Un ereditiera in abito bianco: Harmony Collezione
By Dani Collins
5/5
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About this ebook
Quando Alessandro Ferrante sposa la bella Octavia, scopre in fretta che l'ereditiera è tanto timida in pubblico quanto sensuale in privato. Ma quando il loro bambino appena nato viene scambiato per errore in ospedale, il loro fragile matrimonio entra definitivamente in crisi. Con suo figlio di nuovo al sicuro tra le proprie braccia e la scoperta del coinvolgimento della famiglia del marito in quanto accaduto, Octavia non è più sicura di nulla ed è indecisa sul da farsi, ma Alessandro non è tipo da accettare un no come risposta.
Dani Collins
Dani Collins ha scoperto la letteratura rosa alle scuole superiori e ha immediatamente capito che cosa avrebbe voluto fare da grande.Dopo aver sposato il suo primo amore, ha cominciato a cercare la propria strada nel mondo dell'editoria, non rinunciando al suo sogno di fronte ai primi ostacoli, così due figli e due decenni dopo l'ha finalmente trovata grazie a un concorso per nuove autrici.Quando non è immersa nella scrittura, chiusa nel proprio fortino come i suoi famigliari chiamano il suo studio, Dani occupa il tempo scarrozzando i propri figli da un'attività all'altra oppure con un po' di giardinaggio.Visita il suo sito www.danicollins.com
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Un ereditiera in abito bianco - Dani Collins
successivo.
1
Un'altra fitta di dolore lancinante le si diffuse come una frustata dalla schiena al ventre togliendole il respiro.
«Per favore, chiama Alessandro» implorò Octavia Ferrante stringendo i pugni attorno alla coperta in attesa della contrazione successiva. Iniziava a temere che sarebbe successo qualcosa e che non sarebbe sopravvissuta.
Il cugino di suo marito, Primo Ferrante, si limitò a sospirare e lasciò ricadere con disinteresse la mano dalla tenda della finestra.
«Ti ho già spiegato che mi ha detto che verrà solo se il bambino nascerà vivo.»
Lei non voleva crederci. Primo sembrava godere nel tormentarla. Non si fidava di lui, ma dopo tutti i mesi in cui era stata esiliata a Londra dal marito, cominciava a pensare che le sue parole potessero avere un fondamento di verità.
La gravidanza era una condizione che faceva sentire una futura mamma molto vulnerabile, al punto che non ci si rendeva conto di essere indifese finché non subentrava il bisogno di lottare e non c'era nulla a cui aggrapparsi.
Si era isolata lì a leccarsi le ferite causate dal rifiuto di Alessandro e all'improvviso si era ritrovata senza risorse e con nessuno disposto ad aiutarla.
La ribellione le si era ritorta contro in passato, per cui ora raramente dissentiva, tuttavia non era mai stata una debole. C'era stato un momento in cui si era sentita sicura, e durante le prime settimane del suo matrimonio, aveva persino provato un certo orgoglio.
Un'altra fitta di dolore la trapassò facendole serrare i denti per non gridare. Alessandro, implorò silenziosamente, iniziando a sudare freddo.
Octavia sapeva che di solito i futuri padri volevano assistere alla nascita dei loro figli, ma forse Primo aveva ragione riguardo la mancanza di preoccupazione di suo marito.
Allora chiama mia madre, stava per dire quando arrivò un'altra fortissima contrazione. Peccato che anche sua madre fosse in Italia e di certo non le avrebbe dato il sostegno di cui aveva bisogno dato che, dopo sette gravidanze non portate a termine, all'ottava era arrivata lei, una femmina, e pertanto da non considerare un erede di prestigio. Andava bene soltanto per una cosa: quella.
Per tutta la vita aveva vissuto nella paura di essere come la madre e di perdere i bambini che avrebbe concepito. E ora le pareva di vivere in un incubo perché il travaglio era iniziato con un mese d'anticipo e il dolore era insopportabile. Qualcosa non andava. Lo sapeva.
«Dov'è l'ambulanza?» gridò quando trovò la forza di parlare. «La clinica ha detto di chiamarli immediatamente non appena iniziavano le doglie. L'hai fatto?»
«Non essere isterica. Ci vogliono un sacco di ore per queste cose, lo sai» ribatté Primo.
Octavia era pronta a scommettere che non aveva ancora telefonato.
«Dammi il telefono» gli ordinò allungando una mano. E poi, cosa ci faceva lì? Perché non c'era suo marito al posto di quell'odioso individuo? Il dolore era sempre più forte e aveva l'impressione che la pelle del ventre le si stesse strappando. «Per favore, Primo. Ti sto implorando. Portami in ospedale.»
«Tu sei solo fonte di imbarazzo per la nostra famiglia» dichiarò lui, sogghignando alla vista del suo volto sudato e stravolto. «Dov'è finito tutto quell'orgoglio che una volta mi hai detto di possedere? Mostra un po' di dignità.»
Quelle parole terribili, pronunciate da un uomo crudele che lei odiava con tutta se stessa, avevano ancora il potere di ferirla. Perché Alessandro l'aveva lasciata in quella situazione? Lei considerava ogni insulto verbale di Primo come un gesto di indifferenza nei suoi confronti da parte del marito.
Era stata il suo giocattolo all'inizio e le era sembrato anche molto preso; ma adesso non era più niente per lui. L'aveva completamente dimenticata.
Nonostante l'angoscia e il senso di sconfitta, però, non aveva intenzione di partorire in quel letto e mettere a repentaglio la vita di suo figlio, oltre alla propria. Si aggrappò al comodino, augurandosi che le ginocchia non cedessero. Primo poteva anche desiderare la sua morte, ma lei non si sarebbe fatta sopraffare e sarebbe uscita da quella stanza a gattoni se fosse stato necessario.
«È sangue quello?» le domandò lui aspro. Il suo sguardo da falco si spostò dal suo viso alla macchia rossa sulla coperta.
Octavia guardò la piccola macchia e quel poco di calore che le era rimasto in corpo svanì. Ecco, stava succedendo esattamente come a sua madre. Se fosse sopravvissuta sarebbe accaduto di nuovo e di nuovo ancora, mentre cercava di essere all'altezza del contratto matrimoniale.
Oh, come aveva fatto a pensare che accettare un matrimonio combinato le avrebbe fatto guadagnare finalmente il rispetto del padre? Perché aveva permesso a se stessa di attaccarsi a suo marito, sperando di avere il suo affetto? Perché aveva aperto il suo cuore a quel figlio non ancora nato, convinta che così almeno ci sarebbe stato sulla terra un altro essere umano che ricambiava il suo amore?
Nessuno l'amava e poteva contare soltanto sulle sue forze. Con un singhiozzo barcollò fin dove aveva lasciato il cellulare. Appoggiò la testa contro il muro e chiamò il numero d'emergenza chiedendo che inviassero un'ambulanza.
Alessandro Ferrante vide che sua moglie stava telefonando e le sue pulsazioni aumentarono. Recuperò immediatamente il controllo, benché una certa sorpresa fosse legittima dal momento che ormai Octavia non lo chiamava più.
«Cara» rispose, cercando di capire perché lo stesse contattando. Era tardi sia a Londra sia a Napoli, ma evidentemente erano ancora entrambi svegli. Forse il bambino stava scalciando. Octavia gli aveva detto che faceva fatica a dormire proprio per quel motivo.
Ignorò una fitta di qualcosa che poteva assomigliare al rimpianto. La separazione era stata necessaria. Non avrebbe ceduto a desideri struggenti mettendola in pericolo. Sarebbe stato davvero irresponsabile da parte sua.
«Sono io» disse Primo.
La delusione lo investì prima di riuscire a bloccarla. Di solito evitava le emozioni e non permetteva che prevalessero sulle sue azioni, ma quel matrimonio stava diventando un non matrimonio e la cosa lo frustrava.
All'inizio c'era stata, tra lui e sua moglie, una grande compatibilità, soprattutto a letto, poi però si era dissolta trasformandosi in qualcosa nei confronti della quale non sapeva più cosa fare.
Per l'ennesima volta mise in discussione la sua decisione di lasciarla a Londra, ma i fatti restavano gli stessi: era incinta e la sua gravidanza era a rischio. Sua suocera aveva perso numerosi bambini. Londra aveva i migliori specialisti che potevano monitorarla in continuazione. Nella casa di sua madre era certamente più al sicuro che a Napoli.
A quel punto Octavia aveva cominciato a evitare le sue chiamate. Era il cugino a informarlo, un'intrusione che Alessandro non apprezzava per nulla. Perché Primo si trovava a casa di sua madre? Quanto tempo stava impiegando a sistemare il suo appartamento?
«Sì?»
«È entrata in travaglio» disse Primo senza tanti giri di parole.
Alessandro balzò in piedi sentendo una scarica di adrenalina nelle vene. Si dimenticò dei documenti che aveva davanti. Era troppo presto. Quasi un mese in anticipo rispetto alla data prevista. Aveva pianificato di volare a Londra la settimana successiva. Recuperò immediatamente il tablet e mandò un messaggio al suo autista e al pilota.
«È successo tutto molto velocemente, altrimenti ti avrei telefonato prima» continuò il cugino. «L'ambulanza era in ritardo e... be' ci sono state delle complicazioni.»
Alessandro attese in preda al terrore. A Primo piaceva dipingere le cose nella maniera più drammatica possibile. Aveva tentato di spiegargli più di una volta che così aggravava soltanto le situazioni, ma il cugino amava attirare l'attenzione.
Peccato che quello non fosse il momento.
A meno che Primo fosse riluttante a comunicare la brutta notizia. In sottofondo poteva sentire il ticchettio dell'orologio cha apparteneva alla sua famiglia da generazioni e che in quell'istante gli parve segnare il conto alla rovescia di una bomba. Era completamente paralizzato dalla paura.
«E...?»
«L'hanno dovuta portare nell'ospedale più vicino e non in quello dove avrebbe dovuto partorire perché era pieno a causa di un incidente grave in cui è stato coinvolto un autobus. Sta entrando ora in sala operatoria.»
I nervi di Alessandro esplosero. «Quale ospedale?» gli chiese, lottando contro un groppo di emozioni che minacciava di fargli saltare la ragione. Si impose la calma, anche se il cuore pulsava impazzito. «Parto immediatamente. Sarò lì il prima possibile.»
2
Punteggio massimo all'ospedale pubblico, fu il primo pensiero di Octavia quando si svegliò dall'anestesia e realizzò che Primo non aveva visto suo figlio.
Mentre lui seguiva l'ambulanza lei aveva afferrato disperata la mano del paramedico e aveva detto: «Primo non è mio marito e nemmeno il padre. Non fatelo avvicinare al bambino. Comunicate all'ospedale di tenerlo lontano. Se dovesse succedere qualcosa vi riterrò responsabili».
Si sentiva irrazionale per ciò che aveva dichiarato, ma la verità era che non si fidava di quell'uomo. Non dopo avere visto come si muoveva in casa, neanche fosse stato il padrone, e il piacere che provava a farla sentire infelice.
Malgrado la nascita prematura, il piccolo stava bene. Lo tenevano nell'incubatrice in osservazione e l'infermiera sarebbe venuta a prenderla presto per allattarlo. Lo staff ospedaliero era gentile e la trattava con un calore che non sperimentava da mesi. E poi Alessandro stava per raggiungerla. Perché era nato un maschio?
Octavia cercò di arginare l'amarezza. Suo padre sarebbe stato sicuramente felice. Stranamente scoprì che non le interessava più niente di quello che gli uomini della sua vita si aspettavano da lei. C'era solo un piccolo ometto di cui si sarebbe dovuta occupare, ma alle sue condizioni in quanto sua madre.
A ogni modo, in preda a un misto di ansia ed eccitazione, sapeva che presto avrebbe rivisto Alessandro. Era da Natale che non si incontravano e anche in quell'occasione era stato per pochi giorni. Non avevano nemmeno diviso il letto, per non parlare del contatto fisico che tanto desiderava. Il suo stato interessante aveva messo fine a qualsiasi intimità con il marito.
Primo aveva ragione su una cosa: Alessandro non solo pensava che fosse grassa e poco attraente, ma probabilmente cercava piacere altrove. Quindi non avrebbe dovuto sentirsi così lacerata come durante le settimane che avevano preceduto il loro matrimonio, quando si tormentava in previsione della prima notte di nozze. Era abbastanza carina per il suo futuro sposo? Sarebbe stata in grado di compiacerlo?
Con una fitta al cuore ricordò quanto fosse stata stupida a stressarsi. Fare l'amore alla fine si era rivelato l'ultima delle sue preoccupazioni. Una volta superate le proprie inibizioni verginali si era resa conto di adorare l'intimità con Alessandro e aveva scoperto cose su se stessa che la stupivano ancora.
Tuttavia il sesso o la sua mancanza in realtà, lasciavano intendere quanto poco lei interessasse al marito. Aveva imparato tanto tempo prima a trasformare la propria profonda solitudine in un muro di distaccata indifferenza. In quell'istante desiderava soltanto potersi sentire così di fronte al suo imminente arrivo. Purtroppo non poteva.
«Signora Ferrante» la salutò Wendy, una delle infermiere, che entrò spingendo una sedia a rotelle, «andiamo dal suo ometto.»
Primo, che si trovava nella stanza, non fece alcun tentativo di aiutarla ad alzarsi e lei sospirò sollevata, malgrado il cesareo d'urgenza l'avesse provata e l'anestesia la facesse sentire ancora debole.
Lui le seguì fino all'ingresso della nursery con la chiara