Biglietto da visita: Harmony Destiny
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Biglietto da visita - Sandra Steffen
successivo.
1
Amber si fissò le unghie dei piedi. Notò che lo smalto rosa perla dell'alluce sinistro era leggermente screpolato e tirò un gran sospiro. Possibile che fosse tutta lì, la sua vita?
Se tendeva le orecchie, sentiva lo sciabordio delle onde dell'oceano; ne percepiva il profumo nell'aria, ma non le giungeva nemmeno un alito di vento; quella parte del giardino era riparata dalla brezza, in qualsiasi stagione.
Si strinse con un braccio le ginocchia piegate, si schermò gli occhi e fissò le candide nuvolette nel cielo; quel giorno sembravano zucchero filato. C'era stato un tempo in cui aveva considerato divertente fare a gara con i fratelli a chi trovava più nuvole di forma definita: di elefante, di fungo... A quell'epoca, era normale che ci fosse almeno una dozzina di bambini a sguazzare nella piscina o a scorrazzare in giardino.
E Amber non si annoiava mai.
Si scostò una ciocca di capelli dal viso e si alzò. Era stato un errore tornare a casa, si disse; avrebbe fatto meglio ad aggregarsi agli amici che erano partiti in vacanza per le Cayman Islands.
Sinceramente, le era mancato l'entusiasmo di affrontare il volo, solo per veder tramontare il sole sull'altro emisfero.
Sarebbe stato lo stesso sole che vedeva lì. E, nello stato d'animo in cui si trovava, lei avrebbe provato la stessa insoddisfazione che ora le faceva salire le lacrime agli occhi. Doveva trattenerle, decise. Amber Colton si rifiutava di piangere per certe cose.
A ventisei anni, era troppo giovane per rassegnarsi a vivere un'intera vita nel segno della noia e della irrequietudine. Era un malessere passeggero. Sì, le capitava spesso di alzarsi con il piede sbagliato; il suo lavoro alla Hopechest Foundation le dava tante soddisfazioni. Tuttavia, ultima mente, si portava appresso una sensazione di incompletezza, di inadeguatezza... Si era presa qualche giorno di vacanza per venire a trovare suo padre, a Prosperino. Ora, però, si sentiva terribilmente sola. E soprattutto annoiata.
Se n'era accorta anche Claire Davis, la sua più cara amica, quando Amber le aveva telefonato la sera prima. Claire si era presentata alla Hacienda del Alegria alle cinque di quella mattina, e ora dormiva voluttuosamente sdraiata su un lettino, sotto uno degli ombrelloni aperti lungo il bordo della piscina.
Non volendo svegliarla, Amber si alzò e girò pigramente intorno a un'aiuola. A parte alcuni cespugli di piante ornamentali, non vi erano più tanti fiori in giardino. Sua madre non aveva più il pollice verde di una volta; il giardinaggio era stata la sua grande passione. Da una decina d'anni a quella parte, però, aveva lasciato guanti e cesoie, passando il testimone a Marco, il marito della governante. E lui si limitava a rimpiazzare di tanto in tanto qualche piantina morta, a tagliare l'erba e a estirpare le erbacce.
Camminando così, senza una meta precisa, scorse un bocciolo che cominciava a schiudersi. Si mise carponi nel tentativo di rimuovere con delicatezza le erbacce che rischiavano di soffocarlo.
Udì dei passi, alle sue spalle. Non alzò gli occhi, finché non udì la voce di Inez. «Ti ho portato del tè freddo. Ma che fai lì, per terra?» Vide che Amber apriva la bocca per rispondere, ma l'anticipò. «Perché non vai a stenderti al sole? Sei in vacanza. Sei qui per rilassarti.»
«Non ci riesco. Sono troppo nervosa.»
«Hai provato a farti un paio di vasche?»
Amber si strinse nelle spalle. Nuotare non era mai stato il massimo del divertimento, per lei. «Inez, ti ricordi com'era bello il giardino, quando se ne prendeva cura mia madre?» Non aveva detto quando mia madre si prendeva cura di tutti noi, ma lo pensò, e Inez glielo lesse negli occhi.
La governante non le permise di crogiolarsi nell'autocommiserazione. «Se ti trovassi un marito e avessi un paio di figli, saresti troppo stanca per annoiarti.»
Amber sbuffò. «Gli uomini vogliono solo due cose, dalla vita: sesso e denaro. E non necessariamente in quest'ordine.»
«Non tutti gli uomini» la contraddisse Inez.
«Dimmene uno che faccia eccezione.»
«Mio marito Marco. E anche tuo padre. E i tuoi fratelli.»
La ragazza scosse il capo. «Va bene. Ora, invece, dimmene uno che non sia già sposato o che non faccia parte della mia famiglia.» Il silenzio della governante fu fin troppo eloquente per Amber, che non attese una risposta. Si ricordò di aver sentito arrivare un'auto, poco prima. «È venuto qualcuno?»
Se avesse osservato Inez, avrebbe notato il guizzo malandrino che balenò negli occhi scuri della donna.
«No, nessuno» rispose. «Solo un tizio che voleva parlare con tuo padre.»
Senza aggiungere altro, ruotò sui tacchi e rientrò in casa. Amber tornò a sospirare e a occuparsi delle erbacce.
Tripp Calohoun si arrestò al centro del tappeto persiano e fissò l'invitante poltrona di pelle capitonné, che probabilmente costava più di quanto guadagnava lui in un mese. Come ogni altro mobile o accessorio dell'arredamento di quella stanza, del resto.
Si ricordò della prima volta che aveva varcato la soglia di quella casa. Aveva quindici anni, allora; era un ragazzino scontroso, ribelle, arrabbiato con il mondo intero. E spaventato a morte, sebbene non lo desse a vedere.
A Meredith era bastata un'occhiata per leggergli fin dentro l'anima. Ancora adesso Tripp non sarebbe stato capace di dire come avesse fatto.
Si sfilò l'orologio e se lo fece ruotare intorno a un dito, con un gesto che tradiva l'evidente nervosismo. Quella stanza non la ricordava così austera. Così elegante. Come tutta la casa, del resto, che sembrava uscita dalle pagine di una prestigiosa rivista di arredamento.
I Colton l'avevano chiamata Hacienda del Alegria. Casa della Gioia. Apparentemente, di gioia non ce n'era più tanta come una volta...
Tripp ci veniva molto di rado, adesso. Joe e Meredith non lo avevano adottato: lo avevano avuto in affidamento per un breve periodo. Lo avevano salvato dalle strade di Los Angeles, aprendogli le porte della loro casa per tre mesi. Un'estate che aveva cambiato il corso della sua vita. Tripp era divenuto ciò che era, grazie alla loro influenza e grazie alle ingenti spese sostenute dai Colton per farlo iscrivere alla facoltà di medicina. In segno di gratitudine, lui si era impegnato al massimo delle proprie forze perché non dovessero mai pentirsene.
Prese una foto in cornice dalla mensola del camino. Vi erano ritratti due bambini: Joe Jr. e Teddy, i due piccolini di casa. Li aveva visti solo un paio di volte e stentò a distinguerli. Gli sarebbe dovuto risultare più familiare il viso di Meredith, che era ritratta con loro. Non fu così: Meredith era sempre bellissima, ma l'immagine di lei che aveva impressa nella mente era in netto contrasto con la donna, fredda e distante, della fotografia. Era cambiata, e molto, in quegli ultimi anni.
Inez venne ad avvisarlo che Joe ne avrebbe avuto ancora per un po', al telefono. «Perché, nel frattempo, non vai ad aspettare fuori, accanto alla piscina? C'è un'aria così bella...» Gli mise in mano una crema solare e lo spinse letteralmente in veranda. «Così prendi un po' di sole e ti rilassi.»
In diciassette anni, a parte una ciocca di capelli grigi sulla fronte, Inez non era cambiata affatto: continuava a dare ordini a tutti. «Guarda che ho trentadue anni, Inez. Non sei...»
«Trentadue? Allora è l'età giusta.»
«Giusta per che?»
Il sorriso di lei gli diede da pensare; quel genere di sorrisi significa sempre che una donna sta escogitando qualcosa. «Per godersi la vita... E una bella giornata come questa» rispose la governante. E lo abbandonò in veranda.
Tripp non aveva motivo di contrariarla. Era lì per parlare con Joe, e visto che doveva aspetta re... Si lisciò la camicia, irrimediabilmente spiegazzata dopo le due ore di sonno che era riuscito a rubare in ospedale, e raggiunse il tavolo accanto alla piscina, dove aveva intravisto un vassoio con una brocca di tè freddo e alcuni bicchieri. Notò un movimento, con la coda dell'occhio. Dunque, non era solo.
C'era una ragazza completamente vestita, che sonnecchiava su un lettino dall'altro lato della piscina. E un'altra donna con indosso un succinto due pezzi lilla, carponi al centro del giardino. Non la vedeva in viso, ma, dal punto in cui era, poté ammirare le gambe ben tornite e un delizioso fondoschiena.
«Perso qualcosa?» le chiese.
Lei si girò di scatto, sorpresa. Si riparò gli occhi e lo mise a fuoco. «Tripp! Che piacere!»
«Amber. Ne è passato di tempo.»
Amber si posò un dito sulle labbra. «Ssh. Claire sta dormendo.»
Lui guardò con aria colpevole l'altra ragazza, che non sembrava essersi mossa; quindi si avvicinò ad Amber, che rimase in ginocchio. Dall'alto, lo sguardo gli cadde sull'attaccatura dei seni di lei, appena coperti dai due triangolini del bikini. Aveva tutte le curve al punto giusto, rifletté. Natiche arrotondate, gambe lunghissime...
«Scommetto che stai pensando che somiglio a mia madre.»
«Non mi pare di aver mai visto tua madre, china a raccogliere erbacce, in due pezzi.»
Rendendosi improvvisamente conto dello spettacolo che gli stava offrendo, Amber si alzò in piedi. «Quella te l'ha data Inez?» chiese, indicando la lozione solare che lui teneva in mano.
Inez. Ah, ecco che cosa stava tramando. «Lo dicevo io che aveva in mente qualcosa.»
«Qualcosa tra te e me?»
Tripp annuì, ridacchiando. Bionda, carina da morire, abbronzatissima questo sì. Ma mai timida. Amber Colton era sempre stata una ragazza senza peli sulla lingua. Cercò di calcolare quanto fosse alta, ora che si era alzata: sfiorava il metro e settanta. «Mi sembra ovvio che Inez non mi conosce. Non mi sognerei mai di fare il cascamorto con una ricca ereditiera che passa la giornata ad abbrustolirsi sul bordo di una piscina.»
Anche un cieco avrebbe notato il modo altezzoso con cui lei sollevò il mento; Tripp sospettò di essersi meritato il commento caustico che certamente sarebbe seguito: sapeva di essere stato un tantino indelicato.
Ma Amber non parlò. Non accettò nemmeno la lozione che lui le porgeva. Raggiunse una panca su cui aveva lasciato un camicione bianco, che infilò e abbottonò fino al colletto. Quindi disse: «Sono sempre convinta che avrebbero dovuto chiamarti Torvo invece di Tripp. Visto che continui ad avercela con il mondo intero».
Un ricordo riaffiorò alla mente di Tripp, che sorrise, come non faceva quasi mai. «Fu la prima cosa che mi dicesti, l'estate in cui venni a stare qui.» Amber doveva avere avuto nove o dieci anni, a quell'epoca. Quindi, ora ne aveva ventisei o ventisette. «Sei cresciuta, da allora.»
Amber si ritrovò a studiare gli occhi scuri di Tripp, e a chiedersi Ma no, manco per niente! Dopo quel pungente commento, non volle neanche chiedersi che cosa fosse la stretta al cuore che aveva provato di fronte a quel sorriso smagliante e bianchissimo. Quella specie di morsa alla bocca dello stomaco.
Ricordò la prima volta che aveva visto Tripp. Quindici anni, magro come un giunco, furbo come sa esserlo un ragazzino cresciuto in mezzo alla strada. Era rimasto magro, però ora aveva le spalle larghe e il torace massiccio. I capelli corvini non erano più lunghi quanto i suoi, ma