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L ostaggio (eLit): eLit
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L ostaggio (eLit): eLit

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About this ebook

Una scuola esplode. Tutti i bambini che vi erano tenuti in ostaggio sono tratti in salvo. Tutti tranne Noah Corbin, che sembra essere sparito nel nulla. Ma Haley, la madre, vuole scoprire la verità.

Dalle indagini dell'investigatore privato Randall Shane emerge un passato familiare con cui Haley avrebbe preferito non fare i conti. - Una setta votata a un culto spietato e violento i cui suoi seguaci hanno giurato di non svelare i segreti del credo che li ha resi ricchi e potenti. Ed è un giuramento che onoreranno a qualunque costo. - Una lotta contro il tempo e la follia. Una storia che vi lascerà senza fiato.
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2018
ISBN9788858981368
L ostaggio (eLit): eLit
Author

Chris Jordan

È lo pseudonimo di uno scrittore cresciuto sulla costa del New England, che scrive romanzi da quando ha sedici anni. Da uno dei suoi libri è stato tratto il film Basta guardare il cielo, con Sharon Stone. Harlequin Mondadori ha già pubblicato Rapito.

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    L ostaggio (eLit) - Chris Jordan

    sbavare.

    CAPITOLO

    1

    Una vita semplice, normale

    Il giorno in cui la scuola di mio figlio è esplosa, lui mi ha chiesto se il cielo avesse un codice di avviamento postale. Stiamo facendo colazione, io con il solito yogurt alla frutta, Noah con i suoi obbligatori Cocoa Puffs, una tazza di puffs in mezza tazza di latte, per l’esattezza. Lecca il cucchiaio, mi scocca quell’occhiata che significa mamma-lo-saprà, e butta sul tavolo la grande domanda.

    «Non un vero codice» aggiunge. «Uno finto, come per Babbo Natale. Come per scrivere una lettera a papà. Solo per dirgli ciao, fargli sapere che stiamo bene e tutto il resto.»

    La mente di un bambino di dieci anni è una cosa strana e al tempo stesso meravigliosa. Ieri sera, mentre leggevamo prima di andare a letto l’eccitantissimo fumetto Stormrider, Noah ha chiesto di punto in bianco: «Come ce la caviamo, mamma?».

    Entrambi sapevamo a cosa si riferisse... al lento, doloroso processo di ricostruzione del nostro mondo... e senza perdere un colpo ho risposto: «Ce la caviamo bene» e lui ha archiviato le mie parole in quel suo sorprendente cervello e dodici ore dopo, ecco che spunta l’idea di scrivere una lettera al padre morto.

    «Scrivila» suggerisco. «Io mi informerò sul codice di avviamento postale.»

    «Affare fatto» risponde, e sorride fra sé; missione compiuta.

    Poi, con calma e metodicamente, finisce i cereali.

    Mio marito Jed era solito dire che Humble - Umile - New York, aveva un nome perfetto, ma solo perché Provincia profonda sarebbe stato banale. Humble è una minuscola cittadina con uno-di-tutto, a circa quarantacinque chilometri da Rochester. Un emporio, un barbiere e centro estetico, una stazione di polizia, una caserma dei vigili del fuoco, una scuola elementare. All’ultimo conteggio, erano risultati più animali da fattoria - soprattutto mucche da latte, altri bovini e pecore - che persone.

    Ci eravamo trasferiti qui poco prima della nascita di Noah, e la mia prima impressione non era stata molto favorevole. Sono una ragazza del New Jersey, una creatura da centri commerciali, e la prospettiva di vivere in vista di un campo di mais non era esattamente la realizzazione dei miei sogni. Jed, tuttavia, era persuaso che una piccola città sarebbe stata più sicura di Rochester, dove era appena stato assunto, che doveva fare i conti con i consueti problemi di povertà, droga e fabbriche deserte. Così quando aveva trovato la perfetta vecchia fattoria su Internet, non c’era stato modo per me di dire di no.

    Non che avessi mai detto no a Jed. Quello che lui voleva, volevo io. Concordavamo sulla necessità di lasciare la città, di crearci una nuova vita altrove, il più lontano possibile dalla sua pazza famiglia. Era andato tutto per il meglio e per un po’... nove meravigliosi anni... avevamo vissuto il sogno americano, per lo meno quanto è possibile viverlo. Non che tutto fosse perfetto. A volte Jed si portava a casa le tensioni della giornata. Lavorava come ingegnere elettronico presso una società che si dibatteva in cattive acque, e la pressione era elevata. A volte io lasciavo che il risentimento - come aveva potuto la sua famiglia rovinarmi la vita? - avesse la meglio sul buonsenso.

    Certo, di tanto in tanto litigavamo, lo fanno tutte le coppie, ma non andavamo mai a letto arrabbiati. Era la nostra regola. I dissidi andavano ricomposti prima di infilarsi sotto le lenzuola. Ero cresciuta in una famiglia litigiosa, i miei genitori avevano divorziato quando ero alle superiori, e quelli di Jed erano stati, per non dire altro, esseri umani disfunzionali; di conseguenza ambivamo entrambi soprattutto alla normalità. Una famiglia normale in una piccola città, che viveva una semplice vita comune. Il fatto che la famiglia di Jed fosse ben lungi dall’essere normale non aveva più importanza, perché ci eravamo costruiti il nostro nucleo, la nostra vita, lontanissimo da essa.

    Col passare del tempo, questa ragazza del New Jersey suburbano è diventata piuttosto brava a eliminare il vecchio intonaco, montare pannelli di cartongesso, tinteggiare e applicare carta da parati. Quelli del mio vecchio gruppo morirebbero se sapessero che la leziosa piccola Haley Corbin ha imparato a saldare tubi che perdono, sturare lavabi intasati e riparare vecchi mobiletti da cucina. Con Jed così impegnato nel lavoro ed eletta solutore di problemi, gran parte della ristrutturazione della perfetta vecchia fattoria era stata lasciata a me. Non avevo avuto altra scelta che eliminare le mie favolose unghie finte e mettermi all’opera. Le riviste del fai-da-te erano diventate la mia nuova Bibbia e frequentavo tutti i corsi di bricolage organizzati presso il più vicino Home Depot.

    Prendevo appunti. Ascoltavo con attenzione. Imparavo una cosa o due.

    Il mio maggior trionfo, dopo aver studiato un capitolo dedicato alle complessità degli impianti elettrici e aver meditato su un diagramma, era stato montare nell’ingresso alcune prese comandate per accendere la luce da due punti diversi della stanza. Jed era rimasto genuinamente colpito dal mio piccolo successo. Voglio dire che era rimasto letteralmente sbalordito ed era arrivato a sostenere che il mio corpo fosse stato posseduto da elettricisti alieni.

    Era una bella vita. No, era fantastica. Ce l’avevamo fatta. Eravamo riusciti a fuggire da una situazione davvero atroce e avevamo ricominciato. Poi era finita, con la subitaneità di una telefonata a mezzanotte, e sarebbe stato impossibile riempire di stucco il genere di cavità che si era lasciata dietro. Tutto quello che potevo fare era andare avanti giorno per giorno, sforzarmi di essere la miglior mamma possibile, anche se dentro di me sapevo che non sarei mai riuscita a compensare quello che avevamo perduto.

    Di recente, Noah sembra stare meglio. In classe non è più così esibizionista, e con mio grande sollievo non mi mette più continuamente alla prova. Per i ragazzi è così. Quando accadono impossibili cose brutte, le accettano. Finiscono per adattarsi e, come recita il proverbio, continuano la loro vita. Un cliché che si dà il caso risponda a verità. Ma dopotutto, che alternative avevamo?

    «Mamma?» fa Noah, mostrandomi l’orologio. Un regalo del padre che, credo, non si è mai tolto.

    «Pronto?»

    «Come cinque minuti fa. Stavi rimuginando, mamma.»

    Noah non approva che io rimugini, perché pensa che mi renda triste. Forse ha ragione. Mi sento meglio quando ho da fare e mi concentro sul presente senza farmi sopraffare dalle fantasticherie.

    Di lì a poco usciamo, diretti all’auto.

    Noah non prende mai l’autobus per andare a scuola. Non perché non gli piaccia, ha espresso con chiarezza la sua preferenza, ma per via delle cinture di sicurezza. Non ce ne sono sugli autobus, una mancanza che mi fa imbestialire. La legge prevede che li leghiamo al sedile dell’auto fino a quando hanno la barba, e che portino caschi quando usano biciclette e skateboard, ma i pullman scolastici sono esentati? Come diavolo sarebbe a dire?

    Jed pensava che reagissi esageratamente, e forse aveva ragione, ma non posso fare a meno di immaginare quei grossi pullman gialli rovesciati in un fossato, o coinvolti in incidenti, con piccoli corpi che volano per aria. Così sono io ad accompagnarlo alla Humble Elementary School - distanza cinque chilometri - e al termine delle lezioni sono lì ad aspettarlo per riportarlo sano e salvo a casa.

    Una madre non è mai troppo attenta.

    CAPITOLO

    2

    In attesa della Voce

    Dal finestrino lurido del suo furgone Chevy del 1988, Roland Penny guarda i bambini che entrano a scuola. I marmocchi con i loro zaini e le scarpe enormi, di cui probabilmente hanno bisogno per non essere trascinati all’indietro dal peso degli zaini, sembrano astronauti in miniatura che si muovano nella bassa gravità.

    Strano, perché quando frequentava quella stessa scuola, anche Roland portava scarpe grandi e grosse che si chiudevano con il velcro, e uno zaino di Topolino che all’epoca gli sembrava fortissimo. Ora sa come doveva apparire piccolo e ridicolo a occhi adulti. Patetico e solo parzialmente formato, appena umano, in realtà. Una vita fa, molto prima che la sua mente venisse riprogrammata con successo e comprendesse le forze che dominano l’universo. Prima che penetrasse il significato dei concetti fondamentali. Prima che si evolvesse nella fase attuale.

    Il cellulare che porta alla cintura vibra. Chiamata in arrivo, baby. Sfiora l’apparecchio, sente la voce nell’auricolare. È una voce intensa, persuasiva, che si combina perfettamente con le sagge parole che pronuncia.

    Ascolta con attenzione e dopo un istante risponde: «Sì, signore. Sono sul posto».

    La Voce, il suo personale meccanismo guida, lo aiuta a mantenersi concentrato. Lo centra nel vortice. Rivela le regole e le strutture segrete. Gli mostra la strada. La Voce lo calma, lo indirizza, lo persuade.

    La Voce pensa per lui, il che è un enorme sollievo.

    «Sì, signore, ho capito. Aspettare il capo. Lo farò.»

    La comunicazione si interrompe, facendolo trasalire. Perdere il contatto con la Voce è quasi una sensazione fisica. Ma negli ultimi quattro mesi non ha fatto che prepararsi per quel giorno, guidato passo dopo passo, e sa che la Voce tornerà da lui esattamente quando ne avrà bisogno, e non un momento prima.

    Roland Penny si appoggia all’indietro sul sedile del malandato furgone e sorride pensando all’auto che comprerà una volta compiuta la missione: una Escalade completamente accessoriata! Fantastico. Ma per il momento, la Voce dice che il vecchio furgone rappresenta un’ottima copertura.

    Ronald è paziente. Ultimata la missione, assaporerà la ricompensa. Il capo della polizia di Humble è atteso di lì a poco. Arriverà certamente puntuale, ma se così non dovesse essere, Roland resterà calmo. Sa che non deve cedere al panico, che non deve deviare dal piano. Se lo farà, la Voce verrà a saperlo, e sarebbe un male.

    Un grosso male.

    CAPITOLO

    3

    Numeri primi

    Noah adora l’insegnante dell’aula comune di quell’anno. La signora Delancey è gentile, è intelligente e divertente. Inoltre, è bellissima. Non bella come sua madre, naturalmente - la mamma è la persona più bella dell’intero pianeta - ma la signora Delancey è graziosa in molti interessanti aspetti diversi. I capelli, che si ostina a tenere raccolti con un elastico, il modo in cui alza gli occhi scuri al cielo quando succede qualcosa di buffo, e il suo fresco profumo alla vaniglia, che Noah trova a un tempo familiare e rassicurante.

    Ma la sua caratteristica più attraente è senz’altro l’intelligenza. A dieci anni, Noah Corbin è un giudice di intelligenze sorprendentemente abile. Capisce al volo se un adulto è sveglio come lui, e la signora Delancey ha superato l’esame. In quarta non c’è più posto per i giochi infantili: niente libri illustrati o addizioni e sottrazioni di cuccioli e coniglietti.

    Studiano le scienze autentiche e l’autentica matematica, roba complicata che stimola piacevolmente il suo cervello. La signora Delancey non si limita a leggere dai libri di testo o a fare finta di spiegare... Niente a che vedere con il tonto-tonto signor Bronson che ha quasi rovinato la terza a Noah. No, la signora Delancey capisce davvero i concetti di fattori e multipli e perfino di numeri primi.

    Nella mente di Noah, i numeri primi splendono di una speciale magia. Quasi come se fossero vivi. Non nel senso in cui sono vivi gli esseri umani, naturalmente, ma nel senso che alcuni numeri hanno potere. Quando pensa, diciamo, al 97, ha l’impressione che pulsi. Scoppia di orgoglio - guardatemi! sembra dire - come se sapesse che non è possibile dividerlo. Perché dividere per uno non conta realmente. È solo un trucco per poter effettuare calcoli, ma chiunque ci capisca qualcosa sa che a rendere primi i numeri primi è l’impossibilità di dividerli perfettamente. Rimangono interi, invulnerabili, qualunque cosa si tenti. I numeri primi sono come Superman senza la criptonite. Che è poi come li ha descritti la signora Delancey il primo giorno di lezione, cogliendolo completamente di sorpresa. Che concetto sorprendente!

    Il giorno prima la signora Delancey gli ha concesso una lezione speciale durante l’intervallo. Noah non aveva voglia di raggiungere il campo giochi, non in quel momento, e la deliziosa insegnante ha aperto un testo di matematica delle superiori e gli ha spiegato i diedri. I diedri sono primi che rimangono tali quando sono letti al rovescio su una calcolatrice. Com’è eccitante! La signora Delancey sapeva tutto dei diedri e, perfino più sorprendente, sapeva che lui avrebbe capito, anche se si trattava di studi avanzati.

    Noah, che ha già riempito lo zaino, siede nel suo banco in attesa della fine della lezione. È il momento in cui prevale il caos. I bambini diventano sfrenati. Non esattamente sfrenati, si corregge; emerge, in effetti, una sorta di schema. I suoi compagni corrono in senso orario e intorno all’aula, una specie di centrifuga sudata di energia da quarto anno, alimentata soprattutto dai gemelli Culpepper, Robby e Ronny. Di costoro si sa che vendono i farmaci a loro prescritti, farmaci analoghi alle anfetamine e che dovrebbero moderare la loro iperattività, a Derek Deeley, un ragazzo di quinta piuttosto inquietante, di cui si dice che abbia staccato con un morso il dito a un professore di educazione fisica a Rochester, dove andava a scuola, obbligando l’intera famiglia a rifugiarsi a Humble, dove più o meno si tiene nascosta. Questo è quanto dicono tutti.

    Per Noah è del tutto credibile che un ragazzo stacchi un dito a un insegnante. È una tentazione che ha provato più volte lui stesso, ma è stato soprattutto l’anno precedente, quando tutti pensavano che sentirsi addolorati per lui fosse la cosa giusta. Come la signorina Kinnison, che cercava sempre di abbracciarlo e indagare sui suoi sentimenti, un atteggiamento che secondo Noah dovrebbe essere proibito dalla legge. I sentimenti sono privati e nessuno deve essere obbligato a dividerli con adulti ottusi che non sanno un bel niente di aerodinamica, diedri o padri morti.

    «Sedetevi! Vi do due secondi.»

    La signora Delancey è appena entrata e tutto cambia. Due secondi più tardi, tutti i bambini sono al loro posto, come se lei avesse agitato una bacchetta magica per farsi obbedire. La vera magia, però, sta appunto nel fatto che non ha nessuna bacchetta magica. Noah non crede alla magia, neanche un po’, neanche a quella descritta nei libri, ma la signora Delancey possiede la capacità di imporsi alla loro attenzione.

    «Respirate a fondo» dice, dando una dimostrazione. «Ecco. Siamo buoni, ora? Siamo calmi? Ottimo!»

    Mentre la signora Delancey fa l’appello, Noah decide che lei è l’equivalente vivente di un numero primo umano. Indivisibile, invulnerabile. Superinsegnante senza la criptonite.

    CAPITOLO

    4

    Il mostro del formaggio

    La cosa sorprendente, considerato l’ambiente familiare da cui proveniva, era proprio la normalità di Jed. Okay, il mio defunto, fantastico marito era una persona brillante - dopo la sua morte, i colleghi non facevano che ripetere che era una sorta di genio, il più intelligente della società - così forse avere una mente brillante non è esattamente normale, ma in tutti i consueti, ordinari aspetti umani, Jed era normale. Mi amava in modo incondizionato e io lo ricambiavo totalmente. Volevamo vivere insieme, crescere dei figli, fare tutte le cose normali che le persone normali fanno. E ci siamo riusciti, finché siamo rimasti entrambi vivi.

    Non che sia stato facile. E anche la fortuna vi ha avuto parte, fin dall’inizio. È stata una fortuna che ci siamo incontrati. Il merito è di Chili’s. Jed, che aveva già tagliato i ponti con la famiglia, si manteneva all’università lavorando presso il Chili’s locale a turni di quattro ore, tre giorni alla settimana, e a tempo pieno, quando le ore diventavano spesso dodici, durante il weekend. Quaranta ore a servire ai tavoli, trenta nelle aule e nei laboratori, altre trenta sui libri... non restava molto tempo neppure per dormire, figurarsi per conoscere ragazze suburbane di South Orange, New Jersey, che casualmente festeggiavano da Chili’s il compleanno di un’amica, buttando giù un Margarita dopo l’altro.

    Fan dei centri commerciali che si ubriacano e vomitano in un lavello pieno di piatti sporchi. Fan dei centri commerciali così umiliate che scoppiano a piangere inconsolabili.

    Be’, non proprio inconsolabili. Non ero così ubriaca da non avere la presenza di spirito di prendere i tovaglioli bagnati che il bell’aiuto cameriere mi passava, o di accettare che mi accompagnasse fuori a prendere un po’ d’aria. Era così dolce e gentile, così attento a non sfiorarmi neppure, anche se capivo che avrebbe voluto. Tornai la sera dopo, perfettamente sobria, per scusarmi, così ci sedemmo a bere un caffè e quando ci congedammo sapevo già che era l’uomo per me. Proprio lui in tutto il vasto mondo. Tutti gli altri ragazzi - ehi, ero una suburbana piuttosto graziosa - furono immediatamente cancellati. Il mio cuore batteva solo per Jedediah, ed è ancora così.

    Jedediah, Jedediah, riesci a sentirlo?

    Dopo aver lasciato Noah a scuola, mi fermo all’Humble Mart Convenience Store per comprare una forma di pane e qualche delicatessen, ma soprattutto per ascoltare l’ultimo pettegolezzo di Donald Brewster, il proprietario e gestore. Per tutti in città Donny Boy, un soprannome che risale ai suoi giorni di eroe del football. Brewster tiene appesa al muro una foto formato poster della sua vecchia squadra. Quando i clienti vi accennano, e lo fanno spesso, lui fa roteare gli occhi e ridacchia tutto allegro e domanda: «Chi è quel ragazzino? Che ne è stato di lui, eh?».

    Quel eh è una piccola buffa eco del Canada che alcuni locali hanno acquisito. Dopotutto, siamo vicinissimi alla frontiera.

    In ogni caso, Donny Boy è uno dei buoni, un ragazzo del posto che se l’è cavata bene restando a casa. È ovvio che ama il suo negozio, che tiene pulitissimo e ben rifornito, e sa tutto quello che succede nella piccola Humble, e, ancora meglio, adora renderne partecipi gli altri. Anche quelli arrivati di recente come me.

    «Ehi, signora Corbin!»

    Ho rinunciato a convincerlo a chiamarmi Haley. Tutti i suoi clienti sono signore, signora o signorina, senza eccezioni. Incontrandomi per strada, mi chiamerebbe Haley, ma quando è dietro il bancone, sono la signora Corbin. Una regola di Donny Boy.

    «Abbiamo quello svizzero che le piace» annuncia. «Solo se le interessa, naturalmente.»

    «Sì, me ne dia una fetta. È il preferito di Noah.»

    «Arriva» risponde, piazzando il cilindro di formaggio sull’affettatrice. «Sottile, giusto?»

    «Sottile, ma non troppo.»

    «Non così sottile da poterci leggere attraverso. Capito. Ha saputo di quello che si è fatto un sonnellino alla discarica?»

    Ecco perché vengo qui, per ascoltare misteriosi avvenimenti locali come sonnellini alla discarica.

    «Il vecchio Pete Conrad. Ha presente, in fondo a Basel Road? La fattoria con il silos che pende?»

    Sono felice di poter confermare che conosco il silos pendente. Una fattoria vecchia ma bella, con la struttura principale ben tenuta e gli annessi, fienili e capanni, in stato di abbandono, compreso un vecchio silos azzurro marcatamente storto. Non conosco personalmente il signor Conrad, ma l’ho visto da lontano battagliare con un vecchio trattore.

    «Pete è alla discarica... mi scusi, al centro di riciclaggio... con quel vecchio furgoncino Ford, che rimane parcheggiato lì per quasi tutto il giorno prima che qualcuno si accorga che Pete non è nella guardiola del custode, dove di solito passa il suo tempo. Stanno per chiudere il cancello quando a qualcuno viene in mente di controllare nel furgone, e Pete è lì, sdraiato sul fianco, ed evidentemente morto.»

    «No!»

    «È quello che hanno pensato. Così chiamano il Pronto Soccorso, arriva l’ambulanza, tutti se ne stanno lì intorno a parlare del defunto, quando d’un tratto Pete si alza a sedere e pretende di sapere cosa sta succedendo.»

    «No!»

    «Dormiva come un sasso! Ha detto che il russare della moglie lo aveva tenuto sveglio tutta la notte e che era andato alla discarica a fare un pisolino. Trova rilassanti i rifiuti. Cullato dal suono dei camion che scaricano che, a quanto pare, sono molto meno rumorosi di Mildred.»

    «Che avventura» commento con una risatina.

    «In ogni caso, questo è il mio pessimo pettegolezzo del giorno» dice, tendendomi il pacchetto accuratamente confezionato.

    «Grazie, Donnie.»

    «De nada, signora Corbin. Oggi Noah avrà una sorpresa, eh?»

    «Adora il suo formaggio.»

    «No, mi riferivo al Capo Gannett. Oggi va a parlare ai ragazzini delle elementari. Il programma contro la droga e la violenza, credo.»

    «Davvero? C’è un problema di droga alla scuola elementare?»

    «Non che io sappia. E il Capo Gannett vi dirà che è perché ama cominciare quando sono piccoli. Fa una fantastica presentazione, molto divertente, su questo-è-il-tuo-cervello-quando-tidroghi. Fuoco e fiamme, ma piuttosto buffo, sa?»

    Sorrido mentre lascio lo Humble Mart. Fuoco e fiamme, ma anche piuttosto buffo. Perfetto. E al suo ritorno da scuola Noah troverà il formaggio. Gli piace mordicchiarlo intorno ai buchi, fingendo che siano buchi neri nell’universo e che lui sia il Mostro del Formaggio, uno dei molti soprannomi che ha inventato per lui suo padre.

    Rubabriciole, Topino Bagnato, Noah-doah, il Mostro del Formaggio. Quando alle due e mezzo passerò a prenderlo, per trovarlo certamente pieno di storie eccitanti ed esagerate sulla visita del capo della polizia, quello sarà il momento culminante della mia giornata. E non vorrei nulla di diverso.

    CAPITOLO

    5

    Uccidersi per vivere

    I finestrini del furgone sono talmente sporchi e graffiati che è difficile vedere all’interno, ma quando l’auto della polizia entra nel parcheggio della scuola, Roland Penny si lascia scivolare ugualmente sul sedile. Non si è mai troppo cauti. Il capo lo conosce, forse rammenta certi episodi della sua adolescenza, e questo potrebbe rivelarsi scomodo, se non addirittura disastroso. Più tardi, una volta che gli avvenimenti si saranno messi in moto, ci sarà tempo per farsi riconoscere.

    Ehi, Palla da biliardo, ti ricordi di me?

    Il soprannome è dovuto al fatto che Leo Gannett, da molto tempo capo della polizia di Humble, è completamente calvo a causa dell’alopecia, una condizione considerata comica da molti ragazzetti. Comica come l’essere ritardati o storpi o, per una ragione o per l’altra, irreparabilmente sfigati. Un Salve, Palla! gridato dalla strada al passaggio dell’autopattuglia ti garantiva le risate degli amici. O gli sbuffi di derisione di coloro che tuoi amici avrebbero voluto essere.

    Ma queste sono cose passate. Succedevano al vecchio Roland prima che emergesse dalla sua crisalide.

    Gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore, Roland osserva l’alta sagoma familiare e panciuta scendere dall’auto, sistemarsi l’uniforme e calcarsi il coperchio sulla testa lucida. Roland sa che gli agenti di polizia delle grandi città chiamano coperchi i berretti della divisa perché guarda un sacco di polizieschi in TV. Così come sa che codice quattro significa tutto bene, e che codice otto è una richiesta di aiuto.

    Ehi, Palla da biliardo! Ecco un bel codice otto, signore! Roland ridacchia, sorpreso dalla propria capacità di fare dell’umorismo in una circostanza così delicata. È ovvio che ha sviluppato nervi d’acciaio, rafforzati dall’addestramento e dall’esercizio. Non prova disagio né paura, solo un piacevole senso di aspettativa. Svariati compiti da eseguire. Il livello successivo da raggiungere. Un omaggio da pagare al Profitto.

    Non il Profeta. Il Profitto. La differenza è cruciale.

    Appena il grosso poliziotto calvo entra nella scuola, Ronald scende dal furgone. Apre il cigolante portello posteriore. I suoi attrezzi sono lì, in bell’ordine. Scarica per primo il carrello per le pulizie, in cui colloca stracci - guardate, sono un carrello per le pulizie! - e quindi, con molta calma, una borsa da ginnastica chiusa da una cerniera. Pesa più di venticinque chili.

    Attenzione, attenzione, non vogliamo che il piccolo bastardo venga attivato prima del momento giusto.

    Passa poi ad agganciare all’interno del carrello, invisibile agli occhi, una fondina di tela contenente una Glock 17, modificata in modo da rendere sensibilissimo il grilletto. Perfettamente legale e non, come ammonisce la confezione, per autodifesa. Si prende la mira e si spara senza quasi dover premere il grilletto, ecco quanto è sensibile.

    Prima di mettersi in cammino, Roland infila gli auricolari e accende l’iPod. È stata la Voce a insegnargli a usare l’iPod, un congegno che non risponde bene alle dita goffe del giovane. Lui preferisce pulsanti, interruttori, grilletti, ma ha imparato, esercitandosi fino a diventare abile, e non è come se dovesse far scorrere un elenco di brani. L’unica playlist è una compilazione dei Black Sabbath, scelta specificamente dalla Voce. Neppure nella sua fase hard metal, Roland era un ammiratore dei Black Sabbath. Troppo vecchi. Patetici. I suoi gusti propendevano più verso certi classici di Megadegh, o se proprio era su di giri, verso i Municipal Waste. Musica trash? Non gliene importa. La verità è che non ascolta davvero musica metal da quando ha cominciato a evolversi... ormai quasi un anno prima... ma la Voce ha specificato Black Sabbath, e una volta che nelle orecchie gli ronza la voce di Ozzie che canta Killing Yourself to Live, scopre che è un’ottima colonna sonora per la sequenza di eventi che con tanta cura ha provato e memorizzato.

    Roland ha l’elenco ben chiaro in mente.

    1. Assicurarsi l’accesso

    Una ruota rischia di saltar via mentre Roland spinge il carrello attraverso il parcheggio, diretto a una porta laterale contrassegnata dalla scritta SOLO USCITA. È lì, anche se non c’è scritto, che la scuola riceve le consegne. Lui lo sa perché ci ha lavorato, seppur brevemente, come custode. Basta suonare il campanello, e qualcuno arriva. Il campanello è collegato alla caffetteria, una stanzetta poco più grande di un ripostiglio, e il custode di turno

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