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Il vampiro di Atlantide (eLit): eLit
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Il vampiro di Atlantide (eLit): eLit
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Il vampiro di Atlantide (eLit): eLit

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About this ebook

Da quando la sua amata compagna Susan è stata uccisa, Layel, re dei vampiri, vive solo per la vendetta. E niente, nemmeno il desiderio divorante che prova per l'affascinante Delilah, può distoglierlo dai suoi cupi propositi. Del resto neppure lei ha tempo da dedicare a un'emozione inutile come l'amore, anche se indubbiamente quel tormentato vampiro riesce a suscitarle sensazioni deliziose. Finché si ritrovano intrappolati su un’isola e devono scegliere se cedere a una passione che li unirà per sempre, o restare separati per l’eternità.



Atlantis:

1)Il guardiano di Atlantide

2)Il gioiello di Atlantide

3)Passione ad Atlantide

4)Il vampiro di Atlantide

5)La maledizione dell'amazzone
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2017
ISBN9788858966280
Il vampiro di Atlantide (eLit): eLit
Author

Gena Showalter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Book preview

    Il vampiro di Atlantide (eLit) - Gena Showalter

    successivo.

    Prologo

    Layel, re dei vampiri, odiato figlio di Atlantide, lottò con tale foga per liberarsi dalle catene che il metallo gli penetrò nella carne e nei muscoli, arrivando quasi all'osso. Lui non se ne curò e continuò a dimenarsi: a cosa gli servivano le mani, se non poteva accarezzare la sua amata?

    Susan. Nella sua mente quel nome era una preghiera, un grido desolato, un lamento colmo di dolore e vergogna. Come aveva potuto permettere che accadesse una cosa simile?

    «Liberatelo» ordinò qualcuno. Layel si sarebbe girato da quella parte, ma non poteva staccare lo sguardo dalla sua donna. O meglio, da ciò che restava di lei. «Fategli vedere da vicino che cosa ha attirato su di sé.»

    Sentì un rumore di passi, uno strattone a un polso e poi all'altro, e le catene cedettero.

    Debole, quasi privo di sangue, cercò di staccarsi dal cancello di metallo che lo manteneva diritto, ma le ginocchia gli cedettero e lui crollò a terra. Con l'impatto la realtà si affermò in tutto il suo orrore. È troppo tardi. Non posso più salvarla.

    Susan giaceva a poca distanza, il suo corpo un tempo vibrante di vita e bellezza spogliato, violato e arso. Intorno, i draghi che avevano consumato quello scempio ridevano, le loro voci fluttuavano nell'aria.

    «... meritava questo e altro.»

    «... guardatelo adesso.»

    «... patetico. Non dovevano incoronarlo re.»

    Layel aveva lasciato Susan al sicuro nel palazzo, ancora assonnata a letto, ed era partito con un contingente dei suoi uomini per domare un incendio scoppiato nella foresta vicina. Aveva capito che il fuoco era stato appiccato di proposito solo quando ormai era troppo tardi.

    Era tornato indietro di corsa, finendo diritto in un'imboscata, le grida di Susan che gli risuonavano nelle orecchie. Ne aveva sentito l'angoscia mentre implorava il suo aiuto e visto il dolore che le contorceva i lineamenti mentre pregava i draghi di risparmiare la vita alla figlia non ancora nata. Quella scena l'avrebbe perseguitato per l'eternità, lo sapeva.

    Quando era riuscito a raggiungerla, ormai lei non si muoveva più. Quel silenzio era mille volte peggio delle sue grida disperate.

    Era morta e i draghi che l'avevano uccisa erano riusciti a catturarlo. L'avevano strappato a quel corpo senza vita e incatenato al cancello di fronte al palazzo, poi l'avevano trascinata davanti a lui e deriso sbattendogli in faccia la sua morte.

    Layel rigettò il contenuto dello stomaco, un pasto che lei gli aveva preparato con gli occhi brillanti di divertimento. Come dolce, aveva scostato i capelli scuri e gli aveva offerto la vena, sapendo bene a cosa avrebbero condotto quei morsi.

    Le tastò l'incavo del collo con dita tremanti: nessun battito. Solo pelle bruciata, ancora ardente e macchiata di sangue. Cercò di chiamarla, ma la voce non uscì. La gola era ormai roca e dolorante per le vane, disperate implorazioni che aveva lanciato. Tutto inutile: i draghi non erano scomparsi e Susan non era tornata alla vita.

    Nonostante fosse circondato dai nemici, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua compagna, dal suo dolce amore. Sapeva che quella era l'ultima volta che la vedeva.

    Resta a letto. Fai l'amore con me, l'aveva implorato poche ore prima.

    Non posso amore, ma tornerò presto, te lo prometto.

    Lei aveva messo il broncio. Non sopporto di stare senza di te.

    Neanch'io. Dormi e quando tornerò ti farò dimenticare di essermene andato.

    Promesso?

    Promesso.

    Layel l'aveva baciata con tenerezza ed era uscito dalla loro camera contento, felice, soddisfatto e sicuro di un lungo futuro insieme.

    «Ora soffrirai come abbiamo sofferto noi» ringhiò un drago, strappandolo a quei dolci ricordi.

    Layel sentì una risata demoniaca e sollevando lo sguardo notò diversi occhi di un rosso ardente che lo spiavano dai cespugli. Un pubblico di demoni! Da quanto tempo erano là a osservare? Forse avrebbero potuto aiutare Susan, ma la loro risata dimostrava che si erano goduti lo spettacolo senza intervenire.

    «La tua gente ha prosciugato i nostri cari, succhiasangue, così noi abbiamo bruciato la tua donna.»

    Layel li ignorò, il viso rigato di lacrime ardenti. Tremando sempre più forte, prese Susan tra le braccia, ma questa volta ad accoglierlo non ci furono sorrisi teneri e parole sussurrate con amore.

    Il suo viso un tempo bellissimo era gonfio, tumefatto e sporco, i lucenti capelli neri bruciati alla radice. Chiuse gli occhi per respingere l'orrore di ciò che lei aveva subito, la strinse forte e poi l'adagiò a terra con gentilezza. Non sopportava di troncare ogni legame tra di loro, così le passò un dito sulle labbra: erano ancora bollenti e un filo di fumo le usciva dai denti.

    Si accucciò e posò l'orecchio sullo stomaco arrotondato: nessun movimento all'interno. Ti amo tanto, Susan. Oh, ti amo e mi dispiace da morire di averti lasciata. Torna da me, ti prego. Senza di te non sono niente. Poi sollevò lo sguardo sulla cupola di cristallo e provò a mercanteggiare. Oh, dei, prendete me al suo posto e riportatela alla vita. Lei è luce e bontà, io sono tenebre e morte.

    Gli dei non risposero.

    «Basta con i piagnucolii. Ascolta bene: ti lasceremo vivere, re» ringhiò il capo dei draghi, una figura imponente e rabbiosa. «E a ogni respiro ricorderai questo giorno e le conseguenze subite per non aver tenuto a freno la tua gente.»

    Layel quasi non udì. Susan, dolce Susan. Nessuna donna era più tenera, gentile e affettuosa. Il suo maggiore peccato era – anzi, era stato, si corresse disperato – l'amore che li aveva uniti.

    Susan era tutto per lui, e i draghi l'avevano torturata e uccisa perché lui non voleva avere niente a che fare con il trono dei vampiri e si era rifiutato di imporre delle restrizioni alla sua armata, come aveva fatto il padre.

    «Sono mesi che attendo questo momento» dichiarò un altro drago, investendolo con un fiotto infuocato.

    Le fiamme gli bruciarono una guancia, ma lui non reagì e chiuse gli occhi. Sentiva solo il dolore tremendo di quel momento e voleva rimanere là per sempre, voleva morire con la sua donna e la sua bambina. La sua famiglia.

    «Guardatelo. Guardate come si è ridotto il possente Layel» lo schernì qualcuno.

    Tutti i draghi scoppiarono a ridere.

    «Capisco perché ti piaceva tanto, vampiro. La sua fessura stretta e bagnata era una meraviglia.»

    «Mi è piaciuto sentire la sua bocca e la sua gola intorno al mio membro.»

    «Quello che le abbiamo fatto le è piaciuto. Hai sentito come gridava.»

    Layel aprì gli occhi e l'odio e la rabbia superarono il dolore. Si guardò intorno: i demoni erano ancora là e ridacchiavano come bambini, mentre gli occhi dorati dei draghi sfolgoravano trionfanti.

    Vedendo la sua espressione, i loro sorrisi si spensero e qualcuno indietreggiò. Forse si erano dimenticati che i vampiri potevano volare, o non pensavano che un uomo distrutto come lui fosse pericoloso. Si sbagliavano di grosso.

    «Susan!» Layel iniziò con furia. E nella foresta risuonarono grida di dolore più acute e disperate di qualsiasi cosa fosse avvenuta prima.

    1

    Duecento anni dopo

    Oh, sì, avvicinatevi ancora un poco, bastardi sputafuoco.

    Nascosto dal fitto fogliame, Layel osservava l'armata dei draghi attraversare la foresta che portava il loro nome. Non sapeva dove fossero diretti e perché, ma era deciso a liberare la ragazzina legata e imbavagliata in una gabbia appesa a due pali e sorretta da diversi guerrieri.

    Era loro nemica, era chiaro. Non la conosceva, ma i nemici dei draghi erano suoi amici e lui non voleva vedere un amico in quello stato.

    I draghi continuarono a marciare di buon passo e lui fece segno ai suoi uomini di restare immobili, in attesa; loro obbedirono senza esitare.

    Da quella tragica giornata di duecento anni prima li aveva guidati con pugno di ferro in una guerra infinita. Nessuno metteva in discussione la sua volontà; se ci provava, andava incontro a terribili conseguenze.

    «... non finirà bene» borbottò Brand, comandante in seconda dei draghi. La luce proveniente dalla cupola di cristallo che circondava Atlantide formava un alone intorno ai suoi capelli biondi e ai bei tratti del viso.

    Brand era forte, coraggioso, leale al suo re e gentile con la sua gente; peccato che fosse un drago. Se fosse appartenuto a un'altra razza, perfino a quella dei demoni, forse gli sarebbe piaciuto. Dato come stavano le cose, invece, Layel voleva che vivesse abbastanza a lungo da trovare una compagna; l'avrebbe rapita, facendolo soffrire, e poi l'avrebbe ucciso, anche se non era uno dei guerrieri responsabili della morte di Susan: li aveva uccisi tutti, in modo lento e doloroso, ma quel massacro non gli era bastato. Era stato incolpato per le azioni di altri ed era deciso ad applicare la stessa logica ai draghi.

    Solo la completa eliminazione della loro razza poteva vendicare la morte di Susan. Solo allora lui avrebbe potuto raggiungerla nell'aldilà.

    «Se le sue sorelle la vedessero così, scoppierebbe una guerra» osservò un drago di nome Renard.

    Layel sapeva che quel mostro dai capelli neri aveva studiato il modo migliore per uccidere ogni razza di Atlantide. Renard però odiava più di tutti i vampiri ed era sempre pronto a combatterli.

    Anche lui lo era, pensò passandosi la lingua sui denti allungati.

    «Che cos'altro potevamo fare?» borbottò Tagart, un drago dai capelli scuri e il cuore nero. Non era leale a nessuno,era perfino geloso del suo re. «Se avesse pronunciato un'altra parola le avrei tagliato la lingua. Dovevamo imbavagliarla.»

    Tutti i guerrieri annuirono. Erano alti e muscolosi e avevano una spada lunga e minacciosa assicurata dietro la schiena, proprio tra le fessure che nascondevano le ali. Layel le collezionava come trofei, appendendole ai muri del suo palazzo, e usava le loro ossa come mobili.

    «Le ragioni per imbavagliarla possono essere valide, ma quelle donne non le capiranno, anche se la stiamo riportando al loro campo... ammesso di riuscire a trovarlo» ribadì Brand. «L'adorano: è la loro futura regina.»

    Stavano parlando delle amazzoni, capì Layel.

    Le labbra si incurvarono in un sorriso lento: le amazzoni erano creature feroci, sanguinarie e devote le une alle altre. In genere stavano per conto loro, a meno che non venissero provocate.

    Giravano infinite storie sulle loro conquiste, ma lui non se ne era mai interessato, né aveva mai affrontato una di loro. Esisteva solo per tormentare e uccidere i draghi; per lui non contava altro.

    Ora però la sua mente girava, prendendo in considerazione tutti i possibili modi di usare quelle feroci guerriere. Forse non avrebbe liberato la piccola prigioniera: era più utile trovare il campo, mentire, sostenere che i draghi volevano ucciderla e...

    Risuonò un assordante grido di battaglia e un nugolo di donne guerriere balzò fuori dagli alberi. Erano vestite in modo succinto, con sottili strisce di pelle che rivestivano il seno e una sorta di gonnellina sfrangiata che copriva vita e cosce. La pelle visibile era dipinta di azzurro, il colore della regalità.

    «Grosso errore, draghi» gridò una donna.

    «Il vostro ultimo errore» rincarò la dose un'altra.

    Alla fine non avrebbe dovuto mettersi a cercarle, constatò Layel soddisfatto.

    Erano armate e muscolose e l'espressione feroce del loro viso prometteva morte e distruzione. La maggior parte era alta come i draghi, ma alcune erano minute e parevano quasi fragili.

    Nel giro di qualche istante scoppiò una accanita battaglia.

    «Ora!» gridò Layel ai suoi uomini.

    I vampiri si gettarono nella mischia. Gli sarebbe piaciuto materializzarsi proprio nel mezzo della lotta e avrebbe anche potuto farlo, ma poi si sarebbe ritrovato esausto e incapace di muoversi per ore. Quel talento speciale era utile solo quando voleva scappare e in quel momento la fuga non rientrava nei suoi programmi.

    Mentre correva verso i nemici facendo turbinare la spada, la luce proveniente dalla cupola gli riscaldò la pelle sensibile. L'aria era resa ancora più ardente dai fiotti infuocati sputati dai draghi, ma lui non permise a quegli ostacoli di rallentarlo.

    Ogni goccia di sangue versato, ogni corpo che cadeva a terra lo colmavano di gioia, ogni grido di dolore gli procurava un sorriso trionfante. La cosa che gli piaceva di più era vedere gli occhi dorati dei draghi dilatarsi inorriditi e poi perdere ogni luce.

    Più tardi, alla fine del combattimento, avrebbe fatto il giro del campo per decapitarli: draghi e vampiri guarivano in fretta e con quel gesto drastico lui voleva impedire ogni possibilità di rigenerazione. In quel momento, però, poteva solo spezzare in due i loro cuori marci.

    Eliminò con ferocia due draghi che gli si erano scagliati addosso e con un possente calcio nello stomaco ne mandò un altro verso Zane, uno dei suoi uomini. Un attimo prima di cadere decapitato dal vampiro, il drago sputò una fiammata che bruciò la guancia di Layel, ma lui non se ne curò.

    «Ti senti bene?» domandò il suo compagno, l'espressione preoccupata.

    Annuì. Aveva bisogno di infliggere più dolore. Si avvicinò da dietro a un drago impegnato in uno scontro con uno dei suoi e lo colpì alle spalle, facendolo afflosciare a terra con un grido di dolore. Non si faceva problemi a giocare sporco: lottare in modo leale portava solo al fallimento.

    Un altro drago si avventò su di lui. Muovendosi più veloce di quanto l'occhio potesse vedere, Layel lo pugnalò più volte. Tre secondi: era stato fin troppo rapido e facile.

    Brand si liberò di un'amazzone e Layel si passò fremente la lingua sui denti. Non avrebbe più atteso; quel giorno avrebbe ucciso il bastardo.

    Si fece largo nella mischia, gli occhi fissi sul comandante, ma prima di raggiungerlo si trovò a incrociare la spada con l'arma di un'amazzone. Questa volta le cose non si annunciavano tanto rapide e facili.

    «Non voglio farti male» dichiarò a denti stretti.

    «Che pensiero ammirevole!» fu la replica.

    Una raffica di vento sollevò i suoi capelli azzurri e Layel si trovò a fissare un volto di incredibile bellezza, che neppure i colori di guerra potevano attenuare. Si ritrovò intontito e incapace di muoversi e quasi dimenticò il drago da eliminare.

    Erano duecento anni che non si fermava ad ammirare la bellezza di una donna, eppure ora non poté fare altro che divorare con gli occhi l'avversaria, che sembrava emanare qualcosa di magico e irresistibile. Non riusciva a spiegarselo: le amazzoni non erano in grado di gettare incantesimi del genere. Solo i draghi potevano.

    Continuò a fissarla, in cerca di qualche segno di parentela con un drago. Occhi violetti simili a lucenti ametiste, lunghe ciglia scure, guance arrotondate, pelle liscia e abbronzata nei punti dove la pittura di guerra si era scolorita. A differenza di alcune delle sue sorelle, era minuta, tanto da arrivargli a mala pena alle spalle. No, non era certo imparentata con un drago.

    Con la sua grazia fluida e le curve perfette, era sensuale ed erotica e pareva più adatta al sesso che alle battaglie.

    «Non dovresti essere qui. Avrei potuto ucciderti.» Layel non si faceva problemi a uccidere le donne, ma sarebbe stata una vergogna distruggere un essere così bello. Poi si rese conto della direzione dei suoi pensieri e strinse i denti, furioso con se stesso: lui non guardava più con desiderio le donne.

    Le labbra tumide e rosse si incurvarono ironiche, procurandogli una fitta allo stomaco. «Ma fammi il piacere! Hai bisogno di esercitarti con la spada per qualche secolo, prima di riuscire a eliminarmi, vampiro.» Si avventò un'altra volta su di lui, questa volta mirando al collo.

    Nessuna creatura era più veloce di un vampiro, così che Layel riuscì a evitare il suo affondo inarcandosi all'indietro. «Ti illudi di farmi da mentore?» la punzecchiò. In fondo ammirava la sua sicurezza.

    «Cosa fai qui?» gli chiese, continuando a roteare la spada.

    Lui parò. «Ti aiuto.»

    Una risata argentina gli provocò un'altra fitta dolorosa. La fissò torvo; com'era possibile che gli facesse quell'effetto?

    Non provava un fremito di desiderio da quando... Oh, no, non doveva pensare a Susan. Adesso doveva concentrarsi sullo scontro.

    Si lanciò ringhiando sull'amazzone, che respinse il colpo corrugando la fronte. Meglio così. Tornò all'attacco e, quando le loro spade si incrociarono di nuovo, i corpi vibrarono per l'impatto.

    Lei arricciò il nasino delicato: era irritata, divertita o deliziata?

    Di sicuro in quel momento non provava le ultime due emozioni.

    «E sarebbe questo il tuo aiuto, vampiro?» lo investì in tono sarcastico.

    «No. Prima aiutavo me stesso. Ora aiuto te.» Lanciò il pugnale che si conficcò nel collo di un drago che la stava attaccando da dietro. «Hai capito la differenza?»

    Lei girò su se stessa e osservò il guerriero caduto e morente. Quando tornò a fissare Layel, non c'erano dubbi sull'emozione che le incupiva gli occhi: era irritata. «Non abbiamo bisogno del tuo aiuto. Non riceverai alcun tipo di premio per averlo offerto.»

    «La tua gratitudine mi scalda il cuore. Per fortuna cavare il cuore dal petto dei miei nemici per me è un premio sufficiente.»

    La punta rosa della lingua dell'amazzone emerse dalle labbra tumide, spandendo la pittura di guerra tutt'intorno. Intanto fissava le sue labbra, come se quelle parole feroci l'avessero eccitata. Una simile depravazione avrebbe dovuto disgustarlo e invece non era così.

    All'improvviso il bisogno di allontanarsi da lei divenne pressante come quello di eliminare i draghi. «Se mi intralcerai di nuovo, amazzone, sarai tu a finire male.» Forse non avrebbe avuto bisogno di abbatterla, pensò voltandosi: un altro drago si stava già avventando su di lei.

    «Provaci e morirai come i draghi» replicò la guerriera. Poi, senza neanche voltarsi, lo sguardo sempre fisso su Layel, colpì il drago che tentava di prenderla alle spalle con un colpo di spada letale, rigirandola per causargli un dolore ancora più atroce.

    L'avversario crollò a terra, lanciò un ultimo gemito e non si mosse più.

    Layel non perse altro tempo: muovendosi a una velocità tale da risultare una massa indistinta, allungò una gamba e le fece lo sgambetto. Lei cadde in ginocchio, ma balzò in piedi un attimo dopo, pronta ad affrontarlo.

    Adesso però il suo sguardo non era più rabbioso, ma mostrava una strana vulnerabilità: era il tipo di occhiata che una donna rivolge a un uomo quando vorrebbe portarlo a letto, pur sapendo che sarebbe molto meglio resistergli.

    Per un tempo che gli sembrava infinito Layel aveva ricevuto molti sguardi del genere e aveva sempre resistito al loro appello.

    Ora indietreggiò, preso dal panico.

    «Mi hai fatto cadere!» Un'esclamazione con voce ansimante.

    Per anni Layel aveva pensato che il suo cuore fosse avvizzito e morto, eppure adesso, ascoltando la nota eccitata nella voce dell'amazzone, quello stupido organo riprese vita e si mise a battere come un tamburo. Vattene, maledizione. «Sì» ammise.

    E avrebbe fatto ben altro, se lei si fosse avvicinata. Quella donna era pericolosa.

    Non aveva bisogno di ricordare a se stesso che nella sua vita non c'era posto per il desiderio: avrebbe vendicato la morte di Susan, e poi si sarebbe riunito a lei. Nient'altro contava.

    «Gioca pulito con i vampiri, ragazzina, e potrei anche lasciarti qualche drago da eliminare. Altrimenti ti verrò a prendere, ti taglierò la testa e l'appenderò accanto a tutte quelle che ho collezionato nella mia lunga esistenza.» Le lanciò un sorriso cupo e tornò a gettarsi nella mischia.

    Brand era di nuovo in vista.

    2

    Quel bastardo succhiasangue, quel guerriero dal cuore nero non aveva onore! Eppure... le piaceva!

    L'aveva fatta cadere in ginocchio: nessuno ci era mai riuscito fino ad allora. Nessuno. Lei era troppo forte, veloce, minacciosa e pronta alla vendetta. E se non avesse raggiunto quell'obiettivo, ci avrebbero pensato le sue sorelle a regolare i conti, come ben sapevano tutte le razze di Atlantide.

    Il vampiro aveva agito senza riserve e rimorsi, muovendosi a una velocità incredibile: avrebbe potuto tagliarle la gola, come aveva fatto con tanti draghi, ma per qualche motivo si era trattenuto.

    Avrebbe dovuto temere un simile talento e invece ne era eccitata. Il che era un'assurdità. Il comandamento numero otto delle amazzoni imponeva di non combattere mai un avversario faccia a faccia, se non lo si poteva sconfiggere. Meglio aspettare e in seguito pugnalarlo alle spalle. Il vampiro avrebbe potuto batterla, l'aveva perfino fatta cadere in ginocchio e lei avrebbe voluto baciarlo!

    Aveva passato molte notti sveglia, a fantasticare su qualcosa che non poteva avere e non avrebbe dovuto desiderare: un uomo abbastanza forte che la reclamasse rischiando l'ira delle sue sorelle. Un uomo che non la considerasse troppo violenta, pronto a dare con la sua stessa intensità e a combattere per lei con la stessa ferocia che lei mostrava in ogni combattimento a cui partecipava. Un uomo disposto a superare ogni ostacolo per conquistarla.

    Un uomo che l'avrebbe considerata la cosa più importante della sua vita, un premio da vincere e tenersi caro.

    Quei desideri l'imbarazzavano; non li avrebbe mai ammessi ad alta voce, dato che voleva conservare il rispetto della sua tribù. Le amazzoni erano guerriere; per loro la guerra veniva prima di qualsiasi altra cosa, soprattutto l'amore.

    Inoltre aveva provato l'amore, o almeno si era data a un uomo: lui non era stato costretto ad accettarla, non era stato scelto durante la cerimonia in cui le amazzoni decidevano quali schiavi portarsi a letto. No, si erano conosciuti sul campo di battaglia: quando era stata sul punto di pugnalarlo lui l'aveva baciata. Lusingata e attratta, l'aveva lasciato vivere e quella notte era sgattaiolata fuori dal campo per vederlo. Quello era l'uomo per lei, si era detta, eccitata. Finito di fare sesso, però, lui se ne era andato senza voltarsi. Era stata solo uno svago passeggero, un nemico da usare, una donna di cui saziarsi e magari, in seguito, un brutto ricordo da scacciare. Niente di più.

    Colpa sua, comunque. Se non avesse osservato in segreto le altre razze, sciogliendosi alla vista degli uomini che combattevano per le loro donne e facevano qualsiasi cosa per proteggerle, il bisogno di un amore tutto suo non sarebbe nato. Un bisogno che costituiva una chiara violazione del terzo comandamento: se cominci a desiderare da un uomo qualcosa di più di un amplesso, uccidilo, oppure lui ti porterà via dalle tue sorelle e ti tradirà.

    Un ringhio rabbioso la riportò alla realtà. Fece un affondo con la spada davanti a sé e un altro dietro e due draghi si accasciarono a terra.

    Ne arrivò un terzo.

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