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Seduzione privata: Harmony Collezione
Seduzione privata: Harmony Collezione
Seduzione privata: Harmony Collezione
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Seduzione privata: Harmony Collezione

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About this ebook

L'unico sentimento che il milionario Stefano Moretti nutre per Anna, la moglie che l'ha umiliato per poi lasciarlo qualche settimana prima, è il desiderio di vendetta e, ora che lei è tornata nella sua vita senza alcun ricordo del loro tempestoso matrimonio, Stefano è convinto che il fato gli abbia servito la carta vincente. Il suo piano si articolerà in due fasi: prima la sedurrà in privato, risvegliando in lei l'antica attrazione, poi la umilierà pubblicamente per pareggiare finalmente i conti. Ma presto Stefano si rende conto di volere molto di più della semplice vendetta: sua moglie, per sempre.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2017
ISBN9788858974520
Seduzione privata: Harmony Collezione

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    Seduzione privata - Michelle Smart

    successivo.

    1

    Ma quanto aveva bevuto?

    Anna Robson si tenne tra le mani la testa che pulsava come se dentro vi battessero decine di martelli. C'era anche un bernoccolo. Lo sfiorò con cautela e fece una smorfia. Aveva battuto il capo?

    Frugò nel cervello dolorante e confuso cercando di ricordare. Era uscita a bere qualcosa con Melissa, no? No?

    Sì, era andata. Era uscita a bere qualcosa con la sorella dopo la lezione di spinning, come ogni giovedì sera.

    Diede un'occhiata all'orologio sul comodino e sobbalzò... La sveglia del cellulare sarebbe dovuta suonare un'ora prima. Dove diavolo l'aveva messo?

    Sempre tenendosi il capo, si guardò intorno ma non ne trovò traccia; poi, quando lo stomaco diede i primi cenni di ribellione, se ne dimenticò. Raggiunse giusto in tempo in bagno per vomitare nella tazza.

    Quindi si accasciò sul pavimento come una bambola di pezza, cercando disperatamente di ricordare cosa avesse bevuto. D'abitudine non beveva, e soprattutto durante la settimana si limitava a qualche bicchiere di vino bianco. Ma in quel momento si sentiva come se si fosse scolata una dozzina di bottiglie.

    Non era pensabile andare in ufficio... ma subito si ricordò che lei e Stefano avevano una riunione importante con una compagnia che lui era interessato ad acquistare. Come al solito l'aveva incaricata di controllare i bilanci della compagnia, gli utili e le perdite e di preparare una relazione in merito dando un giudizio. Se concordava con il suo, allora avrebbe investito nella compagnia. Se invece fosse stato diverso, avrebbe riesaminato la strategia. Stefano voleva il suo rapporto in anticipo in modo da prepararsi alla riunione.

    Gli avrebbe mandato una mail spiegando di non sentirsi bene.

    Ma dopo aver frugato con cautela nell'appartamento che condivideva con Melissa, appoggiandosi alle pareti per sostenersi, si rese conto di aver lasciato il portatile in ufficio. Be', avrebbe telefonato a Stefano. Avrebbe potuto controllare lui stesso la sua relazione. Gli avrebbe dato la password, anche se era sicura al novantanove per cento che lui fosse già riuscito a individuarla.

    Non doveva fare altro che trovare il telefono. Si recò, sempre con cautela, in cucina e scorse una graziosa borsa sul mobile. Accanto c'era una busta indirizzata a lei.

    Sbatté diverse volte le palpebre per mettere a fuoco la vista ed estrasse il foglio. Cercò di leggerlo un paio di volte ma niente aveva senso. Era di Melissa, che si scusava per il viaggio in Australia, promettendo di chiamarla non appena fosse giunta a destinazione.

    Australia? Melissa di certo voleva scherzare, anche se dicendo di voler andare a far visita alla loro madre, che le aveva abbandonate un decennio prima, a suo parere non era per niente divertente. Comunque il post scriptum le dava una spiegazione... Melissa le annunciava di aver tolto il ghiaccio dai gradini dell'ingresso, così lei non sarebbe scivolata di nuovo, e le suggeriva di rivolgersi a un medico se la testa le doleva ancora.

    Anna passò le dita sul bernoccolo. Non ricordava assolutamente di essere scivolata e neppure che ci fosse ghiaccio. In novembre il tempo era mite ma adesso, guardando fuori dalla finestra, notò una lastra di ghiaccio.

    La testa le doleva troppo per riflettere e dare un senso a tutto ciò, quindi posò la lettera e frugò nella borsa. Il portafoglio che usava da dieci anni, ormai consunto, c'era. Era stato l'ultimo regalo di suo padre prima di morire. Aveva per caso scambiato la borsa con quella di Melissa? Non sarebbe stato strano. Si prestavano gli accessori a vicenda. Ciò che era strano era che lei non ricordasse. Ma dovevano proprio essersi scambiate le borse, perché in fondo a questa c'era il suo cellulare. Almeno un mistero era risolto.

    Lo estrasse e notò cinque chiamate perse. Digitò il pin per sbloccarlo.

    Non corretto. Provò di nuovo. Non corretto.

    Sospirando lo rimise nella borsa. Stare in piedi le richiedeva un grande sforzo, per non parlare di ricordare un pin con una mente annebbiata come la sua. Era in momenti del genere che malediceva di aver rinunciato al telefono fisso.

    Bene. Avrebbe preso un taxi e si sarebbe recata in ufficio, spiegando che si sentiva male da morire, poi sarebbe tornata a casa.

    Prese degli analgesici e supplicò lo stomaco sconvolto di trattenerli.

    D'abitudine posava sulla sedia gli abiti da indossare il giorno successivo e ora, stringendoli al petto, si lasciò cadere sul letto. Da dove venivano quegli indumenti? Melissa doveva aver confuso di nuovo i vestiti. Non disponendo dell'energia per cercare altro, Anna fece buon viso a cattivo gioco. Si trattava di un abito nero a maniche lunghe, al ginocchio, con graziosi ricami all'orlo. E le ci volle un secolo, debole com'era, per indossarlo.

    Accidenti alla testa.

    Non aveva la forza per truccarsi, quindi si spazzolò i capelli con delicatezza e raggiunse la porta.

    All'esterno, sulla soglia, c'era un paio di pesanti stivali che non aveva mai visto. Sicuramente Melissa non avrebbe avuto da ridire se li avesse presi in prestito. Era il vantaggio di avere una sorella, con la stessa taglia e lo stesso numero di scarpe.

    Chiuse la porta e scese cautamente i gradini. Finalmente la fortuna fu dalla sua perché le passò davanti un taxi vuoto.

    Si fece condurre al grattacielo che sorgeva vicino al Tower Bridge, dove Stefano dirigeva le operazioni europee. Mentre aspettava al passaggio pedonale notò una Mercedes che si fermava di fronte al grattacielo. Ne uscì Stefano.

    Il semaforo divenne verde. Camminando come in trance Anna attraversò, gli occhi focalizzati su Stefano piuttosto che sulla strada.

    Dietro di lui era scesa una bionda. Anna non la riconobbe, ma nel suo viso c'era qualcosa di familiare che le fece contorcere lo stomaco già in condizioni precarie.

    Una ventiquattrore la urtò e si rese conto di essersi bloccata nel bel mezzo della strada.

    Premendosi lo stomaco con una mano per arginare un'ondata di nausea che stava per sommergerla, impose alle gambe deboli di compiere il loro lavoro e raggiungere le porte girevoli.

    Entrò nell'edificio, posò la borsa sullo scanner, attese di poter passare e si precipitò in bagno a vomitare.

    Ormai sudata fradicia, riconobbe di essere stata un'idiota ad andare lì. La sbornia... ma era poi una sbornia? Non aveva mai provato niente del genere... peggiorava di minuto in minuto.

    Dopo essersi lavata le mani e passata dell'acqua fredda sulla bocca colse il proprio riflesso allo specchio.

    Era terribile. Il viso bianco come un lenzuolo, i capelli appiccicati alle guance che le scendevano sulle spalle...

    Come? Le erano cresciuti?

    Dopo essersi messa in bocca una caramella alla menta si diresse all'ascensore. Due uomini e una donna che conosceva vagamente entrarono con lei chiacchierando in modo amichevole.

    Premette il pulsante del tredicesimo piano tenendosi aggrappata alla sbarra.

    I tre avevano smesso di chiacchierare. Anna percepiva i loro sguardi fissi su di sé. Aveva realmente un aspetto così terribile?

    Fu un sollievo quando i tre uscirono al piano prima del suo.

    Un nugolo di segretarie e amministratori lavoravano nell'open space di fronte all'ufficio che lei condivideva con Stefano. Si voltarono tutti verso di lei, gli occhi sbarrati.

    Ma dovevano esprimere così scortesemente lo stupore per il suo aspetto? Comunque fosse, lei abbozzò a fatica un sorriso. Nessuno lo restituì.

    Si guardò intorno alla ricerca di Chloe, la nuova segretaria che appariva terrorizzata ogni volta che compariva Stefano. Povera Chloe, non sarebbe stata certo contenta di doverla sostituire quella giornata.

    Anna non aveva voluto una segretaria personale. Lei era una segretaria! Ma Stefano le aveva caricato sulle spalle così tante responsabilità nel corso dell'anno e mezzo in cui lavorava per lui, che una sera, trovandola alle nove ancora al lavoro, aveva puntato i piedi insistendo che avesse un aiuto.

    «Si tratta di una promozione?» aveva chiesto lei scherzando e, in effetti, era passata a segretaria personale con un consistente aumento di stipendio.

    Forse Chloe si stava nascondendo in attesa del suo arrivo, in modo da passare inosservata dietro di lei. Oh, be', presto si sarebbe abituata ai modi di Stefano. Anna l'aveva notato con buona parte dei dipendenti. Era quel misto di timore che lui riusciva a ispirare e che prendeva il malcapitato allo stomaco, ma con il tempo ci si rendeva conto di poter sostenere una conversazione decente con lui.

    Lei stessa aveva passato questi stadi. C'era poco da dire, Stefano ispirava terrore e adorazione in egual misura.

    Chiuse la porta del proprio ufficio e si bloccò. Per un attimo dimenticò la testa pulsante e lo stomaco con relativa nausea.

    Quando Stefano offrendole il lavoro le aveva proposto di condividere l'ufficio con lui, lei aveva risposto che sarebbe stata d'accordo soltanto se le pareti dalla sua parte fossero state color prugna. I ricordi del primo giorno di lavoro con lui erano divertenti: era entrata in ufficio e aveva visto dalla parte di Stefano la parete color crema e dalla sua un tenue color prugna.

    Quel giorno tutte le pareti erano color crema.

    Aveva appena raggiunto la scrivania quando si spalancò la porta ed ecco Stefano, cupo e minaccioso come mai l'aveva visto.

    Prima che potesse domandargli se avesse ingaggiato una squadra di imbianchini disposti a lavorare di notte, lui chiuse la porta di scatto, poi si mise a braccia conserte.

    «Cosa ci fai qui?»

    «Per favore... non infierire anche tu» gemette, esasperata e sofferente. «Credo di essere caduta. So di avere un aspetto orribile, ma non puoi pretendere che abbia sempre l'aspetto di una modella, no?»

    Era una battuta ricorrente tra loro. Ogni volta che Stefano cercava di convincerla a uscire con lui, Anna gli faceva notare che lui preferiva andare fuori a cena con slanciate modelle affascinanti, mentre lei raggiungeva a stento l'uno e sessanta.

    «Se cercassi di baciarmi, ti verrebbe il torcicollo» aveva scherzato una volta.

    E lui aveva subito replicato. «Possiamo provare?»

    Da quel momento non aveva più osato fare riferimento a un bacio, ritenendo che una volta era più che sufficiente e non se lo sarebbe più permessa, perché in seguito aveva ceduto all'immaginazione e aveva trascorso una settimana buona fingendo di non avere le palpitazioni ogni volta che lui si avvicinava.

    Non si poteva negare, il suo capo era incredibilmente affascinante, anche quando gli occhi non riuscivano a metterlo a fuoco come in quel momento. Molto più alto di lei, aveva capelli così scuri da sembrare neri, un naso deciso, labbra generose e la mascella con l'ombra della barba scura. Aveva anche occhi capaci di gelare una persona solo con lo sguardo, di un verde che passava dal chiaro al cupo in un battito di ciglia. Lei aveva imparato a leggere i suoi occhi... corrispondevano esattamente al suo umore. Quel giorno erano più scuri che mai.

    Non era nello spirito di porsi domande. L'aspirina che aveva preso non era servita a un fico secco e l'emicrania aumentava di attimo in attimo. Si aggrappò al bordo della scrivania, poi si sedette. Subito notò qualcosa di sbagliato anche con la vista doppia che si ritrovava. Osservò più attentamente, per quanto le riuscisse di fare. Non l'aveva mai lasciata in disordine. Era una cosa che la faceva impazzire. Tutto doveva essere al posto esatto. E...

    «Cosa ci fanno delle foto di gatti sulla mia scrivania?» A lei piacevano i cani. I cani erano leali, non tradivano.

    «È la scrivania di Chloe» disse lui con voce dura come l'acciaio.

    Anna alzò il capo per guardarlo e sbatté le palpebre per metterlo a fuoco. La vista era terribilmente confusa. «Non mi prendere in giro» borbottò. «Sono in ritardo di soli cinque minuti. Ho la testa che...»

    «Non avrei mai detto che tu fossi così spudorata da farti vedere qui» la interruppe.

    Abituata al linguaggio particolare di Stefano, Anna decise che spudorata per lui significasse

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