde l’equilibrio; chi spinge le gambe troppo avanti per camminare più velocemente presto non riesce più a camminare; chi si vanta troppo di se stesso presto si ritrova più ignorante degli altri; chi impone il suo punto di vista con la forza presto non trova più il consenso di nessuno; chi rivendica il merito per qualcosa che non ha fatto presto si renderà conto di non ricevere riconoscimento nemmeno per quello che si è guadagnato onestamente; e tanto più è pieno di arroganza e orgoglio, più profonda sarà l’umiliazione nel momento della caduta.

    Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo; come l’albero più alto da un piccolo seme e la torre più alta col primo mattone. Imparando dalla Via di Madre Natura, non si smette mai di scoprire come sia meglio procedere.

    HSI HO, LA MADRE DEI DIECI SOLI

    La Madre dei dieci soli,

    che crea i corpi del cielo e il calendario

    dei dieci giorni della settimana,

    è la causa di tutto ciò che succede

    nel suo disegno celeste.

    Ogni mattina possiamo vederla nella valle di luce,

    e guardarla mentre fa il bagno a uno dei suoi figli,

    quello che ha scelto quel giorno,

    nelle dolci acque del golfo di Kan Yuan

    e poi, mentre lo pone sui rami dell’albero di gelso

    seduto in mezzo alle foglie,

    alto trecento li nel cielo,

    finché non spicca il volo

    attraverso l’ampio spazio celeste,

    per arrivare a posarsi

    sulle montagne dell’ovest,

    e poi tornare di nuovo da lei – come farà ognuno di noi

    dopo il suo viaggio sulla terra.

    NU KUA

    Nu Kua arrivò nella valle dove scorre l’ampio fiume Giallo, quando ancora non esisteva nessun essere umano tra il cielo e la terra. Là, impastando l’argilla dorata, con le sue abili dita modellò una per una le fattezze del Popolo Dorato. Ma questo lavoro procedeva troppo lento. Allora pensò di usare un altro metodo, prese una corda che immerse nel limo e, dopo averla tirata su impastata di fango, la scosse. Da ogni grumo nacquero un uomo o una donna, e in questo modo furono creati tutti gli altri popoli. Nu Kua fece questo lavoro separando le donne dagli uomini. Successivamente, ordinò loro di accoppiarsi e di riprodursi.

    Poi, in nove giorni, creò i cani, i maiali, le pecore, i cavalli, le mucche, i cereali, la frutta e le erbe. Da allora i primi dieci giorni del primo mese del calendario (lunare) ricordano questo diverso principio.

    Molto tempo dopo, quando l’Età della Lotta Cosmica ebbe messo sottosopra l’ordine naturale, Nu Kua, la dea dal corpo di serpente, ritornò sulla terra per riparare l’ordine della Natura che era stato gravemente danneggiato: infatti, i pilastri che sorreggono i quattro punti cardinali erano distrutti, le nove province della terra si erano separate e persino il cielo e la terra non andavano più d’accordo, a tal punto si erano allontanati l’uno dall’altra. Ogni cosa era sbagliata, animali e persone; gli avvoltoi afferravano e uccidevano i vecchi e i deboli. Con pietre colorate, ella aggiustò il cielo e rialzò i pilastri con l’aiuto di una tartaruga, piazzando saldamente le sue quattro poderose zampe nei quattro punti su cui si sostiene il mondo. Bruciò le canne e con la loro cenere costruì gli argini per i fiumi.

    E allora contemplò tutto quello che aveva fatto: fu un momento di armonia perfetta, perché tutto scorreva seguendo il suo corso, ciascuno alla sua andatura. Le stelle seguivano le loro giuste traiettorie in cielo. La pioggia cadeva quando era il momento giusto. Ogni stagione seguiva l’altra, nell’ordine dovuto. Madre Nu Kua aveva riparato lo schema di tutto quello che forma l’universo, così che le messi erano di nuovo abbondanti, gli umani non erano più cibo per gli animali selvatici, gli avvoltoi non assalivano più i deboli e i vecchi e i serpenti non facevano più paura.

    La vita scorreva in un succedersi di notti tranquille, libere dal tormento di sogni angoscianti e il momento del risveglio era sereno. Era il tempo di madre Nu Kua, che ha stabilito lo schema, l’ordine e il ritmo dell’universo, la Sacra Via dell’armonia e dell’equilibrio.

    P’AN KU

    All’inizio dei tempi, prima che esistessero il cielo e la terra, il caos aveva l’aspetto di un uovo di gallina. P’an Ku viveva in questo uovo, e il suo corpo conteneva tutti i mondi possibili.

    Dopo diciottomila anni, l’uovo si aprì e ne uscì il caos. Gli elementi pesanti, selvaggi, conosciuti come yin, formarono la terra. Gli elementi leggeri, puri, conosciuti come yang, formarono il cielo.

    Ogni giorno il cielo si sollevava di dieci piedi, ogni giorno la terra sprofondava di dieci piedi. Dopo altri diciottomila anni, il corpo di P’an Ku era diventato grande come la distanza che ancora oggi separa il cielo dalla terra.

    P’an Ku uscì dall’uovo e si espanse in tutte le direzioni. Il suo corpo diventò le cinque montagne, quelle dei quattro punti cardinali e del centro. Ogni montagna aveva un colore, un gioiello e un suono, ed era custodito da uno dei quattro guardiani: l’unicorno, la fenice, la tartaruga e il drago.

    Come P’an Ku respirava, dalle sue narici uscivano vento e nubi.

    Come parlava, la sua voce si faceva tuono e fulmini. Il suo sangue diventò la circolazione dei fiumi e delle cascate; la sua carne, le colline e le valli della terra. I suoi peli divennero le piante e, nel diventare coltivabile, la sua carne fu trasformata. Metalli e pietra nacquero dalle sue ossa e dai suoi denti. Nel midollo delle ossa si trovò la giada.

    Come cambiava di umore, così cambiava il tempo. Quando era felice era bello e splendeva il sole, ma quando si arrabbiava, violente tempeste e terremoti scuotevano la terra. L’occhio sinistro era il sole e quello destro la luna. I capelli sulla testa e le sopracciglia diventarono le stelle; ma ancora non esistevano gli umani.

    Fu Nu Kua, una dea, che formò l’umanità con la terra gialla. Poiché il lavoro era troppo faticoso e prendeva molto tempo, immerse una corda nel fango, la tirò su e creò gli umani. Gli uomini nobili e i ricchi furono creati con la terra gialla, mentre i poveri e di casta bassa furono fatti con la corda ricoperta di fango.

    Per ricostruire la memoria dei tempi passati della vasta area che oggi chiamiamo Cina, occorre fare riferimento a una memoria mitica e a una memoria storica. Per entrambe, i testi che ne parlano sono molto recenti: il Tao Te Ching – che risale al V secolo a.C. – e il Chuang Tz’u – del III secolo a.C.  Da questi due testi si ricava il profilo del tempo mitico, diviso in due età: quella della Grande Purezza e quella della Grande Lotta Cosmica.

    L’Età della Grande Purezza, la più antica, nel Chuang Tz’u è definita come l’età in cui si conoscevano le madri e non i padri. Allora donne e uomini vivevano in uno stato d’innocenza, erano semplici e genuini e la condotta di tutti era spontanea e diretta. Vivevano in armonia con il ritmo delle stagioni, e animali e umani si rispettavano a vicenda. Ma questa età fu distrutta quando lo scavo delle miniere, il taglio degli alberi, la pratica indiscriminata della caccia e della pesca e l’uso dissennato del fuoco raggiunsero un livello insopportabile per i ritmi di rinnovamento di Madre Natura, sicché tutti questi fattori insieme finirono per causare la fine dell’Età della Grande Purezza.

    Ciò comportò anche la perdita del principio femminile dell’eterno rinnovamento, che stava alla base dell’Età della Grande Purezza e presupponeva la capacità di utilizzare le risorse naturali in maniera equilibrata e non in modo così massiccio come quello che ne procurò la fine. Ebbe allora inizio l’Età della Grande Lotta Cosmica, che  culminò con un lungo periodo di totale confusione e disordine, sicché alla fine fu necessario l’intervento di Nu Kua, che rimise ordine nella disarmonia che si era creata. 

    L’Età della Grande Lotta Cosmica arriva fino alle soglie del tempo storico, quando in Cina si stabilirono le prime dinastie di imperatori: Chou e Han.

    Questa, sinteticamente, la memoria mitica delle vicende delle origini; dai resti fossili, risulta che la Cina sia stata abitata almeno da 500.000 anni (Pleistocene): lo provano i 25 scheletri di Pithecantropus pechinesis, appartenenti all’Homo Erectus, trovati a sud di Pechino.

    Sempre nei dintorni di Pechino sono state trovate ossa di Homo Sapiens vecchie di 60.000 anni, mentre appartiene alla cosiddetta Prima Cultura Ordos (25.000 anni fa) la presenza di gruppi umani lungo il fiume Giallo, tra le provincie di Shensi e Shansi. Le caverne abitate dal Pithecantropus risultano utilizzate anche nel 4000 a.C. da piccoli insediamenti di una popolazione che presenta l’inizio di una tipologia somatica tipicamente mongolica.

    La scrittura geroglifica cinese viene datata al 2000 a.C. e ai suoi più antichi frammenti, rinvenuti nella provincia di Honan, appartiene una Preghiera alla Grande Madre Yi per la pioggia.

    La dinastia Chou, insediatasi a partire circa dal 1000 a.C. era matrilineare e, creando una saldatura tra mito e storia, vantava la sua discendenza direttamente da Nu Kua, madre anche di tutto il popolo cinese, quindi l’antenata mitica per eccellenza. La scrittura del Tao Teh Ching, che raccoglie la sapienza più antica, è attribuita a Lao Tzu (l’anziano maestro); testo di riferimento di tutta la cultura cinese, il Tao, insieme con l’I Ching, è in seguito confluito nella tradizione del confucianesimo,

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