Amici in corsia: Harmony Bianca
By Sue Mackay
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Luca non si ricordava che Ellie fosse così bella, così determinata, così sensuale. Dov'è finita la sua vecchia amica di un tempo? Quel cambiamento lo sconcerta, e se piano piano si abitua a vedere Ellie con occhi nuovi, riesce invece a stento a do-minare l'attrazione che prova per lei. Luca è consapevole del fatto che non sia saggio rischiare il proprio cuore, ma sa anche che quel bacio sotto il vischio sarà solo l'inizio...
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Amici in corsia - Sue Mackay
successivo.
1
«PHA THAT LUANG» affermò il conducente dell'elefante, girandosi leggermente e indicando l'incredibile tempio bianco, che si ergeva dietro l'alta cancellata. Davanti se ne stavano impettite due guardie. I pilastri elegantemente modellati brillavano alla luce del sole. «Stupa.»
«È bellissimo» mormorò incantata Ellie Thompson. Non si era resa conto che si fossero inoltrati nel centro di Vientiane. Era troppo stanca. Svegliati e goditi il profumo delle rose... Sei in Laos, si disse, cercando di darsi una scossa. Ma si sentiva davvero distrutta. Devi iniziare la tua nuova vita, ricordi? Forse in Laos non c'erano rose. Ma sicuramente non c'era il suo ex.
Doveva dimenticare la stanchezza. E l'umiliazione seguita al fatto che il marito l'avesse lasciata per la sorella. Doveva dimenticare il dolore e la rabbia. Cominciare ad apprezzare ogni giorno per quello che era in grado di offrire. Finché fosse rimasta nel Laos non ci sarebbero state brutte sorprese. Poteva rilassarsi.
Si sporse per scattare delle foto con il telefonino, finché il tempio sparì dalla vista. Si lasciò andare contro il sedile e pensò con rammarico che avrebbe fatto meglio a prendere uno dei taxi con aria condizionata che si trovavano fuori dalla stazione di Nong Khai. Quando aveva scelto di spostarsi a dorso di elefante, con l'intenzione di ammirare il panorama, doveva avere la mente annebbiata. Con il sudore che le scendeva lungo la schiena, la polvere e gli insetti, sentiva il desiderio di potersi concedere una doccia e un letto comodo.
Sporgendosi in avanti, si rivolse al conducente. «Quanto manca?»
«Non molto» rispose l'uomo con un'alzata di spalle.
Poteva significare qualsiasi cosa. Cercando di trovare una posizione più comoda, Ellie osservò la vista spettacolare. Un paesaggio completamente diverso da quello della Nuova Zelanda. Vientiane era una piccola città, ma c'era gente ovunque. Gli abitanti si muovevano con calma, come se avessero davanti tutta la giornata, mentre i turisti si facevano largo tra la calca per scattare foto.
Dopo un volo di dodici ore da Wellington a Bangkok, seguito da un viaggio in treno di tredici ore, poi diventate sedici, fino in Laos, la stanchezza di Ellie aveva superato di gran lunga l'eccitazione che qualche giorno prima aveva faticato a tenere sotto controllo.
Era al suo primo viaggio in Indocina e si stava recando al Centro per Ragazzi Amputati, dove avrebbe prestato servizio fino alla seconda settimana di dicembre. Aveva finalmente fatto il primo passo, per cercare di uscire dal disastro che era diventata la sua vita, ricaricare le batterie e poter prendere decisioni sensate per il futuro.
In quale direzione doveva andare? Il Laos era una soluzione temporanea, ma era comunque un inizio. Poi ci sarebbe stato il periodo di sei mesi a Auckland. Era invece il periodo di quasi quattro settimane tra i due lavori a preoccuparla maggiormente. C'era di mezzo il Natale e a quel pensiero sentiva già un nodo allo stomaco. Non voleva trascorrerlo dai suoi genitori, per giocare alla famiglia felice insieme alla sorella.
Mentre l'elefante sobbalzava lungo la strada sconnessa, Ellie cominciò a sbadigliare. Il clima era afoso, il trucco le si era appiccicato al viso e gli occhiali da sole le scivolavano sul naso. Non era quello il modo in cui avrebbe voluto presentarsi ai nuovi colleghi. Sperava che l'avrebbero giudicata per le sue capacità di medico più che per l'aspetto.
Prendere il treno invece di volare in Laos non era stata una decisione saggia, ma quando l'impiegata dell'agenzia le aveva mostrato le foto prima di partire, le era sembrato tutto fantastico. Probabilmente erano ritoccate. Ma viaggiare in groppa a un elefante era comunque molto meglio che vivere all'ombra del suo ex e della donna con la quale ormai viveva stabilmente. Caitlin. Sua sorella. Il dolore la trafisse. La cosa peggiore era che sentiva la mancanza di Caitlin. Erano sempre state così unite...
Sembri amareggiata, Ellie. Certo che lo era. Freddy era andato a letto con Caitlin, mentre era ancora sposato con lei... Scosse la testa. Il vittimismo doveva restare in Nuova Zelanda, così come l'umiliazione derivata dalla consapevolezza che tutti fossero a conoscenza della storia.
D'ora in avanti avrebbe affrontato il mondo e fatto progetti per Ellie Thompson. Riprendere il suo nome da ragazza era stato il primo passo. Le piaceva il passaporto nuovo con i timbri di quel viaggio. Lì nessuno la conosceva. Era il segno che qualcosa stava già cambiando.
Si toccò lo stomaco. Rilassati. In fondo alla strada s'intravedeva un fiume fangoso che si snodava lento. Ellie si sporse in avanti.
«Quello è il Mekong?» Quando il conducente non rispose, ripeté ad alta voce: «Fiume? Mekong?».
L'uomo si voltò per annuire con un sorriso della bocca senza denti. «Sì, Mekong.»
Aveva sempre desiderato vedere quel fiume famoso e ora distava meno di un chilometro. «Wow» esclamò emozionata. Sapeva dove avrebbe fatto la sua prima passeggiata. Le scappò un altro sbadiglio. Doveva prima di tutto farsi una bella dormita.
«Faccio vedere.» Il conducente cambiò immediatamente direzione e si avviò verso il fiume. Si fermarono di colpo ed Ellie dovette puntare le mani per evitare di finire contro il sedile che aveva di fronte.
«Giù, giù!» esclamò sorridendo il nuovo amico. «Guardare Mekong.»
Era così entusiasta che Ellie non trovò il coraggio di dirgli che avrebbe preferito arrivare rapidamente a destinazione. Scese e raggiunse il conducente sul bordo della riva. Il fiume aveva l'aspetto di una distesa di fango in movimento. Niente a che vedere con le acque limpide della Nuova Zelanda. Ma era pur sempre il Mekong. «Sono vicino al fiume di cui parlava sempre mio padre.» Anche se lui lo aveva visto in Vietnam... «Difficile immaginare tutti i paesi che attraversa.»
Il conducente la guardò senza capire. Era chiaro che non sapeva molto bene l'inglese. O forse lei si era espressa troppo velocemente.
«Andiamo adesso.» Dopo aver scattato qualche foto, Ellie risalì a bordo dell'elefante, sperando di raggiungere presto il Centro.
Improvvisamente fu sbalzata in avanti.
«Siamo arrivati» le spiegò il conducente, che aveva frenato di colpo.
Doveva essersi addormentata, mentre guardava il panorama... Osservò la strada sporca dove si erano fermati. Al di là sorgeva un edificio lungo e basso, fatto di blocchi grigi di cemento. Nel cortile con poca erba si ergevano alcuni alberi di una specie che non conosceva. Un mondo molto diverso da quello a cui era abituata. Ma era quello di cui aveva bisogno in quel momento.
Scesa dall'elefante, si stirò la schiena e si massaggiò il collo indolenzito. Era accaldata e impolverata.
«Venga» affermò il conducente, prendendole la borsa e dirigendosi verso la grande porta, che si trovava al di sopra di un gradino di cemento, sul quale sedeva un gruppo di uomini e donne con l'aria di essere lì da molto tempo.
Ellie lo seguì, facendo un cenno a quella piccola folla che, vedendola, aveva smesso di parlare. Poi le sorrisero, facendola sentire stranamente bene.
Pagò il conducente, lasciandogli una buona mancia, e fu accolta da una donna dall'espressione gentile, di una ventina d'anni più vecchia di lei, che la strinse in un abbraccio. «Sandra Winter? Benvenuta al Centro Amputati.»
Quell'abbraccio evidentemente non era per lei, ma la donna continuò a parlare. «È tutta la settimana che l'aspettiamo. Il medico che lei sostituisce è dovuto partire in anticipo. A proposito, io sono Louise Warner, faccio parte del personale permanente. Sono l'anestesista e mio marito, Aaron, è chirurgo generale. In questo momento è al mercato. Lo conoscerà più tardi con gli altri colleghi.»
Ellie sorrise, cercando di controllare la stanchezza. «Io non sono Sandra Winter, sono...»
«Non è Sandra Winter?» domandò perplessa Louise. «Questo spiega l'elefante.» Guardò Ellie con aria interrogativa. «Mi dispiace. È che stavamo aspettando una persona, ho visto lei e ho pensato...»
Lasciando cadere a terra la borsa, Ellie le porse la mano. «Sono Ellie Thompson, il nuovo medico. Non avete ricevuto dall'organizzazione la mail che vi informava del cambiamento? Sandra ha avuto problemi familiari e non è stata in grado di partire.»
Louise prese la mano di Ellie, avvolgendola con la sua. «Non abbiamo ricevuto mail, nessuna comunicazione. Niente.»
Adesso era chiaro. «Lavoravo con Sandra e, quando ho sentito che non poteva venire, ho proposto di sostituirla. Il mio contratto con l'ospedale di Wellington giungeva al termine la stessa settimana. È avvenuto tutto molto in fretta.» Era incredibile che fosse riuscita a organizzare tutto in così poco tempo. Il passaporto, i visti... Aveva dovuto correre avanti indietro come una matta. Aveva prenotato i voli, acquistato vestiti adatti ed era uscita a cena con Renee e altre due amiche, per salutarle. Le girava ancora la testa.
Louise continuava a tenerle la mano. «Scusami se non ti ho riconosciuta subito. Sono molto contenta che tu sia potuta venire così all'ultimo momento» affermò, passando immediatamente al tu. «Senza un nuovo medico avrebbe potuto diventare complicato.»
Ellie si sentì già meglio. «No, sono io a doverti ringraziare.»
«Sarà meglio che mandi un messaggio a Noi. È andato all'aeroporto a prendere Sandra» le spiegò, abbracciandola di nuovo.
Da quanto tempo non veniva abbracciata così spesso? Quella donna riusciva a metterla a suo agio.
«Sono contenta di essere qui.» Improvvisamente sentiva gli occhi stanchi e la testa pesante. Anche le gambe le stavano letteralmente cedendo.
«I bambini non vedono l'ora di conoscerti. E anche i colleghi.» Louise terminò di scrivere il messaggio e si avviò verso una porta. Ellie non poté fare a meno di seguirla.
Certamente voleva conoscere i bambini, ma doveva farlo proprio adesso? «Quanti bimbi ci sono al momento?»
«Quattordici. Ma è un numero che cambia continuamente. Ci sono sempre nuovi arrivi. Alcune famiglie non possono lasciare qui i bambini o non possono venire a trovarli. In questi casi andiamo noi nei villaggi, per continuare a curarli. Questo per quanto riguarda gli amputati, ma il nostro Centro si occupa anche di altri casi.» Louise emise un sospiro. «In ogni caso non è facile.»
Entrarono in quella che sembrava un'aula. Ellie doveva avere un'espressione sorpresa, perché Louise si affrettò a darle spiegazioni. «Ci sono insegnanti che lavorano con i bambini, che restano qui dopo l'intervento. Alcuni rimangono per mesi e cerchiamo di portare avanti la loro istruzione.»
I ragazzini si alzarono in piedi con uno stridere di sedie. Alcuni si muovevano a fatica. Tre avevano perso una gamba o un piede. Altri avevano tipi diversi di menomazioni.
Ellie sentì una stretta al cuore. Che cos'era la sua stanchezza in confronto a quello che sopportavano i bambini? Si sforzò di sorridere e di guardare ciascuno negli occhi. «Ciao a tutti. Io sono Ellie.» Si avvicinò al primo bambino. «Come ti chiami?»
«Ng» rispose lui, porgendole la mano sinistra, non avendo più la destra.
Ellie gliela strinse con delicatezza. «Ciao, Ng. Quanti anni hai?» Ma le venne in mente che quei bambini non potevano conoscere l'inglese.
«Sei.»
Sei e aveva perso un braccio. E capiva anche la sua lingua. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Il che non era affatto professionale. Cercò di deglutire e si rivolse al bambino seguente.
Per tutta la mezz'ora successiva rimase a chiacchierare insieme ai bambini. Non tutti erano in grado di comprenderla, ma dovevano percepire la sua empatia e il suo atteggiamento scherzoso, perché le si radunarono intorno, indicandosi e ridendo.