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Traduzioni - Francesco Domenico Guerrazzi
Francesco Domenico Guerrazzi
Traduzioni
Pubblicato da Good Press, 2022
goodpress@okpublishing.info
EAN 4064066069964
Indice
GLI AMANTI FIORENTINI.
LA INFANTICIDA.
PARISINA,
LA FLOTTA INVINCIBILE.
OSCAR D'ALVA,
LA FIDANZATA DI CORINTO.
PENSIERI DI GIANPAOLO RICHTER.
OMERO.
SAFFO.
FRAMMENTI DI SAFFO.
PROMETEO.
IL BANNO DI CROAZIA.
EIUDUCO MORIBONDO.
L'AFFOGATO.
EPITAFFIO DANESE.
LA PERLA DI TOLEDO.
AMALIA.
LE ANTICHITÀ A PARIGI.
GLI AMANTI FIORENTINI.
Indice
Novella tradotta dal LIBERALE, Giornale pubblicato in Londra per cura di LORD BYRON.
Nel tempo che Firenze per le male fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini andava divisa, la nimicizia che si portavano grandissima le famiglie dei Bardi e dei Buondelmonti ferocemente incrudeliva. Quindi di rado accadeva che amore trovasse luogo fra loro; ma se pure accadeva, altissimo era quell'amore, sia perchè la natura gli avesse sortiti a sentire profondamente, sia perchè amore appigliandosi a cuori gentili, li renda meglio degli altri innamorati e pietosi.
Ora avvenne che amore prendesse la bella Dianora Bardi di un garzone della famiglia nemica, nominato Ippolito. La fanciulla giungeva a 15 anni, lieta del fiore della bellezza, e splendido di donnesca leggiadria. Ippolito poi era di due o tre anni maggiore, sebbene contemplando quel suo volto severo gliene avresti aggiunti anche tre altri. Lo chiarivano i labbri discreto amatore, e gli occhi capace di custodire l'arcano. Si notava tra li due amanti, come spesso suole accadere, una cotale rassomiglianza; nè forse ella era poco alimento allo scambievole affetto, imperciocchè ci occorsero sovente volte pittori, che furono vaghi partecipare la propria immagine agli eroi che ritrassero, e gli amanti ancora si dilettino trovare sul volto della donna amata cotesta somiglianza, la quale, secondo ciò che ne scrisse Platone, non abbandonò mai del tutto le umane creature. — Non pertanto a Dianora di Amerigo bastò uno sguardo per suscitare in Ippolito ardentissimo amore. Celebravasi in chiesa una molto solenne festa, e laggiù nelle parti di mezzogiorno la gente più che altrove s'innamora in chiesa. Quivi i voluttuosi, che non sanno sollevare in alto gl'intimi pensieri, gli abbassano sopra cose terrene; e quivi gl'innocenti spiriti, voluttuosi anch'essi, senza accorgersene, mal sapendo in qual modo svelare l'arcano fremito che li commuove, scoprono che quel fremito si posa sopra enti che si manifestano sensibili alla lor gioia. La musica, i profumi, i dipinti, il benigno crocifisso, le mistiche cerimonie, i parati, le bianche vesti delle donne, le voci dei fanciulli, i candelabri, simboli dei ministri serafici, ardenti attorno l'altare di Dio, la confusione di tutti i sessi, di tutte l'età, le navate echeggianti, le ombre delle colonne e delle volte, la luce che penetra attraverso le alte finestre, quasi la terra fosse e non fosse ad un punto presente, — tutto cospira a confondere il mondo attuale coll'avvenire, e porre il cuore dubitoso in certo stato di sublimità e di umilianza, che prontissimo si manifesta a corrispondere di affetto con quanto vale a serbargli alcuna cosa di queste sensazioni, e confortarlo della tristezza della vita ordinaria. In chiesa fu che Boccaccio (non già Boccaccio lascivo, mezzo inteso soltanto da chi ha mezzo senno), ma Boccaccio il futuro dipintor del Falcone e del Testo di basilico, vagheggiò in prima la lieta sembianza della sua Fiammetta. In chiesa sentì Petrarca cadersi su l'anima l'ombra che offuscò poi per venti anni continui la sua vita mortale. E grazie al buon Cronista che ne tenne memoria, nella chiesa di San Giovanni nel giorno 13 di gennaio, in cui ricorre il Perdono universale, Ippolito dei Buondelmonti rimase preso di Dianora di Amerigo (Oh! come suonano soavi questi bei nomi italiani, quando non sono vani nomi; e noi senza pure badarvi troviamo averli scritti in caratteri meglio formati del resto, non solo per comodo dello stampatore, ma eziandio pel diletto di trattenerci su la loro armonia). Mentre il popolo stava per abbandonare la Chiesa, Ippolito volgendo la favella a certo suo famigliare, non vide più la sconosciuta bellezza. Si affrettava alla porta, dicendo al compagno — per vedere le donne, — non gli bastando l'animo di dire la donna: quando poi scorse Dianora, mutò colore e non aggiunse parola. Ella gli strisciò da canto, come cosa di Paradiso, abbassandosi il velo sul volto, e sebbene ei l'affissasse da improntarne la immagine nel profondo, gli parve averla veduta così di fuga in un sogno. Non aveva ardimento di farle motto, nè meno di cercarne il nome, se non che lo favoriva la ventura. — «Dio e San Giovanni benedicano la sua bella faccia!» — gridò un poverello alla porta; — «sempre mi dà l'elemosina doppia degli altri.» — «Maladetta lei!» — mormorava il famigliare d'Ippolito, — «ella è dei Bardi!» — Notò l'amante ambedue l'esclamazioni, e ne fece tesoro. Ippolito, come colui che molto si dilettava dei libri che ragionavan di amore, ed era amico co' più liberali delle due fazioni, cioè Dante Alighieri (il sì famoso) e Guido Cavalcanti, sebbene feroce partigiano, e di breve implicato in sanguinoso scontro avvenuto tra cavalieri, procedeva scevro dell'arte vergognosa di odiare per calcolo, ed ora più che mai gli sembrava biasimevole. Egli, in vero, non avrebbe pensato mai di perdonare ad uno dei vecchi Bardi, che traendo giù da cavallo suo padre l'ebbero a spengere di coltello; ma adesso avrebbe dannato la parte avversa a bando più mite di prima, e in quanto al maladire una donzella dei Bardi — e questa donzella Dianora! — oh! l'anima sua differiva assai da quella del suo famigliare.
Era grave ad Ippolito il pensiero di non potere vagheggiare l'amata donna in sua casa, chè gelosamente la custodivano i genitori, nè mai sola l'abbandonavano le amiche; più grave la paura di non poterla rendere sensibile al suo amore; gravissima poi la melanconia che lo angustiava, meditando che gli verrebbe tolta da più fortunato amante. Che dovea fare? A qual consiglio appigliarsi? Non gli si offriva un pretesto per iscriverle, nè sarebbe stata cosa prudente farle di notte tempo una serenata sotto le finestre, perchè oltre al manifestare la concetta fiamma, poteva in tanto scellerato secolo correre pericolo di vita. Si ristringeva dunque a passarle, quanto più spesso poteva, sotto casa, e seguitarla quando usciva, mettendo ogni cura per attirarsi la sua attenzione, — come sarebbe nel prevenirla a dare la carità al povero. Noi dobbiamo riferire come certa volta avvisasse di premere le zampe ad un cane, per mostrar poi quanta sollecitudine ponesse nell'aiutare la bestia. Ma il lieto giorno era la festa. Non festa, non mezza festa perdeva mai la messa, non domenica, non giorno di Santo. «La devozione di cotesto giovane» parlò una vecchia zia che accompagnava Dianora «mi edifica assai; e sì che egli è leggiadro e poderoso molto, e potrebbe, come la più parte di questi giovani fanno, darsi tempone in peccati e in vanità.» E così favellando sospirava, certo per una soave commozione della sua bellezza. La lode d'Ippolito avrebbero ripresa i