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Tutti i vantaggi del matrimonio
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Tutti i vantaggi del matrimonio

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Inghilterra, XIX sec.- Sarah Martin è una ragazza priva di illusioni. Sa che la sua condizione economica e il suo essere una figlia illegittima le precludono la strada verso un matrimonio vantaggioso, per questo l'inaspettata proposta del conte di Langford la prende del tutto alla sprovvista. Sebbene non sia spinto dall'amore, lei sa che, se vuole ritrovare la sorellastra che non vede da anni, dovrà accettare l'offerta e mettere a tacere i sentimenti. I sogni romantici di Sebastian sono morti insieme alla sua prima moglie e adesso ha solo bisogno di una donna in gamba che l'aiuti con la figlia problematica. Eppure Sarah riesce a sorprenderlo oltre le aspettative, tanto che lui non può più negare la gioia che la sua nuova sposa potrebbe portare nella sua vita e nel suo cuore.
LanguageItaliano
Release dateJun 19, 2017
ISBN9788858966891
Tutti i vantaggi del matrimonio

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    Tutti i vantaggi del matrimonio - Eleanor Webster

    successivo.

    Prologo

    8 Novembre 1793

    Il ricciolo, di un biondo intenso, giaceva sul legno levigato della scrivania.

    «Una prova assai poco inconfutabile del decesso di mia moglie.» Sebastian Hastings, Conte di Langford, distolse lo sguardo privo d'espressione dalla serica ciocca.

    «Questo potrebbe risultare assai più convincente» asserì Beaumont estraendo un foglio di carta dalla tasca interna della redingote e lisciandolo con meticolosa cura.

    Un certificato di morte.

    «Non avrei mai creduto che i membri della Commissione di pubblica sicurezza avessero anche il tempo di redigere documenti su ogni vittima di Madame la Ghigliottina» mormorò Sebastian.

    Uno spiacevole rossore si diffuse sui tratti dell'altro individuo, un uomo basso e con gli occhi scaltri su di un volto stretto e spigoloso, a eccezione delle borse sotto gli occhi e del mento rilassato.

    Sebastian provava un odio feroce nei suoi confronti. Avrebbe voluto ucciderlo, strozzarlo a mani nude finché non avesse strabuzzato gli occhi restando paonazzo e privo di vita.

    Tuttavia non doveva farlo se non voleva perdere ogni speranza di recuperare i suoi figli. «Dato l'evidente decesso di mia moglie, potrei chiedere cosa ne sarà dei miei figli?» domandò, mantenendosi inespressivo.

    «Restano sotto la mia custodia.»

    «Che sollievo! E quanto ci vorrà per toglierli alla vostra tutela e riportarli sotto la mia?»

    Beaumont sorrise, scoprendo una fila regolare di denti bianchi. Si sporse sulla scrivania e Sebastian inalò il nauseante sentore dolciastro della sua acqua di colonia. «I vostri figli torneranno a una sola condizione.»

    «E se non sarò in grado di soddisfarla?»

    Beaumont allungò una mano verso il ricciolo biondo e se lo arrotolò tra le dita curate con movimenti lenti e ripetuti. «Donna efficiente, Madame la Ghigliottina

    Sebastian si alzò di scatto con un movimento impossibile da contenere. La sedia si schiantò contro il muro e cadde di lato sbattendo sul pavimento.

    Beaumont balzò indietro, ma Sebastian fece il giro della scrivania e gli fu addosso. Afferrò l'uomo alla gola tenendolo così vicino da scorgere i pori di quel viso un tempo attraente. «Di una sola cosa potete star certo» sibilò a denti stretti con voce roca. «Se ai miei figli verrà fatto del male, voi non sopravvivrete.»

    1

    7 Aprile 1794

    Sarah Martin sollevò la gonna. I piedi le affondavano nel fango e l'acqua gocciolava ritmicamente dai cespugli che fiancheggiavano il sentiero del bosco. Niente, tuttavia, avrebbe potuto intaccare il suo buonumore. Sorridente, annusò l'odore di terra della campagna inglese sollevando la gonna più in alto di quanto sarebbe stato lecito. Mrs. Crawford si sarebbe accigliata, ma dopotutto quella era la sua espressione per gran parte del tempo.

    Il sole di Sarah era metaforicamente sorto poco dopo l'ora di pranzo, grazie a un invito dell'ultima ora da parte di Lady Eavensham per pareggiare il numero dei commensali alla sua tavola. Così aveva infilato il necessario per pernottare fuori in una piccola borsa da viaggio e si era incamminata verso la dimora degli Eavensham.

    Simili eventi non le capitavano spesso, nonostante si presentassero con briosa frequenza nei suoi scritti. La sua attuale eroina, Miss Petunia Hardcastle, aveva appena compiuto una sbalorditiva entrata in scena in un diafano vestito azzurro ricavato dall'abito da ballo della nonna.

    Sfortunatamente l'abito di Sarah non era né diafano né azzurro, bensì di un pratico grigio. Inoltre, a differenza di Miss Hardcastle, il desiderio che lei nutriva per la compagnia elegante non aveva niente a che vedere con la vita di società, bensì con Londra. Il solo accenno al nome di quella città le dava un brivido di anticipazione. Un giorno ci sarebbe andata, avrebbe mantenuto la promessa. Un giorno...

    Il rumore secco di un ramoscello spezzato e di foglie calpestate la riportò bruscamente alla realtà. Si bloccò. Un secondo fruscio catturò la sua attenzione e lei sbirciò nel fossato. «Pauvre lapin» commentò d'istinto nella lingua di sua madre.

    Un coniglio giaceva a gambe levate tra le erbacce, una zampa posteriore incastrata nella trappola di un cacciatore di frodo. Agitava freneticamente i fianchi scuri.

    Sarah si morse un labbro. Inginocchiatasi, appoggiò la borsa di lato. Rivolse un'occhiata alla trappola senza toccarne il meccanismo per paura di farsi male, o di ferire ulteriormente l'animale. Conosceva quel marchingegno, ma una cosa era averci a che fare quando era vuota, un'altra pensare di maneggiarla mentre una creaturina pietrificata dal terrore giaceva stretta nella sua morsa.

    Con cautela e trattenendo il fiato avvicinò le mani. Toccò il freddo e duro metallo senza fare movimenti, poi, con uno scatto, l'aprì.

    L'animale restò immobile per un istante, e poi tornò energicamente alla vita provocando, con le zampe posteriori, una tintinnante cascata di sassolini dentro il fossato.

    «Non credo proprio.» Sarah lo afferrò e gli immobilizzò le zampe posteriori con il proprio scialle. Se lo avvicinò per inalarne l'odore polveroso, poi strinse dolcemente le braccia attorno a quel carico soffice e caldo.

    E a quel punto? Se l'avesse lasciato andare, ferito com'era, sarebbe stato una facile preda per le volpi. Tuttavia non c'era il tempo di tornare a casa, la luce stava calando e l'aria riluceva dell'argento della sera. Con un'alzata di spalle, Sarah decise. Strinse la presa sul fagotto, sollevò il suo bagaglio e proseguì.

    Cinque minuti dopo era fuori dagli alberi spioventi e dentro il parco ben tenuto degli Eavensham. Senza fermarsi costeggiò l'impressionante entrata principale, con le lampade e le fiaccole che davano il benvenuto. Avrebbe nascosto il coniglio nelle cucine. Sperò che il maggiordomo si trovasse altrove. Mr. Hudson non nutriva una passione viscerale per i conigli, a meno che non si trovassero dentro una casseruola.

    Il sentiero svoltava verso il giardino della cucina. Come previsto, la stanza era illuminata e il profumo di cibo si diffondeva fino all'esterno.

    Con cautela si accostò alla finestra e poi si bloccò, udendo lo schiocco di un ramoscello. Trattenne il fiato e si voltò per scrutare il profilo scuro della vegetazione.

    Nulla. Tornò alla cucina. Probabilmente si era trattato di una volpe o di un gatto di stalla, ma nel momento in cui quella certezza prendeva forma nella sua mente, una mano le premette sulla bocca, e lei si sentì tirare da una figura forte e muscolosa. Il cuore prese a batterle all'impazzata. Restò immobile e, paralizzata non solo dalla paura ma anche dall'incredulità di ciò che le stava accadendo, lasciò cadere il suo bagaglio.

    «Se tolgo la mano, promettete di non gridare?» Era una voce maschile. Un soffio caldo le sfiorò l'orecchio.

    Sarah annuì e lui allentò la presa. Lei si voltò con gli occhi spalancati per esaminare quella figura imponente, con le spalle ampie e gli abiti scuri come la notte.

    «Santo cielo, siete una donna!» esclamò lui.

    «E voi siete... siete un gentiluomo.» Gli abiti che aveva indosso erano di pregio, e non i vestiti logori di un comune ladro.

    «Perché stavate spiando?» l'apostrofò con gli occhi ridotti a due fessure e una voce calma e impassibile.

    «Spiando? Non vi conosco neppure.» Il coniglio si contorse e lei serrò la presa.

    «Perché dunque vi nascondete?»

    «Non mi sto nascondendo. E, anche se lo facessi, voi non avete motivo per avvicinarmi.» Indignata, sentì affluire il sangue alle guance e la paura diminuire.

    Lui lasciò cadere la mano, indietreggiando di un passo. «Vi domando scusa. Avevo temuto foste un ladro.»

    «Non ci sono molti ladri da queste parti. Chi siete, a ogni modo?»

    «Sebastian Hastings, Conte di Langford, al vostro servizio.» L'uomo chinò il capo. «Nonché ospite degli Eavensham.»

    «Ospite? E allora cosa ci fate nel giardino fuori dalla cucina?»

    «Prendevo una boccata d'aria.»

    «Il che di solito non implica aggredire i propri simili. Siete fortunato che non abbia un'indole isterica.»

    «Indubbiamente.»

    Le parve di cogliere una nota divertita nella sua voce, anche se le labbra erano tese, e niente ammorbidiva la sua espressione. Alla luce sempre più fievole, il suo mento forte e gli zigomi sembravano più degni di una statua.

    In quel momento, il coniglio liberò la testa dallo scialle.

    «Presumo che la cena tarderà.» Nonostante gli occhi sgranati, Lord Langford non lasciò trapelare la minima sorpresa.

    «Questa creatura è ferita e devo medicarla. Il fatto è che Mr. Hudson, il maggiordomo, purtroppo non gradisce gli animali e volevo avere la certezza che non si trovasse in cucina.»

    «Il maggiordomo gode delle mie simpatie.»

    Sarah aprì la bocca per replicare, ma il coniglio, spaventatosi di colpo, le assestò un calcio nello stomaco e sgusciò fuori dallo scialle. Sarah trattenne il fiato, si piegò sussurrando istintivamente le rassicurazioni che le rivolgeva sua madre quando era bambina.

    «Parlate francese?» domandò lui.

    «Cosa?»

    «Francese? Lo parlate bene?»

    «Cosa? Sì, lo parlava mia madre, ma... Possiamo occuparci in seguito delle mie abilità linguistiche?» ansimò lei. Mentre era impegnata a trattenere il coniglio, perse l'equilibrio e barcollò verso di lui, che allungò una mano. Il tocco e la pressione di quelle dita forti sulla schiena le diedero stranamente un brivido.

    «State bene?»

    «Sì... ecco... ho perso l'equilibrio.» Lei si raddrizzò. Erano così vicini da respirare lo stesso sospiro. «Vorreste essere così cortese» proseguì, «da verificare la presenza del maggiordomo in cucina? Non so quanto a lungo riuscirò a trattenere questa bestiola.»

    «Ma certo.» Lord Langford si accostò alla finestra come se spiare i domestici fosse per lui un'attività consueta. «Vedo la cuoca e diverse ragazze, sguattere, presumo. Credo che il maggiordomo non ci sia.»

    «Vi ringrazio. »

    Stringendo la presa sul coniglio, Sarah si fermò, riluttante a interrompere quell'interludio surreale. Poi, dopo un cenno del capo, si chinò per prendere la borsa.

    «Permettete.» Lord Langford le aprì la porta. «Mi pare che abbiate le mani occupate.»

    «Ehm... grazie.» Sarah sollevò lo sguardo e la tremolante lampada a olio dell'ingresso disegnò ombre affascinanti sul volto di lui, enfatizzando l'aspra linea della mascella, del mento e i capelli neri.

    Lei entrò e, mentre la porta si chiudeva, espirò con un misto di sollievo, rammarico e uno spiacevole tremore sia allo stomaco sia alle ginocchia.

    Non andava affatto bene. Petunia Hardcastle sarebbe svenuta, ma Sarah Martin era fatta di un materiale più coriaceo. Inoltre, Petunia finiva sempre catturata dall'aitante eroe di turno, ma nessun eroe avrebbe catturato una zitella povera, dai natali illegittimi e per di più in agguato nei quartieri della servitù. A quel pensiero Sarah raddrizzò la schiena e si addentrò in fretta nella cucina.

    Sebastian ruotò le spalle per allentare la tensione alla schiena. L'ansia doveva averlo colpito duramente, se si era ridotto ad avvicinare le domestiche.

    Un ramoscello scricchiolò. Sebastian, subito all'erta, scivolò piano nell'ombra. Udì un secondo schiocco più forte e sorrise. Se era una spia francese, doveva essere stata miseramente addestrata.

    «Potete uscire, Kit!» chiamò strascicando le parole.

    Il fogliame di fronte a lui tremolò, e ne uscì un'imprecazione. Sebastian aprì con uno scatto la tabacchiera d'oro e inalò una presa.

    Il Leone inglese sceglieva sempre improbabili messaggeri e, per colpa delle sue eccentricità, Sebastian avrebbe già perso la pazienza molto tempo prima, se i suoi metodi non avessero ottenuto risultati: aveva salvato molte vite dalla ghigliottina. Inoltre, non poteva concedersi il lusso di scegliere. In quel momento il Leone era l'unica speranza per suo figlio.

    Kit Eavensham emerse dalla boscaglia con indosso un mantello scuro che gli avvolgeva la figura e il cappuccio calato sul viso. «Avete ricevuto il mio messaggio?» sussurrò.

    «Difficilmente avrei potuto ignorarlo, dal momento che si trovava dentro il mio vaso da notte.»

    «L'ho ritenuto un nascondiglio azzeccato» ribatté il ragazzo.

    «Leggermente visibile ai domestici, ma non ha importanza. Che notizie avete?» Sebastian deglutì, sentendo la gola stretta e ogni particella del suo essere in attesa della risposta di Kit.

    «Ho incontrato il Leone a Dover.»

    «Bene... e... mio figlio?» Sebastian pronunciò quelle parole con le labbra aride.

    «Il Leone ha contattato ogni fonte, a Parigi, ma non ha trovato alcuna registrazione dell'esecuzione di Edwin, o altra prova della sua morte.»

    Sebastian riprese a respirare e il cuore sembrò esplodergli in petto. «E Beaumont?»

    Kit si strinse nelle spalle e il pesante tessuto del mantello frusciò. «Ciò che si dice sul suo conto corrisponde al vero. Beaumont è riuscito a fuggire dalla Bastiglia.»

    Un misto di odio e sollievo pervase Sebastian. Beau-mont aveva sedotto sua moglie e rapito suo figlio. Benché Sebastian lo volesse morto, la notizia della sua sopravvivenza gli dava un po' di speranza. «Dobbiamo trovarlo!» esclamò.

    «È forse tornato qui? In Inghilterra?»

    Sebastian scosse la testa. «Non ne so niente. Vostra madre ha cercato di aiutarmi, assistendo gli emigrati francesi a Londra fino a che non si è rotta la caviglia. Suppongo che adesso dovrò trovare un'altra persona.» Sospirò, rammaricandosi per una volta della carenza di parenti di sesso femminile, fatta eccezione per una prozia che mancava del tatto e dei fondamenti del vivere civile necessari ad assolvere quel compito.

    Kit annuì e sollevò una mano verso la spalla di Sebastian per offrirgli conforto ma, forse scorgendo la sua espressione, la lasciò ricadere subito contro la coscia con un lieve colpo. Poi, dopo un breve cenno di saluto, si dileguò.

    Di nuovo solo, Sebastian scrutò il paesaggio scuro: in giardino si udivano solamente i rumori metallici e smorzati delle padelle provenienti dalla cucina e, sulla sua testa, i movimenti piumati delle ali degli uccelli. «Nessuna registrazione della sua esecuzione, né prova della sua morte.» Ripeté le parole di Kit. C'era ancora speranza.

    E benché fosse doloroso sperare, l'alternativa era impensabile.

    Sebastian entrò in salotto e vi trovò Lady Eavensham, seduta da sola accanto al fuoco con la caviglia sorretta da uno gabello. «Mi fa piacere godere della vostra compagnia, mio caro» lo apostrofò con un sorriso cordiale. «Lord Eavensham sta mostrando agli altri il ritratto del suo nuovo cavallo, ma io ho deciso di restarmene qui seduta. Andare in giro non è ancora una faccenda semplice, per me. A ogni modo non ci stiamo perdendo molto. Mettetevi comodo e servitevi del brandy.» Era sua abitudine parlare con voce squillante, dato che il marito, di molti anni più anziano, era alquanto sordo.

    Sebastian obbedì, sedendo vicino al calore scoppiettante del fuoco. I suoi genitori erano stati amici di Lord e Lady Eavensham finché sua madre non aveva raffreddato i rapporti andando a letto con Lord Eavensham. In seguito suo padre aveva troncato ogni rapporto di amicizia con chiunque, a parte la bottiglia. Ora sua madre era morta.

    Sebastian era rimasto amico di Lady Eavensham, frequentandola però più spesso a Londra. Non tornava nella loro tenuta di campagna da anni, tuttavia aveva provato un'istantanea familiarità verso quel posto che, con i suoi enormi camini, le vecchie poltrone comode, i tappeti consunti, i tendaggi pesanti e l'odore di cibo misto a fumo e a peli di cane, offriva tutti gli aspetti piacevoli di una casa di campagna.

    «La gamba migliora?» si informò rammentando in ritardo le buone maniere. «Non trovate la campagna troppo noiosa?»

    Lei scosse il capo. «Non sento la mancanza di Londra. Le conversazioni da salotto non sono più vivaci come nei giorni della mia gioventù. In effetti ho preso la decisione di trascorrere più tempo qui. Ci sono tanti cavalli e trovo la loro compagnia di gran lunga preferibile a quella della maggioranza delle persone.»

    «Non ne dubito.»

    Lo scrutò con penetranti occhi azzurri. «Scorgo forse un sorriso? Cielo, ricordo ancora quando eravate sempre pronto alla battuta e allo scherzo!»

    «Quei giorni sono passati.»

    Il viso roseo della gentildonna si raggrinzì a quelle parole. «Mi dispiace, sono una sbadata. Avete ben poco da sorridere. A proposito, come sta Elizabeth?»

    Lui si irrigidì sentendo menzionare la sua taciturna figlia. «Bene, almeno dal punto di vista fisico.»

    «E le governanti?»

    «Licenziate. Da me, o di loro iniziativa.»

    «Oh, cielo, e lo ritenete assennato?»

    «Sì, dal momento che tutte ritengono che imporre la disciplina a una bambina terrorizzata la indurrà a parlare» affermò risoluto, facendo scattare la mandibola.

    «Forse potrei cercarvi io la persona adatta. È così difficile per un uomo.»

    «Vi ringrazio, ma non è necessario» tagliò corto lui, rendendosi conto all'istante di essere stato troppo brusco.

    Lady Eavensham, tuttavia, non parve risentirsene. Si sporse in avanti appoggiando il braccio robusto sul bracciolo della poltrona, le dita inanellate che scintillavano alla luce del fuoco. «Siate paziente, mio caro. Lo sa il cielo cosa ha subito quella povera bambina in quell'orribile prigione, o dovunque sia stata rinchiusa.»

    Sebastian trasalì e provò un dolore fisico talmente acuto che si sentì travolgere. Si spostò, sentendo il bisogno di allontanarsi, di nascondere le proprie emozioni anche a quella donna gentile e mossa dalle migliori intenzioni. Con sollievo vide spalancarsi la porta ed entrare Kit in compagnia di tre giovani donne. Una di loro scivolò discretamente in fondo alla stanza, con l'evidente desiderio di non farsi notare, e proprio in quel modo attirando la sua attenzione. Mostrava un aspetto spento, in contrasto con l'eleganza delle altre signore, i capelli erano castano chiaro e il viso dolce, ma di certo non più nel fulgore della giovinezza. D'un tratto la riconobbe: era la ragazza del coniglio. Senza il coniglio.

    La luce rendeva evidente la semplicità del suo volto e dell'abito. I capelli erano stretti in un imperdonabile nodo sulla nuca. Aveva gli zigomi alti, sopracciglia dritte e scure, e una bocca troppo grande per i canoni del momento.

    Lady Eavensham le rivolse un sorriso. «Ah, Sarah, lasciate che vi presenti ai nostri ospiti. Miss Martin è sotto la tutela dei Crawford e vive qui vicino.»

    Le signore si voltarono sorridenti, con movimenti così uniformi da sembrare coreografati. «Sotto la tutela dei Crawford?» domandò la maggiore. «Mr. Leon Crawford, suppongo. Non l'ho mai incontrato. Sarà presente stasera?»

    «Mmh... difficile. È

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