Lo strano dono
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Lo strano dono - Laura Cassidy
successivo.
1
Judith Springfield vide per la prima volta l'imponente maniero in una calda serata d'agosto. Chiese a suo cugino Joseph di fermare il pony che stavano cavalcando, per permetterle di ammirare il luogo dove avrebbe trascorso i prossimi anni.
«Perché non vuoi andare?» le chiese lui con voce assonnata. Era in piedi dall'alba e aveva lavorato nei campi per tutto il giorno. In una giornata qualsiasi a quell'ora sarebbe stato seduto a tavola, davanti a una cena modesta, dopo la quale si sarebbe coricato ancora prima che spuntassero le stelle. Invece era stato costretto dalla madre ad accompagnare la sua bizzarra cugina alla Grande Casa, per affidarla alle cure della zia, Mary Weeks, che lavorava lì come cuoca. Appesi alla sella del pony vi erano una bisaccia, contenente i pochi effetti personali di Judith, e un vaso del migliore miele prodotto alla loro fattoria. Si girò per guardare la cugina, seduta in sella dietro di lui.
Quando la giovane nipote della madre era arrivata dall'ovest, Joseph e i ragazzi del villaggio erano rimasti assai colpiti dal suo aspetto inusuale. Le altre fanciulle avevano i capelli biondi o bruni, mentre quelli di Judith erano una strana combinazione di castano e rossiccio, che diventava rosso fiammeggiante sotto la luce. Le altre fanciulle avevano occhi azzurri o castani, mentre quelli di Judith erano grigio chiaro, con le iridi tempestate di pagliuzze leggermente più scure. Le altre fanciulle avevano figure ancora acerbe, mentre il corpo della sedicenne Judith sapeva già far girare la testa agli uomini.
Era stato dunque inevitabile che il suo arrivo creasse una certa agitazione al villaggio. Interesse che si era affievolito quasi subito, perché la nuova arrivata si era guadagnata la reputazione di essere un po' strana.
Tanto per cominciare, aveva la fissazione di leggere libri. Aveva portato con sé diversi volumi dalla copertina logora e nel tempo libero non faceva che leggerli e rileggerli. Un'altra stranezza era il suo modo di esprimersi e di scegliere le parole: non sembrava capace di dire una cosa direttamente, bensì preferiva confonderla con frasi complicate, soffermandosi con snervante insistenza sulla descrizione dei propri pensieri e sentimenti.
Ma l'aspetto più eccentrico del carattere di Judith si era rivelato quando le si erano presentati i primi corteggiatori. Erano trascorsi meno di quindici giorni dal suo arrivo che già due gentiluomini avevano fatto visita al padre di Joseph, per chiedere il permesso di dimostrare il loro interesse per la sua bella nipote. Jonas l'aveva accordato, sorpreso dalla rapidità con cui tale interesse era sorto, ma comprendendo d'altro canto che dei contadini indaffarati come loro avevano bisogno di prendere decisioni tempestive e trovare moglie più in fretta possibile.
E così Judith era stata incoraggiata a frequentare i due giovanotti. Nel giro di qualche settimana, entrambe le frequentazioni erano terminate in una proposta di matrimonio.
Il primo dei due pretendenti aveva accettato il rifiuto senza prendersela troppo, ma il secondo non si era arreso e aveva cercato di convincere Judith, tentando di strapparle un bacio e ricevendo in cambio un sonoro ceffone. Il fatto aveva creato un certo scandalo in paese, ma perlomeno aveva messo in guardia i gentiluomini locali dall'avvicinare quella testa matta di Judith Springfield.
Seppur delusi, Jonas e Lizzie Weeks avevano deciso di lasciare Judith in pace, per il momento, senza costringerla a frequentare altri uomini. Dopotutto, la poverina aveva già avuto abbastanza problemi.
«Allora?» la incalzò Joseph. «Hai guardato abbastanza?»
«È una splendida casa.»
«Sì» convenne il giovane. La sua famiglia aveva stretti legami con gli abitanti di quella dimora. Parecchi membri della famiglia Weeks avevano lavorato lì nel corso degli anni, compresi i suoi genitori, prima di ricevere in affitto la piccola fattoria situata sul confine della proprietà. Al momento vi erano quattro Weeks a servizio nella Grande Casa: la cuoca, due cameriere e il capo stalliere, Walter. Quando la padrona aveva deciso di assumere una bambinaia che si occupasse dell'ultimo nato, si era subito rivolta alla famiglia Weeks.
Moglie di un nobile, nominato conte dalla regina in memoria dell'amicizia con il defunto re Enrico VIII, Bess Latimar avrebbe potuto scegliere il fior fiore delle ragazze locali, ognuna delle quali sarebbe stata onorata di prendere servizio presso una dama tanto amata e rispettata. Ma lady Bess aveva preferito rivolgersi a una famiglia che conosceva bene.
Joseph dubitava, però, che la buona signora avrebbe riscontrato alcunché di familiare nella condotta e nei modi della nuova domestica, poiché Judith differiva dal resto dei Weeks come la notte dal giorno. Inoltre, l'avrebbe trovata una compagnia assai deprimente. In effetti, la povera cugina aveva ben poco di che stare allegra, dato che aveva appena perso i genitori e tutti i fratelli.
Era stata una vera tragedia, perfino in un ambiente dove la perdita di un parente prossimo non era certo un evento raro.
Nessuno sapeva spiegare perché il fuoco, che aveva reclamato le vite di ben sette membri della famiglia Springfield, avesse deciso di risparmiare l'ottava. Né si sapeva perché le porte della misera casetta di campagna si fossero bloccate, impedendo ai poveretti intrappolati dentro di mettersi in salvo. Dei sei figli che i soccorritori avevano trascinato fuori da quell'inferno rovente, soltanto Judith si era mossa e rialzata.
I corpi dei due genitori, invece, non erano stati recuperati fino al mattino dopo, quando si era capito che mentre i cinque piccoli erano stati soffocati dal fumo, ai due adulti era invece toccato l'atroce destino di venire divorati dalle fiamme, poiché il loro letto si trovava vicino al camino da cui si era diffuso l'incendio.
Varie famiglie si erano subito offerte di prendersi cura di Judith, ma alla fine si era deciso che fosse meglio mandarla altrove, lontano da quei terribili ricordi. Ci si era così sovvenuti dei suoi zii di Kew.
Judith era parsa del tutto indifferente a dove sarebbe stata mandata. La sua vita era comunque finita, aveva deciso. Da quando si era vista davanti i corpi inerti dei fratellini e i poveri resti carbonizzati dei genitori, aveva perso ogni capacità di reagire, ogni desiderio di vivere. Intontita e disorientata, si era lasciata caricare su un carretto e accompagnare a est, restando poi indifferente al calore con cui era stata accolta dagli zii.
Quando zia Lizzie le aveva accennato che lady Bess Latimar stava cercando una bambinaia, dapprima Judith aveva ascoltato con aria apatica ed evidente disinteresse.
«Suvvia, Judith!» La zia si era seduta accanto a lei, tentando di scuoterla da quel torpore. «So che hai sofferto molto, ma la vita deve andare avanti, tesoro! Se continui così non otterrai nulla.»
«Ma io non voglio nulla. Siete voi a volerlo per me» aveva precisato Judith. Si era già risentita abbastanza quando gli zii avevano tentato di forzarle la mano nell'accettare uno dei due pretendenti.
«Non sto parlando di Luke Middleton o di Charlie Kent» aveva sospirato Lizzie. «Anche se, in effetti, sarebbe stato un modo di dimenticare...»
«Non voglio dimenticare!» Dopo giorni d'indifferenza, Judith l'aveva sorpresa con la foga di quelle parole. «Nessuno dovrebbe dimenticare i propri cari!»
«Nessuno ti chiede di farlo, mia cara. Solo che non puoi continuare a comportarti come se fossi l'unica persona al mondo ad aver subito un lutto. Ti si presenta ora una bella opportunità, andare cioè a lavorare alla Grande Casa. Credo che dovresti accettare.»
«E perché? Non ci sarà nulla di diverso da qui.»
«Ti sbagli» l'aveva corretta zia Lizzie. «Fin dal momento in cui ti ho visto scendere dal carro ho capito che qui non ti saresti mai trovata a tuo agio. Sei tu a essere diversa da tutti noi. Non volermene, mia cara, non sono brava a spiegarmi a parole, ma mi è bastato guardare quel tuo visetto triste per capire che tu non sei come la mia Bella o la mia Cassie. Dunque credo che ti farebbe bene andare a Maiden Court, i cui abitanti sono anch'essi un poco... diversi, appunto.»
«Diversi... in che senso?» Finalmente la zia era riuscita a suscitare la curiosità di Judith.
«Oh, non saprei spiegare...» Come aveva appena detto, Lizzie non era abile con le parole, ma aveva fatto del suo meglio per descrivere alla nipote i membri della famiglia Latimar.
Lady Bess, bella e dolce, era praticamente la beniamina del villaggio. Harry Latimar, ora divenuto conte, era l'immagine perfetta del raffinato cortigiano. Amico e confidente del vecchio re Enrico, ora amato e rispettato dalla figlia del sovrano scomparso, la regina Elisabetta, aveva però mantenuto modi amichevoli e disinvolti tanto con i suoi nobili amici quanto con i fittavoli e i braccianti.
Il figlio George era fisicamente uguale al padre, ma per carattere non sarebbe potuto essere più diverso. Quando era stato presentato a corte al compimento dei diciotto anni, George aveva subito attratto le simpatie della sovrana, che gli aveva offerto un posto permanente nel proprio seguito, ma il giovane aveva preferito ritornarsene alla quiete di Kew suscitando un gran scalpore, con quel garbato rifiuto.
Lady Anne, gemella di George, era forse la più facile da descrivere: una giovane aristocratica, spensierata e viziata. Vantava più proposte di matrimonio che abiti, ma fino a quel momento le aveva respinte tutte, per poter restare a Maiden Court con i suoi cari.
La prospettiva d'imbattersi in una famiglia tanto particolare, dunque, aveva spinto Judith ad accettare l'invito di lady Bess e nel giro di pochi giorni era salita in sella al pony, dietro al cugino Joseph, che l'avrebbe scortata alla sua nuova casa.
«Stai rabbrividendo» osservò Joseph, strappandola ai ricordi. «Hai freddo?»
«Non ho freddo. Sono nervosa.»
«Di che cosa mai?» le chiese Joseph. «Non c'è nulla a Maiden Court di cui si possa avere paura.»
«La padrona...»
«Lady Bess?» Joseph spronò il pony e iniziarono così a scendere a valle. «Una donna più dolce non si è mai vista. Di certo tu incuti più timore di lei!»
«Grazie tante» borbottò Judith. A casa, nel Devon, era famosa per il suo carattere focoso. Un tempo avrebbe risposto al cugino per le rime, ma la tragedia aveva in qualche modo infiacchito anche il suo spirito battagliero.
«E il padrone?» si informò. «Che cosa mi dici del conte?»
«Non avrai nulla a che fare con lui.» Erano arrivati nel cortile di fronte alla casa. Joseph smontò di sella e aiutò lei a fare altrettanto. «Né con lord George e lady Anne, del resto.» Estrasse dalla sella il vasetto di miele che aveva portato in regalo e avanzò fino a bussare alla porta. Venne ad aprire Mary Weeks.
«Eccovi qui, dunque! Ve la siete presa comoda!»
«Squirrels Farm non è così vicina» rispose Joseph senza scomporsi. Prima le porse il miele e subito dopo spinse in avanti Judith.
«Ringrazia tua madre da parte mia. Entrate, ora.»
Joseph indietreggiò. «Vi ringrazio, zia Mary, ma io devo andare. Vado a prendere il bagaglio di Judith.»
Judith avanzò nella cucina immacolata. Non ne aveva mai vista una più pulita e ordinata.
Poco dopo tornò Joseph, che depose il suo misero bagaglio sul pavimento. «Allora addio, Judith, e buona fortuna!» Si richiuse la porta alle spalle e Judith lo udì fischiettare mentre si allontanava. Non appena si voltò, trovò Mary che la scrutava con attenzione.
Era una bellissima ragazza, stava pensando la cuoca di Maiden Court, ma, santo cielo, nessuno le aveva detto che fosse di aspetto tanto inusuale! Quel colore di capelli... un colore che nessuna brava fanciulla cristiana dovrebbe avere, e l'espressione orgogliosa dei suoi occhi! Nonché un corpo capace di suscitare pensieri peccaminosi in ogni uomo.
«Allora, vi vado bene?» le domandò Judith, dimenticando le istruzioni di zia Lizzie di evitare domande dirette e sfrontate. Stranamente, le era bastato varcare la soglia per sentir rinascere in sé un germoglio della sicurezza di un tempo. Era stato come se quella vecchia dimora l'avesse riconosciuta e accolta, facendola sentire benvenuta.
«È troppo presto per dirlo» controbatté Mary, senza smettere di esaminarla con sguardo critico. «Quello sarebbe il tuo abito migliore?»
«Questo?» Judith abbassò lo sguardo sulla misera veste. Era a collo alto e con le maniche lunghe, di un color marrone spento che non le donava affatto. «È il mio unico abito.»
«Ah.» Mary non si scompose. «Hai già cenato?» le domandò in tono brusco.
«Sì, grazie.»
Era di buone maniere, pensò la cuoca compiaciuta. «Allora vai nel salottino e aspetta lady Bess.» Si scoprì a sperare che anche alla padrona piacesse quella creatura bizzarra, ma non stava a lei decidere. La signora si sarebbe presto fatta un'idea su Judith e raramente si sbagliava nel valutare una persona.
«Il salottino?»
«Sì, la stanza accanto al salone» rispose Mary, aprendo la porta della cucina e indicando la via. «Laggiù.» Detto ciò, tornò a rigirare la carne sullo spiedo. Il padrone era stato a Richmond Palace per qualche giorno, ma era atteso a casa per quella sera e lei voleva che la cena fosse perfetta.
Judith avanzò in punta di piedi sul pavimento tirato a lucido, vergognandosi del rumore prodotto dalle sue tozze scarpe pesanti. Nell'attraversare la sala principale il suo sguardo fu subito attratto dall'enorme vetrata incendiata dalla luce rossa del tramonto. Poi notò l'imponente credenza che occupava quasi tutta una parete, su cui erano esposti piatti e cristallerie raffinate, e infine il lungo tavolo apparecchiato per quattro.
Che splendore!, pensò. Molti anni prima, aveva accompagnato sua madre quando andava a servizio presso un'agiata famiglia del Devon, la cui residenza però non era nulla al confronto con il posto in cui si trovava ora.
Aprì la porta del salottino e sbirciò dentro. Era vuoto. Entrò e di nuovo rimase incantata a guardarsi attorno. Una stanza deliziosa, decise, con divanetti rivestiti di damasco e una grande finestra che si affacciava su un roseto in fiore. In un angolo vi erano degli strumenti musicali a lei sconosciuti e sulla parete un ritratto. Si avvicinò per esaminarlo.
Il quadro ritraeva un uomo vestito di grigio, in piedi dietro a un tavolo da gioco, con una mano posata sullo schienale di una sedia. Era alto e snello, con un viso dalla pelle chiarissima e occhi neri... no, azzurro scuro, e capelli bruni, folti e ondulati. Era un ritratto dai colori scuri, con l'unica eccezione di alcune carte, disposte a ventaglio sul tavolo, e riprodotte dall'artista fin nei minimi dettagli, i cui semi rossi splendevano come fiammelle.
Inclinando il capo di lato per guardare meglio,