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Un indagine per il conte: Harmony History
Un indagine per il conte: Harmony History
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Un indagine per il conte: Harmony History

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Inghilterra, 1815

Il Conte Aurelian de la Tomber è stato mandato in Inghilterra per indagare sulla scomparsa di un quantitativo d'oro partito dalla Francia per sovvenzionare una ribellione e su una misteriosa statua arrivata a Parigi con un biglietto anonimo. Aggredito in un'imboscata su suolo straniero, Aurelian viene soccorso e curato da Lady Violet, Contessa di Addington, ma i sospetti del conte cadono sulla giovane donna dopo aver notato in casa sua una statua identica a quella incriminata. Le indagini proseguono e i rischi aumentano non solo per lui, ma anche per Violet, che nel frattempo ha scoperto una lista segreta redatta dal marito scomparso in cui sono riportate le iniziali delle persone implicate nella vicenda. Da possibile indiziata, Violet diventa così una preziosa alleata... nonché un'insostituibile compagna per Aurelian.
LanguageItaliano
Release dateApr 19, 2019
ISBN9788858996485
Un indagine per il conte: Harmony History
Author

Sophia James

Neozelandese, laureata in Letteratura inglese e Storia all'Università di Auckland, ha scoperto la passione per la scrittura leggendo insieme alla sorella gemella i romanzi di Georgette Heyer.

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    Un indagine per il conte - Sophia James

    successivo.

    1

    Londra 1815

    Aurelian de la Tomber sentì la pallottola penetrare nel braccio, rimbalzare contro l'osso e poi affondare in qualche punto più morbido sul fianco. Restò immobile, in attesa di vivere o morire, mentre il suo sangue scorreva e la vista si indeboliva.

    Dopo un lungo istante si chiese se stesse rischiando di perdere del tutto conoscenza e di essere scoperto in quella dannata situazione, con le mani nel sacco e senza una scusa. Inalò a fondo, lottando per restare lucido, mentre calcolava tutte le variabili.

    Era evidente che la pallottola non doveva aver perforato un'arteria, perché la perdita di sangue dalle ferite stava già rallentando. Il pulsare sonoro nelle orecchie suggeriva che, nonostante l'intrusione, il suo cuore continuava a lavorare e, con movimenti attenti, l'equilibrio compromesso poteva essere gestito. La fronte e il labbro superiore si stavano imperlando di sudore, ma Aurelian sapeva che era una normale conseguenza del trauma. Tuttavia non aveva idea di quanto in profondità fosse penetrata la pallottola, e il dolore stava aumentando. Un buon segno, quello, significava che il suo corpo stava reagendo.

    L'uomo davanti a lui era morto, e non costituiva più una minaccia, il sangue fuoruscito dal suo collo aveva formato una pozza sul tappeto. Allontanando la pistola con un calcio, Aurelian si girò verso la porta. Qualcuno doveva aver sentito l'esplosione, ne era sicuro, perché l'elegante pensione di Brompton Place era affollata di persone.

    Slacciandosi il fazzoletto da collo, usò i denti per bloccare un capo della stoffa, prima di avvolgerla il più strettamente possibile attorno alla parte superiore del braccio. Era tutto quello che era in grado di fare, per il momento. Ciò avrebbe arrestato l'emorragia, consentendogli di fuggire.

    O almeno se lo augurava.

    Iniziò a tremare. Imprecò, mentre tutto si confondeva davanti a lui, muovendosi in modo strano e contorto. Aveva l'impressione di trovarsi sul ponte di una nave nel corso di una tempesta, non riusciva a poggiare i piedi esattamente dove voleva, e il mondo gli ruotava attorno, facendogli venire la nausea.

    «Merde!»

    Doveva allontanarsi il più possibile da lì, prima di collassare. Piazzando la mano buona contro il muro, contò i gradini. Quattordici sulla prima rampa e altrettanti sulla seconda. Sapeva sempre quanti gradini andavano su o giù in ogni edificio in cui entrava, faceva parte del suo addestramento, e la trascuratezza induceva a commettere errori. Il suo respiro era ansimante. Tossì per nascondere il rumore, mentre superava la piccola stanza blu su un lato dell'ingresso. Fu sollevato di vedere che il guardiano che era stato lì all'arrivo, un quarto d'ora prima, era assente.

    La porta di ingresso si trovava a dieci passi dalla fine delle scale. Una delle tessere del pavimento si sollevò scricchiolando, poi la sua mano fu sulla maniglia. Il sangue gli fece scivolare via le dita. Prima di tentare di nuovo, si strofinò il palmo contro la giacca.

    Finalmente si ritrovò all'esterno, il freddo della notte sul viso. Vento di tempesta, pensò, sorreggendosi al muro di pietra per camminare diritto. Le sue unghie affondarono nella malta sbriciolata. Chiuse gli occhi e poi li riaprì. Brompton Road si allungava di fronte a lui, e più avanti c'era Hyde Park. Se fosse riuscito a raggiungerlo sarebbe stato in salvo, perché la vegetazione l'avrebbe nascosto. E avrebbe potuto imbottire la giacca con dell'erba, per fermare il sangue.

    Faceva freddo, e le dita della mano sinistra erano strane, stavano diventando insensibili. Se fosse stato a Parigi, pensò, avrebbe conosciuto un'infinità di vie in cui sparire e numerosi contatti presso cui trovare aiuto. Imprecò di nuovo, ma stavolta la sua voce suonò distante e vuota.

    Non era in grado di reggersi in piedi più a lungo, e cadde pesantemente a terra. Vide una grata che conduceva a uno scarico sotterraneo del canale. La raggiunse strisciando, finché le sue dita non si chiusero sul freddo metallo. Sollevò il coperchio, lottando con tutte le sue forze, ma il peso dell'oggetto lo fece precipitare indietro, sulla strada resa scivolosa dal ghiaccio di una gelida mattina di gennaio. La sua testa batté malamente contro il lastricato.

    Rumore di ruote. Una carrozza si avvicinava. Fu il suo ultimo pensiero cosciente prima che l'oscurità calasse su di lui.

    Violet Augusta Juliet, Viscontessa vedova di Addington, pensò che non avrebbe mai dovuto incoraggiare l'onorevole Alfred Bigglesworth a esprimere un'opinione sui cavalli di razza. No, avrebbe dovuto sorridere graziosamente e passare oltre, quando l'aveva avvicinata al ballo dei Barrington, ma c'era stato qualcosa di quasi disperato, nella sua espressione, e così lo aveva ascoltato. Per tutta la sera.

    Era il suo migliore e insieme peggior tratto, considerò, la preoccupazione per i sentimenti altrui e il bisogno di rendere tutti... felici. Scosse il capo e diresse lo sguardo verso il finestrino della carrozza, e nel buio. Felici non era proprio la parola che cercava. Apprezzati era più adatta. Aggrottando la fronte, si tolse i guanti. Non le era mai piaciuto avere le mani coperte e aveva l'abitudine di liberarsene non appena poteva. Fece lo stesso con il cappuccio del mantello.

    «Mr. Bigglesworth sembrava molto preso da te, vero, Violet?» Sua cognata, Amaryllis Hamilton, le sedeva di fronte, fissandola con occhi indagatori. Si era appena rimessa da un fastidioso mal di petto, e Violet si sentì in colpa di non aver lasciato prima il ballo. «Si dice che sia un partito di prima scelta, e chi lo conosce parla molto bene della sua famiglia.»

    Il suo tono era scherzoso, ma Violet si augurò che fosse tutto quel che aveva da dire sull'argomento. Invece la donna non aveva ancora finito. «Meriti un brav'uomo che ti stia accanto, nella vita, e io prego ogni notte che tu possa trovarne uno.»

    Era la stessa conversazione che si ripeteva da dodici mesi, tra loro, ma quella sera la irritò. «Ho ventisette anni, Amara, e non sto cercando un altro marito» puntualizzò. «Grazie al cielo.»

    Quello sfogo di onestà la spinse a sedere più diritta. L'anello nuziale, alla mano sinistra, brillava alla poca luce presente. Violet ricordò quando Harland l'aveva messo al suo dito, sotto una finestra di vetro colorato e di fianco a un vaso pieno di gigli. Da allora quei fiori non le erano più piaciuti, la lucentezza dei petali pallidi le ricordava il sudore sulla fronte del novello sposo.

    La carrozza, che aveva rallentato per superare lo stretto viottolo fuori Brompton Road, si fermò del tutto. Il che era insolito, perché a quell'ora della notte il traffico sarebbe dovuto essere inesistente. Spingendo indietro la tendina, Violet scrutò fuori e vide un uomo disteso a terra. Un gentiluomo, dallo stile degli abiti, sebbene fosse senza cravatta e più che in disordine. Sbloccando il finestrino, chiamò il conducente.

    «C'è qualche problema, Reidy?» si informò.

    «Non è niente, milady. Solo un ubriaco che è caduto addormentato in mezzo alla strada. Il lacchè sta tentando di spostarlo a una distanza più sicura. Ripartiremo in un attimo.»

    Violet guardò in basso e scoprì la mezza verità dell'affermazione, perché il lacchè era un ragazzo sottile che stava avendo un bel po' di problemi a trascinare l'uomo più robusto verso la salvezza. Sotto di lui si allargava una chiazza di sangue scuro. Senza esitazione, aprì lo sportello e scivolò fuori dalla carrozza.

    «È ferito, e deve essere visitato subito da un dottore» decretò. Un ampio squarcio all'attaccatura dei capelli, sopra l'orecchio destro, aveva coperto di sangue la faccia dell'uomo. Attorno alla metà superiore del braccio sinistro si avvolgeva un bendaggio.

    Al suono della sua voce lui aprì gli occhi. «Io... starò... bene.» Fu quasi un sussurro, irritato e impaziente.

    Violet si chinò. «Bene, disteso qui a morire per l'emorragia? O a congelare al freddo di questa notte?»

    Il suo cocchiere aveva portato una lampada, e il sorriso dello sconosciuto la rincuorò. Immaginava che, se davvero fosse stato sul punto di morire, non avrebbe trovato nulla di divertente nelle sue parole. Poggiando una mano su quella di lui, si accorse che era gelata. «Caricatelo sulla carrozza» ordinò. «Data l'ora e la temperatura, penso sia più saggio trasportarlo noi stessi a casa senza indugio.»

    I domestici lo raddrizzarono con un po' di fatica. Alto, torreggiante su di lei, lo sconosciuto imprecò in un francese fluente. Poi, con un'espressione inorridita, si curvò a vomitare sui propri stivali.

    «Trovate la bottiglia dell'acqua e ripulitelo.»

    Il suo cocchiere esibì un cupo cipiglio. «Credo che faremmo meglio a lasciarlo andare per la sua strada, milady.»

    «Per piacere, fate come dico, Reidy. Fa freddo, qui fuori, e vorrei tornare al caldo nella carrozza.»

    «Sì, ma'am

    L'acqua versata sugli stivali assiani dell'uomo bagnò anche le babbucce di seta di Violet. Mentre lui si puliva il sangue dalla bocca con la manica, lei notò che una cicatrice gli attraversava la parte inferiore del mento. Con i capelli scuri sciolti e gli occhi che alla mezza luce risplendevano di una tonalità dorata, assomigliava a un pirata trascinato via da una battaglia. Pericoloso, imponente ed estraneo.

    «Dove vivete, signore?» si informò Violet non appena lo ebbe fatto sistemare nella vettura.

    Lui tossì, ma quando tentò di parlare rovesciò gli occhi all'indietro e ricadde contro lo schienale di cuoio imbottito.

    «Andremo a casa» decise Violet. «Ha bisogno di caldo, e di un dottore.»

    «Ne siete certa, milady?»

    «Lo sono. Mrs. Hamilton controllerà che io sia al sicuro, e il lacchè può unirsi a noi qui all'interno. Se ci sarà qualche difficoltà, batteremo contro il tettuccio. Nelle condizioni in cui versa, dubito che il ferito costituisca una minaccia.»

    Mentre la vettura iniziava a muoversi, Violet esaminò lo sconosciuto. Aveva un'arma in tasca e un'altra infilata nello stivale destro, poteva vedere il gonfiore dell'impugnatura di una lama.

    Armato e pericoloso. Avrebbe dovuto ributtarlo subito per strada, dove qualcun altro potesse trovarlo, tuttavia non lo fece. Era ferito, e quella strana vulnerabilità, in un uomo così forte, le faceva compassione.

    Aveva iniziato a cadere del nevischio, e gli occupanti della carrozza erano come sigillati in un piccolo e caldo bozzolo. Presto avrebbe iniziato a nevicare con forza. Più lontano, verso il fiume, ondate di pioggia gelida oscuravano l'orizzonte.

    Violet rabbrividì dalla testa ai piedi al pensiero di ciò che aveva appena fatto. Impulsivo. Folle. Quante volte Harland l'aveva rimproverata per quello che aveva definito il suo poco giudizio?

    Amaryllis la stava osservando, incerta, e anche il lacchè aveva problemi a incrociare il suo sguardo. Se avesse abbandonato quell'uomo, lui sarebbe morto, ne era sicura.

    Arrivati a casa, ordinò ai domestici di aiutare il cocchiere a trasportarlo all'interno e mandò un lacchè a chiamare un medico.

    «Non ha l'aspetto di un uomo tranquillo» commentò la cognata osservando dalla soglia. «Non sembra neppure un inglese.»

    Ordinando di sistemare l'ospite in una camera da letto parecchie porte più in là della propria, Violet ignorò le preoccupazioni di Amaryllis. Sapeva che aveva ragione. Lo straniero non assomigliava affatto agli smidollati damerini che aveva dovuto sopportare quella sera, al ballo dei Barrington. I suoi vestiti erano troppo semplici e i capelli molto più lunghi di quanto un uomo del ton avrebbe accettato di portare. Appariva minaccioso, duro e bello. La società avrebbe camminato in punta di piedi attorno a un uomo simile, non sapendo di preciso come inquadrarlo.

    In una camera piena di frivole stoffe gialle e fragili mobili ornati, appariva fuori posto. Il suo luogo naturale doveva essere molto più primitivo.

    «Pulitelo, Mrs. Kennings» ordinò alla governante, «e trovategli una camicia da notte del mio defunto marito. Il dottore dovrebbe arrivare a breve. Trovate qualcuno che vi aiuti.»

    Mentre superava la scalinata principale, diretta in biblioteca, l'orologio batté la mezz'ora. Non si sentiva più stanca, ma viva, e alquanto confusa alla propria reazione a tutta quell'agitazione.

    Harland aveva preteso di prendere ogni decisione, e di rado era stata libera di intervenire. Quella notte c'era una specie di libertà danzante, nell'aria, l'avvisaglia di tutto ciò che sarebbe potuto essere, un passaggio tra chi era stata e chi sarebbe diventata.

    Un colpo alla porta della biblioteca, pochi istanti più tardi, annunciò un lacchè, che trasportava una bracciata di armi. «Mrs. Kennings mi ha mandato a consegnare queste, milady. Pensa che stiano meglio qui che sulla persona dello sconosciuto. Il dottore è appena arrivato.»

    «Chiedigli di venire da me, non appena avrà finito, Adams. Lo aspetterò qui.»

    «Molto bene.»

    Le armi sul tavolo erano numerose e diverse. L'impugnatura d'ottone di una pistola a pietra focaia attirava la luce. Un'arma ben calibrata, pensò Violet sollevandola e interrogandosi sulla sua storia. Una selezione di pugnali era disposta di lato: una lama in una fondina di ruvido cuoio, un pugnale più lungo e acuminato con l'impugnatura intarsiata di madreperla e una mezza spada dal manico inciso con alcuni motivi antichi.

    Gli strumenti del suo mestiere, e una violenta dichiarazione di intenti. Si trattava di una realtà innegabile e sconvolgente. L'uomo che aveva aiutato era un trafficante di morte, un predatore di vite. Si chiese fino a che punto ne fosse stato segnato.

    Sull'acciaio della spada era visibile una macchia di sangue. La lama doveva aver colpito ossa e sangue, di recente. Immaginando le condizioni dell'avversario, Violet attraversò la stanza per versarsi del brandy.

    In tutti gli anni del suo matrimonio non aveva mai bevuto niente di più forte di un punch speziato, ma adesso aveva iniziato ad apprezzare il brandy, perché aveva scoperto che eliminava parte della sofferenza. Però badava a bere sempre da sola. Il liquore le scivolò lungo la gola come un tonico caldo, sistemandosi nello stomaco e calmandole i nervi.

    Voleva andare dallo sconosciuto, solo per accertarsi che non fosse morto. Voleva toccarlo di nuovo e sentire il calore della sua pelle, sapere che stava respirando. Chinando il capo, rimase in ascolto di possibili passi, felice di non sentirli, perché significava che era ancora vivo.

    Udì invece un basso grido di dolore, e si tese. Seguì un silenzio che risuonò potente quanto il rumore precedente. Immaginando il trattamento a cui l'uomo doveva essere sottoposto, mentre il dottore cercava di venire a capo delle sue ferite, fissò il fuoco che bruciava nel camino e sussurrò: «Ti prego, Dio, aiutalo».

    Una cameriera doveva essere stata richiamata dal calore del suo letto per accendere quel fuoco. A volte l'ingiustizia della vita appariva simile a un incessante carosello: una sfortuna qua, una morte là, e i fastidi che ne conseguivano venivano lasciati sistemare a coloro che servivano i padroni fino allo sfinimento.

    Harland era stato parte di quell'ingiustizia, con la sua immoralità e la sua rabbia. Dopo i primi mesi insieme, Violet l'aveva visto di rado felice. Aggrottò la fronte. Gli eventi della serata la stavano rendendo sentimentale. Non aveva senso rievocare gli eventi devastanti del passato.

    Tra i quali le parole di suo padre, quando l'aveva consegnata alle braccia di Harland Addington: Il visconte è un uomo che avrà successo. Andrà bene per te, Violet, vedrai.

    All'epoca lei aveva immaginato che ci credesse, ma adesso non ne era più così sicura. Suo padre era stato un genitore duro e distante. Dopo pochi anni di vita in comune, lui e la sua matrigna si erano odiati, quasi con lo stesso violento disgusto che alla fine aveva animato lei e Harland.

    Un rumore nel corridoio, venticinque minuti dopo, la fece girare. Poggiò il bicchiere di brandy vuoto sul tavolo e attese che la porta si aprisse.

    «Il dottor Barry è pronto ad andare, milady.» La governante stava al fianco del medico.

    Violet riconobbe vagamente l'uomo. Forse era già venuto nella casa di città a visitare Harland per uno dei suoi molti e vari problemi fisici. «Come sta il paziente?» si informò.

    «Male, temo, Lady Addington.»

    Dunque, la prognosi non era favorevole.

    «L'intera parte è gonfia» proseguì il dottore. «Se Dio, nella sua immensa saggezza, vuole che si riprenda, allora accadrà, ma se non sarà così... Un uomo che vive di violenza deve accettare i rischi connessi alla sua esistenza.»

    «Ci sono istruzioni per la sua cura?»

    «Ci sono, milady. Accertatevi che beva e applicate questo unguento alla tempia destra e al braccio sinistro ogni sei ore. Gli ho messo un medicamento al fianco, sotto il bendaggio, e lo cambierò domattina. Il torace è la mia maggiore preoccupazione, ma la pallottola è stata rimossa. Tornerò verso mezzogiorno per esaminarlo di nuovo, a meno che voi non vogliate allontanarlo da qui...»

    «No, non voglio.» Violet non capì cosa l'avesse spinta a quella risposta, e il dottore parve sorpreso.

    «Molto bene, Lady Addington. Ho lasciato la mia parcella, e vi auguro ogni bene per il resto della notte. Se il paziente dovesse morire prima di mattina, avvertitemi. Verrò per il corpo.»

    Violet annuì e inghiottì il ringraziamento che era stata sul punto di pronunciare. Si era aspettata più delicatezza da parte di un uomo la cui missione consisteva nell'assistere i malati. Si ripromise di non chiamarlo mai più.

    Alcuni istanti più tardi si trovava appollaiata su una poltrona accanto al letto dello sconosciuto, avvertendo sulle spalle il peso della

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